Opinione scritta da galloway

124 risultati - visualizzati 1 - 50 1 2 3
 
Politica e attualità
 
Voto medio 
 
4.0
Stile 
 
4.0
Contenuti 
 
4.0
Approfondimento 
 
4.0
Piacevolezza 
 
4.0
galloway Opinione inserita da galloway    28 Dicembre, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Salvare il Mezzogiorno?

Salvare il Mezzogiorno?



Federalismo sembra essere diventata la parola magica per la soluzione dei problemi antichi e moderni che affliggono la nostra società e non solo quella italiana.



Federalismo fiscale, federalismo sanitario, federalismo culturale, federalismo commerciale, federalismo comunitario, federalismo amministrativo, tanti federalismi quanti sono i problemi della società contemporanea. Anche nel nostro Paese se ne parla da tempo e diversi partiti politici, anche se in maniera diversa, ne hanno fatto il loro campo di battaglia. Al momento sembra che il futuro dell'attuale governo sia addirittura dipendente dalla sua applicazione, primariamente in chiave politica e quindi in tutte le sue forme successive dipendenti.



Questo libro fresco di stampa e di idee dovrebbe essere la giusta chiave di lettura per la sua corretta applicazione. Ho detto "dovrebbe", al condizionale, non perchè va messa in discussione le tesi che gli autori del libro sostengono, bensì per la inadeguatezza di chi scrive ad affrontare un problema di questa importanza. Il più giovane degli autori è stato suo alunno al liceo.



Va detto che lo stesso fu anche uno dei più valenti studenti che egli abbia mai avuto in un piccolo liceo del Sud. Ahimè! gli poteva insegnare solo la lingua e letteratura inglese, ma ricorda benissimo quel giorno in cui lo studente Falasca manifestò tutto il suo interesse per quella lezione sulla "Stock Exchange" di Londra, leggendo un brano dalla rivista "The Tatler" dei famosi saggisti inglesi Steele e Addison.



Prime avvisaglie di un interesse per lo studio dell'economia e della politica che lo portavano a superare gli angusti spazi di un liceo di provincia meridionale e gettare le basi per un progetto di riscatto della sua terra. Il libro è scritto a quattro mani, in buona compagnia, collaborazione e condivisione di un esimio esperto di teoria politica quale il prof. Carlo Ottieri.



Suddiviso in tre capitoli, preceduto da una introduzione e chiuso con una conclusione, il libro merita di essere fatto conoscere agli studenti di tutte le scuole del Paese e adottato per la fluidità e la chiarezza delle sua esposizione. Sono auspicabili approfondimenti e iniziative per far sì che l'auspicata "tigre mediterranea" che potrebbe diventare l'Italia, sulla falsariga di quella irlandese, si svegli dal letargo dal quale è stata avvolta nel sonno millenario del "mare nostrum". L'auspicio è: che non sia un federalismo all'italiana: infinito ed incompiuto.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
tutto sul Mezzogiorno
Trovi utile questa opinione? 
10
Segnala questa recensione ad un moderatore
Religione e spiritualità
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    01 Dicembre, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

L'Indagine di Antonio Socci

Dalla marea di volumi che sale sempre più, di giorno in giorno, emerge l'ultimo libro di quello "strano cristiano" che è Antonio Socci: "Indagine su Gesù"appena uscito da Rizzoli. 346 pagine, un prologo, quattro capitoli, un epilogo, ben 529 note bibliografiche, nessuna immagine, tranne quella, bellissima, in copertina di un particolare del volto della "Vocazione di S. Matteo" del Caravaggio, il libro di Antonio Socci cammina su due binari. Sul primo si dipana il filo narrativo, o meglio, discorsivo, dell'indagine su Gesu`, sull'altro scorrono le note a pie`di pagina, sulle quali poggiano i documenti, le testimonianze, le prove di quanto produce l´indagine. Una lettura che intriga, affascina e documenta.

Dopo di avere letto il libro devo confessare che mi è venuto in mente il titolo di un famoso film "Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto". Il film non ha nulla a che vedere con il tema di Gesù, ma è la parola "indagine" che mi aveva fatto dubitare sulla scelta da parte dell'autore del libro di un termine del genere. "Indagine" è una parola moderna, alla moda, attira l'attenzione del lettore. Insomma, fa titolo. Non la ritenevo adatta al "soggetto-oggetto" della scrittura di Socci. Una parola forse troppo abusata, col rischio di portare il lettore subito a pensare a certi giudici antichi e moderni che della giustizia fanno un'arma da usare senza scrupoli.

In effetti, a lettura del libro ultimata, la parola risulta azzeccata, anche se riferita a un giovane Ebreo che sarebbe poi divenuto veramente il "cittadino" del mondo. Non un figlio di falegname ebreo qualunque, ma nientedimeno che il il Figlio di Dio venuto in terra per salvare gli uomini. E che cosa aveva fatto questo giovane uomo di tanto terribile da meritarsi quella morte che è al centro di questa indagine? A pensarci bene, a distanza di oltre duemila anni, il Cristo non aveva fatto altro che predicare il Decalogo e le sue leggi. La sua venuta era stata preannunciata già secoli innanzi nel Vecchio Testamento, come Socci brillantemente documenta. Eppure, gli uomini non vollero credergli e molti ancora insistono a non credere in lui e nella sua Parola. Anzi, tanti continuano a beffarlo e se potessero incontrarlo, di sicuro lo crocifiggerebbero ancora una volta. Come e quando Gesù Cristo venne eliminato nel modo che sappiamo Socci lo dimostra senza errori o omissioni. Resta ancora da chiarire, a mio parere, il perchè quegli uomini lo fecero, e sarebbero disposti a farlo ancora oggi.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
tutti i libri su Gesù
Trovi utile questa opinione? 
21
Segnala questa recensione ad un moderatore
Storia e biografie
 
Voto medio 
 
4.6
Stile 
 
4.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
4.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    30 Novembre, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Hitler, il bibliomane folle

"Originale o plagiario, l'uomo è il romanziere di se stesso", scrisse Ortega y Gasset. E mai come in questo caso, questa frase si adatta per chi questo libro e´stato scritto.



Superfluo e scontato dire che la vita stessa del Fuhrer e´ un romanzo, un giallo, un noir e quant´altro si possa dire sul personaggio. Ma qui sono in ballo le sue letture, i libri che lo hanno formato, modellato, fatto pensare e fare cio´ che ha fatto e ancora oggi si cerca di capire come e perche´ l´ha potuto fare.



Scorrendo i titoli che l´autore di questo libro gli attribuisce mi sono davvero spaventato. Non tanto per il numero dei titoli quanto per i nomi degli autori. Molti sono nella mia biblioteca, molti amici e conoscenti li avranno anche loro. Siamo persone normali, peró , almeno speriamo.



Ma allora resta lecita la domanda: leggere e´ pericoloso? O almeno leggere questi libri che Hitler ha letto ci puo´ fare diventare tanti piccoli o grandi Hitler?



Mamma mia che impressione mi fa! Giuro che mi vien voglia di non leggere piu`... e di bruciare quei libri che lui aveva nella sua biblioteca.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
tutto di Hitler
Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
Gialli, Thriller, Horror
 
Voto medio 
 
4.8
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    27 Ottobre, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

La loggia dei bibliofili

Un titolo neutro, in italiano. Un libro che può essere una chicca per ogni bibliofilo/bibliomane. Voi pensate: si parla, anzi, si legge, di una società segreta fatta di "lectores" e "receptores", vale a dire di lettori di libri non comuni, nel senso che hanno qualità che possono influenzare la lettura ed i comportamenti di chi legge. Intercettano il pensiero di chi sta leggendo un libro e interferiscono sulla sua mente e inducono a comportamenti inaspettati ed imprevedibili. Pensate a quanto Arthur Schopenauer ebbe a dire della lettura in un suo saggio intitolato "Sulla lettura e sui libri".

“Quando leggiamo, qualcun altro pensa per noi: noi ripetiamo solamemente il suo processo mentale. E’ come quando lo scolaro impara a scrivere ripassando con la penna i tratti a matita del maestro. Dunque quando si legge ci è sottratta la maggior parte dell’attività di pensare. Da ciò deriva il sollievo palpabile quando smettiamo di occuparci dei nostri pensieri e passiamo alla lettura. Durante la lettura la nostra testa è proprio un’arena di pensieri sconosciuti. Ma se togliamo questi pensieri, cosa rimane?”.

Se le cose stanno così, e noi che leggiamo possiamo ben sperimentarlo ogni qualvolta abbiamo un libro aperto davanti a noi e facciamo scorrere le parole stampate nella nostra mente, allora vuol dire che l’autore il trentottenne danese Mikkel Birkegaard ha fatto centro. Si spiega il successo che ha ottenuto il libro e sicuramente sarà un scalpore anche il prossimo film che stanno preparando su questa storia che ha tutte le forme della bibliomania.

Un mistero fitto che ruota intorno agli enigmi di una libreria. Un mistero che allunga i suoi tentacoli su Copenhagen mettendo in discussione la vita di Jon, un giovane avvocato quarantenne. Dopo la morte improvvisa e violenta del padre, Luca Campelli, il figlio Jon eredita la libreria antiquaria di famiglia intitolata 'I libri di Luca'. Il cambio di gestione sembra essere soltanto un semplice quanto doloroso passaggio di consegne. Tutto appare segnato da una routine ben collaudata. Eppure non è così. Jon e Luca, innanzi tutto, hanno interrotto da oltre venti anni i loro rapporti. Le loro esistenze non si sono incontrate negli ultimi tempi ed entrambi si sono sentiti estranei l’uno all’altro. Alla fine del funerale del padre Jon viene a conoscenza di un segreto che non avrebbe mai immaginato. Colto dalla sorpresa e dallo smarrimento, viene a sapere che Luca è stato al vertice della società Bibliofila e dei cosiddetti Lectores, persone dotate del potere di influenzare gli altri attraverso la lettura.

Di più: Luca era anche una figura di primo piano tra i Receptores, individui capaci di manipolare le emozioni e i pensieri dei lettori. La passione per gli antichi volumi coinvolge, peraltro, la bella Katherina, una ragazza dislessica che lavora nella libreria attratta dall’imperitura sapienza che vi si conserva. Jon si deve misurare con una realtà che non gli appartiene e che non è in grado di padroneggiare. Scopre che la morte del padre viene usata in modo strategico da alcuni membri sconosciuti della società dei bibliofili. Uomini privi di scrupoli che, pur di conquistare il potere vacante, sono disposti ad incendiare i locali della libreria. Uomini pronti a commettere altri omicidi per affermare la propria supremazia. Si tratta di segnali inquietanti, gravidi di conseguenze negative e incalcolabili. L’idea principale della trama, ha spiegato l’autore, “è nata quando ho pensato che cosa accadrebbe se ci fossero dei lettori in grado di influenzare i sensi e gli atteggiamenti delle altre persone nei confronti della letteratura e del mondo nel suo insieme”.

Non perdete questo libro. Ha tutti gli elementi del giallo, del fantasy, del thriller, in una Copenaghen reale e a portata di mano.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
i libri di bibliofilia
Trovi utile questa opinione? 
10
Segnala questa recensione ad un moderatore
Storia e biografie
 
Voto medio 
 
4.0
Stile 
 
4.0
Contenuti 
 
4.0
Approfondimento 
 
4.0
Piacevolezza 
 
4.0
galloway Opinione inserita da galloway    25 Ottobre, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Gli angeli esistono

Un libro di questo genere serve a dare fiducia nella vita di tutti i giorni. Sono sempre convinto che ogni uomo e`un libro e ogni libro e`un uomo. Mi auguro che la storia di questo giovane professionista, che aveva deciso di farla finita con la vita a causa di un banale incidente di percorso esistenziale, possa servire da esempio a come la vita va affrontata e recuperata. I temi trattati sono quelli che coinvolgono la vita di tutti, giorno per giorno: la felicita`, l`amicizia, l`amore, la famiglia, il lavoro, la bellezza, la sofferenza, la comunicazione, la speranza, l`educazione. Parole, idee, luoghi comuni per tutti, eppure disattesi o derisi, consumati o traditi in nome della modernita`, dell`anticonformismo, ma sopratutto della stupidita`umana che spesso si manifesta in maniera inspiegabile senza risparmiare nessuno. Un libro affatto speciale, del tutto normale, per chi nella normalita`ci crede e ne ha fatto una ragione di vita. Di certo un libro impossibile per chi preferisce altre variabili ed altri ideali.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
libri sul pessimismo della vita
Trovi utile questa opinione? 
10
Segnala questa recensione ad un moderatore
Storia e biografie
 
Voto medio 
 
4.8
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
4.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    21 Ottobre, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

L`Immortale

La lettura di questo libro non puo`non suscitare ricordi e riflessioni in chi ha vissuto gran parte degli anni del "divo Giulio". Non che io abbia la`stessa eta`di questo gigante della storia politica italiana del secolo e millennio scorsi, ma posso ricordare molte cose della vita del nostro Belpaese che ruotano intorno alla sua "gobba".

