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Allegiant
 
Allegiant 2015-01-21 08:22:54 Cherchez la Famme
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
2.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
Cherchez la Famme Opinione inserita da Cherchez la Famme    21 Gennaio, 2015
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La giusta conclusione

- il testo contiene SPOILER -

Quest'ultimo capitolo, molto più dei precedenti, lascia senza fiato, imboccando una strada che mai si sarebbe immaginata al principio (se migliore o peggiore, non saprei dirlo).
L'idea degli esperimenti genetici certamente non è nuova, ma la Roth ci ha preso tutti un po' per i fondelli impostando la storia come una distopia alla Hunger Games, e prendendo poi una direzione completamente diversa.
Non mi aspettavo nulla di quanto c'è in "Allegiant", eccetto una cosa sola, mi tocca confessarlo.

Le mie parole su Tris si sono quasi del tutto esaurite.
Torno a ribadire quanto questo sia un personaggio effettivamente positivo, un personaggio che suggerisca un'empatia che non tanti autori sanno veramente creare. E' la Roth a muovere le fila di Tris, eppure le sue azioni sembrano rispondere alla volontà del lettore stesso.
In questo romanzo non c'è nulla di inaspettato per chi ha imparato a conoscere Beatrice nel corso della saga; compreso, dunque, il sacrificio finale. Ed è proprio questo uno dei temi centrali di quest'ultimo capitolo.

Di "sacrificio" si parla, quando il Dipartimento giustifica la cancellazione della memoria, e dunque dell'identità, di Chicago, per un "bene superiore" (la prosecuzione dell'esperimento); di "sacrificio" si parla, quando Nita tenta di somministrare il Siero della Morte ai membri del Dipartimento, in virtù di "un bene superiore" (la rivalsa dei Geneticamente Danneggiati); e ancora, di "sacrificio" si parla, quando Evelyn minaccia di ammazzare tutti gli Alleggianti, in virtù di un "bene superiore" (la cessazione della guerra civile).
Ancora una volta, sono le capacità morali e razionali di Tris ad intervenire sulla questione:

"Fare un sacrificio non vuol dire rinunciare alla vità di un'altra persona. Quello è un puro atto di malvagità."

E' Caleb ad avviarsi verso la ghigliottina, eppure sua sorella si accerta che le motivazioni siano quelle giuste; sua madre le ha insegnato che quando qualcuno è disposto a donare la sua vita per amore, bisogna accettare quel dono.
Ma l'amore non c'entra: Caleb si sente in colpa. E Tris non se la sente di accettare quel sacrificio: è lei a morire al posto di suo fratello.
Il finale è aspro, eppure ampiamente giustificato.

Di contro, Tobias si conforma all'opinione di lui che mi ero fatta nel precedente capitolo (Insurgent), sebbene il suo punto di vista e i pensieri compassionevoli di Tris abbiano contribuito a rendere quell'opinione meno ferrea.
L'unico colpo di scena che avevo già messo in conto, riguarda proprio lui: che Tobias non fosse effettivamente un Divergente, si era intuito dalla sua assoluta incapacità di comprendere Beatrice fino in fondo. L'avevo associato alla mancanza del fattore Erudito, ma non poteva essere quello l'unico ostacolo.
Per tre quarti della storia, si comporta come un idiota: dà credito a Nita ergendosi in sua difesa contro Tris, trovandosi invischiato in un affare che poi lo condurrà al senso di colpa per la perdita di Uriah.
Si era sfiorato questo punto anche nel precedente romanzo, quando, accecato dal rancore nei confronti di Marcus, aveva ostacolato Tris nel perseguimento dell'informazione che gli Abneganti stavano per diffondere prima dell'attacco. Si era poi redento alla fine, divulgando il video lui stesso.
E ancora, quando aveva creduto cecamente a sua madre, pur contro gli avvertimenti di Beatrice.
Ma persone come Tobias non capiscono sul serio i propri limiti finchè non ci sbattono muso contro.
Prima le parole rancorose e poi i pensieri compassionevoli di Beatrice riescono a portarci nell'ottica di Tobias, più del suo stesso punto di vista.

