Opinione scritta da kobe
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Le Sette Benedizioni
Ci sono libri che assomigliano a corse di mezzofondo perché vanno letti con calma per gustarne certe sfumature, dosando le forze per non arrivare esausti allo sprint finale; altri sono invece paragonabili a gare di velocità perché vanno letti come in preda ad un tornado.
Beh, Il rubino di fumo è simile ai 100 metri corsi da Bolt!!! Una saetta!! Si viene immediatamente catapultati nella Londra del 1872…semplicemente magica, stregata, affascinante, lugubre, maledettamente accattivante per chi, come il sottoscritto, adora questo genere di storie. E non se ne esce finché non si chiude il libro.
Pullman ci regala un giallo di altri tempi, per l’ambientazione, il ritmo, gli ingredienti, lo stile (memorabili i ritagli di giornali in cui si leggono alcune notizie sulla vicenda). È il classico giallo con un’abbondante dose di avventura in cui tutti i protagonisti (buoni e cattivi) non stanno fermi un minuto, ma si scapicollano per le strade di Londra per risolvere il mistero.
Una lettura estremamente piacevole che consiglio a tutti!
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L'ultima mossa
Che magia la scrittura. Che meraviglia la lettura. Che incredibile esperienza farsi rapire da una storia e ritrovarsi a riflettere sulla vita.
Voglio però prima di tutto sgombrare il campo ad equivoci che potrebbero scoraggiare qualcuno a prendere in considerazione la lettura di questo breve, ma intenso romanzo: io non sono un giocatore di scacchi, ma la cosa credetemi ha davvero poca importanza. La potenza della storia non per questo viene meno, anzi, mi ha colpito in pieno, iniziando con una apertura decisa, continuando con un gioco costantemente sul filo di lana ed infine chiudendo con uno scacco matto su cui c’è poco da discutere. Mi ha battuto, steso, lasciato attonito.
Si tratta di un racconto pieno di pathos in cui due uomini si confrontano in una partita a scacchi lunga tutta la loro vita, fino alla inevitabile resa dei conti. Una partita che attraversa l’Europa della Seconda Guerra Mondiale e che siamo invitati a ripercorrere salendo su un treno che da un punto di vista meramente geografico ci porterà da Monaco a Vienna, ma che in realtà ci farà fare un viaggio di ben altro tipo.
Il gioco degli scacchi è un’arte, si tramanda di generazione in generazione e dopo le prime partite può diventare una vera e propria ossessione, un modo di vivere o di estraniarsi, un modo di relazionarsi con il prossimo umiliandolo od onorandolo, un modo di salvare una vita o di distruggerla volgendo il pollice su o il pollice giù. Terribile.
Un romanzo che fa indubbiamente riflettere, sia per l’ossessività che può generare il gioco in sé, sia per la drammaticità ed il cinismo che emergono dalle pagine sull'Olocausto.
Leggendolo mi sono tornati in mente un libro ed un film. Il primo è “Le braci” di Marai per la struttura del racconto ed il confronto/scontro tra i due protagonisti. Il secondo è “La vita è bella” per la metafora che Benigni usa per condannare l’assurda (totale mancanza di qualsivoglia) logica che muoveva i nazisti: quando il dottore, amico di Benigni con cui giocava agli indovinelli prima dello scoppio della guerra, lo ritrova nel campo di concentramento in cui è ufficiale nazista, la sua unica preoccupazione è di risolvere un indovinello per cui ha bisogno dell’aiuto di Benigni. Non gli passa neppure per l’anticamera del cervello il pensiero che è il suo amico ad avere bisogno di lui, non lo sfiora neppure da lontano il sentimento di solidarietà per lo stato disumano in cui si trova e che è solo la follia della Guerra ad averli posti su due piani diversi. Sono due uomini, hanno pari dignità ed invece la Guerra ha deciso che uno è l’Essere umano con la “E” maiuscola, mentre l’altro non è niente.
Come spesso accade per tutte le sue forme (scrittura, pittura, cinema, ecc., fate voi), la forza dell’arte rende immediata e potente l’immagine di qualsiasi cosa, anche la più brutta che sia mai stata concepita.
Non sono uno scacchista, ma questo romanzo mi ha colpito lo stesso…forse perché in fin dei conti sono solo un essere umano con la “e” minuscola.
Leggetelo, non vi lascerà indifferenti.
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Appunti di un venditore di donne
Avevo perso le tracce di Faletti dopo il suo terzo romanzo e l’ennesima delusione. Lo ritrovo diversi anni dopo con un noir davvero sorprendente, forse perché non mi aspettavo granché. Abbandonate le velleità dei thriller sullo stile “a stelle e strisce” (sebbene Io uccido rimanga notevole) Faletti si è cimentato con un genere che alla luce dei fatti gli è riuscito bene, il noir nostrano. La Milano del ’78 non è solo uno sfondo scenografico, ma un vero e proprio personaggio tanto la si sente pulsare e muoversi insieme ai protagonisti. Gli anni di piombo sono nella loro piena e drammatica massima espressione, le BR hanno rapito Moro, le Istituzioni sono sotto attacco ed i politici sotto scacco.
Bravo fa da intermediario tra chi desidera una compagnia di lusso e chi vuole offrire quel lusso. È cinico, ma ha un proprio codice etico, non lo si può definire senza scrupoli, anzi. È un pesce piccolo, ma presto si ritroverà a nuotare in un oceano in cui o si impara a diventare predatori o si è destinati a fare una brutta fine.
L'inizio è forse un po' lento, ma poi la storia prende rapidamente ritmo e si fa leggere alla grande, quindi non fatevi scoraggiare!!
Non male, felice di averlo letto e di aver riscoperto un autore italiano.
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Dopo l'inverno speriamo torni l'estate
Premessa: la recensione si riferisce al primo volume originale, quindi ai due volumi dell’edizione italiana “Il trono di spade” e “Il grande inverno”.
Era da molto tempo che avevo in mente di cominciare questa saga, attratto dai commenti e dai consigli degli amici. Giudizio positivo, ma con qualche riserva.
Si tratta indubbiamente di una storia intrigante, ben articolata e descritta nei minimi particolari. Niente è dato per scontato ed il lettore è accompagnato per mano nei meandri dei castelli, nelle lugubri foreste del Nord e nel ventre delle battaglie. Mi è piaciuta molto la creazione di una storia del mondo antecedente alle vicende narrate (di Tolkieniana memoria), così come l’ambientazione in un’epoca di cappa e spada che ricorda il Medioevo: intrighi di corte e segreti, doppiogiochisti ed eroi, re e lord, onore e coraggio, giustizia sommaria e decapitazioni come se piovesse.
Nonostante tutto questo, però, non so perché ma a me non ha creato dipendenza, nel senso che non sono corso a comprare il volume successivo (per la verità in libreria ci sono corso, ma a comprarmi un bel thriller!!). Finirò sicuramente la saga, ma con molta calma. In alcuni momenti ho avvertito anche punte di noia, soprattutto nella prima parte: la divisione in capitoli che corrispondono a ciascuno dei principali protagonisti, se da un lato permette di conoscere a fondo il personaggio fino a vedere con i suoi occhi, dall’altro finisce per rendere un po’ pesante la lettura.
In sintesi, mi è piaciuto, ma forse avevo delle aspettative troppo alte. Senza scomodare il Gran Maestro (irraggiungibile), nella mia personalissima classifica Fantasy al momento Martin viene dopo Rothfuss…in futuro chissà…
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E il tuo nemico qual è?
Alla fine sono capitolato anche io e ho ceduto al fascino della Nothomb. E ne sono ben lieto. Sì perché questo breve racconto che si svolge in una sala d’attesa di un aeroporto è costruito magistralmente sia nella forma (esclusivamente dialoghi) sia nei contenuti.
Un volo in ritardo, un uomo che aspetta e uno sconosciuto che gli si siede accanto e lo assilla con il racconto della propria vita. Il primo ha solo voglia di starsene in santa pace, il secondo deve per forza confessarsi. Nemmeno tapparsi le orecchie servirà a far tacere quell’uomo, non c’è modo di non ascoltare quello che ha da dire. E alla fine…beh la fine è davvero un colpo di scena! Non si può dire di più, il rischio è di rovinare questo breve, ma intenso viaggio.
Il tema è assolutamente serio, ma devo ammettere che, un po' per la situazione un po' anche per alcune freddure, a tratti mi ha addirittura fatto pensare ad Alex e Franz, seduti su una panchina con Franz intento a leggere il giornale e Alex che lo martella con discorsi assurdi!
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Un amore senza tempo
Forse è paradossale cominciare a leggere King da un romanzo che non rientra nel filone dei suoi classici, ma dopo poche righe già mi domandavo come avessi fatto a non aver mai preso in mano un suo libro. Sacrilegio, tremendo sacrilegio!! Fortuna che ho rimediato.
Inutile fare tanti giri di parole, questo romanzo mi ha conquistato. L’ho letto sia per le belle recensioni scritte qui sia perché comunque mi intrigava molto l’idea del viaggio nel tempo per impedire l’assassinio di JFK, ma onestamente non mi aspettavo una storia di una potenza del genere. Una storia sulla forza dell’amore, che abbatte le barriere del tempo ed è più forte delle sue inviolabili leggi.
Il passato non vuole essere cambiato e fa di tutto per impedirlo, maggiori sono i cambiamenti che si vuol apportare, peggiori sono le conseguenze. Giusto così, dalle mie parti si dice che “i se ed i ma sono il patrimonio dei bischeri”, niente scuse, niente rimpianti. Fatto sta che quando trovi la persona il cui solo sguardo ti apre tutto un mondo, la cui vicinanza ti mette sottosopra lo stomaco, che ti fa pensare a come fino a quel momento non hai vissuto pienamente, allora è giusto lottare anche contro il tempo…o almeno provarci.