Una gobba originale ed una voce unica nello scenario della vita italiana. Ricordo che negli anni sessanta avevamo fondato un circolo culturale tra noi studenti di provincia meridionale e lo avevamo chiamato "Europa" seguendo il titolo di una bella rivista che Giulio Andreotti aveva fondato e sulla quale convergevano illustre firme del giornalismo europeo come della politica.

Ci appassionavamo a quei contenuti che avevano una risonanza europea, un`Europa ancora da venire e che si chiamava solo M.E.C. A dire il vero ci capivamo ben poco, la nostra era solo un`aspirazione ad evadere dal grigiore, ed anche dalla miseria, della provincia. Ma c`era anche chi si industriava a trovare un modo per farsi notare nella sede della sezione D.C. e fare qualche viaggetto nella capitale al seguito dell`onorevole locale che spesso andava a Roma a vederlo e sentirlo.

Cosi`sono iniziate tante carriere politiche locali provinciali e regionali sulla gobba e sulla voce del Silvio immortale.

Quanto tempo e´passato? Trenta, quaranta, cinquanta, sessanta anni? Silvio e`sempre la`e che Dio ce lo conservi a lungo. Leggetevi questa biografia e leggerete una parte della vostra vita.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
tutto di Andreotti
Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
Politica e attualità
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    19 Settembre, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Non è solo propaganda

Nipote di Freud, Edward Louis Bernays (1891-1996) è una figura poco nota al pubblico italiano, eppure viene unanimemente considerato, insieme a Ivy Lee, colui che ha fondato negli Stati Uniti la scienza delle Pubbliche Relazioni. Nasce a Vienna, la sua famiglia vanta stretti legami di sangue con Sigmund Freud, la madre, Anna, ne è la sorella. “Propaganda”, pubblicato a New York dall’editore Horace Liveright nel 1928, alla vigilia della Grande Crisi, è considerato il libro più importante di Bernays perché nelle sue pagine si trova espressa la filosofia cui si è ispirato in tutta la sua lunga attività. Nel 1945 il Dipartimento delle Relazioni del Consiglio federale delle chiese di Cristo in America crea il premio The Edward L. Bernays per la leadership nella promozione dei rapporti interrazziali, un omaggio al suo lungo impegno antisegregazionista, iniziato nel lontano 1920.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
tutto della propaganda
Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
Salute e Benessere
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    18 Settembre, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Godere

Il titolo originale in lingua inglese è meno casto ed educato di quello che l’editore italiano ha scelto. “Bonk”, infatti, in inglese è il ruvido e diretto “scopare”, senza se e senza ma, come si deve in un atto umano che ha una sua ragione d’essere. Fare sesso, in effetti, sembra l’attività più antica e praticata del mondo. Lo fanno, ovviamente, non solo gli uomini e le donne, ma tutti, inclusi gli animali. E’ vero che sono gli uomini, (ed ora sappiamo anche donne!), che spesso il sesso lo fanno come animali. Non risulta, comunque, ancora ad oggi, che gli animali lo facciano come lo facciamo noi umani. Ma, ad ogni modo, le cose stanno proprio così: l’autrice di questo libro, che sono sicuro avrà grande successo in Italia, ha provato a studiare l’uso ed il consumo di sesso come lo si fa in laboratorio, un laboratorio scientifico. Ha usato oltre che se stessa, anche il marito come cavia sperimentale ottenendo buoni risultati. Non mi dilungo oltre per non togliervi il piacere di leggere il libro. Io l’ho letto in inglese e vi assicuro che è un piacere da non perdere. Leggetevi anche la recensione che segue che è apparsa qualche mese fa su un noto quotidiano. E’ piuttosto lunga, ma ne vale la pena.

-----------

Che succede quando in un laboratorio entra il sesso? Mary Roach indaga. Con humour

Se il sesso è la cosa più divertente da fare, senza ridere, come sosteneva Woody Allen, leggere il nuovo libro di Mary Roach Bonk (“scopare”, in slang), sottotitolo The Curious Coupling of Science and Sex (W.W. Norton), è la cosa più divertente da fare, sesso a parte. Indagare i misteriosi dialoghi tra vagina e pene che si tengono nei laboratori scientifici, come fa l’autrice californiana, secondo il New Yorker “la più brillante scrittrice scientifica del Paese”, produce un effetto spiazzante, comico e surreale. Per lei, che non ha esitato a usare il marito (e se stessa) come cavia, una sosta in una biblioteca medica è stata fatale: «Non avevo mai pensato, prima, che il sesso venisse studiato nei laboratori», scrive, «esattamente come il sonno, la digestione, l’esfoliazione, o qualunque altro dettaglio della fisiologia umana. Forse lo sapevo, ma non mi ci ero mai soffermata».

Roach, che in Italia ha pubblicato con Einaudi Stecchiti. Le vite curiose dei cadaveri, e Spettri, sul destino dell’anima, indaga il soggetto con curiosità ossessiva. «La gente crede che se fai delle ricerche di questo tipo sei una pervertita. Ogni volta che mi presentavo come sex researcher, riscuotevo alzate di sopracciglia», dice. In realtà lo studio della fisiologia sessuale - che cosa accade, perché, e come farlo meglio - va avanti da secoli, «dietro le porte chiuse dei laboratori, nelle case di tolleranza, nell’attico di Alfred Kinsey, e recentemente nei centri per la risonanza magnetica, negli allevamenti di maiali, e ovviamente nei centri di ricerca e sviluppo dei sex-toy». Per due anni Roach si è infiltrata dietro queste porte chiuse. Per rispondere a domande come: l’orgasmo vaginale è un mito? Il tuo pene è sette centimetri più lungo di quanto pensi? Può un morto avere un’erezione? Perché il Viagra non aiuta le donne, e nemmeno i panda?

Sesso da maiale
Prima di affrontare lo studio diretto della sessualità umana, gli scienziati osservano gli animali. Topi, conigli, gatti, maiali. Ma è utile? «Mentre è spesso vero che le persone sono dei maiali, non è mai vero che i maiali sono delle persone», scrive. «Se veramente vuoi sapere come lo sperma raggiunge l’utero di una donna, e se l’orgasmo sia in relazione con il fenomeno, sarebbe meglio studiare una donna invece di un maiale o una scimmia». Ma Bonk, che uscirà in Italia da Einaudi, è anche un elogio dei pionieri che hanno infranto il muro di omertà sull’argomento. I primi studi sulla sessualità correvano parallelamente alle ricerche sull’infertilità, la ginecologia e le malattie veneree.

Lavorare in questo campo, ricorda la Roach, destava sospetti. Nel 1851 un ginecologo di nome James Platt White fu espulso dall’American Medical Association per aver invitato i suoi studenti ad assistere a un parto. Nei più recenti anni Settanta il ricercatore e storico Vern Bullough si ritrovò nella lista dell’Fbi, degli “americani pericolosi”, per le sue “attività sovversive” che comprendevano la pubblicazione di testi scolastici sulla prostituzione e la battaglia per decriminalizzare il sesso orale e il travestitismo. «Questo libro è un tributo agli uomini e alle donne che hanno lanciato la sfida. A coloro che fino a oggi hanno combattuto l’ignoranza, la chiusura mentale e la pruderie. Le loro vite non sono facili. Ma i loro cocktail party sono i migliori », conclude.

Cervice Pac-Man
Uno tra i miti sessuali che gli scienziati hanno sfatato? «C’è quello dell’interdipendenza, che risale a Leonardo da Vinci e ai suoi disegni sul coito», dice. «L’idea era che quando due persone avevano un rapporto sessuale, il pene raggiungesse la cervice, che a sua volta si apriva come Pac- Man. Questa operazione potrebbe assomigliare all’attracco dello shuttle nello spazio. La difficoltà a rimanere incinta si spiegava con una “cattiva interdipendenza”». Bisogna arrivare ai primi anni del XX secolo per ristabilire la realtà, quando il ginecologo americano Latou Dickinson si dedicò allo spionaggio intravaginale e scoprì che il pene non entra nella cervice, ma si limita a restare nei paraggi. «Qualcun altro s’impegnò a sfatare il mito che voleva che una grossa clitoride favorisse un orgasmo più intenso».

Vestiboli affollati
La vagina è abituata a ricevere visite. Come nota l’autrice, anche il linguaggio dell’anatomia riveste l’organo con un’aura di ospitalità, chiamando l’entrata “vestibolo vaginale”. Nonostante le “assidue frequentazioni” si è saputo molto poco del suo funzionamento nei secoli, e ancora oggi parecchi interrogativi rimangono senza una risposta precisa. Tutta la questione su cosa faccia la differenza tra una donna che raggiunge facilmente l’orgasmo durante un rapporto e una che non lo raggiunge mai, è un mistero che ancora arrovella gli studiosi. «Qual è la variabile? È emotiva o mentale? Il punto G? Nessuno ne sa qualcosa». Si sa solo che è un riflesso del sistema nervoso, che può essere però causato dai fattori più vari. Alcune donne hanno orgasmi spontanei estremamente imbarazzanti, come una saudita che è capace di venire 13 volte consecutive a causa di attacchi epilettici. «Probabilmente non c’è una risposta: è diverso per ogni singola donna», conclude Roach.

L’altro pisello
Marie Bonaparte, pronipote di Napoleone e allieva di Freud, si fece asportare la clitoride perché si trovava troppo distante dalla vagina. La storia ha dell’incredibile, ma è vera, e la Roach la racconta nel capitolo intitolato “La pricipessa e il suo pisello”. Sposata con Giorgio di Grecia, principe e omosessuale latente, Marie era completamente insoddisfatta sessualmente. Di orgasmo, nemmeno l’ombra. Frigida. La colpa? Di quella maledetta cosina che non occupava il posto giusto. Questo pensava. Le sue ricerche sulle altre donne parevano darle ragione. L’evidenza scientifica del tempo stava dalla sua parte. Invece di cambiare la posizione del missionario con qualcosa di più avventuroso, affidò al chirurgo viennese Joseph Halban il compito di rimuovere la clitoride per riattaccarla vicino alla vagina. Pensava che fosse una procedura semplice, ma l’operazione fallì (due volte!) miseramente. Non si sa se spinta dalla propria condizione anatomica o per scelta intellettuale, Marie appoggiò la “propaganda pro-vagina” che, secondo la Roach, vede in Freud uno dei più nobili sostenitori. Il padre della psicoanalisi, invece, non fu amico della clitoride: considerava quel magico frammento di carne, che diede tanti guai e illusioni alla Bonaparte, un gingillo per donne Peter Pan.

Il gadget dell’eros
Gli esperimenti più bizzarri contemporanei sono la parte più divertente del libro. «La scorsa estate», racconta, «mi trovavo nella biblioteca di una scuola di medicina e stavo fotocopiando delle pagine da un articolo intitolato “L’uso dell’aspirapolvere nell’autoerotismo mortale”, quando la carta si è inceppata», racconta. «Non avendo il coraggio di chiedere aiuto all’assistente di sala, mi sono spostata su un’altra macchina e ho ricominciato il lavoro da capo». Non solo aspirapolvere. Nell’ufficio dell’azienda NuGyn, che vende attrezzi per le disfunzioni maschili, a Spring Lake Park, in Minnesota, il telefono suona in continuazione. Curt Olson giura che spesso si tratta di donne che non sanno localizzare la propria clitoride. E l’incontro tra la Roach e l’inventore dell’Eros Clitoral Therapy Device, una specie di pompa aspirante per mastubarsi, è esilarante. Roach gli chiede cosa gli ha fatto pensare che una pompa fallica per le donne fosse necessaria per il mondo? E lui risponde: “Un giorno, insieme al mio capo, ci siamo chiesti quale poteva essere il nostro prossimo prodotto, e ci siamo resi conto che c’era la pompa per il pene, ma che mancava un prodotto per il mercato femminile”. Insomma un’idea nata per puro marketing. «Inpratica funziona come un vibratore: aumenta la pressione sanguigna sui genitali», spiega Roach. «Ma quando ho chiesto a un gruppo di donne qual è la differenza tra un arnese che costa circa 400 dollari, un vibratore e il proprio dito nessuna mi ha saputo rispondere ».

Ricerca sul campo
Non è facile trovare persone che si sottopongano a esperimenti per questi nuovi Masters e Johnson, che negli anni Cinquanta erano riusciti addirittura a filmare il coito con una “penis camera” da infilare nella vagina. Oggi la maggior parte sono studenti che magari hanno bisogno di un po’ di soldi e non hanno difficoltà a rispondere a qualsiasi tipo di domanda. Sull’onda della tecnologia all’avanguardia, Mary Roach si è anche sottoposta in prima persona a un esperimento. Si è rivolta al dottor Deng, un medico di Londra che sta sviluppando una nuova tecnica a ultrasuoni in immagini, chiedendogli se poteva essere presente durante le “riprese” della performance erotica di una coppia. Il dottor Deng, pur ben disposto, si mostrò incapace di trovare la coppia disponibile a farsi osservare durante l’atto sessuale da qualcuno che non indossasse il camice bianco. A quel punto a Mary non è restato che scendere in campo, coinvolgendo chi, se non il suo povero marito Ed? «Una cosa surreale», racconta la scrittrice-scienziata. «Prima di tutto avevo con me un taccuino, poi il dottor Deng mi ha messo una sonda sul ventre, di quelle usate per l’ecografia, ed era impossibile eccitarsi. Come quando il medico infila il guanto di gomma e ti dice: “E adesso lei sentirà il mio dito nel suo retto”, e tu pensi: “Strano, davvero strano”». Al marito l’autrice dedica una medaglia nei ringraziamenti a fine volume. Possiamo dire: del tutto meritata.

