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Il labirinto del dolore
Sarò sincera. Mi sono decisa a leggere questo romanzo perché volevo togliermi una curiosità: volevo scoprire se ciò che avevo riscontrato in un’altra opera di Green, ovvero la sua scrittura semplice e appetibile a tutti ma talvolta meccanica, rappresentava semplicemente il tratto della sua penna o se l’autore aveva volontariamente scelto di adattare l’opera a tutte le fasce di età, dai più giovani ai più maturi. In suddetto altro romanzo avevo infatti riscontrato un contrasto non indifferente nella sua impostazione stilistica, se da un lato il lettore veniva affascinato dalle vicende dei protagonisti grazie alla “fantasia” del linguaggio, dall’altro proprio quest’ultimo lo poneva in una situazione di difficoltà abbracciando terminologie più volte replicate.
Sotto questo punto di vista “Cercando Alaska” mi ha soddisfatto. L’ambientazione, la costruzione dei personaggi e perfino i loro dialoghi sono gradevoli e mixati con una scrittura semplice ma scorrevole, senza troppi giri di parole e/o ripetizioni. Le locuzioni “poi” o i termini quali “tipo” danno tregua al lettore reduce dallo sfiancamento determinato dalla loro ripetitività nell’altra opera, quasi come se Green amasse indiscutibilmente ed incondizionatamente tali espressioni abbandonandovisi indicibilmente.
Apprezzata questa prima “boccata d’ossigeno” – cosa che di per sé è quasi un paradosso visto l’alto consumo di tabagismo presente in “Cercando Alaska”, dove tratto comune di tutti (e sottolineo tutti) gli studenti del campus è il consumo abusivo di sostanze alcoliche, (appunto) sigarette e in alcuni casi anche droghe leggere – il romanzo si presenta suddiviso in due parti: il prima e il dopo. Mentre “il prima” narra le vicende di questi giovani alle prese con le difficoltà della loro età, scherzi, piccole rivendicazioni, gesti considerati audaci; la seconda parte è quella più incisiva dove Green vuole trasmettere il suo messaggio.
Ma… c’è sempre un ma. E nel mio caso questo è proprio “il lascito” di questo, la ricerca del “Grande forse” in ognuno di noi, “l’uscita dal labirinto di dolore”. La parte conclusiva dell’opera tenta di offrire una risposta al lettore, di proporre una soluzione ai grandi problemi esistenziali che ognuno di noi affronta, a cui ognuno ha il suo “per me è”. Per farlo coibenta elementi di vita e dogmi della religione, idea che se pur positiva considerando chi sono i veri destinatari delle sue parole, non soddisfa il lettore, alcune domande restano in sospeso. A mio modesto parere non è riuscito ad essere adeguatamente incisivo.
Resta comunque un romanzo piacevole, non di quelli indimenticabili da dire “devo assolutamente leggerlo” ma nemmeno da buttar via. Un libro non troppo impegnativo da con cui dilettarsi tra un’opera succosa e l’altra in modo da dar tempo al cervello di assimilare la prima e prepararsi alla nuova entusiasmante lettura.