Memorabile la vita che il protagonista si costruisce negli anni '60.
Caro Stephen, chiedo venia per aver procrastinato così tanto il nostro primo incontro, se tornassi indietro nel tempo…ops...
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Memoria e conoscenza
È tardi. È da tanto che non scrivo una recensione, un po’ per mancanza di tempo, un po’ per mancanza di voglia. Ho appena finito The Giver, è tardi, sono stanco, ma questo libro è più forte della mia stanchezza, è più forte della mia pigrizia.
È una finestra su un mondo perfetto, dove funziona tutto e nessuno soffre, ma dove dietro questa perfezione si cela la mancanza di ciò che rende la nostra vita un bene prezioso e incommensurabile: le emozioni.
Se negare il dolore, le guerre e la fame significa negare l’amore, i sentimenti, i colori, la sensazione della neve sulle mani e del vento sul viso, allora forse è meglio vivere in un mondo dove accanto al dolore c’è anche tutto questo.
Scritto con uno stile semplice e lineare, molto diretto e assolutamente piacevole, The Giver da oggi entra di diritto nei miei libri preferiti di sempre.
Fa riflettere, eccome. Fa angosciare, fa commuovere. Bellissimo.
Tra tutti i romanzi paragonati a 1984 forse è quello che ci si avvicina di più, ma con un approccio diametralmente opposto. Jonas vive in un mondo dove non c’è possibilità di scelta, dove è negata la conoscenza, dove si è persa la memoria dei colori, della musica, dell’amore. Dove tutto è uniformato. In 1984 però la dittatura reprime con la violenza, qui non sembra nemmeno esserci una dittatura perché non c’è violenza, tutti stanno bene, hanno una casa, cibo, istruzione, cure mediche, vivono in piena armonia. Ma manca qualcosa. Mancano le emozioni. Ecco dove sta la repressione. Terribile.
In 1984 la ribellione è contro un regime violento, in The Giver è contro un conformismo pacifico.
Meglio un mondo perfetto dove nessuno soffre, ma non si può scegliere come vivere la propria vita oppure un mondo “difettoso” in cui ciascuno è artefice del proprio destino?
Io preferisco poter scegliere. Sempre.
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Innichen
Fa sempre piacere avere conferme da un autore. L’opera prima di Camillotto (Il manipolatore di sogni) mi aveva letteralmente entusiasmato, quindi mi sono avvicinato a questo secondo romanzo pieno di aspettative, che sono state puntualmente soddisfatte.
Non è un giallo in cui c’è da scoprire l’assassino e lanciarsi in chissà quali congetture, ma un thriller un po’ sui generis in cui il lettore è invitato a seguire passo dopo passo un padre disperato nella folle ricerca del killer del proprio figlio. E come è ben descritto nella quarta di copertina (che grazie al cielo non toglie niente alla storia), lo scopo non è tanto sapere “chi”, quanto trovare il responsabile per consumare la tremenda vendetta. Occhio per occhio, dente per dente.
La trama è intrigante e la lettura liscia come l’olio, perché oltre ad essere scritto bene è anche organizzato in capitoli brevi e con un carattere diverso (corsivo) quando si passa dal racconto del padre (in prima persona) a quello dell’assassino.
A mio avviso Camillotto dimostra ancora una volta che questo genere letterario è un pretesto per affrontare un tema che a lui deve essere molto caro, ossia il rapporto padre-figlio, con tutte le sue implicazioni affettive ed emotive, con i dubbi che inevitabilmente ti attanagliano quando devi educare e crescere un’altra creatura, con il senso di responsabilità e a volte di colpa che ne consegue.
Non voglio anticipare niente, anche se è evidente fin dalla prima pagina, ma qui non si tratta solo di calarsi nei panni del padre e pensare a cosa farebbe ciascuno di noi di fronte ad una tragedia così grande, si tratta anche di sforzarsi di assumere il punto di vista del killer e riflettere su cosa può spingere un uomo a compiere azioni così efferate.
Se vi piace il genere, vi consiglio vivamente di scoprire questo autore!!
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Eravamo 4 amici al bar…
Classe 1929, in pensione, non sanno dove andare, il loro sport preferito sono le carte, il secondo…il pettegolezzo. Sono quattro ottuagenari che ogni giorno “infestano” il BarLume martirizzando il barista (nipote di uno di loro).
Era da tempo che non ridevo così tanto durante una lettura.
La storia a mio avviso fa solo da sfondo, il giallo è perlopiù un pretesto per sketch e battute esilaranti, soprattutto grazie ad un linguaggio colorito (in alcuni punti sembra di leggere il Vernacoliere!!) e pittoresco. Lo ammetto, mi sono sbellicato immaginando questi vecchietti che tra una partita di carte e l’altra provano a fare il Perry Mason della situazione in modo goffo, ironico e assolutamente “politically uncorrect”.
Il vero detective è, suo malgrado, Massimo (il barista) che si trova coinvolto nel delitto di una ragazza e sotto il sol leone di agosto piano piano trova il bandolo della matassa.
Suo malgrado, è vero, ma sotto sotto strizza l'occhio alla regina del giallo, sua maestà Agatha Christie, e si sente un po' come Poirot.
Divertente, proprio divertente.
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Genesi di una leggenda
Forse mi prenderete per pazzo, ma è la prima volta in vita mia che mi sono rifiutato di finire un libro perché non volevo staccarmi dalle sue pagine coinvolgenti e magnetiche, non volevo “uscirne”…perché io in questa trilogia ci sono letteralmente caduto dentro!
Non mi interessava sapere come finiva, mi interessava solo “viverlo”. Sì perché leggere La paura del saggio, così come prima Il nome del vento, significa soprattutto essere catapultati in una storia da cui è davvero difficile non essere fagocitati.
Il problema poi è che non riesco ad iniziarne uno nuovo senza aver terminato il precedente e così, per evitare di non leggere più per il resto della mia vita, alla fine ho dovuto capitolare.
Adesso che ho concluso il secondo capitolo di questa meravigliosa trilogia, non so davvero come fare. Mi sento solo, abbandonato, mi manca il mondo di Kvothe, dei suoi viaggi e delle sue avventure. Mi manca la terra di Ademre e dei suoi incredibili abitanti, gli Adem, che comunicano le proprie emozioni con i gesti, che custodiscono i segreti della nobile arte di combattere, che considerano barbari il resto della civiltà, che vivono con etica, orgoglio, senso del dovere seguendo il “Lethani”, una sorta di filosofia che guida le loro azioni e la cui comprensione permette di sapere cosa e come ci si dovrebbe comportare in ogni circostanza. Tra le pagine più belle e profonde di tutto il romanzo.
Ne “Il nome del vento” facciamo conoscenza del giovane Kvothe, della sua infanzia, di come arriva all’Accademia e di cosa lo spinge e motiva ad imparare con avidità e determinazione discipline che per gli altri studenti, ricchi e pigri, sono perlopiù un passatempo.
Nel secondo assistiamo alla genesi della sua leggenda.
Chissà cosa ci aspetta nel terzo.
Ma, come detto, non mi interessa conoscere il finale, non mi interessa raggiungere la meta, mi interessa solo il viaggio necessario per arrivarci.
“Nessun uomo può definirsi coraggioso se non ha camminato per cento miglia. Se vuoi conoscere la verità su chi sei, cammina finché nemmeno una persona conosce il tuo nome. Il viaggio è la grande livella, il grande insegnante, amaro come una medicina, più crudele dello specchio. Un lungo tratto di strada ti insegnerà più su te stesso che cento anni di quieta introspezione”.
Grazie Patrick (Rothfuss), un semplice grazie per la tua immensa e impagabile fantasia.
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La Pietra Miliare
Era una domenica pomeriggio di fine autunno quando, dopo essermi recato in libreria per acquistare un nuovo libro, sono tornato a casa e ho cominciato a sfogliarne le pagine un po’ pigramente. Ho notato però subito qualcosa di strano che ha attirato la mia attenzione, davanti ai miei occhi non c’erano semplici pagine con caratteri stampati, ma qualcosa che brillava, un luccichio, all’inizio quasi impercettibile poi sempre più abbagliante… la lampadina che mi sta abbandonando? La vista che fa brutti scherzi? No, niente di tutto questo: non avevo tra le mani un libro, ma un piccolo grande scrigno. Quando l’ho aperto mi si è schiuso un mondo. Avevo trovato un tesoro.
Mi sono addormentato e quando ho riaperto gli occhi era buio e freddo, ero fuori su un sentiero in mezzo ad un bosco ed in lontananza vedevo delle luci...tetti, strade, un paese. Avevo freddo e fame, quindi ho cercato subito un riparo per la notte. Appena superata una fontana in mezzo alla strada, ho visto un’insegna di una locanda sulla mia sinistra, La Pietra Miliare. Bene, ho pensato, almeno così smetterò di tremare e metterò qualcosa sotto i denti.
Sono entrato, la sala era deserta, fatta eccezione per tre uomini seduti ad un tavolo, stavano parlando e si sono interrotti appena mi hanno visto. Uno di loro, con i capelli rosso fuoco, con uno sguardo sereno e accogliente mi ha chiesto gentilmente in cosa poteva essermi utile: era il locandiere. Ho chiesto un pasto frugale ed una camera per la notte. L’uomo è andato dietro al bancone e ha tirato fuori una bottiglia di vino, poi è andato nel retro, immagino in cucina. Gli altri due sono rimasti seduti, uno era un ragazzo che mi ha squadrato da capo a piedi facendomi capire che non aveva gradito l’interruzione, l’altro era più anziano, aveva una penna in mano e alcuni fogli davanti, evidentemente stava scrivendo prima che entrassi.