(Pubblicato il 02 maggio 2008)

http://seidimoda.repubblica.it/dettaglio/Vi-racconto-che-cose-lorgasmo/45983?page=1

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
tutto del sesso
Trovi utile questa opinione? 
20
Segnala questa recensione ad un moderatore
Arte e Spettacolo
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    16 Settembre, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

L'irresistibile sound

Sono 133 le canzoni passate al setaccio in questo libro che cerca di dare risposte a domande, utopie e desideri di più generazioni. Quasi come a voler dare una risposta a quell'urlo che Jim Morrison, bandleader dei mitici Doors, morto a 27 anni, lanciava dal palco prima dell'esibizioni del gruppo:"Vogliamo il mondo e lo vogliamo adesso".



Ingenuità giovanile, sì, ma quel grido passava e ricorreva non solo sul piano politico, ma anche su quello esistenziale. Sull'onda di quel grido molti finirono male, autori e loro seguaci. Tuttora l'onda continua, affiancata ad altri elementi che concorrono a fare miscela esplosiva una musica che ha comunque un suo indiscusso valore.



Il volume è organizzato in sei grandi aree, dopo una esauriente introduzione. Si inizia con "Il rock: l'uomo e la realtà", e si continua con l'utopia, il cuore, l'attesa, il desiderio, la strada, il tempo, l'amore, l'amicizia sino ad arrivare addirittura al divino. Tutti i brani sono commentati, corredati dai testi tradotti in italiano. Un volume da non perdere specialmente dai rockettari frequentatori del forum di questo sito.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
e sentito tutto del rock
Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
Arte e Spettacolo
 
Voto medio 
 
4.4
Stile 
 
4.0
Contenuti 
 
4.0
Approfondimento 
 
4.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    10 Settembre, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Scrivere piangendo

Finalmente ho capito perché, non solo in Italia ma nel mondo intero, tutti vogliono scrivere, tutti sono presi da una vera e propria frenesia scrittoria che va al di là dell’amore per la parola ed i pensieri scritti.

Un amore abbastanza antico che può assumere forme diverse. Da “filiali” a “maniacali”: “bibliofilìa”, “bibliofobìa”, “bibliocastìa”, “bibliognosìa”, “bibliolitìa”, “bibliologìa”, “bibliotafìa”, fino ad arrivare alla familiare categoria della “bibliomanìa” alla quale appartiene chi scrive, e chi decide di continuare a leggere ciò che scrivo.

Tutte queste patologie sono affezioni volontarie, se fatte per scelta; congenite, se si nasce con esse; ereditate, se si ha la fortuna/sfortuna di avere un genitore nel ramo; trasmesse per collateralità o colleganza e così via.

Ora sappiamo che può essere anche una decisione pensata, programmata per un mercato che si va facendo sempre più ampio, stimolante, competitivo, se non competente, mai in crisi, sempre in crescita.


Su un mercato del genere, come in tutti i tipi di mercato, esistono i mediatori. In questo caso, nel mercato del libro, si chiamano agenti, rappresentanti, operatori culturali, distributori, cacciatori di teste, editori, redattori...

Insomma, gente che sta nel ramo perché legge, corregge, scrive, descrive, tronca, taglia, ritaglia, copia, incolla, cuce, scuce, suggerisce, scrive e non firma, vende ad altri ciò che non pensa, ma lo scrive per altri, oppure inventa solo e riferisce ciò che altri gli dicono. In una foresta fatta di parole scritte, dette, lette, stampate e pubblicate, era ovvio che si presentasse qualcuno con l’idea, non tanto peregrina, e forse giusta: quella di direcioè “Come diventare ricchi facendo scrivere gli altri”.

Per soli sei euro e novanta, in un paio di ore di lettura, l’autore mi ha fatto comprendere che, dopo oltre quaranta anni che mi sforzo di scrivere, non ero io che dovevo scrivere, ma dovevo farlo fare agli altri! Avrei avuto senza dubbio successo e fatto tanti soldi.

A dire il vero, in tanti anni di insegnamento ho cercato di insegnare a scrivere migliaia di studenti, prima in italiano e poi in inglese, ma si vede con scarsi risultati perché non sono diventato ricco e mi ritrovo con una magra pensione. Ed invece, se avessi avuto la possibilità di leggere prima questo libro, forse il mio destino sarebbe stato diverso. Sarei senza dubbio diventato non solo famoso, ma anche ricco, come ha fatto il collega professore irlandese Frank McCourt col libro “Ehi, Prof!”, appena pubblicato da Adelphi. Ma di questo libro ne parlerò un’altra volta. Per ora leggetevi quanto ha avuto modo scrivere anche Caterina Soffici nella sua recensione del libro di Renato De Lorenzo di cui mi sto occupando.

"Insomma, guardatevi allo specchio: come mai non avete ancora scritto un bestseller? Spicciatevi, c’è un futuro di successo davanti a voi. Se riuscirete a vendere almeno 20mila copie, guadagnerete come minimo 28.820 euro (e mi raccomando i 20 centesimi). Se poi azzeccate il romanzo da 200 mila copie avrete guadagnato in diritti d’autore «558 milioni di vecchie lire, pari ad una retribuzione da lavoro dipendente di circa un miliardo e 100 milioni». E perché il vostro libro non potrebbe essere così buono da raggiungere il milione di copie, da diventare il soggetto di un film, da vendere i diritti all’estero? Come mai in Italia quelli che ci sono riusciti si contano sulle dita di una mano? Ma ovvio, perché non hanno letto i preziosi consigli di Renato Di Lorenzo nel saggio “Smettetela di piangervi addosso: scrivete un bestseller (Gribaudo editore).

Di Lorenzo, già autore di altri manuali fai da te per “Il Sole 24 ore” (i titoli spaziano dal “Come guadagnare in borsa con Internet" a “Come guadagnare in borsa con un capitale minimo) dà per assodato che «scrivere è sempre meglio che lavorare». Poi spiega che Dan Brown non prenderà il Nobel ma è un uomo ricco e libero. E voi prenderete il Nobel? Difficile, impossibile. «Ma, se imparerete a scrivere un buon libro pubblicabile, può essere che entriate anche voi a far parte della categoria degli uomini liberi». Quindi seguite passo passo i consigli di Renato Di Lorenzo, che lungo 160 pagine non tralascia alcun particolare: dalla stesura della storia, alla creazione dei personaggi, all’uso degli aggettivi e degli avverbi, il tutto infarcito con una giusta dose di parole inglesi da scuola di scrittura "very yankee" (cast, plot, flashback) per arrivare alla scelta fondamentale del titolo del vostro romanzo di successo. "Tenera è la notte" per esempio, va bene. Anche "L’amante di Lady Chatterly", "Il Grande Gatsy" non sono male. Però, avverte l’autore, «si tratta di una scelta difficile, per cui non esistono ricette. Tutto quello che posso invitarvi a fare è ponderarla bene ed esercitare la fantasia il più possibile».

Ma il consiglio senza dubbio più efficace è alla fine del libro, dove si avverte che dopo aver scritto il vostro bel romanzo, potrete inviare il manoscritto al Di Lorenzo stesso medesimo per ottenerne un giudizio critico. Lui ve lo darà, basta che proviate di aver acquistato 10 copie del suo libro. Avuto parere positivo potrete tentare la pubblicazione. E anche qui Di Lorenzo non vi abbandona: l’importante è inviare la prova d’acquisto di altre 50 copie del suo libro e verrete presentati a un agente letterario internazionale, la «Tipress Deutschland Gmbh di Sulzburg», Germania, che deciderà se cercarvi un editore e quale. Non è chiaro se seguendo questi consigli il vostro manoscritto diventerà un bestseller. Di certo lo diventerà il libro di Di Lorenzo."

Caterina Soffici
IL GIORNALE.It

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
tutti libri di scrittura creativa
Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
Arte e Spettacolo
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    08 Settembre, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

La letteratura come esperienza

"Abitare nella possibilità" è il titolo dell'ultimo saggio del critico letterario padre Spadaro. Diviso in due parti, il volume si occupa sia degli scrittori che dei lettori . E non potrebbe essere altrimenti visto e considerato che tutti siamo coinvolti, direi anche chi non legge e non scrive, addirittura chi non sa né leggere né scrivere. E si capisce perché: ogni uomo è un libro, ogni libro è un uomo. Sin dalla sua nascita ogni essere umano è destinato a scrivere la “sua” storia, personale, unica, irrevocabile. Forse tutto è già stato scritto, ma c’è bisogno che il suo autore lo faccia praticamente, vivendo la sua vita, che sarà il libro della sua storia di letteratura.

Ma cosa è la letteratura? A cosa serve? Cosa accade quando leggiamo un libro? Queste sono solo alcune delle domande alle quali cerca di rispondere, ad un tempo con spavalderia e precisione, l’ultimo saggio del gesuita padre Antonio Spadaro, critico letterario della più antica rivista italiana, La Civiltà Cattolica. E’ un saggio che entra nel vivo del problema con una serie di domande, tante quante sono i tipi umani coinvolti nel fare letteratura. Perché questa è legata all’esperienza individuale, personale e soggettiva di chi vive, legge, scrive, comunica per sé e per gli altri. Non può esserci, pertanto nulla di scontato nel fare letteratura

«La letteratura degna di questo nome - scrive padre Spadaro nell’introduzione - è irreversibile, capace di modificare realmente il modo in cui una persona vive la propria vita, la propria esperienza umana. E l’avere esperienza non è mai quella che progettiamo di affrontare secondo i nostri modi e i nostri tempi, ma è qualcosa che ci supera e ci sorprende».

Se letteratura è, allora, quella che nasce dall’esperienza (in fase di scrittura) e diventa esperienza (in fase di lettura); da qui la divisione in due parti del volume, una dedicata agli scrittori ed una ai lettori, perché l’esperienza della lettura non è da meno di quella della scrittura. Agli scrittori padre Spadaro pone innanzitutto la domanda essenziale: «Che cos’è la letteratura?», e la risposta è una curiosa galleria di «visioni» (si va da Manganelli a Celan, da Bo a Ferlinghetti, dalla O’Connor a Debenedetti) dentro cui l’autore si muove agilmente, ma con grande correttezza filologica, per «spremere» dai vari scrittori un significato profondo, non ornamentale, del mistero di scrivere.

Non so se tutti saranno disposti ad accettare la riflessione che l’autore fa e cioè che tra spiritualità e letteratura esista una perfetta osmosi, perché la letteratura è di fatto un’interpretazione della vita e delle sue tensioni fondamentali ed è inevitabilmente chiamata ad esprimere anche l’esigenza di ulteriorità che è propria dell’uomo: «Verso un al di là, verso un al di dentro, verso un altrove».
Col materialismo trionfante ed egemone di questi tempi è una concezione ardita del fine della letteratura. I libri sono diventati sempre più merce di scambio, non solo per chi li stampa e li vende per un legittimo profitto, ma anche tra scrittori e lettori, questi ultimi intesi come società politica, morale, culturale.

Si scrive per la cronaca, si premia per stabilire equilibri economici e di potere, si legge per fare politica e letteratura di impegno, insomma si annulla la ulteriorità di cui si è detto innanzi. Questa presunta «osmosi» spirituale tra chi scrive e chi legge viene analizzata nel capitolo centrale quando l’autore propone l’esperienza degli Esercizi Spirituali di Ignazio di Loyola, come per sostenere e quindi confermare con prova che lo scrivere non è un «orpello» nella vita dell’uomo, ma qualcosa che gli permette di scendere fin nelle sue midolla, e (quindi) di salire fino al cielo.

La domanda che ci si può porre dovrebbe essere anche questa, allora: possono la lettura e la scrittura aiutare realmente l’uomo a fargli scrivere il “suo” libro sulla scena del mondo? Cosa direbbe Qoelet nel vedere quanti libri si scrivono e si leggono oggi? Lui, che già al suo tempo, si lamentava che erano troppi e i risultati pochi?

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
e continua a leggere e scrivere
Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    07 Settembre, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Un mondo dove tutti si vendono e si comprano

Sanguetta ha sedici anni, è cresciuto nei Quartieri Spagnoli, spaccia e non ha niente da perdere. Nel carcere di Nisida gli offrono di diventare un informatore dei servizi segreti: non può rifiutare, anche se può costargli la vita. Chimicone ha diciott'anni, studia al liceo Genovesi ed è innamorato di Betta; con lei e con gli amici occupa la scuola e fonderà la Barricata Silenziosa, una cellula eversiva che si prepara alla lotta armata. L'Americano è uno sbirro della Digos, gli piacciono la musica leggera, la cocaina e le donne; hanno ammazzato Gomez, suo collega e amico, e cerca vendetta.