"Tu non riesci a vedere oltre i tuoi desideri. Ti sei alleato con Evelyn perchè desideravi disperatamente una madre, e ora ti stai alleando con Nita perchè desideri disperatamente non sentirti danneggiato...", afferma durante un litigio.

Poi arriva la compassione: "Non mi sbagliavo a dire che aveva un disperato bisogno di sentirsi amato da Evelyn, un disperato bisogno di non sentirsi danneggiato, ma non avevo mai pensato a quanto siano collegate queste due cose. Chissà come ci si deve sentire ad odiare il proprio passato e, al contempo, a bramare l'amore delle persone che ti hanno dato quel passato. Come ho fatto a non accorgermi di questa spaccatura dentro il suo cuore? Come ho fatto a non accorgermi prima che dentro di lui non ci sono solo forza e gentilezza, ma anche angoscia e sofferenza? Secondo Caleb, nostra madre sosteneva che c'è del male in ognuno di noi e che il primo passo per amare un'altra persona è riconoscere il male in noi stessi, per poi poterla perdonare. Quindi... come posso giudicare la sua disperazione... come se fossi migliore di lui, come se non avessi mai permesso alle mie ferite di accecarmi la mente?"

Solo a questo punto, sono riuscita a dissolvere parzialmente la mia delusione nei confronti di questo personaggio che, in soldoni, risulta deficitato non dalla mancanza della Divergenza ma dalle disgrazie della sua infanzia, da quella sensazione che accompagna tutti gli individui cresciuti all'ombra di genitori violenti, autoritari, incapaci di amare: la convinzione di non essere mai abbastanza.

E' curioso come, invece di allearmi idealmente con Tobias, io mi sia riconosciuta in Tris, quando, dei due, è solo il primo ad essere realmente alla nostra portata, a risultare indiscutibilmente umano.

Un altro personaggio di cui ho taciuto precedentemente e che ora necessita d'esser considerato nel suo insieme, è PETER, a cui penso sia affidata parte della morale.
Presentatosi come un trasfazione, Peter aveva mostrato una crudeltà fuori dalla norma nel primo libro (accecando Edward solo perchè più bravo di lui, e tentando di uccidere Tris per lo stesso motivo). In Insurgent, poi, Tris gli salva la vita, spingendolo istintivamente via da un colpo di pistola. Per restituire il favore e pareggiare i conti, è lui a salvarla dall'esecuzione mortale di Jeanine, affermando di non voler essere in debito. Per tutto il resto della storia, risulta sempre in bilico tra la sua effettiva crudeltà e la crescente voglia di cambiare.
Peter non è un Divergente. E' cresciuto tra gli Eruditi e il test attitudinale l'ha classificato come Intrepido. Rientra, dunque, perfettamente nella norma della società delle fazioni e nella definizione di "Geneticamente Danneggiato". Eppure, anche in un palese esempio del disastro genetico conseguito, Peter dimostra comunque di non poter essere classificato, pur rispondendo pienamente ai criteri.
E' intelligente, in quanto figlio di Eruditi, per cui manca di compassione; ed è crudele, in quanto manchevole di paura. Eppure, gli basta un gesto intriso di quella compassione che gli manca, un gesto d'altruismo spassionato - come essere salvato da chi, precedentemente, aveva tentato di uccidere - per fargli rivedere, almeno in parte le sue priorità. Peter ragiona logicamente: occhio per occhio, sia nel bene che nel male. Eppure non è solo questo a spingerlo a seguire gli altri del gruppo, che lo disprezzano. E' la presa di coscenza della sua effettiva crudeltà, del suo effettivo deficit, a renderlo già migliore, pur se accompagnata da una impossibilità reale di cambiare.
Questo ci fa capire che, a prescindere dal DNA, è anche il modo in cui siamo cresciuti e le persone da cui siamo circondati a determinare ciò che siamo.
Peter è cresciuto tra persone mosse dalla logica più spietata e per questo è diventato spietato a sua volta; ma gli è bastato il contatto umano con individui migliori di lui per portarlo al cambiamento. Questo anticipa la dimostrazione della tesi finale.
Così, mentre Chicago e i suoi abitanti dichiarano di non credere al termine "Geneticamente Danneggiato", Peter sceglie di cancellare la propria memoria e di ripartire da zero. Forse persone diverse, ambienti diversi, nuovi ricordi, determineranno anche la nascita di una nuova persona.