Il locandiere è tornato dopo poco, mi ha fatto sedere ad un tavolo vicino al loro servendomi una scodella di minestra fumante e un bicchiere di vino rosso. Poi è tornato al suo tavolo, si è seduto e si è rivolto all’uomo più anziano: siamo appena all’inizio, Cronista, c’è ancora tanto da scrivere...dove eravamo rimasti?
È così che ho cominciato ad ascoltare una storia, una memorabile storia come da secoli non sentivo. Quale storia, vi chiederete curiosi. Andate in libreria, prendete lo scrigno, apritelo ed entrate nel mondo di Kvothe e degli Edema Ruh, dell’Accademia e dell’Arcanum, di una donna affascinante e sfuggente e di un gruppo di amici come raramente se ne trova, di Magister, Arcanisti e...del nome del vento.
Scusate se adesso vi devo lasciare, ma il locandiere ha ripreso il suo racconto.
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Sp(H)ELeologia
Non ricordo quale Q-utente abbia usato una metafora culinaria per descivere le proprie impressioni di un libro, ma nel leggere Shibumi me ne son venute in mente diverse.
Leggere una spy-story come questa, senza azione, è un po’ come mangiare i maccheroni senza cacio, bere il vinsanto senza cantucci o peggio ancora una birra calda, è come non condire l’insalata con olio e aceto o mangiare una crêpe senza nutella... insomma ci siamo capiti, manca l’ingrediente principale, essenziale, quello che distingue una pietanza “commestibile” da una veramente buona!
Purtroppo l’effetto di questo romanzo è stato questo. Ero stato allertato a riguardo, ma da buon (San)Tommaso ho voluto toccare con mano, anche perché ero rimasto affascinato dal personaggio di Nikolaj Hel scoperto in Satori di Don Winslow. Ecco, niente a che vedere. Possiamo tranquillamente dire che il l’allievo ha superato il maestro, anzi lo ha staccato alla grande.
L’impressione che mi ha fatto è di un’opera a metà, forse l’intenzione era quella di dar vita ad una serie di romanzi con Hel protagonista, non so cosa pensare. Fatto sta che se non fosse stato per il grandissimo Winslow, il sottoscritto avrebbe ignorato il personaggio di Hel e, cosa ancor più drammatica, avrebbe vissuto bene lo stesso.
Di questa storia ricorderò volentieri le origini di Hel, senza dubbio un personaggio interessante ma più per la penna del buon Don, che non per quella di Trevanian. Tutto il resto è noia, no non ho detto gioia ma noia noia noia (va be’ perdonate la citazione canora). Metà libro se ne va in descrizioni di spedizioni speleologighe che onestamente potevano essere meno dettagliate per lasciare spazio a un po’ di sana azione.
Eppure Trevanian è considerato un classico del genere. Boh, tutto ciò mina notevolmente la mia autostima nel valutare autori e opere. Sob. Sigh.
P.S: nonostante il giudizio poco esaltante, non posso fare a meno di riportare una citazione che ho trovato fantastica per descrivere il gioco del Go, simile agli scacchi, ma con più strategia: “Go sta agli scacchi come la filosofia sta alla contabilità della partita doppia”. Geniale.
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Tutti hanno una storia
Leggere significa custodire.
Tutti hanno una storia.
Al di là della trama, che mi è piaciuta molto, sono queste due apparentemente semplici osservazioni che mi hanno fatto apprezzare maggiormente questo romanzo. È come se fossero due punti di vista con cui leggere un libro: quello della lettrice e quello della scrittrice.
Il punto di vista della lettrice. Margaret è una giovane biografa cresciuta nelle libreria del padre, dove ha imparato ad amare i libri e la lettura. Ciò che mi ha colpito fin dall’inizio è il suo modo di porsi nei loro confronti. C’è un passo che ho trovato molto bello nella sua semplicità: “per quanto il contenuto possa sembrare banale, hanno sempre qualcosa che mi commuove. Perché una persona ormai morta un tempo ha ritenuto quelle parole tanto importanti da metterle nero su bianco”. La morte pone fine alla vita e si porta via la voce, il calore, il sorriso delle persone. Per Margaret a questo naturale corso delle cose fanno eccezione gli scrittori, perché continuano a vivere in ciò che hanno scritto. Ecco perché, in fondo, leggere significa custodire.
Il punto di vista della scrittrice. Vida Winter è una famosissima scrittrice, che ha deciso di far scrivere la propria biografia a Margaret. Il compito è arduo perché la signora Winter è famosa per raccontare storie, non solo nei propri romanzi, ma anche sulla propria vita. Non si contano più le innumerevoli versioni diverse che ha rilasciato ai giornalisti. Ma adesso ha deciso di raccontare la verità. Ed in questo racconto, lungo questo cammino, troviamo il motivo della sua prolificità, che mi piace pensare sia un po’ il filo rosso che unisce la maggior parte degli scrittori: “Ho chiuso la porta del mio studio isolandomi con persone nate nella mia immaginazione....ho vissuto origliando impunemente per sentire la vita di persone che non esistono. Ho sbirciato senza ritegno nel loro cuore…ho guardato come gli amanti amano, gli assassini uccidono e i bambini inscenano le loro fantasie. Prigioni e bordelli, galeoni e carovane hanno aperto le loro porte… . Il mio studio pullula di personaggi che attendono di essere scritti. Persone immaginarie che non vedono l’ora di prender vita, che mi tirano per la manica, urlando “Ora io! Dai! Tocca a me!”
Sono immagini molto intense. Pensare ad uno scrittore come a qualcuno che si fa portavoce di storie e personaggi che lo pregano di essere scritti è molto suggestivo.
Il trait d’union tra questi due punti di vista è la storia stessa del romanzo. Il legame tra la biografa e la scrittrice parte in sordina, l’unica cosa che le unisce sembra essere l’amore per i libri, ma poi la vicenda si arricchisce di personaggi, di sentimenti, di storie che porteranno Margaret a sentirsi legata a Vida in maniera sempre più viscerale…c’è qualcosa che le unisce oltre all’amore per i libri.
Ognuno di noi ha una storia, ognuno di noi può raccontarla.
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Born to run
Molte amicizie, di quelle vere, profonde, sincere e durature nascono tra i banchi di scuola. Spesso per chi ha condiviso ore e ore in classe insieme, anche se poi si perde di vista e si rivede dopo tantissimi anni, è come se non si fosse mai lasciato.
Almeno così credevo fino a Battle Royale: tutti contro tutti…il tuo peggior nemico potrebbe essere proprio il tuo compagno di banco.
Ogni anno una classe di terza media viene letteralmente rapita e portata su un’isola dove è costretta a partecipare ad un gioco ideato dal Governo della Repubblica della Grande Asia dell’Est, in cui gli alunni devono uccidersi a vicenda finché non ne rimane uno. E per evitare che scappino o si accordino per non giocare, sono dotati di un collare che esplode se non muore qualcuno ogni 24h.
Tutti devono scappare: dalle zone vietate, dai propri compagni, dalla paura che li pietrifica, da se stessi.
Il vero scopo del gioco è quello di minare la fiducia nel prossimo, nel futuro, nell’amicizia, nella possibilità di “cambiare le cose”. Se la gente capisce che non ci si può fidare di nessuno, allora sarà più semplice tenerla soggiogata, impedendo che pensi ad organizzare una rivolta. È questo il motivo per cui il vincitore viene ogni anno “glorificato” in televisione: tutti devono sapere che i ragazzi si sono uccisi a vicenda.
In molti lo hanno paragonato a 1984 di Orwell. Vi sono indubbiamente delle analogie, ma anche alcune differenze di fondo. In 1984 la denuncia dei regimi totalitari è potente, assolutamente centrale e presente in ogni pagina. In BR invece la storia che ti prende di più è legata ai ragazzi, alla spietatezza che la paura di morire può tirare fuori anche in soggetti miti, a come ci si può sentire quando a fine giornata da un megafono una voce scandisce l’elenco dei tuoi compagni uccisi. Come è possibile? Sarò io il prossimo?
Quello che ti fa riflettere maggiormente non è tanto l’assurdo gioco imposto dal Governo, quanto le diverse reazioni da parte degli alunni.
In 1984 finisci per appassionarti al messaggio di ribellione nei confronti di una sottomissione che è socio-culturale prima che politica; in BR finisci per appassionarti ai singoli ragazzi, alle loro storie, al modo in cui ciascuno reagisce ad una situazione agghiacciante. Ti senti uno di loro. Corri, ti nascondi, stai in ascolto di ogni minimo rumore, pensi e ripensi dietro quale volto si può nascondere un assassino e con chi invece ti potresti alleare, ti domandi se è tutto vero e se ne uscirai mai vivo.
Amicizie che muoiono (ahimè nel senso letterale del termine) ed altre che nonostante tutto nascono ed esplodono con la forza prorompente di un fiore che si fa largo nell’asfalto. Come dire, anche in circostanze drammatiche del tipo “mors tua vita mea” possiamo trovare qualcuno su cui contare, qualcuno che è disposto ad aiutarci a costo della propria vita.
Ed in effetti alla fine la domanda di fondo non può che essere: davvero l’uomo in una situazione del genere calpesterebbe i propri valori per sopravvivere? Davvero perderebbe la fiducia in un amico e sarebbe disposto ad ucciderlo per paura che se non lo facesse sarebbe prima lui a farlo?
Un libro davvero intenso, che ha un grandissimo pregio: fa riflettere.
Onestamente non sono riuscito ancora a capire se il messaggio principale sia riconducibile all’homo homini lupus di hobbesiana memoria o se invece voglia dar voce alla forza della solidarietà, dell’indipendenza, al desiderio di combattere e lottare contro qualsiasi costrizione che annienti la propria libertà.