Tre personaggi, tre destini che "La città perfetta" insegue per cinque anni, dal 1988 al 1993, in una metropoli dominata dal clan del Sarracino e ferita dalla violenza, dal tradimento e dalla corruzione. Con realismo crudele e un'accurata ricostruzione storica, ma anche con slancio epico e visionario, Angelo Petrella racconta la sanguinosa guerra tra i clan nei quartieri di Napoli, dopo la scomparsa dei grandi capi storici della camorra.

Racconta la crisi del Partito Comunista, la rabbia dei giovani del movimento studentesco, le complicità tra malavita, politica e forze dell'ordine. Racconta soprattutto le radici del male in un mondo dove tutti si vendono e si comprano.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
tutto di Napoli
Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
Religione e spiritualità
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    06 Settembre, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Dio gioca con i matematici

Premessa necessaria: non ho letto, ancora, questo libro. Non sono un matematico, anzi non mi piace la matematica, ma mi piace pensare nell’esistenza di quello che gli uomini, dalla notte dei tempi, chiamano Dio. Mi piace anche pensare, contrariamente a quanto scrive nell’articolo il prof. Stefano Zecchi, qui di seguito riportato, che se Dio esiste, gli piacerà senza dubbio giocare con la matematica terrena così come viene fatta da questi scienziati terreni/terrestri che si ostinano a fare i ...marziani senza rendersene conto.



Non so se spenderò questi euri per l’acquisto del libro dell’illustre matematico americano John Allen Paulos, prefato da Odifreddi. Nel frattempo leggetevi ciò che dice Stefano Zecchi nell’articolo qui appresso. Ho assegnato, comunque, la massima valutazione al libro...





Dio non gioca con i matematici



Abbiamo la prova matematica, attraverso un matematico, del perché ai ragazzi di oggi non piace la matematica. Il matematico è il professor Piergiorgio Odifreddi che deve la sua esistenza su questa terra a un miracolo di Padre Pio. Infatti, si calcola matematicamente che tutto ciò contro cui il professore si scaglia ha uno sviluppo esponenziale d’interesse sempre più complesso da valutare.



Il professore se l’è presa con Babbo Natale (figura perniciosa da espellere dal consesso umano), con le fiabe (forme di corruzione ideologica), con i giochi di prestigio nei circhi equestri (attentati all’integrità psichica di grandi e piccini). Adesso se l’è presa con quei babbei che credono in Dio, e gli sono bastate quattro paginette scritte in largo - ci riferiamo alla sua introduzione al saggio dello scienziato americano John Allen Paulos La prova matematica dell’inesistenza di Dio, appena uscito da Rizzoli - per dimostrare che Dio non esiste, naturalmente con prove matematiche alla mano del tipo: se moltiplico una pera per lo zero viene fuori un bello zero.



Ma il miracolo c’è. Dopo gli attacchi di Odifreddi abbiamo avuto invasioni di Babbi Natali, numerose come gli sbarchi dei gommoni a Lampedusa; le fiabe, perfino le più vecchie e noiose, sono diventate best seller; i prestigiatori si pagano al prezzo di Ronaldinho. La Santa Sede attende un sensibile aumento delle vocazioni.



Einstein diceva che i matematici devono tirare fuori le idee tra i 20 e i 23 anni, perché dopo il loro cervello è bruciato. Ci sembrava un’esagerazione: ricordo l’ansia dei miei compagni, iscritti alla facoltà di Matematica di fronte a questa sentenza di Einstein: avrebbero avuto pochissimo tempo a disposizione per giocarsi il tutto per tutto. Noi che studiavamo altre cose li consolavamo: «È un modo di dire per non perdere tempo», dicevamo, e invece, leggendo oggi Odifreddi, ci accorgiamo che quella di Einstein non era affatto un’esagerazione e che anzi, dopo aver ascoltato anche l’altro matematico, Paolo Giordano, bisognerebbe anticipare i tempi: è amaro ammetterlo, ma i cervelli dei matematici si bruciano in un battibaleno.



Bertrand Russell, grande matematico nei suoi verdi anni, ha resistito benissimo alla vecchiaia perché sapeva essere ironico, riusciva a scherzare su se stesso e le sue difese dell’ateismo non scomodavano la matematica. Odifreddi è invece il tipico girotondino: mentre Nanni Moretti alza nei girotondi il cartello con scritto «Abbasso Berlusconi», lui ne ha uno con scritto «Abbasso Dio», e distribuisce ai passanti volantini con la dimostrazione matematica della non esistenza di Dio.



Come fanno i ragazzi ad appassionarsi a questa matematica che sembra avere come scopo l’annientamento di Babbo Natale, l’abolizione delle fiabe e dei giochi di prestigio, la negazione di Dio spiegata in un volantino distribuito durante il girotondo con Moretti e Travaglio?



Oggi i giovani vivono in una cultura essenzialmente anti-crociana pur senza aver letto una riga di Croce. Nessuno sostiene più, come intendeva il filosofo Benedetto Croce, che le scienze sono forme di sapere senza conoscenza ma soltanto strumenti «utilitaristici» per «misurare» il mondo.



Il miracolo dell’esistenza del professor Odifreddi sembra anche una grazia che Padre Pio ha fatto a don Benedetto: la lettura dell’opera omnia del professore (si fa alla svelta: sono poche pagine) sta incoraggiando un’ampia rivalutazione del pensiero di Croce. Capire e misurare il mondo sono proprio due mestieri diversi.



All’università, quando il ’68 era un anno qualsiasi di là da venire, avevo come professore di logica matematica Ettore Casari. Un genio. Di notte andava a studiare all’osservatorio astronomico di Brera, di mattina studiava a casa sua, di pomeriggio veniva a fare lezione a noi, cinque o sei ragazzi. Nell’auletta, mentre spiegava e riempiva la lavagna di formule, aleggiava la sua ansia, la tensione, la volontà di ricerca dell’incontrovertibilità: da un momento all’altro ci aspettavamo che si sprigionasse dalla sua testa il grande teorema, il «teorema Casari». Poi era lui il primo a sorriderci sopra e a tranquillizzare noi ragazzotti spaventati dalla sua intelligenza. Con un teorema misuri il frammento di una realtà incommensurabile che, per provare a comprenderla, si può solo interpretare all’infinito.



Talvolta, però, è accaduto che sulla terra ci siano stati geni come Aristotele, Leibniz, Pascal che sono riusciti a misurare il mondo e a capirlo. Erano filosofi e matematici e hanno provato a raccontarci il significato della vita nel tempo finito e quella che, forse, ci attende quando il tempo si cancella nell’eternità.



Questo mondo ha conosciuto altri, un po’ meno grandi: Voltaire, Diderot, per esempio. Ce l’avevano con chi credeva nell’esistenza di Dio. Le loro riflessioni era profonde, argute, ironiche: irritavano altri filosofi e fedeli. Però i loro libri erano letti e discussi con passione, perché innanzitutto sapevano scrivere bene e non prendevano in giro il lettore, liquidando un problema millenario di tutte le civiltà della terra con quattro banalità, per di più sgrammaticate.



Stefano Zecchi

IL GIORNALE

6 settembre 2008

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
tutto di Dio
Trovi utile questa opinione? 
26
Segnala questa recensione ad un moderatore
Religione e spiritualità
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    05 Settembre, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Storia dell'Uomo

Posseggo la XVII edizione del 1957 di questa opera di Giovanni Papini, un libro che non ha perso la sua grandezza e che riletto a distanza di tanto tempo conserva tutto intatto il suo spessore letterario. Vallecchi riporta in libreria il libro più tradotto del primo Novecento italiano.

Uno dei «libri più entusiasmanti» che siano mai stati scritti sulla figura del Cristo: così ha di recente sottolineato Papa Benedetto XVI, nel suo Gesù di Nazareth. Pubblicato per la prima volta nel 1921 e più volte ristampato fino all’ottava edizione del 1985, “Storia di Cristo”, in libreria dal 29 novembre (Vallecchi, pp. 448; 20 Euro ), considerato il “libro della redenzione” dello scrittore più irriverente del Novecento italiano, ha avuto sin dall’inizio un successo planetario, tanto da essere tradotto in venticinque lingue, tra cui cinese, giapponese, l’arabo e perfino l’esperanto.

Scriveva Papini nella nota al lettore: «Cristo è sempre vivo in noi. C’è ancora chi l’ama e chi l’odia». Nel 1921 l’atto di fede del miscredente Papini giunse inatteso e sorprendente. Come fa notare il Cardinale Ennio Antonelli (nella Presentazione) “E’ impressionante constatare come il grido verso l’Assoluto attraversi la letteratura del ventesimo secolo, anche l’opera di molti autori che a prima vista potrebbero essere catalogati come atei e agnostici. Giovanni Papini, già nella fase della sua ribellione, implicitamente invocava Dio, con tutta la veemenza del suo carattere. La sua ostilità già portava il segno di un’insopprimibile nostalgia. Non si comprende questa “Storia di Cristo” se non si tiene presente che la ricerca dell’autore prende avvio dall’humus culturale di uno scetticismo che, pur brancolando nel buio, non può fare a meno di sentire il richiamo dell’Assoluto”.

Rileggere oggi la prosa di Papini è stato per me un riscoprire non tanto e non solo il valore di una scrittura che cerca di dar forma a contenuti ultraterreni nella figura del Figlio di Dio, quanto anche un ritrovare una forma linguistica nella quale il grande scrittore si cimenta nello stile dei grandi fiorentini della storia.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
tutto di Cristo
Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
Arte e Spettacolo
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    03 Settembre, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Galeotto il libro...

"I capitoli di questo libro nascono come saggi e interventi scritti in occasione di convegni, dispersi in pubblicazioni di difficile reperimento, ma uniti da una stessa linea di ricerca, che tenteremo qui di indicare.

Cominciamo dal titolo che abbiamo scelto. Il "testo galeotto" rinvia ai versi dell'Inferno che nel quinto canto descrivono l'incontro di Dante con Paolo e Francesca, rei di essersi abbandonati a un amore proibito. È stato proprio un libro, o meglio la sua lettura, a "tradirli", un libro che a sua volta racconta di un altro celebre amore, quello di Lancillotto per Ginevra:

Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fiate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante.


La lettura, dunque, emerge da questi bellissimi versi come una pratica efficace, in grado cioè di indurre dei cambiamenti, in questo caso decisivi, nei soggetti che vi si dedicano e abbandonano. Tanto più se ciò che si legge tocca, riguarda aspetti profondi del modo di essere e di sentire: l'amore rappresentato si impone con forza oltre i limiti del testo che lo inscena, emoziona i suoi lettori al punto da rivivere malgrado e attraverso di loro..."

Dalla presentazione del libro

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
i libri sulla lettura
Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
Economia e finanza
 
Voto medio 
 
3.8
Stile 
 
3.0
Contenuti 
 
4.0
Approfondimento 
 
4.0
Piacevolezza 
 
4.0
galloway Opinione inserita da galloway    02 Settembre, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Lavorare stanca

La presentazione editoriale di questo libro non fa giustizia alle autrici del libro e alle loro idee sul lavoro per diverse ragioni: innanzitutto il titolo è sbagliato. In inglese è “Why Work Sucks and How to Fix It”. Sarebbe stato meglio tradurre “Perchè lavorare stanca. Organizziamoci meglio”. Il titolo scelto, come anche il testo descrittivo, è fuorviante anche se credo che ben si adatti alla realtà sociale del nostro modo di lavorare, quello italiano, intendo!. Qui da noi non abbiamo il culto, in senso tradizionale, del lavoro come ce l’hanno gli anglosassoni ed in particolare gli americani.



E’ vero che la Costituzione Italiana recita in primis che la nostra è una Repubblica fondata sul lavoro, ma tutti i suoi concittadini sono pronti a giurare su due piedi che il lavoro che fanno, o sono costretti a fare, “fa schifo!”. Le autrici del libro hanno avuto in mente ben altri obiettivi scrivendo questo libro.



Hanno innanzitutto fondato uno slogan, ROWE, che è l’acronimo di “Results-Only Work Environment” – “Un ambiente di lavoro in cui contano solo i risultati”, il cui scopo è appunto quello di aumentare la produttività sul posto di lavoro impiegando dieci semplici regole indirizzate sia ai datori di lavoro che ai lavoratori.



Eccole in breve:



1. L’impiego della tecnologia sul posto di lavoro deve servire ad aumentare la libertà del lavoratore e non la sua reperibilità



2. La gente che lavora deve decidere lei come usare il cellulare e tutti gli altri strumenti coi quali eventualmente esercita il suo lavoro.



3. L’uso del telefono e delle teleconferenze deve essere la norma e non l’eccezione.



4. Eliminare il cartellino di lavoro.



5. Smettere di chiedere alle persone dove sono e cosa stanno facendo.



6. Essere sempre reperibili al cellulare o ad ogni altro mezzo usato per comunicare.



7. Adottare una gerarchia nella scelta dei modi e dei sistemi di contatto per lavoro negli strumenti informatici.



8. Ridurre le riunioni allo stretto necessario.



9. Utilizzare al minimo la calendarizzazione degli impegni di lavoro.



10. Adottare il corretto modo per comunicare con gli altri trattando gli interlocutori come se fossero degli stranieri immedesimandosi nella loro cultura.