L'aggiunta del POV di Tobias approfondisce alcune questioni, eppure mi convince poco, sebbene appaia piuttosto chiaro che la scelta fosse obbligata. In virtù della morte di Tris, bisognava che qualcun'altro portasse a termine la narrazione, a meno di non voler ricorrere ad un narratore esterno, cosa che sarebbe andata a cozzare con la precedente struttura.
Come altri hanno detto prima di me, anch'io mi sono trovata più volte a leggere un capitolo di Tobias e a confondermi, convinta che fosse Tris a raccontare. Questo è accaduto perchè non v'è la minima differenza di stile e di vocabolario tra una parte e l'altra.
E' vero che abbiamo a che fare, oggi, con un'altra saga basata sui punti di vista, Game of Thrones, e mai ci capiterebbe di confondere un capitolo di Tyrion con uno di Daenerys. Ma Martin usa comunque il narratore esterno, pur seguendo un solo individuo. La Roth invece usa quello interno, facendo parlare il personaggio in prima persona.
E, in prima persona, Tris e Tobias comunicano nello stesso identico modo pur essendo così diversi, rischiando di far perdere il filo.
Sarebbe stato gradito almeno un cambio di registro e credo che questa mancanza sia dovuta ad una familiarità minore dell'autrice stessa col personaggio.

Nota positiva, anche se amara, è la morte di Tris, che non avevo considerato possibile. Ma perchè? Perchè non accade mai che il narratore muoia. E, ciononostante, l'eliminazione del personaggio conferma l'assoluta coerenza della Roth, una coerenza che sono ben lungi dal riconoscere a Suzanne Collins (anche se mi duole continuare a paragonare le due saghe, seguendo la tendenza mainstream).
E' l'ennesimo colpo di scena. Non ho creduto alla morte di Tris finchè Tobias non ne ha visto il cadavere. E anche allora, mi aspettavo di vederla spuntare nel capitolo successivo. Questo non accade, ma mi sono ritrovata a rimuginare sui motivi per cui mi rifiutassi di credere ad una morte tanto logica e plausibile. E li ho trovati nelle decine di libri che mi sono lasciata alle spalle, negli autori che pur di salvare il protagonista creano i più arditi e surreali escamotage, peccando in verosimiglianza. Ma quanto volentieri gli si perdona quel peccato, quando è possibile leggere l'ultima frase col sorriso sulle labbra e la sensazione che tutto sia tornato al proprio posto!

Sacrificando, in parte, il lieto fine, e uccidendo il personaggio, la Roth si dimostra implacabile e inflessibile: Tris era già sopravvissuta ad un colpo di pistola, a svariate battaglie, all'esecuzione nel quartiere degli Eruditi. Non era pensabile che la passasse liscia ancora una volta, con l'arma puntata addosso.
Ero già preparata a leggere il capitolo "TOT ANNI DOPO" e ad affrontare le descrizioni dei pargoli nati dall'amore tra l'Intrepido e la Divergente.
E il capitolo "Due anni dopo", effettivamente, esiste, ma si concentra sugli esiti delle eroiche azioni di Tris e del suo gruppo di amici. E' una dimostrazione forte: la storia d'amore non è mai stata il perno della narrazione e viene sacrificata in virtù della morale che interessa trasmettere.
La vera protagonista è la natura umana.

Il finale, con Evelyn che immola la sua sete di potere sull'altare dell'amor filiale, è ben più positivo di quanto sperassimo e suggerisce che una possibilità di redenzione esiste e va colta.

La saga di Divergent riflette sulle sue sfumature più oscure, giungendo ad un epilogo ben più speranzoso del prologo. E crea questa riflessione con la semplicità di un genere dedicato soprattutto ai ragazzi, senza la presunzione di cambiare il mondo o la speranza di restare negli annali.
L'autrice ha ancora un sacco di strada da fare, e pur nel desiderio di inserirsi in un genere che sta vendendo, risulta apprezzabile, se non altro, l'impegno di costruire la storia attorno ad un messaggio ben preciso. Il potenziale c'è e l'autrice è giovane (classe 1988), credo che col tempo possa solo migliorare.

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Divergent e Insurgent
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