Sono ancora qui che ci penso e questo lo ritengo un fatto positivo.
P.S: il titolo della recensione è quello di una canzone di Bruce Springsteen citata nel libro (un omaggio peraltro al mio cantante preferito!!!)
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Il risveglio spirituale
Curioso che un prequel venga scritto da uno scrittore diverso dall’autore dell’originale (succede nel cinema, meno in letteratura). Ed è ancora più curioso che il risultato sia così sbalorditivo. Che Don Winslow sia di una levatura sopra la media ormai è un dato di fatto, ma adesso si è dimostrato assolutamente in grado di scrivere anche spy-story da dieci e lode.
Il romanzo racconta come nasce il personaggio di Nicolaj Hel, diventato famoso con “Shibumi. Il ritorno delle Gru” di Trevanian.
Siamo negli anni ’50, durante la Guerra di Corea e l’Oriente è sotto l’influenza di diverse potenze, tra cui Stati Uniti, Francia, Russia e l’emergente Cina. Gli affari di Stato si mischiano ai traffici illeciti ed i politici si dividono in corrotti e corruttori (mhh, dopo 60 anni non mi pare siano tanto cambiate le cose….ma questa è un’altra storia). In cambio della libertà, Hel viene assoldato dalla CIA per una missione suicida, con scarse probabilità di successo, ma se c’è qualcuno che può farcela, beh, questo è Nicolaj Hel: padre giapponese e madre russa, cresciuto in Cina, parla sei lingue, è freddo, sa uccidere senza armi, non ha niente da perdere, è un killer nato.
In effetti definire questo romanzo una spy-story mi sembra abbastanza riduttivo, qui c’è molto di più. C’è una perfetta commistione di capitalismo e comunismo, materialismo e filosofia orientale, scacchi e Go (un gioco cinese di strategia che per certi aspetti ricorda gli scacchi e per altri il risiko).
Nel leggere queste pagine si viene letteralmente trasportati in un’atmosfera davvero molto seducente, tra Cina, Laos e Vietnam, in città magiche. Sembra proprio di camminare per le gelide vie di Pechino e di scorrazzare per le frenetiche strade di Saigon respirandone gli odori e venendo storditi dall’assordante caos. Per non parlare dei rumori della jungla, che ti fanno stare sempre sul chi va là, delle immancabili rapide e dei pirati “di fiume”.
Ritmo serratissimo, personaggi memorabili, una storia di vendetta, corruzione e amore, in cui nessuno è in realtà chi dice di essere. Solo il risveglio, il Satori, permetterà di vedere le cose in modo oggettivo, come realmente sono.
Avvincente.
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Pura poesia
Il mio vecchio professore di latino e greco, commentando gli autori classici, ci diceva sempre che è facile scrivere in modo difficile e complicato e magari passare per “scrittoroni”, ma è difficilissimo scrivere in maniera semplice. Beh, aveva ragione. La potenza dei grandi scrittori sta nella loro capacità di arrivare dritti al cuore, alle emozioni, ai sentimenti. Riescono a dire in poche parole quello che a te non basterebbero mille discorsi. E Grossman è un grandissimo scrittore.
Provate a chiudere gli occhi e ad immaginare il gesto più immediato che fareste per trasmettere la vostra vicinanza ad una persona. Adesso riapriteli.
Quanto volte diciamo ad un persona che è unica? Per i più svariati motivi e nelle più diverse circostanze: alla donna/uomo che amiamo, ai figli, ad un amico. Nessuno però ci ha mai risposto “se sono unico significa che non c’è nessuno come me….e se non c’è nessuno come me allora significa che sono solo”. È la disarmante osservazione di un bimbo alla propria mamma. Lui non vuole stare da solo, non vuole essere unico.
Questo brevissimo racconto (una favola) è carico di umanità, nel senso letterale del termine: l’abbraccio è il modo più diretto e fisico per non far sentire sola una persona, per trasmettergli il nostro calore, per dirle in silenzio “ehi, ci sono qua io”.
Ciascuno di noi è unico e speciale, ma se non si dà agli altri, se non condivide la propria vita con qualcuno, se è arido, se non sa cosa sia la solidarietà, se non riesce ad “abbracciare” il suo prossimo…beh allora è davvero una persona sola.
Non basta conoscere tanta gente, avere tanti (pseudo)amici per non sentirsi soli…ci vuole qualcuno che ti sappia abbracciare e ti faccia battere il cuore…non necessariamente di amore, ma di vita!!
"Ecco, prendi te per esempio. Tu sei unico", spiegò la mamma, "e anch’io sono unica, ma se ti abbraccio non sei più solo e nemmeno io sono più sola".
"Allora abbracciami", disse Ben stringendosi alla mamma.
Poche pagine (illustrate) per un racconto di una tenerezza infinita, di una sensibilità e di una potenza umana davvero disarmanti.
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Beata gioventù
Come promesso, ho dato una seconda chance alla Thomas e con mia grande soddisfazione ne sono davvero felice. Niente a che vedere con il noiosetto PopCo, viene da domandarsi come sia possibile che siano stati scritti dalla stessa persona.
Definirei questo romanzo frizzante, esattamente come i dialoghi tra i sei protagonisti. Ho avuto l’impressione di fare un tuffo nel passato, ai tempi del liceo (anche se i ragazzi del libro sono tutti laureati), quando andare un paio di giorni in campagna/montagna/mare da soli con un gruppetto di amici era l’esperienza più esaltante del mondo e qualsiasi cosa fuori dall’ordinario faceva salire l’adrenalina (bei tempi!!!!!).
Sei “giovani menti brillanti” rispondono ad un annuncio di lavoro a dir poco curioso e si ritrovano su un’isola deserta senza sapere come. È così che comincia una storia ben architettata, condotta con maestria e che ruota intorno a dialoghi davvero divertenti, il vero fulcro di tutto il romanzo. Sì perché i nostri baldi giovani più che cercare una via di fuga si lasciano prendere dalla situazione di totale evasione, aprendosi gli uni con gli altri, confidandosi, vivendo quella strana esperienza come un gioco, come una sorta di vacanza da una vita che per tutti non è quella che speravano. Fino al gran finale…che è degno dell’attesa che suscita la Thomas praticamente sin dall’inizio e non delude affatto, anzi mi è proprio piaciuto, lo reputo in perfetta linea con la storia.
In un certo senso mi ha ricordato “Non buttiamo giù” di Hornby, forse perché anche lì ci sono delle persone che si trovano casualmente a condividere un destino comune e da quel momento la loro vita cambia: lì c’erano quattro aspiranti suicidi che si ritrovano su un tetto pronti a saltare e decidono di darsi novanta giorni per vedere se poi avranno cambiato idea, qui ci sono sei ragazzi (con alle spalle storie particolari) che si svegliano su un’isola deserta e cercando di capire come ci sono finiti dovranno contare gli uni sugli altri.
In entrambi i romanzi mi pare emerga l’importanza del cercare l’aiuto del prossimo, di come la condivisione di certe esperienze possa avvicinare le persone, soprattutto quelle in difficoltà: da soli rischiamo di non farcela ad affrontare il peso dei nostri fardelli, ma se si ha la fortuna di trovare qualcuno che ci ascolta, ci fa sfogare e ci tende la mano allora….nessun tetto è così alto e nessuna isola è poi così deserta.
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Domani nella battaglia pensa a qualcun altro
Quando rimango perplesso e deluso dopo una lettura, la riflessione è sempre la stessa: ci sono libri che non mi piacerebbero comunque ed altri che forse con lo spirito giusto potrei riuscire ad apprezzare. Non ho ancora capito bene se nel mio caso “Domani nella battaglia pensa a me” appartiene al primo o al secondo tipo. È già qualcosa di positivo.
Non nego che si tratti di una letteratura di livello, ma resta il fatto che non ricordo di aver durato così tanta fatica a finire un romanzo dai tempi in cui a 14 anni mi fecero leggere a forza i Buddenbrook (e stiamo parlando di un romanzo di 280 pagine, non di 800!!)
Mi è piaciuto poco lo stile, eccessivamente pesante nelle descrizioni e ridondante nel ripetere alcune riflessioni del protagonista e certi avvenimenti della storia; mi è piaciuta poco l’ineluttabilità che permea il senso della storia; ho trovato i personaggi troppo strumentali al messaggio che vuol lanciare e per questo quasi superflui (insomma, potevano essere chiunque).
La storia comincia nel migliore dei modi perché devo ammettere che partire con un uomo (Victor) che si ritrova accanto ad una donna morta (Marta) con cui fino ad un minuto primo stava per consumare un tradimento (lei è spostata) è un incipit intrigante e che lascia intravedere uno sviluppo promettente. Poi però diventa subito una descrizione infinita dello stato d’animo di Victor combattuto tra il comunicare ai familiari che Marta non è morta da sola ed il timore di confessare in questo modo che aveva un (non-)amante.
È un libro sull’inganno, sulle bugie o meglio sulle verità taciute e nascoste, su come in fondo la nostra condizione naturale è ingannare o essere ingannati: non dovremmo opporci più di tanto e non dovremmo amareggiarci, si legge più volte.
A parte il fatto che non sono per niente d’accordo, sul mio giudizio incide molto di più la noia che ho provato nel leggerlo.
Mi rendo conto di andare “leggermente” controcorrente, visti i premi che ha vinto ed i giudizi esaltanti dati anche qui su Qlibri, però vi assicuro che in alcuni momenti ho addirittura avuto la tentazione di abbandonarlo.
Chissà, forse con lo stato d’animo giusto, magari lo si riesce ad apprezzare... Boh.
