Dettagli Recensione
Fame di passione
"Hunger games": la traduzione italiana più semplice per queste due parole potrebbe essere "i giochi della fame", considerato che il termine "hunger" vuol dire appunto fame, appetito, ingordigia. Ma questa semplice parola può avere anche un'altra sfumatura di significato, molto più interessante: "hunger" vuol dire anche bramare o desiderare ardentemente. Trovo che entrambe le facce dei possibili significati della parola abbiano un loro perché all'interno della storia, ma soprattutto hanno avuto una ripercussione significativa nel mio modo di giudicare la trama e l’intero libro.
Non mi dilungherò sulla trama perché credo sia davvero una delle storie di genere distopico più conosciute di questi ultimi anni (merito anche del film tratto da questo libro), quindi mi concentrerò su quello che ho provato leggendolo.
La trama presenta tutte le carte in regola per entrare di diritto, come ho anticipato, nel filone della letteratura che abbraccia in concetto di distopìa, ovvero l’evoluzione di una società, in seguito ad una certa catastrofe o una situazione apocalittica, in una sorta di regime ingiusto e dittatoriale, in cui la libertà è un vecchio sogno e la bellezza della diversità è un reato.
Katniss e Peeta si ritrovano schiavi di questo sistema, che costringe due prescelti, i cosiddetti tributi, di tutti i dodici distretti di Panem ad ammazzarsi tra loro in uno pseudo- reality show, nella sciocca convinzione che ciò annulli il loro potere di ribellione e di dissenso. Sciocca fino ad un certo punto, perché finora il regime di Capitol City pare sia riuscito nell’intento.
Ma forse che Katniss sia il primo barlume di speranza, dopo tanti anni, di una rinascita? Potrebbe essere lei la scintilla che farà scoppiare una piccola rivoluzione contro l’oppressione?
Questo primo volume non risponde a questa domanda, ma le premesse, costruite sul carattere forte e determinato della nostra protagonista, fanno ben sperare.
L’impostazione della storia sull’idea dello show televisivo e della gara a chi-morirà-per-primo sarebbe veramente originale..se non si conoscesse un certo libro di Koushun Takami che si chiama Battle Royale. Per chi non sapesse di che parlo, questo libro giapponese del 1999 parla di come il governo, per punire i giovani e le loro sbandate, rapisca ogni anno, dai licei di tutto il paese, quarantadue ragazzi e ragazze e li costringa su un’isola con il compito di uccidersi a vicenda..suona famigliare no? La trama di Battle Royale, come pure il film, è molto più violenta e crudele, ma non potete non notare come le due storie si assomiglino troppo..ma d’altronde Suzanne Collins ha ammesso di aver preso ispirazione dal libro di Takami. Un’ispirazione un po’ troppo marcata per i miei gusti, il che, a mio avviso, rappresenta un punto a sfavore.
Vi parlavo inoltre di fame: è una sensazione spiacevole che ho avvertito anche io durante tutta la durata della lettura. Fame di passione, di movimento, di fuoco: possibile che si parli di omicidi, assassinii, morti cruente, tragedie e ingiustizie e il tono dell’autrice sia così freddo, così distaccato?
L’intero modo di narrare una storia così particolare e forte mi è sembrato troppo sterile, come se si stesse parlando di come condire un piatto di pasta, invece che di giovani adolescenti che si trucidano a vicenda senza pietà. Mi aspettavo più polso, più drammaticità, più splatter, più brividi insomma..sarà che sono stata influenzata da Battle Royale, ma sono rimasta un po’ delusa.
Questo non vuol dire che quest’ultimo sia migliore di “Hunger Games”, ma la storia richiedeva meno freddezza narrativa.
Non posso sconsigliarlo in ogni caso, perché è una storia originale (per chi non conosce il precedente giapponese) e soprattutto racconta una visione diversa del modo di affrontare le ingiustizie che credo avrà un bel seguito nei prossimi due romanzi.
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