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IL GRAN FINALE
Finire di leggere una saga che ha appassionato è sempre un piccolo dispiacere. Lascia quel senso di smarrimento per cui viene da chiedersi: E adesso? Questo è l'effetto che mi ha fatto questo libro di chiusura degli Hunger Games, un testo diverso dai due che lo hanno preceduto.
Al contrario di altri lettori, ho apprezzato la maggiore umanità della protagonista, che una volta spogliati i panni dell'eroina, si mostra per quello che in realtà è, una ragazzina ferita, provata e smarrita di fronte ad eventi che le sono sfuggiti dalle mani. Il ritmo del racconto ondeggia tra momenti più riflessivi, quasi statici, e accelerazioni improvvise, che sul finale ci catapultano vorticosamente nell'orrore della guerra che sta insaguinando Panem. In questo contesto spicca come sempre la figura malinconica di Peeta, il ragazzo debole, sfortunato, sempre alla mercè della benevolenza della protagonista, che però è, a mio avviso, l'unico vero vincitore degli Hunger Games. Mentre Katniss lotta per sopravvivere, alternando momenti di ferocia a frivolezze tese ad ingraziarsi il favore del pubblico, Peeta capisce che l'unico modo per sopravvivere ai Giochi è non perdere se stessi. Anche Katniss alla fine arriva a capirlo, ma con maggiore difficoltà e tra tante cadute ed errori.
Quello che semmai ho trovato frettoloso è stato lo scioglimento dell'azione e mi è sembrato che l'autrice abbia solvolato troppo sulla situazione di Panem nel post-guerra, visto che in fondo tutta la saga verte sul tema dell'indipendenza e della libertà rispetto ad un regime totalitario.
Bellissimo invece l'ultimo capitolo prima dell'epilogo, dove la protagonista porta a termine la sua maturazione riuscendo finalmente a cogliere il vero significato della storia:e cioè che per vivere non basta il fuoco dell'odio che brucia, ma è necessario l'amore che si rigenera nonostante tutto.