P.S: non me ne voglia il buon vecchio Shakespeare per aver storpiato la citazione dal Riccardo III nel titolo
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Un libro nel libro
Vi è mai capitato anche solo di pensare di lasciare all’improvviso tutto, di abbandonare la vostra routine quotidiana, le vostre abitudini, le vostre relazioni, in una parola la vostra vita per andare via senza sapere esattamente perché? Sentire ad un certo punto di dover fuggire senza aver minimamente pianificato la fuga?
Beh, Gregorius, professore di latino e greco in un liceo di Berna, lo fa veramente. Lui, la persona più prevedibile e abitudinaria di questo mondo, lui così visceralmente legato al suo insegnamento, così amato dai propri studenti, lui topo di biblioteca che vive per e dei suoi libri, che ogni mattina compie immancabilmente gli stessi gesti, lo stesso percorso alla stessa ora per andare a lavorare.
Un giorno impedisce ad una donna di gettarsi da un ponte (ma si sarà davvero voluta buttare?), è portoghese ed il semplice suono di questa parola “portugues” fa scattare in lui una molla. Va come sempre a scuola, ma questa volta è diverso, questa volta qualcosa è cambiato. In una libreria trova per caso un libro edito da una sconosciuta casa editrice e scritto da un misterioso medico portoghese, tale Amedeu Ignacio de Almeida Prado. Non può essere una coincidenza. E poi la donna prima di congedarsi gli ha lasciato un numero di telefono.
Un erudito amante delle lingue morte, sarcasticamente chiamato “papiro”, incapace di lasciarsi andare a qualcosa di diverso che non sia la passione per i libri, per la prima volta in vita sua si lascia guidare dall’istinto, da una (sana) incoscienza e prende il primo treno per Lisbona alla ricerca del fantomatico autore.
Per Gregorius comincia così un lungo percorso introspettivo grazie alla lettura del libro di Amedeu, che diventa una sorta di specchio in cui provare a conoscere il proprio vero “io”. Gli incontri con le persone vicine al medico portoghese gli faranno conoscere un uomo alla perenne ricerca di risposte, un uomo con un forte senso di inquietudine, e noi insieme a lui giriamo per Lisbona e leggiamo il testamento di Amedeu, l’orafo delle parole.
Amadeu amava i treni, per lui erano un simbolo della vita. Il suo magnetismo spingeva le persone a voler viaggiare con lui nel suo scompartimento, ma non era lì che lui le voleva. Le voleva sul marciapiede della stazione, voleva ogni volta poter aprire il finestrino e poter chiedere loro un consiglio. Credo sia questa la bella metafora che racchiude la psicologia del medico portoghese.
Un romanzo profondo, introspettivo, assolutamente mai banale che si interroga su molti aspetti della vita (non credo sia un caso che l’autore insegni Filosofia), da affrontare preparati perché non è una lettura per evadere, ma per riflettere. Più di una volta durante la lettura mi sono fermato a pensare alle mie esperienze, alle mie amicizie, a come mi vedo e a come credo che mi vedano gli altri.
E' stato proprio un bel "viaggio"!!
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California Fuoco e Vita
Il fuoco parla una sua lingua. Il fuoco comunica, è talmente presuntuoso che dopo aver bruciato e distrutto tutto ti dice esattamente come l’ha fatto. E Jack Wade conosce benissimo la lingua del fuoco!
È il terzo romanzo di Winslow che leggo e mi devo ripetere ancora una volta: lo reputo uno dei migliori (se non IL migliore) scrittori noir contemporanei. Capitoli brevi, ritmo serrato, indagini che seguono binari solo apparentemente paralleli, personaggi che ti sembra di vedere, storie avvincenti…è sempre un gran piacere immergersi in letture di questo tipo che ti permettono di staccare, rilassarti e farti trasportare nella splendida cornice della West Coast californiana.
Jack Wade è un ex poliziotto espulso dalla sezione anti-incendi accusato di falsa testimonianza in un processo in cui stava cercando di proteggere un testimone. Conosce il fuoco, i suoi segreti, la sua lingua come nessun altro, è il migliore e adesso lavora per la compagnia di assicurazione California Fire and Life. È un uomo tutto di un pezzo, che lavora per vivere e vive per il surf. È meticoloso e non lascia niente al caso, così quando deve liquidare un premio milionario per un incendio in cui è morta una donna e che troppo frettolosamente è stato classificato “accidentale”, ci mette l’anima e si lascia trascinare in una storia più grande di lui perché in fondo è convinto che si tratti di un incendio doloso. Nonostante un passato che lo tormenta e sembra non volerlo lasciare in pace, intrighi con la mafia russa e l’ostracismo di alcuni colleghi, Jack vuole ricomporre i pezzi del puzzle e per riuscirci non deve far altro che ascoltare cosa ha da dirgli il fuoco.
Grazie Don per l'ennesima perla "noir".
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XOL*?+!KKS
Sì avete letto bene, non sono impazzito!! Il titolo è in codice e se volete scoprirlo dovete prima leggere PopCo (poveri voi!).
Ho pensato a lungo a cosa scrivere in questa recensione e soprattutto a “come”. Appena finito di leggere ho provato una sensazione di sollievo e questo già di per sé vi fa capire quanto mi sia costato portarlo a termine. Il mio primo approccio alla Thomas non è stato dei migliori, le aspettative erano alte, quindi forse è per questo che mi ha deluso.
L’inizio mi aveva incuriosito, le premesse erano interessanti e lasciavano ben sperare. Ho apprezzato molto l’ambientazione, una tenuta nella brughiera inglese ha sempre il suo fascino e da sempre a me piacciono molto le storie che si svolgono in spazi chiusi o comunque molto ben definiti. Poi però diventa tutto molto pesante. I flash-back sull’infanzia della protagonista da intriganti diventano noiosi, esattamente come le descrizioni dei codici (il troppo stroppia). Più divertenti invece alcuni indovinelli.
Tralascio la trama e arrivo al succo. Il messaggio che viene lanciato con forza è l’inquietante potere delle multinazionali nel condizionare i nostri stili di vita. È una denuncia contro le falsità del marketing e di tutto ciò che sta dietro la produzione e la vendita della stragrande maggioranza dei prodotti che compriamo. Tutto molto condivisibile, ma onestamente mi è parso essere trattato per il 90% del libro in modo un po’ troppo radical chic, con un tono quasi compiaciuto, per poi addirittura assumere una visione marxista del capitalismo. Mah…
Sarà che certe cose le ho studiate (quindi capisco di cosa si tratta quando si parla di focus group, tecniche di marketing, teoria delle reti, pensiero laterale, ecc.) e mi appassionano, ma su certi argomenti preferisco leggermi Naomi Klein.
La sensazione è che si tratti di un pot-pourri di tutti i mali del mondo: dallo sfruttamento del lavoro minorile, agli inganni della pubblicità che ti fa acquistare quello di cui non hai bisogno, dalle condizioni disumane in cui sono trattati gli animali destinati al mercato alimentare (da qui l’esaltazione del veganismo) alla necessità di ricorrere alla medicina omeopatica, fino al conformismo che quando sei adolescente ti costringe ad allinearti ai trend dei fighetti della scuola per essere accettato, altrimenti sei considerato strambo.
Se non ci va bene qualcosa, se ci vogliamo contrapporre ad un dato Sistema, personalmente preferisco la parola “ribellarsi” a “sabotare”. Il ribelle si oppone al sistema mettendoci la faccia, il sabotatore lo fa nascondendosi e usando gli stessi mezzi meschini dei potenti, che ti fregano subdolamente facendoti credere di essere dalla tua parte per poi sfruttare la loro posizione per fare solo i propri interessi.
P.S.: dato che comunque non riesco mai ad essere cattivo fino in fondo, ho deciso di dare alla Thomas una seconda chance. Un giorno leggerò anche l’Isola dei Segreti, con la speranza che sia solo una bella storia, senza troppo pretese….
P.S.2: ovviamente il titolo non è in codice, è un semplice raptus da tastiera!!!
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Indigestione di vita!
Ispirato, coinvolgente, di una sensibilità unica, scritto benissimo, è un romanzo di una categoria superiore.
È un libro da gustare, da centellinare, va letto con calma, senza frenesia, assaporando fino in fondo ogni parola, ogni immagine, ogni descrizione.
La storia esplora il mondo degli adolescenti presentando un affresco meraviglioso di quanto l’altruismo, l’amicizia e l’amore possano avere une effetto dirompente anche in casi drammatici. Affrontando il problema della droga e dello sfruttamento minorile, la storia è raccontata attraverso gli occhi di due giovani che non si conoscono, ma che si rincorrono per le vie di Gerusalemme a causa di un cane abbandonato.
Assaf ha ricevuto il compito di ritrovare il padrone di Dinka, una cagnetta intelligente che lo trascinerà (nel senso letterale del termine) in una avventura on the road nei luoghi familiari a lei e alla sua padrona.
Tamar è una giovane che ha deciso di salvare a qualsiasi costo il fratello dal vortice della droga, è sparita di casa per attuare il proprio piano e nessuno sa che fine abbia fatto.
Da buon maratoneta Assaf corre dietro a Dinka incontrando svariati personaggi, ognuno dei quali gli racconta una “Tamar diversa”, ma con un unico comun denominatore: il suo magnetismo. E così anche lui sarà calamitato da questa misteriosa ragazza a cui tutti vogliono bene e pur di portare a compimento la propria missione affronterà pericoli e avventure, che lo aiuteranno a conoscersi meglio scoprendo nuovi e inaspettati lati del proprio carattere.
Ogni incontro riserva una storia, un vita, un mondo da scoprire in cui immergersi e da cui lasciarsi travolgere. Le descrizioni sono potenti e alcune espressioni di una intensità sconvolgente. Ne cito giusto una che descrive lo stato d’animo di una suora che esce dopo decenni di clausura: “se c’era al mondo la possibilità di fare un’indigestione di vita e di morirne, quello era il momento”.