Si comprende che le autrici rivolgono il loro interesse agli ambienti di lavoro dove l’uso della moderna tecnologia è comune in tutte le sue forme, a partire dal PC per finire agli ultimi iPhone etc.



Non ho avuto modo di leggere il libro in italiano. L’ho letto in inglese e così come è strutturato non mi meraviglia il successo che ha avuto negli USA. Dubito che possa essere lo stesso qui in Europa, per non dire poi dell’Italia.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
tutto sul lavoro
Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
Politica e attualità
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    30 Agosto, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Le isole del merito

Merito, giustizia ed eguaglianza. Tre concetti, tre idee, tre visioni del mondo e del proprio io che in questo Paese hanno la forma e la consistenza di "isole" mentali e sociali intoccabili, spesso irraggiungibili, sulle quali è difficile sbarcare. Un sogno bellissimo viverci, per molti invece isole della memoria, cittadini che si sentono naufraghi in un mare costantemente procelloso e pericoloso da navigare. Questo libro propone speranze, enuncia progetti, vara scialuppe per approdare a quelle isole che restano isole di sogno, di evasione e di arrembaggi.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
tutto del Paese Italia
Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
Scienze umane
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    28 Agosto, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

A sud del mondo

Tutta l’infinita umanità

di Rossano Astremo



Stefano Liberti, giornalista del Manifesto, da anni segue gli aspetti meno conosciuti dei movimenti migratori dall’Africa verso l’Europa. “A sud di Lampedusa”, il reportage narrativo da poco pubblicato da minimum fax, è il resoconto di un lavoro giornalistico durati cinque anni, un lasso di tempo in cui ha incontrato “migranti che preferiscono chiamarsi avventurieri, politici africani sudditi dei diktat europei, indiani bloccati in mezzo al deserto e piccole città sorte dal nulla”.



Stefano, come è nata questa “ossessione”, come da te definita in apertura del libro, che ti ha spinto a compiere cinque anni di viaggi sulle rotte dei migranti?



L’ossessione è nata dall’esigenza di capire le regioni che muovevano e muovono i giovani africani a sobbarcarsi viaggi spesso sfiancanti e lunghissimi per arrivare in Europa. Nel corso dei miei viaggi ho avuto modo di rivedere molte delle certezze che avevo e molti delle proiezioni che mi ero fatto. In particolare, sono entrato in contatto con un’umanità particolare, combattiva, tenace e per niente ingenua. I migranti africani sono il ceto medio del continente. Non sono gli ultimi o i dannati della terra, come si crede da noi. Sono per lo più giovani istruiti, che partono perché non trovano nei propri paesi di origine sbocchi professionali adeguati alla propria formazione.



Da Tangeri a Lampedusa, passando per Senegal, Niger, Mauritania, Algeria e Turchia. In questi anni hai incontrato centinaia di persone, ciascuna con la sua storia da raccontare. Qual è quella che ricordi con maggiore forza?



Non parlerei di un’unica storia. Nel corso dei viaggi, ho incontrato centinaia di persone, ognuna con il proprio bagaglio di esperienze, con la propria vitalità, con i propri sogni nel cassetto. Molte persone le ho incontrate più di una volta, anche in posti molto distanti. Con alcuni ho stabilito un rapporto di amicizia. Ho mantenuto i contatti. Di molti altri ho perso le tracce. Certo è che nei vari snodi migratori dove sono stato sono entrato in contatto con un’umanità per così dire in transito, che ha sviluppato un proprio linguaggio, un proprio codice comportamentale. In un certo modo, possiamo dire che si è venuta a creare una meta-comunità di viaggiatori, con regole precise e ben definite.



Più volte nel corso del libro ti interroghi sulla liceità del tuo lavoro di giornalista (”Riflettei su quanto la linfa del mio mestiere fosse trovare gente disperata, il più disperata possibile; su quanto per me sarebbe stato disastroso se gli immigrati avessero ricevuto degna accoglienza, perché il mio racconto sarebbe stato più debole”). Ci puoi spiegare meglio questo tuo punto di vista?



Il giornalista è sempre a caccia di notizie. Vive delle disgrazie e delle miserie altrui. Il problema è che quando entri in contatto con una realtà e ti avvicina ad essa in modo eccessivo, sviluppi un’empatia che ti porta a interrogarti sul senso del tuo lavoro. Questo è quanto mi accaduto in varie fasi di questi miei viaggi. Io non credo che il giornalista debba essere freddo e cinico; deve vivere le cose che osserva; entrare in contatto con le persone e le vicende che racconta. Ma al contempo deve riuscire a mantenere una “giusta distanza”. Quando si avvicina troppo, rischia di rimanere immobilizzato. Questo è il rischio che ho corso. Io alla fine ho continuato il mio viaggio – e il mio racconto – solo perché ho creduto che il raccontare le storie di quelle persone potesse aiutarle. Potesse restituire loro una dignità, un’umanità. Ma non so se sono riuscito nell’intento, o se invece mi sono cullato in un’illusione.



Durante la prima presentazione romana del libro hai insistito sull’importanza che, nella realizzazione di “A sud di Lampedusa” ha avuto il tuo editor Christian Raimo. Puoi dirci come si è svolto il lavoro e come Christian è intervenuto?



Christian ha seguito passo passo la stesura del libro. Ha letto e riletto ogni capitolo, invitandomi ad approfondire alcuni argomenti, ma soprattutto a mostrare una maggiore partecipazione al racconto. Per chi, come me, è abituato a scrivere in un giornale, non è facile usare l’io e partecipare in modo attivo alla propria narrazione. Il giornalista, per definizione, deve essere un osservatore, deve rimanere dietro le quinte. Ma nel momento in cui il giornalista si confronta con la dimensione libro, deve ovviamente smettere questi panni ed essere più presente a se stesso. Non è un caso che in questo libro, come si diceva anche prima, io mi interroghi a più riprese sul ruolo del giornalista.



Come giudichi le prime misure prese dal nuovo Governo sul fenomeno immigrazione. Quali potranno essere gli scenari futuri in Italia e quali, a tuo modo di vedere, le necessarie modifiche al presente sistema legislativo?



Le prime misure prese o annunciate dal governo mi sembrano molto demagogiche. Il nuovo esecutivo mira a creare un sistema di deterrenza per l’immigrazione irregolare attraverso il rafforzamento degli strumenti repressivi e coercitivi. Credo che queste misure non siano né economicamente né socialmente sostenibili. Poco ci si interroga a mio avviso su una realtà evidente e correlata a quella che viene definita “immigrazione clandestina”: in Italia esiste immigrazione irregolare perché c’è un vasto settore di lavoro informale in cui chi non è in regola può immettersi. Interi settori dell’economia italiana sono basati su questo assunto. A mio avviso, bisognerebbe combattere il lavoro nero più che l’immigrazione irregolare.



http://vertigine.wordpress.com/2008/05/31/ stefano-liberti-a-sud-di-lampedusa-intervista/

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
tutto sui migranti
Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
Politica e attualità
 
Voto medio 
 
4.6
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
4.0
Approfondimento 
 
4.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    28 Agosto, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Senza scuorno

Molte sono le espressioni in lingua napoletana contenenti la parola che dà il titolo a questo libro. La vergogna: "che scuorno", "senza scuorno", "nun tiene scuorno" e via scornando. Del resto la vergogna è un sentimento proprio degli uomini, sotto tutte le latitudini, legata com'è all'intimità del corpo e della mente, del pubblico e del privato, del singolo e della collettività. Ed ogni popolo riduce il senso della vergogna ad un certo suo posizionamento nel sociale, nella storia di appartenenza, nel contesto in cui si trova a vivere. Da questo posizionamento l’individuo procede ai necessari aggiustamenti, giorno per giorno, generazione per generazione. Un sentimento personale che diventa quindi collettivo e che nel personale è destinato a ritornare. In questo continuo trasferirsi, transitare avviene una sorta di transustanzione, che è cambiamento e adattamento, consapevolezza e apparenza, gioco e sfida, memoria e tradimento.



Insomma, mentre la vergogna, altrove, trova nel contesto della società, nelle istituzioni, nelle leggi, la sua giusta collocazione ed il corretto freno, a Napoli, la vergogna diventa “scuorno” pubblico, una sceneggiata, uno spettacolo, folklore e malinconia, gioco e dannazione, genio e sregolatezza. Alla considerazione “nun te miette scuorno?” si risponde con un plateale “me ne fotto”. Mi viene in mente a questo proposito di come reagì, anni fa, un buon napoletano, alla notizia che alcuni scienziati avevano avanzato delle perplessità scientifiche sulla verità del sangue di San Gennaro che si scioglie ogni anno, da secoli. Sulle mura della città apparve la scritta, diventata poi famosa, “San Gennà, futtitenne!”.



E’ a questo punto che il mistero diventa spettacolo, la vergogna diventa sfida. Una sfida a tutto: al mistero, alla scienza, alle leggi, alle istituzioni, alle regole. Tutto perchè la scienza è opinabile, le leggi ingiuste, le istituzioni non credibili, le regole inaccettabili. E allora, la vergogna è l’unico modo, sistema, quasi un “escamotage” per sfuggire alle proprie responsabilità sia singole che individuali. Meglio avere vergogna e fottersene, tanto la colpa è di tutti e di nessuno. Meglio non osservare la legge, si fa prima a buttare la spazzatura tutta insieme perchè non mi danno le buste giuste, i bidoni. Tanto mettono tutto insieme dopo, e tutto finisce senza vergogna e senza differenziata.



Indifferentemente. Tanto non c’è niente da fare. Le cose devono andare così. Che schifo! Nun tengono scuorno... Ecco, quindi, come Napoli è finita sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. E diventa anche letteratura in forma di antropologia, sociologia, cronaca, geografia, ecologia e via dicendo. Niente di nuovo sotto il sole, a dire il vero. Basta scorrere la sterminata letteratura sul “grand tour” esistente su Napoli e sul mito del sud per capire che niente è mutato. Napoli resta un “paradiso popolato da diavoli”.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
tutto su Napoli
Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
Racconti
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    23 Agosto, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

L' isola che perse le lettere dell' alfabeto

Satira Giochi linguistici nel romanzo di Mark Dunn, «parodia orwelliana» di ogni forma di autoritarismo.

L' isola che perse le lettere dell' alfabeto (e insieme la libertà)


Un' isola di 164 chilometri quadrati al largo della città di Charleston, nella Carolina del Sud, che ha innalzato la lingua a forma d' arte nazionale, relegando la tecnologia moderna allo status di flagello. In questo Stato indipendente che porta il nome di Nollopoli, si onora l' illustre cittadino Nevin Nollop, autore del verso «Fu questa volpe a ghermir d' un balzo il cane» la cui particolarità consiste nell' essere un pangramma, vale a dire composto utilizzando tutte le lettere dell' alfabeto (un altro esempio può essere «Che buffo romanzetto pien d' eloquio stravagante»).

Su questa struttura narrativa l' americano Mark Dunn imbastisce, con uno straordinario gusto per il gioco linguistico, un romanzo epistolare in lipogrammi progressivi. Il libro però non è solo un gioco per amanti dell' enigmistica, ma una storia compiuta che ha più livelli di lettura. Il verso di Nollop è inciso sulle piastrelle del cenotafio che si trova al centro del mercato. Quando una di queste piastrelle cade, precisamente quella che reca la lettera Z (nella parola balzo), il Gran consiglio dell' isola, attraverso il decano Gordon Buontrombone, lungi dal considerarla una caduta dovuta alla semplice casualità o all' inefficacia, dopo trent' anni, della colla, convoca una riunione straordinaria per decidere che cosa significhi l' evento. Il verdetto è che il fondatore della città ha voluto, con questo segnale ultraterreno, indicare lo sradicamento assoluto della lettera Z dal vocabolario della comunità. Per i trasgressori sono previste pene che vanno dalla pubblica invettiva alla frusta (o gogna a scelta del condannato), fino all' esilio dalla città, mentre il rifiuto di lasciare il Paese sarà punito con la morte.

A Nollopoli non si potrà più zompare, schizzare o zigzagare, non si potrà dire zia (in sostituzione verrà ripristinato il termine obsoleto barbana), né ringraziare, a meno che non si ricorra alla formula «molto obbligato», il color carta da zucchero diventa un più spento carta da saccaride, mentre Zaccaria dovrà usare il suo secondo nome Isaac. Dunn racconta la storia in forma epistolare (telefoni e posta elettronica sono pressoché sconosciuti su quest' isola dove il tempo si è fermato), soprattutto (ma non solo) attraverso le lettere che una giovane di Nollopoli, Ella, scrive alla cugina sulla terraferma, Tassie. Le due ragazze commentano (disapprovandolo come possono) l' assurdo editto che diventa via via sempre più restrittivo, anche perché dopo la Z cade la Q e poi l' H, la B, la F, la A costringendo gli abitanti ad acrobazie lessicali sempre più spericolate, rendendo, infine, impossibile ogni comunicazione e l' esilio forzato di gran parte degli abitanti. I protagonisti si impegnano fino allo stremo per trovare la frase perfetta, il pangramma che salvi loro e la libertà (per la cronaca sarà: «Voglio questi fiaschi di bronzo in tempo»).