Pur in una situazione difficile, l’incontro tra Assaf e Tamar è qualcosa di una dolcezza infinita, Grossman riesce a descrivere perfettamente l’entusiasmo, i brividi, l’emozione ma anche la paura che ti prende quando senti che dentro di te si smuove qualcosa quando sei vicino ad un’altra persona, quando non vedi niente intorno a te perché “il mondo è negli occhi dell’altro”. Sono pagine meravigliose che ti fanno venir voglia di tornare adolescente per rivivere quelle sensazioni.
Assaf e Tamar sono due personaggi che, almeno per il sottoscritto, sono immediatamente entrati nel Gotha della letteratura contemporanea: voglio loro un gran bene e li porterò sempre nel mio cuore!!!
È un libro che ti fa esclamare "quanto è bello leggere!"... consiglio anche a voi di fare un giro per Gerusalemme.
P.S.: se mai avrò un cane lo chiamerò Dinka!!
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Idea geniale o arroganza?
Non riesco proprio a capire come funzioni la macchina promozionale (o, meglio, non lo voglio sapere!). Vengono pompati libri mediocri ed altri, come “Sorry”, passano quasi sotto silenzio. Siamo invece di fronte ad un Thriller con la “T” maiuscola, ad una storia costruita magistralmente e condotta come solo i maestri navigati sanno fare. Una storia che non ti lascia respirare, un avvicendarsi di emozioni e di suspense, un incontrollabile desiderio di divorarsi le pagine per sapere cosa succederà.
Il modo in cui è scritto fa calare subito il lettore nel vivo dell’azione, è un alternarsi di prima, seconda e terza persona: gli amici disoccupati che decidono di dare una svolta alla propria vita costituendo un’agenzia per chiedere scusa (“loro”), un misterioso cliente che dà loro un incarico molto strano (“tu”), un indecifrabile “io” che ci accompagna fino alla fine, le vittime indissolubilmente legate da un torbido passato, un uomo che appare nella storia come un fantasma. I personaggi sono caratterizzati molto bene, ciascuno di loro ha una precisa connotazione che li distingue gli uni dagli altri, ma insieme formano un’orchestra che suona all’unisono sotto la magistrale direzione di Drvenkar.
Fin dall’inizio la sfida è quella di ricomporre i pezzi di un mosaico che si preannuncia più complicato del previsto e che piano piano svelerà una agghiacciante realtà. L’ambientazione berlinese è perfetta, il ritmo è calzante, l’idea di fondo dell’agenzia è ingegnosa e crea le premesse sia per il motivo scatenante gli omicidi che per la riflessione sul confine tra il bene ed il male.
L’idea geniale che sfocia in arroganza, l’amicizia che diventa vendetta, la psicopatia che assurge a ruolo di educatrice, l’etica del lavoro che si scontra con quella morale, gli amici che diventano complici… Ci sono tutti gli ingredienti per una lettura che lascia il segno, un “librone” come mi piace bonariamente definire i romanzi che mi colpiscono ed esaltano.
Il male è l’ombra del bene o, viceversa, il bene è l’ombra del male: questo è in sintesi il tema della storia, per citare un passo del libro. Non condivido questo pensiero, ma rende davvero molto bene l’idea della sostanza di un Thriller che a mio avviso non ha niente da invidiare ai best sellers scritti dai guru americani (o scandinavi che oggi vanno tanto di moda).
Chi ama questo genere non può esimersi da leggere “Sorry”.
Assolutamente consigliato!!!!
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Che finale!
Concordo pienamente con chi lo ha recensito definendolo una bella sorpresa. Comprato sulla base delle recensioni precedenti (e per fare un perfido regalo alla mia claustrofobica dolce metà), l’ho divorato in poche ore.
Per non scoprire il finale purtroppo non posso fare le riflessioni che vorrei, che vanno al di là della storia claustrofobica e a tinte fosche.
In una torrida Bologna di ferragosto, tre perfetti sconosciuti si incontrano casualmente in un ascensore che a causa di un blackout rimane fermo per molte ore. Il climax di tensione è davvero ben costruito, si parte con frasi e gesti di circostanza, con l’indifferenza che ci contraddistingue quando ci troviamo in queste situazioni e, passando dai tentativi per trovare il modo di uscire, si arriva fino a scoprire la vera natura di ciascuno dei protagonisti. Il linguaggio è molto duro, le espressioni piuttosto trite, ma il tutto è in linea con i personaggi e la circostanza in cui si trovano.
Il finale è assolutamente imprevedibile e fa reinterpretare tutta la storia con una chiave di lettura diversa.
Non conoscevo minimamente questo autore e non credo che l’avrei mai scoperto senza i consigli di chi ha recensito prima di me, quindi ringrazio tutti per averne consigliato la lettura.
Non mi resta che allinearmi all’invito a leggerlo.
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Agatha sei un genio!
Quello che fa letteralmente imbestialire di Agatha Christie è che ti mette sempre nelle condizioni di scoprire l’assassino, ti svela tutti gli indizi necessari a dirimere la matassa e tu puntualmente alla fine rimani come un pesce lesso perché non avevi capito niente. Sempre...tranne in Dieci Piccoli Indiani, dove è proprio impossibile capire il colpevole.
Ho letto davvero molto della Christie e sono arrivato alla conclusione che era un genio!!
Questo romanzo rappresenta il culmine della sua vena da giallista (insieme forse ad Assassinio sull’Orient-Express, La Domatrice e Poirot e i quattro) e si può ben dire che ha fatto scuola: ambientazione in una villa sperduta su un’isola, dieci sconosciuti (ognuno con qualche scheletro nell’armadio) invitati da un misterioso ospite, una filastrocca che preannuncia esattamente come morirà ciascuno di loro, il sospetto e la diffidenza che aleggiano e si impossessano ben presto di tutti i protagonisti, una trama intrisa di suspense dalla prima all’ultima parola, un finale che da solo vale l’appellativo di “capolavoro”.
Se dovessi dire qual è il più bel giallo che abbia mai letto, beh non avrei dubbi...“Dieci Piccoli Indiani”.
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Da leggere!
Tutte le volte che leggo Ammaniti mi stupisco di come riesca a dipingere magistralmente storie di una Italia di periferia, di persone “vere” che conducono vite difficili, disagiate, tristi.
Lo stile è crudo, duro e diretto come sempre, ma si adatta benissimo ai tratti dei personaggi: Rino, un padre naziskin, violento, ubriacone, ma che ama smisuratamente il proprio figlio che ha cresciuto da solo; Cristiano, il figlio tredicenne che ha un rapporto di amore-odio con il padre; Quattro Formaggi, un povero psicolabile in “contatto” con Dio; Danilo, un uomo che ha affogato nell’alcool il dolore per la morte della figlioletta e vive nell’utopia di poter tornare con la moglie che l’ha lasciato. Sullo sfondo la storia di Beppe, un assistente sociale divorato da un amore difficile.
Di questo libro mi hanno colpito in particolare un paio di cose. Il rapporto tra Rino e Cristiano, un legame intenso che trascende l’apparente distorsione di un padre che insegna ad un figlio che con la forza si ottiene tutto. Dietro a questo muro c’è un uomo che farebbe di tutto per il proprio figlio, verso il quale nutre un amore smisurato grazie al quale è riuscito a crescerlo da solo, e che si batte perché i servizi sociali non glielo portino via. Cristiano a tratti lo odia per il suo modo di vivere e di rapportarsi con il mondo, ma nel profondo lo ama e sa che suo padre è “buono”.
Mi ha poi fatto riflettere il modo in cui Ammaniti ci dice come ciascuno in fondo abbia alle spalle una vita, una storia, mille problemi, se più o meno grandi non sta a noi deciderlo. Anche l’assistente sociale – una figura che in genere (sia nei libri che nei film) è descritta come il terzo incomodo, il cattivo che vuole dividere genitori e figli, che se ne frega di cosa c’è davvero dietro al disagio di una famiglia – trova una sua precisa fisionomia, ha un volto umano con delle insicurezze, dei problemi che non sa come affrontare, ama, si emoziona, sbaglia.
Non ci sono eroi, non ci sono vittime, ognuno ha la possibilità di scegliere il proprio destino e può decidere come farlo.
Un libro molto bello. Leggetelo, ne vale la pena.
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Marina&Oscar
Amo molto Zafón e ammetto che il mio parere su di lui non è molto obiettivo. Fatta questa doverosa premessa, Marina è stato il suo terzo romanzo che ho letto e non mi ha affatto deluso.
Non è ai livelli (a mio avviso irraggiungibili) de “L’ombra del vento”, ma la storia riesce a prenderti, a trasportarti nelle buie stanze di questa magica casa, a farti assaporare la nebbia che avvolge le tetre mattine di una Barcellona fiabesca, a farti provare paura e sgomento, a renderti complice di Oscar e Marina e partecipe dei loro sentimenti, a farti sognare un’avventura che solo da adolescenti si è in grado di vivere appieno.
Se pensiamo che è stato scritto prima dei più celebrati “L’ombra del vento” e “Il gioco dell’angelo”, non deve stupire la minore attenzione all’intrigo e alla definizione dei personaggi. Va forse visto come una sorta di laboratorio in cui Zafón ha affinato il proprio stile, che comunque resta di una fluidità e di una forza descrittiva davvero invidiabile.
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Se penso che è stato scritto nel 1948…
Un libro senza dubbio molto impegnativo, ma assolutamente imperdibile.