Il talento di Dunn (e anche quello di Daniele Petruccioli, che ha tradotto e curato il testo in italiano) consiste proprio nell' usare sempre meno parole, trovando sinonimi, perifrasi, locuzioni che danno al testo un gusto tra il retrò, lo sperimentale, lo stile giovanilistico da sms. Così, per esempio, la madre di Tassie scrive alla figlia: «Sono stata colta in errore proprio retro casa, presso il pescimerciolo col carretto sul molo, mentre compravo piccoli crostacei, i cari retrocamminatori il cui nome è ormai vietato...».

Ma si incontrano anche espressioni così: «kome kawolo wi kiamate». Il libro però non è solo una gustoso tour de force tra i giochi linguistici, ma anche un vero e proprio apologo sulla libertà di parola e contro ogni forma di censura tanto che alcuni critici americani l' hanno definito una versione soft della Fattoria degli animali di George Orwell.

La ribellione a un potere autoritario ingiusto e non rappresentativo va di pari passo con l' amore che la giovane protagonista Ella scopre man mano che le sue possibilità di parlare diminuiscono costringendola a inventare anche un nuovo alfabeto dei sentimenti.

Unica pecca del romanzo è la scarsa caratterizzazione dei personaggi: Dunn si concentra soprattutto sull' uso delle parole e, in questo mondo, gli sfuggono le psicologie, rendendo, di fatto, i personaggi, tutti un po' simili tra loro. *** MARK DUNN Lettere. Una fiaba epistolare in lipogrammi progressivi VOLAND PP. 234, 14 * * *

L' autore Mark Dunn, nato a Memphis (Tennessee) nel 1956, è scrittore e drammaturgo. Ha lavorato a lungo alla New York Public Library.

Attualmente vive in New Mexico I libri «Lettere» è il suo terzo romanzo, il primo tradotto in italiano

Taglietti Cristina

Pagina 40
(5 luglio 2008) - Corriere della Sera

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
Orwell
Trovi utile questa opinione? 
20
Segnala questa recensione ad un moderatore
Arte e Spettacolo
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    15 Agosto, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

L'arte del "vaffa"

Questo è un libro da non perdere assolutamente. Non è soltanto un libro di linguistica, è anche un testo di antropologia sociale, un manuale per la sopravvivenza, una guida al vivere, insomma un riferimento lessicale da tenere sulla scrivania, sul comodino, in tasca sempre pronto alla consultazione ed all'uso. Tante sono, infatti, le occasioni in cui ne possiamo avere bisogno per difenderci o attaccare negli assalti e nelle scorribande in territori abitualmente frequentati al giorno d'oggi. E questi ultimi sono tanti: la politica, il giornalismo, la televisione, lo sport, la religione, la cultura. E allora centinaia sono i lemmi, le parole, come migliaia sono le situazioni in cui gli stessi o le stesse si incontrano e ritrovano, si attraggono e si respingono, si accendono e si spengono. La condizione umana è una lotta continua, inarrestabile, inevitabile ed abbisogna di essere perennemente alimentata dalle parole che scorrono a fiumi dalla bocca degli uomini (e delle donne!) senza distinzione, appunto, di sesso, cultura, nazione, razza e religione.


Le voci del dizionario sono organizzate in ordine alfabetico, da abbaiatore a zuzzerellone. Ognuna è stata definita nel suo preciso significato, fornendo anche eventuali sinonimi e rimandi a voci affini. Si è inoltre fornita l'etimologia là dove si è ritenuto necessario: per spiegare l'origine formale della parole (quando non ovvia), oppure per chiarire il passaggio dal significato proprio a quello ingiurioso o nei non pochi casi in cui la parola presentava una storia curiosa. Talvolta la voce è strutturata in più paragrafi (segnalati dalla numerazione progressiva) o in sottoparagrafi (indicati da un trattino): nel caso in cui essa assume più significati, talvolta piuttosto differenziati.



Ogni accezione è seguita da esempi d'uso (per un totale di circa 8000), che ne documentano l'attestazione, il contesto di utilizzo e il registro. Le attestazioni provengono da fonti diverse: per lo più si tratta di testi letterari che coprono tutto l'arco cronologico della letteratura italiana (e l'ampio numero dei titoli citati è documentato nella bibliografia finale), ma sono presenti anche esempi tratti dal linguaggio giornalistico, da testi musicali e da Internet (in particolare dal linguaggio dei forum e dei blog, che si caratterizza per una spiccata informalità e per un'accentuato uso del linguaggio basso e del vituperio senza freni).



La forte presenza di esempi letterari è la dimostrazione di come l'insulto e la maldicenza siano atti linguistici appartenenti ad una tradizione forte e consolidata nella lingua e non soltanto espressioni della trivialità del parlato. Molti scrittori hanno utilizzato questo materiale linguistico per farlo diventare alta espressione artistica. In ambito europeo sono da citare almeno due virtuosi dell'ingiuria come Rabelais e Shakespeare. Ci sono molti luoghi del Gargantua e Pantagruele in cui fioccano insulti a raffica, secondo la consueta frenesia elencatoria dell'autore, ma almeno due sono da ricordare per la loro alta efficacia espressiva e per il gran numero di termini utilizzati.



Nel capitolo XXV del Gargantua c'è il famoso incontro tra i focacceri di Lerné e gli abitanti del paese di Gargantua. Questi ultimi chiedono di poter acquistare un po' dei loro gustosi prodotti, ma i focacceri rispondono con una sequela di insulti da antologia, "chiamandoli cafoni, senza-denti, pellirossa, ubriaconi, cagaletto, furfanti, lime sorde, fannulloni, buzzoni, mirabolani, buonianiente, zoticoni, rompipalle, scrocconi, accattabrighe, mugherini, buffoni, tangheri, bighelloni, allocchi, balordi, merendoni, gabbadei, sbruffoni, guardiani di stronzi, pastori di merda, e altri epiteti diffamatori."



Questo elenco che offre un'ampia casistica verbale allusiva a buona parte degli ambiti privilegiati dell'offesa fa il paio con l'iscrizione posta sulla porta principale dell'Abbazia di Thélème, il luogo dell'utopia fatto costruire da Gargantua, da cui erano escluse tutte le categorie umane che potessero contaminare quell'ambiente dedicato alla felicità, alla giustizia e alla serenità del vivere: "Qui non entrare, ipocriti e bigotti, / vecchie bertucce, tangheri, marpioni, / bachechi, collitorti, mangiamoccoli, / qui non entrate puttanieri in zoccoli, / straccioni incappucciati, schiodacristi, / bindoli, gabbasanti, spigolistri, / picchiapetti, scrocconi, / cattabrighe e stronfioni. / [...] / Qui non entrate, famelici curiali, / che i buoni parrocchiani / mettete alla catena come cani: / dottorelli, scrivani, / togati faccendieri, / succhiasangue del popolo, officiali, / [...] / pitocchi e avari, / usurai, leccapiatti, mangiagatti, / taccagni, lesinai..."



Un'altra sequela di ingiurie d'autore è quella rivolta, nel Re Lear, dal conte di Kent al siniscalco Oswald: "Ti conosco per un furfante, una canaglia, un leccapiatti; per un volgare, orgoglioso, stupido, miserabile ribaldo, con tre mute di panni, cento sterline e sudicissime calze di lana; per uno dal fegato sbiancato, e che ricorre al tribunale per un nonnulla, evitando così di battersi, per un figlio di malafemmina, che passa le ore davanti allo specchio a rimirar se stesso, servile e ruffianesco; ti conosco per un manigoldo schizzinoso, per l'erede d'un baule di stracci, per uno che al fin d'aversi il benservito non esiterebbe a farsi ruffiano, e che non è altro se non un composto d'una canaglia, d'uno straccione, d'un vigliacco, d'un tenutario di lupanare e d'un figlio ed erede d'una cagna bastarda."

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
tutto sulle ingiurie
Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
Storia e biografie
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    15 Agosto, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

"Dell'Amicizia"

Il sette agosto 1582 il trentenne Matteo Ricci sbarcava dal galeone portoghese che in due mesi di viaggio lo aveva trasportato da Goa a Macao, passando per Malacca. Chiamato dal Visitatore delle missioni gesuitiche d'Oriente Alessandro Valignano, veniva ad aiutare il confratello Michele Ruggeri, che già da tre anni si misurava con la lingua e i classici cinesi, tentando a più riprese di entrare nel misterioso Paese, fino a quel momento impenetrabile a ogni straniero. Ricci aveva trascorso quasi quattro anni in India, dove aveva studiato teologia ed era stato ordinato sacerdote. Nell'aprile del 1578 si era imbarcato a Lisbona, dopo aver soggiornato sei mesi nel collegio di Coimbra, studiando la lingua portoghese. A Roma era stato quasi nove anni: aveva frequentato dapprima la facoltà di diritto alla Sapienza; quindi, entrato nell'Ordine dei gesuiti e finito il noviziato, aveva ricevuto la migliore educazione umanistica e scientifica al Collegio Romano.



Questo libro mi ricorda delle ore trascorse a studiare in quelle stanze della biblioteca a lui intitolata dell'Istituto Universitatio Orientale di Napoli. Un viaggio nel tempo ed attraverso le sue dimensioni.



Io, Matteo, venuto per mare dal grande Occidente, entrai in Cina ammirando le nobili virtù del Figlio del Cielo dei grandi Ming e gli insegnamenti tramandati dagli antichi re. Dimorai al di là del Monte dei Susini per diverse mutazioni di astri e di nevi.



Quest'anno, in primavera, valicando il monte e navigando per fiumi, arrivai a Jinling, dove, con mia grande gioia, ho ammirato la luce del nobile regno, pensando che forse non avevo fatto questo viaggio invano. Prima ancora di finire il lungo viaggio, remando indietro, mi recai a Nanchang e fermai la barca a Nanpu. Qui alzai gli occhi verso la montagna dell'ovest, apprezzai il paesaggio di singolare bellezza e pensai che in questa terra erano certamente ritirate persone nobili: non riuscendo a distaccarmi, lasciai la barca e presi una casa.



Perciò sono andato a vedere il principe di Jian'an, il quale non mi ha disprezzato, mi ha permesso di fargli il grande inchino, mi ha fatto sedere al posto dell'ospite, mi ha offerto del vino dolce e mi ha fatto gran festa.



[Terminato il banchetto], il principe ha lasciato il suo posto, è venuto da me e, tenendomi le mani, mi ha detto: "quando uomini nobili di grande virtù si degnano di passare nella mia terra, non c'è una volta che non li inviti, li tratti come amici e li onori. Il grande Occidente è il paese della moralità e della giustizia: vorrei sentire ciò che in esso si pensa dell'amicizia".



Io, Matteo, mi ritirai con ossequio, scrissi quello che avevo udito sin da fanciullo, composi un opuscolo sull'amicizia e lo presentai con rispetto...

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
tutto sulla Cina
Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
Politica e attualità
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    14 Agosto, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Il fascino del Principe

Ci sono scrittori che sono diventati famosi non solo per i libri che hanno scritto e per il numero di lettori che riescono a mantenere col passare del tempo, ma anche per l’attualità che riescono a mantenere con la loro scrittura, con i simboli e con i valori attribuibili non solo alla loro arte ma anche al ruolo ed alla funzione che hanno avuto durante la loro vita. La continuità che scaturisce dalle loro opere, continua ad essere rilevante ed essenziale li fa diventare dei veri e propri personaggi. E’ il caso di Niccolò Machiavelli, uno scrittore di cui si parla sempre non solo in quanto tale, per le sue opere, bensì anche e soprattutto per la sua vita, le sue idee politiche, la sua persistenza letteraria che sfida il tempo e ne fa un personaggio che emana un “fascino principesco”.

Su uno degli ultimi numeri del settimanale inglese “The Times Literary Suplement” è apparso un lungo saggio con la recensione di un esperto di storia e cultura del rinascimento italiani, Lauro Martines, di ben sette libri sul grande scrittore fiorentino. Due nuove traduzioni del “Principe” in inglese, la traduzione sempre in inglese della “Vita di Castruccio Castracani”, un saggio sul “Principe”, e due biografie del Machiavelli. Ma chi era veramente Niccolò Machiavelli?

N. M. apparve sulla scena del mondo poco prima del 1500 in un momento di crisi crescente in Italia e nella sua nativa Firenze. Gli Sforza a Milano stavano per cadere. Venezia era instabile e perseguiva una politica dello sfascio. Roma e la Chiesa erano sotto il governo di Papa Alessandro VI, il suo nome vero era Rodrigo Borgia già abbastanza noto per la sua sfrontata corruzione. Firenze, dopo la cacciata dei Medici nel 1494 e a seguito della perdita della sua maggiore colonia, il porto di Pisa, faceva di tutto per sopravvivere come Repubblica. Su e giù per la penisola, da Napoli alle Alpi, governanti e governati si sentivano minacciati.