Orwell fornisce una visione tetra e aberrante dei regimi totalitari, dipingendo un mondo che si sono spartite le tre grandi superpotenze sopravvissute ad una ipotetica guerra atomica: Oceania (Americhe, Gran Bretagna e Australia), Eurasia (Europa e ex Unione Sovietica), Estasia (Cina, Giappone, Mongolia, Tibet).
Pur essendo perennemente in guerra le une con le altre, è impossibile alterare lo status quo, rompere l’equilibrio e modificarne i confini. Non si fa la guerra per conquistare o per difendersi, bensì perché tutto rimanga così com’è. La guerra è pace.
La verità viene costantemente manipolata: i dati sull’andamento dell’economia, sui raccolti o sulla produzione, i bollettini di guerra, le informazioni di qualsiasi tipo…tutto è modificato o censurato in modo da rendere ogni cosa omologata, uniforme, esattamente in linea con quanto detto e predetto dal Grande Fratello. L’ignoranza è forza.
Tutti sono spiati e non possono in alcun modo dissentire dai diktat del Partito: è vietato amare, scrivere, pensare. L’uomo libero è destinato a soccombere, solo annullando la propria identità di essere umano, solo assoggettandosi completamente al volere collettivo del Partito potrà vivere in eterno. La libertà è schiavitù.
Questi sono i fondamenti del “bipensiero”, dove con la menzogna si afferma una nuova verità.
La cosa che fa accapponare la pelle è pensare a come questo libro abbia – con le dovute proporzioni – anticipato i tempi. Mentre lo leggete provate a pensare alla nostra società, alla nostra cultura, a come in fondo ci “beviamo” tutto quello che i media ci propinano, alla finta libertà in cui ci sembra di vivere perché abbiamo la fortuna di essere in Democrazia. Ci bombardano di cavolate in tv, ci danno informazioni distorte o di cui non ci potrebbe fregare di meno distogliendoci dai reali problemi, ci hanno fatto credere che per essere qualcuno bisogna apparire, spacciano gli ebook per innovazione infischiandosene di che fine potranno fare i libri, e si potrebbe continuare all’infinito.
1984 è un libro dal profondo pessimismo, che lancia un messaggio molto forte, chiaro e allarmante: il pericolo più grande che si corre è quello di perdere la possibilità di esprimere se stessi per essere modellati da chi ha il potere ed il potere “vuol dire ridurre la mente altrui in pezzi che poi rimetteremo insieme nella forma che più ci parrà opportuna.”
Ad un certo punto si legge: il comandamento dei dispotismi di una volta era “Tu non devi!”; il comandamento dei totalitari era “Tu devi!”; il nostro è “Tu sei!”… Noi ti schiacciamo in maniera irreversibile…Non sarai mai più capace di nutrire sentimenti normali, amore, amicizia, gioia di vivere, allegria, curiosità, coraggio onestà. Sarai vuoto. Ti spremeremo fino a svuotarti, poi ti riempiremo di noi”.
E' questo il rischio più inquietante.
Sono convinto che farebbe bene leggerlo a tutti almeno una volta. Nonostante sia impegnativo lo consiglio soprattutto ai giovani.
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Una sorpresa
E' stato il primo romanzo di Ammaniti che ho letto, qualche anno fa, e che mi ha fatto scoprire questo fantastico Autore.
La forza evocativa delle sue descrizioni che ti portano a vedere letteralmente le ambientazioni della storia (dalla calda e assolata campagna del Meridione al claustrofobico buio di una bica scavata nel terrneo), la crudezza del linguaggio, l'incredibile capacità nel definire i tratti dei personaggi, fanno sì che abbia ancora stampati nella mente il volto di Michele ed il rapporto che instaura con l'altro bambino Filippo, a cui si rivolge sempre con stizza, ma che poi cerca di aiutare in ogni modo.
Una storia dura, di quelle che suscitano un turbinio di emozioni e che ti rendono incredibilmente partecipe delle vicende dei protagonisti. Non si può fare a meno di salire in bici con Michele, di vivere il peso del suo segreto e l'orrore della verità, di gridare "scappa" o di sussurragli "non avere paura".
Molto bello.
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Didascalico
Appassionato di Dante ed incuriosito dalla trama, ho comprato questo romanzo convinto di aver "scoperto" un piccolo gioiellino. Me tapino!! Sebbene la lettura scorra bene, la storia mi è sembrata più un esercizio accademico su Dante piuttosto che un thriller in piena regola. Peccato perché le premesse c'erano tutte, è stata persa un'occasione.
L'ho trovato didascalico e poco avvincente. Lasciate perdere.
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Siddharta
E' l'unico libro che ho letto due volte e l'ho fatto in due momenti diversi delle mia vita: durante il liceo e a 30 anni. Mi ha suscitato emozioni e reazioni diverse, lasciandomi a bocca aperta la prima volta tale era stata l'esaltazione per un messaggio che avevo trovato davvero toccante, di quelli che ti colpisce e ti fa dire "anch'io vorrei riuscire ad essere libero da qualsiasi pregiudizio e dalla gabbia in cui questa società mi tiene, vorrei conoscere il mondo, vorrei provare e sperimentare sulla mia pelle ogni emozione possibile alla ricerca della Mia strada". Una reazione tipica per un adoloscente.
La seconda volta l'impatto è stato meno forte, ma mi ha comunque suscitato una riflessione. Più che su di me ho provato a leggerlo in riferimento agli "altri", non potendo fare a meno di pensare a tutti quei Soloni più o meno improvvisati che predicano bene e razzolano male, che da più parti ci propinano verità di ogni sorta senza in realtà averle veramente vissute e scoperte, senza avere la minima consapevolezza non solo di quello che dicono, ma anche delle reazioni che possono suscitare (sopratutto nei giovani).
Bisogna essere curiosi, vivere di persona le proprie esperienze, avere dubbi, avere sete di conoscenza, non temere i fallimenti, non permettere che qualcuno (chiunque esso sia) vi dica come vivere la vostra vita.
Ne consiglio vivamente la lettura, lo ritengo uno di quei libri che dovrebbe far parte del bagaglio culturale di tutti.
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Il codice "Dan Brown"
E' il romanzo che ha fatto conoscere Dan Brown a tutto il mondo ed è anche il suo più bello.
L'ho letto appena uscito, ma ne ricordo ogni minimo particolare tanto è estato l'entusiasmo con cui l'ho divorato in un paio di giorni.
Faccio fatica a capire i denigratori, sembra quasi siano mossi da chissà quali pregiudizi. Non si vanta di essere un saggio sulla "Verità", ma un romanzo che ha saputo costruire una storia avvincente e piena di colpi di scena basandosi su alcuni degli intrighi e misteri della storia della Chiesa.
Non sono uno storico dell'arte quindi non metto in dubbio che ci possano essere anche degli "sfondoni" relativi alle opere di Leonardo da Vinci, ma per me resta un thriller bellissimo, scritto come Dio comanda (eh eh), che va valutato per la sua capacità di tenere il lettore incollato fino all'ultima pagina.
Una volta tanto mi sento di dire che è un libro che merita la pubblicità che ha avuto.
Da leggere.
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Frankie Machine
- Lo sai perché il governo vuole sbarazzarsi del crimine organizzato?
- Siamo in competizione.
- È questo il motivo. Ecco cosa c’è dietro la task force contro il crimine organizzato, il tuo FBI, la Rico. Grande governo e grandi affari, ecco la definizione di “complicità nei racket”.
- E così il governo vuole sconfiggere la criminalità organizzata.
- Davvero spassoso.
- Il governo è la criminalità organizzata. L’unica differenza tra loro e noi e che loro sono più organizzati.
Frank Machianno, il venditore di esche, è amato da tutti a San Diego, tutti lo conoscono e lo rispettano perché è un uomo tutto d’un pezzo, di parola e sempre pronto ad aiutare chi è in difficoltà.
Quando però un giorno un vecchio boss della mala lo contatta per chiedergli un favore, riaffiorano vecchi ricordi di una vita che sembra lontana anni luce. E quando cercano di ucciderlo è costretto a rivestire i panni di Frankie Machine, il sicario che non sbaglia un colpo, per cercare di capire chi e perché lo vuole morto.
Durante questa fuga ripensa agli anni passati gomito a gomito con la mafia, con i politici e con poliziotti corrotti. Ripensa a quando ha conosciuto Nixon e all’epoca d’oro di Las Vegas. Ma non per nostalgia…deve ricomporre il puzzle che lo porterà dal mandante.
Il primo libro di Don Winslow che ho letto è stato il “Potere del cane”, scritto dopo “L’inverno di Frankie Machine” e mi ha subito entusiasmato per il suo modo diretto, crudo e terribilmente fluido di scrivere storie di mafia e corruzione. Onestamente credevo che sarebbe stato pressoché impossibile superare “Il potere del cane” e invece la storia di Frank Machianno l’ho trovata addirittura ancora più coinvolgente.
Un capolavoro nel suo genere, niente da dire.
Adesso “mi toccherà per forza” leggere anche La pattuglia dell’alba.
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La Cattedrale della memoria
Leonardo Da Vinci che chiama “barilotto” l’amico Sandro Botticelli e “Nicco” il giovane apprendista Machiavelli…Botticelli malato d’amore a cui viene fatto un esorcismo per poter guarire, e ancora, Leonardo tombeur de femmes, spericolato e con uno spiccato senso dell’avventura!! Sono solo alcuni dei coinvolgenti tratti del libro di Jack Dann.
Questo romanzo è davvero piacevole, soprattutto se si ama il Rinascimento e non si rimane indifferenti al fascino di personaggi del calibro di Leonardo, Botticelli, Machiavelli, Andrea del Verrocchio, Lorenzo il Magnifico, Amerigo Vespucci, Ludovico Sforza, Cristoforo Colombo e tantissimi altri protagonisti della fine del XV secolo.
La storia è incentrata sulla figura di Leonardo da Vinci, di cui viene fatto un ritratto come “uomo” ancora prima che come “genio”, e in quanto uomo con dei sentimenti: amore profondo e viscerale (tutt’altro che platonico!!!!) nei confronti di Ginevra de’ Benci, sincera amicizia per Botticelli e senso della responsabilità per il giovane Machiavelli, a lui affidato per essere educato e iniziato alla vita.
La prima parte si svolge a Firenze, dove Leonardo (che lavora presso la bottega del Verrocchio) tra avventure amorose e scontri con alcuni potenti signorotti fiorentini (i Benci e i Pazzi) coltiva il sogno di costruire una macchina volante, arrivando a scommettere con Lorenzo il Magnifico che riuscirà a volare. Costretto a fuggire in seguito alla fallita congiura de’ Pazzi durante la quale fu assassinato il fratello di Lorenzo, Giuliano, si imbarca per il Medio Oriente e diventa ingegnere militare del Sultano Persiano. E qui le sue futuristiche invenzioni si concretizzano misteriosamente in macchine da guerra utilizzate in una cruenta battaglia contro i Turchi.
Sono un amante dei romanzi storici e leggere avventure come queste, in cui personaggi che generalmente consideriamo solo dal punto di vista artistico vengono “dipinti” (se passate il gioco di parole) nella loro vita quotidiana come chiunque di noi, beh ammetto che mi ha molto affascinato e a tratti perfino divertito. Di tutti i protagonisti viene data una immagine reale, umanizzata e concreta.
Dann si è documentato a fondo e ha deciso di ricavare questo incredibile racconto da una pagina “oscura” della vita di Leonardo, di cui si conosce poco o niente. È scritto bene, in modo scorrevole e fluido, con descrizioni dettagliate e dialoghi frizzanti.
È un libro che mi sento di consigliare a chi ha voglia di evadere immergendosi in un affresco coinvolgente, misterioso e vitale di uno dei periodi più belli della nostra Storia.
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Marco Metello Aquila
Cosa sarebbe successo se due imperi come quello Romano e quello Cinese si fossero incontrati davvero?
Ho letto questo libro qualche anno fa, ma ricordo che questa domanda mi affascinò moltissimo.
Manfredi è senza dubbio un grande narratore di avventure, si basa su documenti storici e ne trae delle storie molto avvincenti che ti trasportano in mondi ed epoche lontane.
Le imprese dell'integerrimo comandante romano Marco Metello Aquila, dei suoi fidi legionari e del misterioso principe cinese sono raccontate con ritmo serrato e pathos... Combattimenti, tradimenti, imboscate, onore e gloria...ci sono tutti gli ingredienti per lasciarsi trascinare in questa fuga ai confini del mondo, fino all'Impero dei Draghi.
Non ho letto proprio tutti i suoi libri, ma questo è quello che mi è piaciuto di più!
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Intrighi e lotte di potere nell'Europa del '500
La trama è ben architettata e, sebbene soprattutto all'inizio sia difficile seguire la storia, devo ammettere che gli autori si sono districati egregiamente nel racconto di intrighi, battaglie e scontri tra potere spirituale e potere temporale in una Europa in piena Riforma Protestante.
"Q" è un personaggio affascinante (l'alone misterioso che avvolge anche solo il nome è molto potente), una sorta di proto-spia capace di affrontare qualsiasi situazione in maniera camaleontica, in grado non solo di eseguire qualsiasi ordine, ma anche di condizionare il volere di re e papi. L'altro protagonista è una sorta di suo alter ego, un giovane che invece si scontra con il potere e con le ingiustizie commesse nel nome di Dio e dei più alti e nobili ideali.
Un bellissimo e accurato affresco di un periodo storico "buio", ma determinante per la storia non solo della Chiesa.
Non fatevi spaventare dalla complessità e dall'intreccio della storia, vedrete che vale la pena leggerlo!!
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Il potere di...Winslow
Davvero un gran bel libro, avvincente dalla prima all'ultima pagina e mai banale.
Winslow è un maestro nel raccontare l'epopea della famiglia Barrera, dominatrice dei cartelli della droga messicani, e la battaglia personale di Arthur Keller, un poliziotto della DEA disposto a tutto pur di fermare i Barrera. Il tutto condito da missioni segrete psuedo governative, operazioni para-militari per destituire il comunismo nei paesi del centro america, mafia, Opus Dei e omicidi come se piovesse.
Un romanzo da leggere tutto di un fiato, scritto in modo pregevole, con una fluidità disarmante e con un cinismo che ti fa calare nello spirito di chi vive soltanto credendo nel valore del denaro con il più totale disprezzo per la vita umana....il "potere del cane" appunto.
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La vendetta è un piatto che va servito freddo
Si tratta senza ombra di dubbio di uno dei capolavori assoluti della letteratura. Un romanzo che non può non essere letto.
Il giovane Edmond Dantes si sta per sposare con una ragazza di cui è innamoratissimo, sta per diventare capitano di vascello, insomma la vita gli sorride. O almeno così sembra. Purtroppo per lui falsi amici e finti confidenti trameranno una congiura, nata quasi per scherzo e finita in tragedia, facendolo accusare di cospirazione e relegandolo a scontare l'ergastolo in prigione su un'isola. E' da qui che nasce il suo spirito di vendetta, che una volta evaso lo porterà a tessere una trama astuta e tremendamente cinica per ritrovare tutti i responsabili delle sue sofferenze e ripagarli della stessa moneta.
Una storia avvincente, ricchissima di personaggi affascianti(soprattutti quelli "interpretati" da Edmond stesso), che solo apparentemente è priva di qualsiasi sentimento di pietà.
Non fatevi spaventare dalla mole, la lettura scorre via che è una meraviglia!!!
Uno dei più bei libri che abbia mai letto.
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Esilarante
Non si può fare a meno di ridere dall'inizio alla fine!!
E' il terzo libro che leggo di Ammaniti e rispetto agli altri due questo ha un tono decisamente diverso, più leggero e terribilmente irriverente. Si prende gioco del mondo dei "vip" con un sarcasmo pungente e descrivendo delle situazioni davvero troppo divertenti.
Un libro molto piacevole...da leggere!!!
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Ti prendo e ti porto via
Di Ammaniti avevo letto solo Io non ho paura, ma dopo "Ti pendo e ti porto via" adesso sto divorando anche "Che la festa cominci".
E' un libro bello, scritto con uno stile molto diretto che credo sia il tratto che più distingue Ammaniti. Così come “Io non ho paura”, anche questo romanzo è molto duro, pervaso dall’inizio alla fine di tanta amarezza nel raccontare le vicende di un ragazzino bollato come caratteriale solo perché sensibile, introverso e con una famiglia disastrata alle spalle, di un playboy che, oltre a rovinarsi la vita perso dietro ad una insulsa valletta, distrugge anche quella dell’unica donna che abbia mai davvero amato e di altri personaggi che sono un po' lo specchio dell'Italia contemporanea.
L’ho trovato molto coinvolgente, a volte fin troppo esplicito, ma di una intensità incredibile.
Mi sento di consigliarlo a tutti, perché ritengo che Ammaniti sia uno di quegli scrittori che valga davvero la pena almeno conoscere.
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Symbolon
Dan Brown si conferma un grande maestro del thriller "esoterico". Ha trovato gli "ingredienti nascosti" e la "formula magica", c'è poco da dire. Anche questo suo ultimo romanzo è avvincente, ti tiene incollato sulle pagine che volano via e ogni volta che finisci un capitolo non stai più nella pelle per capire se finalmente ci saranno delle risposte (un po' come quando finisce una puntata di Lost!!).
Massoneria, religione, storia, scienza, miti e leggende...tutti legati e accomunati dalla spasmodica ricerca di Dio da parte dell'uomo.
La descrizione minuziosa dei segreti di una città diversa in ogni suo romanzo rimane comunque il suo marchio di fabbrica più apprezzabile. Dopo Parigi e Roma adesso tocca a Washington e alzi la mano a chi non è venuta una gran voglia di andarla a visitare!!!
Delude un po' il finale, ma io lo consiglio a tutti.
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Pesante
Dopo aver divorato "La cattedrale del mare" in 4 giorni, per finire questo ho impiegato 4 mesi!!
Niente da dire sulla ricostruzione storica, molto ben fatta, dettagliata e ricca di particolari tutti fin troppo documentati, ma il racconto è tedioso, pesante e si fa davvero fatica a terminare. Più che un Romanzo storico...una Storia romanzata!
Il tema del confronto-scontro tra Cattolicesimo e Islam è quanto mai attuale e mi ha colpito scoprire che ci sono teorie (fondate su documenti storici) secondo cui nel XVI secolo la comunità di moriscos andalusa fece un tentativo di falsificare alcune reliquie per avvicinare le due Fedi.
Ciononostante, non mi è piaciuto granché e non ho memoria di un libro che ho fatto così fatica e finire.
Se non siete amanti sfegatati della Storia (con la "s" maiuscola), lasciate perdere.
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senza pretese
L'idea è originale, ma poteva essere sviluppata meglio. La storia corre essenzialmente su due binari temporali - quello attuale e quello medioevale - con un paio di fash-back nel dopoguerra (1947). I personaggi sono stereotipati e non particolarmente attraenti: il poliziotto bello e maledetto, la collega che se ne innamora, lo sfigato genio del computer, ecc. A metà si capisce già tutto, ma questo non deve stupire. Credo che il libro sia da apprezzare più per l'idea della biblioteca e di cosa succederebbe se ciascuno di noi sapesse la data della propria morte, piuttosto che per l'intreccio da pseudo-thriller. Rimane comunque un libro ben scritto, da leggere se non si hanno tante aspettative.
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