Lo shock degli eventi in atto si registra anche nelle idee che Machiavelli esprime. Gli scrittori e gli intellettuali del tempo stavano soffiando sul fuoco di cambiamenti circa l’antica idea di “fortuna”, una forza capace di creare e abbattere gli stati, i popoli, le città e gli individui. Il concetto era una testimonianza del fatto che la capacità di governare la propria esistenza era sfuggita dalle mani degli Italiani. La politica e la storia improvvisamente li colpì facendoli come cadere in uno stato di sonnolenza, preda di forze irrazionali. Gli onesti ed i buoni erano in grave pericolo. Lo stesso Machiavelli dava grande importanza all’impatto della “fortuna” nella vita dei popoli, non soltanto nel “Principe”, ma anche nei “Discorsi su Livio”, nei suoi versi e in tutti gli altri scritti.

Machiavelli si fa conoscere all’inizio come l’autore di due poesie sull’amore composte intorno all’anno 1492, forse in onore di Giuliano de’ Medici, uno dei figli di Lorenzo il Magnifico. Queste composizioni fanno capire il tipo di istruzione che aveva avuto, un cultura impregnata di latino e di classici, anche se aveva studiato nozioni rudimentali di commercio e contabilità. Per un giovane ambizioso di fare carriera nella Firenze rinascimentale, ciò che contava veramente era lo studio dei classici, specialmente quelli romani, i quali aprivano la strada alla carriera legale, alla politica e spalancavano le porte anche della Chiesa.

Figlio di un poco noto avvocato che si dilettava coi classici, Niccolò nacque da una antica famiglia fiorentina, ma è molto probabile che le sue origini fossero illegittime, in quanto i suoi congiunti non erano qualificati ad essere eletti in cariche pubbliche. Questa condizione era un handicap sia dal punto di vista sociale che economico. Senza avere il diritto di accesso alle cariche pubbliche della città, non si poteva essere cittadini politici a pieno titolo. Si era destinati ad avere un rango inferiore, si correvano forti rischi in un giudizio in tribunale, le porte erano chiuse per fare un matrimoni di prestigio, anche perché tutti i matrimoni di un certo prestigio erano oggetto di attente contrattazioni. Machiavelli non riuscì mai ad affrancarsi da questa condizione inferiore originaria e le conseguenze si sarebbero avvertite nel suo acceso repubblicanesimo, soprattutto nella ironica, comica ed amara visione delle cose del mondo che egli avrebbe sempre portato con sé.

Suo padre, più che col suo lavoro di legale, sostentava la famiglia con i proventi che gli venivano da una piccola proprietà terriera. Niccolò, anche per questa ragione, venne istruito privatamente, si ritenne sempre povero e di modesta condizione sociale. Se si leggono i “Ricordi” di suo padre, una specie di diario domestico, si può dire che egli sia cresciuto in un ambiente familiare impregnato di scetticismo. Infatti egli omette sistematicamente ogni riferimento religioso in occasioni in cui la religione aveva un suo ruolo, com’è il caso di nascite, matrimoni e decessi. Una certa sfiducia nei preti aleggia in quelle memorie di famiglia. Anche Firenze, come Bologna, era una delle città più ferocemente anticlericali, una città nella quale l’eminente politico Gino Capponi ammoniva i suoi figli a non mettersi con i preti perché essi “sono la schiuma della terra”.

Il contemporaneo di Machiavelli, il frate domenicano Savonarola, una volta così si espresse in un sermone rivolto ai suoi concittadini: “Volete fare del male a vostro figlio? Fatelo diventare prete!” Lorenzo il Magnifico nel 1480, mentre stava acquistando un cappello per suo figlio tredicenne Giovanni, disse che Roma e il suo clero erano come un pozzo nero. Non è difficile, allora, capire perché Niccolò Machiavelli e molti suoi concittadini guardavano alla Chiesa ed alla religione con un occhio a dir poco distaccato e critico.

Poco si sa, comunque, dei primi anni di vita di Niccolò, almeno fino al 1498 allorquando all’età di 29 anni viene nominato vice cancelliere della città, con un lauto stipendio. Questa carica includeva anche quella di primo segretario dei “Dieci di balìa”, il corpo di magistratura dai poteri dittatoriali che reggeva la città in momenti gravi e a tempo determinato. Questi incarichi gli diedero una sicurezza economica e gli venivano unicamente dalle sue capacità culturali oltre che da legami con persone all’interno delle istituzioni. Poteva così essere in contatto giornaliero con i più importanti politici della città, uomini astuti, abili, che viaggiavano molto, tutta gente abbondantemente titolata dal punto di vista accademico ed in grado di manovrare le dolcezze e le brutalità della politica che avevano luogo nella penisola italiana.

I più abili di essi erano stati ambasciatori nelle principali corti d’Europa e Niccolò potè ricevere il migliore addestramento possibile dal punto di vista diplomatico, senza dimenticare la sua passione per la storia antica, principalmente quella romana. Il suo amore per la politica lo portò ad avere quel ruolo politico non senza avere prima ascoltato alcuni dei famosi sermoni che il rivoluzionario Savonarola usava tenere in città. Appena tre settimane prima che fosse nominato nel suo incarico il frate, infatti, era stato giustiziato ed egli scrisse in proposito una brillante analisi politica su di lui.

Per più di 14 anni, quindi, Machiavelli, e precisamente dal 1498 al 1512, fu intimo con chi deteneva il potere, scrivendo lettere, relazioni e rapporti, facendo domande, osservando dal vivo situazioni importanti. Dopo il 1502 fu assistente del Capo dello Stato di Firenze, il Gonfaloniere di Giustizia Piero Sederini, e fu l’artefice delle formazione di una nuova milizia cittadina. Ebbe incarichi di missione diplomatica presso varie ambasciate in Francia, Germania, Roma, incontrò il Re Luigi XII di Francia, l’Imperatore Massimiliano e il discutibile Cesare Borgia.

Tutto ciò finì nell’autunno del 1512 quando un colpo di stato fece cadere la Repubblica Fiorentina e provocò il ritorno dei Medici. Niccolò venne licenziato, imprigionato, torturato, perdonato ed esiliato nonostante la sua apparente innocenza. Costretto a non occuparsi di politica per la quale nutriva un grande amore, fece la cosa migliore che potesse fare in quelle condizioni: cominciò a scrivere di politica. Nel 1513 scrisse l’opera che gli doveva dare la fama, “Il Principe”, dando inizio poi alla stesura dei “Discorsi su Livio”.

“Il Principe” è un’opera che si caratterizza per una sorta di energia demoniaca, un’opera proteiforme nel senso che le opinioni dello scrittore sono variabili, mutevoli, modificabili, gettano le basi per il potere del principe ed allo stesso tempo cercano di demistificarlo. Machiavelli con grande abilità fa e disfa i suoi insegnamenti, andando a visitare il campo dei nemici del principe, che è quello dei repubblicani. Le copie del libro cominciarono a circolare nel 1516 con la dedica a Lorenzo dei Medici il giovane nella speranza di nascondere le sue simpatie repubblicane allo stesso tempo, più tardi, grazie alla doppiezza del contenuto del libro, poter sostenere di avere scritto il libro sotto le mentite spoglie di repubblicano. In effetti, desideroso di ritornare al governo, egli scrisse il libro prevedendo una possibile ricompensa col ritorno dei Medici.

Se il libro è stato giudicato immorale agli occhi dei suoi contemporanei, e per diversi anni ancora dopo, è stato perché Machiavelli dice pane al pane e vino al vino. Nelle vesti di studioso del comportamento politico, aveva avuto modo di verificare che l’uso della forza, “faceva” sempre la ragione, che gli stati perseguivano i loro interessi più spietati, che i papi praticavano con leggerezza la violenza, che una giusta causa poteva sempre essere trovata per giustificare la violenza come espediente per la soluzione dei problemi, che l’ambizione, la vigliaccheria, l’ingratitudine e l’ingordigia fiorivano alla meglio in politica. Mettendo da parte la morale convenzionale, Machiavelli prese il toro per le corna e decise di elencare una serie di precetti pratici, così come li vedeva lui, sui quali potessero basarsi i principi per avere successo in politica. Il suo terreno era la prassi, non la teoria astratta, ricavata dagli ideali.

Qualsiasi traduttore che si accinge a tradurre “Il Principe” si confronta con una grande difficoltà non solo per la natura scivolosa e anticonvenzionale dell’opera, ma anche perché Machiavelli fu uno scrittore davvero eccezionale, in quanto prendeva la sue parole ed i suoi punti di vista da una grande quantità di attività come dalla politica caricandoli con la conoscenza della storia romana e del mondo antico. Inoltre, egli sapeva come immettere la sua immaginazione letteraria e il suo acuto senso narrativo nella concezione della politica e della storia. Ciò significa che il libro esercita sempre un forte fascino su ogni traduttore, seducendo le sue ambizioni. La cosa strana, comunque, è che anche se la lettura del “Principe” nel suo contesto storico non aiuta a gettare luce sulla comprensione dell’opera, la stessa sarà sempre letta più con un occhio al mondo del lettore che a quello dei giorni in cui Machiavelli visse ed operò. Ciò significa che il contesto del lettore avrà la meglio su quello dell’autore. Il che fa capire e spiega perché “Il Principe” è un’opera sempre moderna ed attuale, anche alla luce dei cambiamenti del mondo e della politica dovuti al tempo ed agli uomini.

(Traduzione e adattamento da: “Princely charm”, by Lauro Martines, TLS, September 2005,

(a cura di galloway)

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
tutto sul Principe
Trovi utile questa opinione? 
30
Segnala questa recensione ad un moderatore
Arte e Spettacolo
 
Voto medio 
 
4.4
Stile 
 
4.0
Contenuti 
 
4.0
Approfondimento 
 
4.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    14 Agosto, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

A che serve leggere romanzi oggi?

Che senso ha leggere gli autori contemporanei? Quelli che parlano del presente, delle nostre vite, del mondo che abitiamo? Riescono a offrire un punto di vista alternativo a quello di una televisione satellitare con trecento canali? Quali modelli, costruzioni simboliche, mondi possibili immaginano che già non si trovino nella sconfinata rete di internet? In che modo intrattengono, fanno sognare e fantasticare diversamente dalla serie di videogiochi della Playstation, di un gioco di ruolo virtuale o di un programma di simulazione informatico? È ancora in grado il romanzo di descrivere, interpretare, codificare, formalizzare il cambio di paradigma attuato oggi dalle nuove tecnologie? Esiste ancora un'irriducibile specificità romanzesca o il romanzo è ormai destinato a disseminarsi nei flussi comunicativi, ad assumerne inesorabilmente le forme, a sciogliersi nel grande mix multimedia, ad avere una funzione meramente residuale? Esistono ancora esigenze simboliche, scissioni, vuoti nelle società attuali che solo il romanzo sa indagare o riempire?

Per scoprire se il romanzo può ancora svolgere una funzione essenziale e specifica nelle società tecnologicamente avanzate non si può non riflettere su quella che è stata la sua funzione sociale, almeno negli ultimi due secoli. Per verificare quali sono le sue potenzialità oggi non si può non indagare su quelle che sono state le influenze che storicamente ha avuto sull'immaginario collettivo. E per capire infine se va ormai considerato alla stregua di un reperto archeologico o ancora possiede un ruolo forte nelle network society non si può analizzarlo in astratto, come se il romanzo abbia vissuto e viva in un mondo tutto suo, autonomo e autoreferenziale.

Bisogna contestualizzare, scegliere un campo d'azione. Nel presente saggio questo luogo è la metropoli. Se ne poteva scegliere un altro ovviamente: la campagna, il viaggio, la psiche, la sessualità, il consumo. Ma credo che la metropoli sia quello spazio materiale e simbolico che riesca a comprenderli tutti; che possa funzionare sia come contesto spaziale sia come grande categoria concettuale che attraversa buona parte della narrativa degli ultimi due secoli. La metropoli d'altronde è stata la più grande sfida che il romanzo si e trovato ad affrontare. Una sfida che, nonostante tutto, ancora continua.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
i romanzi moderni
Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
Politica e attualità
 
Voto medio 
 
4.8
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
4.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    14 Agosto, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Gli scrittori e l'Età dell'oro

Questa faccenda degli aggettivi di “destra” e di “sinistra”, applicati alla vita, ci tormenta sin da quando veniamo al mondo, il mondo della politica, delle arti, della scienza, specialmente qui da noi in Italia. I due aggettivi si dichiarano e si contrappongono, si incontrano e si scontrano, si condannano e si assolvono, si ingannano e si evitano, non possono mai amarsi e odiarsi, intendersi e accettarsi, comprendersi e convivere.

Sin dai tempi di Cristo, c’era chi sedeva alla sua destra e chi alla sua sinistra, chi continua ad essere un figuro “sinistro” che non potrà mai sfilare insieme ad un “figuro” di destra, del quale rifiuterà sempre di accettare le idee, i gusti, le letture, i giornali, le posizioni e quant’altro sotto il cielo nel grande universo delle idee.

Anche nel campo della letteratura il dibattito è aperto e, a quanto sembra, di difficile soluzione. Ci ha provato di recente anche l’autorevole rivista letteraria inglese "Literary Review" che qui propongo alla lettura, con una chiosa personale finale.

"Tutto parte dalla domanda perché gran parte dell’arte, se non tutta l’arte, sia di Sinistra. Da questa considerazione è poi scaturita la domanda chi fossero gli scrittori di Destra. Mentre a quest’ultimo interrogativo si risponde facendo dei nomi a caso, come ad esempio Iris Murdoch, Evelyn Waugh e Anthony Powell, sullo scenario di lingua inglese, alla prima si risponde affermando che gran parte del “prodotto” artistico è di sinistra perché l’arte è protesta per antonomasia, per prima cosa e, poi, una critica della società in cui viviamo.

Ma le cose, secondo l’estensore dell’articolo, non sono poi così semplici come sembrano. Orwell, un uomo di sinistra, si chiese spesso nei suoi scritti, come mai tanti grandi scrittori moderni fossero stati attratti da ideologie di Destra, come il Fascismo, nel caso di Eliot, Pound e Yeats. “Bisogna approfondire la relazione che intercorre tra Fascismo e l’intelligentsia letteraria e Yeats potrebbe essere il punto di partenza”, così scrisse nel 1943.

Oggi, molti di questi scrittori, tra i quali anche D. H. Lawrence, sarebbero certamente di sinistra nei confronti di ciò che noi chiamiamo “globalizzazione”. Orwell affermò che è una costante nell’opera di Yeats “il suo odio per la civiltà moderna occidentale”. Tracce di questo odio le si trovano anche in Eliot, Pound, Lawrence. Tutti protestano contro le brutture del mondo moderno, esprimendo il proprio disgusto per la macchina del tempo e per la corruzione dei valori umani e civili che essa hanno prodotto. Pound, nel suo odio per l’usura, è tanto ostile ai banchieri quanto lo sono i manifestanti contro il G8. Fu la sua ripulsa per il “potere del danaro” che lo spinse al fianco di Mussolini e del Fascismo italiano.

L’obbiettivo può essere lo stesso, ma la protesta di Destra ha radici diverse e forse più profonde. La sua rabbia nasce dalla distruzione di un ordine ereditato del modo di vivere. Dà più valore e forza alla cultura senza tempo, riconoscendo che non ci può essere progresso nelle arti (anche se ci possono essere innovazione e nuove tecniche), la protesta di Destra tende piuttosto verso lo scetticismo. “Quando le antiche opinioni e le regole della vita scompaiono, scrisse Burke, la perdita non può essere valutata”. Gli ambientalisti di oggi, che si collocano oggi a Sinistra, non possono non essere d’accordo con un’affermazione del genere.

Naturalmente, l’idea che l’arte sia espressione di protesta, o sostanzialmente uno strumento di protesta è, in se stessa, un’idea relativamente moderna, sia da Destra che da Sinistra. Essa risale al Romanticismo. Prima, gran parte dell’arte era la celebrazione dell’ordine precostituito e come tale fu critica nella misura in cui questa critica era diretta a coloro i quali intendevano disturbare quell’ordine. La satira, ad esempio, era in genere, conservatrice. La rabbia e la critica nascevano dalle follie, dai vizi e dalle vanità del tempo. Chi scriveva satire si rifaceva ad un’Epoca, un’Età lontana, e anche del tutto immaginaria.

Milton fu, da un punto di vista politico, di Sinistra, ma la sua arte non era affatto un’arte sovversiva. Nella stesura del “Paradiso Perduto” egli intese “giustificare le vie di Dio agli uomini”. Egli sosteneva che il mondo poggiava su un ordine ben preciso. Solo l’inganno e la disubbidienza dell’uomo avevano creato disordine.

In politica Milton fu un radicale e un repubblicano, oggi lo diremmo un modernista. Le sue opere in prosa potrebbero essere definite oggi letteratura di protesta. Ma, sebbene egli fosse un Cristiano ortodosso, con tendenze verso l’Unitarismo, la sua poesia, nella forma più elevata, si colloca nella tradizione Cristiana. Il “Paradiso Perduto” è un esempio dell’arte cristiana rinascimentale paragonabile a quella di Michelangelo e ai suoi dipinti nella Cappella Sistina. Come la musica delle “Passioni” di Bach. Un’arte del genere è un’arte positiva.

Gli artisti, come cittadini, possono appartenere alla Destra o alla Sinistra. Alcune loro opere possono essere ispirate da sentimenti politici. Nei loro diari, nelle lettere e nelle conversazioni essi possono esprimere opinioni anche violente e crude. Pensiamo, ad esempio, alla corrispondenza tra Philip Larkin e Kinsley Amis. Essi possono anche scrivere sciocche e banali poesie politiche come quelle di Harold Pinter. Ma la loro vera opera non è una questione di sentimenti, percezioni o opinioni.

Nella loro opera fondamentale, la distinzione tra Destra e Sinistra ha poco a che fare con la politica o con fatti politici contingenti. Ha a che fare, piuttosto, con due cose fondamentali, strettamente collegate: la natura dell’uomo e la collocazione dell’Età dell’Oro.

La Sinistra, sin dai tempi di Rousseau, ha considerato l’uomo come sostanzialmente buono in un contesto sociale e istituzionale crudele e cattivo. Sciogliete le sue catene, liberatelo dalle costrizioni e il bene che c’è nella sua natura verrà fuori. Per la Destra, l’Età dell’Oro deve ancora venire.

La Destra, comunque, considera la natura dell’uomo come guastata. A Gulliver, il suo padrone a Brobdingnag, dice: “Non posso fare a meno di affermare che la vostra razza è la più perniciosa in natura che abbia mai strisciato sulla faccia della terra”. Questa miserabile creatura che è l’uomo deve quindi essere sottoposto ad un ordine. La Destra dà forza e valore alla tradizione perché, sempre citando Burke: “ abbiamo timore a collocare l’uomo nel suo proprio spazio di ragione privata perché abbiamo il sospetto che questo spazio sia troppo piccolo in ogni uomo e che gli individui farebbero meglio a rifornirsi alla banca generale e al capitale delle nazioni, e alle età”. Così l’Età dell’Oro risiede sempre nel passato.

Gli artisti di Sinistra, per quanto arrabbiati, sono degli ottimisti. Quelli di Destra, anche se equilibrati e intelligenti, sono dei pessimisti. Eppure, lo stesso uomo può essere di Sinistra in politica, per quanto riguarda le sue opinioni e la vita di ogni giorno, ma può essere di Destra nella sua Arte. Graham Greene è un buon esempio in tal senso: di Sinistra in politica, di Destra per quanto riguarda la natura dell’uomo nei suoi romanzi."

Una conclusione la vuole trarre, modestamente, anche il sottoscritto che ha tradotto questo articolo dall’inglese. Non è che molti artisti, scrittori, poeti e intellettuali, una volta acquisita fama e successo, hanno il cuore a Sinistra e il portafoglio a Destra? L’Età dell’Oro, tanto per mantenere l’espressione usata dall’autore inglese dell’articolo, una volta acquisita, deve essere mantenuta e difesa da tutti gli attacchi che potranno venire sia da una parte che dall’altra! O sbaglio?

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
gli altri libri di Norberto Bobbio
Trovi utile questa opinione? 
01
Segnala questa recensione ad un moderatore
Classici
 
Voto medio 
 
4.8
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    14 Agosto, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Dante in prosa

“Il fatto più straordinario della mia vita accadde nell’aprile dell’anno 1300, la settimana di Pasqua. Fra poco più di due mesi, avrei compiuto trentacinque anni. Avrei dovuto essere, quindi, nel pieno del mio vigore, fisico e intellettuale. E invece, stavo male, anzi, malissimo: mi sentivo sprofondare sempre più nel peccato, come se mi aggirassi smarrito in una foresta senza luce, incapace di ritrovare la via per uscirne. È difficile e penoso per me, ora, riuscire a descrivere quella selva, tanto tetra e intricata che ancora oggi, quando ci ripenso, mi sento afferrare da angoscia e paura.”(...)



Perché non consentire a tutti di leggere facilmente un classico della letteratura italiana? Questo era il pressante interrogativo di Luciano Corona prima di iniziare la sua opera. Con la pluriennale esperienza di insegnante di lettere, ha capito quanto sia difficile, per molti, l’approccio ai canti della Divina Commedia. Sono soprattutto lingua e sintassi a rendere i classici illeggibili. Un giorno, un amico pittore che vuole illustrare la Divina Commedia, gli chiede se non sarebbe possibile averne una versione "accessibile ai comuni mortali".



Un altro giorno, un'amica spagnola che conosce perfettamente l'italiano e che si è laureata in filosofia in Italia, gli confessa di aver provato a leggere il testo dantesco, ma di essersi ben presto arresa di fronte a una lingua per lei incomprensibile. Nasce perciò l'idea di "riscrivere" le grandi opere della letteratura italiana: non parafrasi né riassunto né stravolgimento, ma "riscrittura interpretativa", perché tutti possano leggerle come si fa con un libro contemporaneo.



Una prosa piana e veloce e un linguaggio accessibile a tutti. Ecco finalmente il piacere di gustarsi i 34 canti dell’Inferno integralmente, senza inciampare ad ogni verso o perdersi nelle note a piè di pagina, e la possibilità per tutti di riscoprire le emozionanti suggestioni del capolavoro dantesco.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
Dante in versi
Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
Scienze umane
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    12 Agosto, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

La stupidità al potere

La stupidità non ha confini, non conosce razza, non ha religione, al nord come al sud, a est come ad ovest, ieri come oggi, domani come in futuro, l'uomo vive e convive con la sua stupidità.



Badate bene, ho detto la "sua" stupidità, perchè quando poi entra in conflitto con quella degli altri il problema si complica e diventa serio, allora la stupidità diventa universale.



Leggete questo libro alla terza edizione. Non ve ne pentirete e sarete stupidi se non lo farete.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
i libri degli stupidi
Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
Storia e biografie
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    05 Agosto, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Per non dimenticare

"... Nell’Europa occidentale gli intellettuali della sinistra moderata impiegarono molto tempo a cogliere in pieno il valore di Solgenitsin. Quando uscì la sua opera più celebre, Arcipelago Gulag, per molto tempo la considerarono con prudenza, dimostrandosi guardinghi. Il Nobel della Letteratura contribuì a rompere la diffidenza e a consacrarlo definitivamente, ma non aggiunse nulla al suo valore, che era immenso. E segnò un’epoca.

A Krusciov seguirono Brezhnev, la Guerra fredda, la corsa alle armi nucleari. L’Urss continuava a far paura, eppure proprio il seguito delle vicende di Solgenitsin dimostrano come il regime fosse già in fase di lenta decomposizione. Ai tempi di Stalin un dissidente come lui sarebbe stato semplicemente ucciso, Brezhnev invece pensò di metterlo a tacere privandolo della cittadinanza sovietica e dunque mandandolo in esilio in Occidente.

La storia ha dimostrato che Solgenitsin aveva ragione innanzitutto a credere in se stesso: anche quando tutto sembrava perso, non ha rinunciato alle proprie convinzioni. In secondo luogo nel ribadire che sarebbe morto in patria, perché il comunismo era destinato al fallimento. E così è stato. Solgenitsin tornò a Mosca vent’anni dopo esserne stato espulso. Lui ha resistito, l’imperialismo sovietico è morto.

Merita la nostra riconoscenza anche se negli ultimi anni l’Occidente non lo ha capito. Per noi fu soprattutto un grande dissidente capace di smascherare gli orrori del comunismo. Lui invece si considerava innanzitutto un patriota, la dimostrazione che il lungo periodo di glaciazione bolscevica non è bastato a spegnere l’animo russo. Un animo che in Solgenitsin è rimasto al cento per cento slavo, senza concessioni alla cultura occidentale. Il ritorno nella Russia allo sbando dell’era Eltsin fu per lui traumatico e lo persuase ancor di più che la vera salvezza andava cercata nelle radici della cultura del suo Paese.

E dunque nell’orgoglio per la propria nazione, nella riscoperta di dimensione spirituale attraverso la Chiesa Ortodossa. E questo spiega perché le sue ultime opere non siano state bene accolte in Occidente. Troppo lontane dal nostro mondo, dai nostri valori, dal nostro modo di concepire la religione. Un’incomprensione che non scalfisce il valore di Solgenitsin."

Estratto dall'articolo apparso su
IL GIORNALE a firma dello storico francese
Max Gallo, intitolato: "Ma in Occidente l'Intellighenzia non capì il suo valore" per commemorare la sua scomparsa.
5 agosto 2008

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
tutti i libri dell'autore
Trovi utile questa opinione? 
21
Segnala questa recensione ad un moderatore
Racconti
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    05 Agosto, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Elogio del bibliomane

"I libri si fanno solo per legarsi agli uomini al di là del nostro breve respiro e difendersi così dall'inesorabile avversario di ogni vita: la caducità e l'oblio".

Così si chiude questa "novella" di cinquantatré pagine appena, per offrire il ritratto di un personaggio a metà tra genialità, magia e surreale: Mendel dei libri è un breve racconto, quasi un monologo, stilisticamente non accattivante, che però contiene un profondo messaggio d’amore per le lettere, viste come strumento necessario per innalzarsi da una situazione di ferinità ad un livello più alto dell’esistenza.

Jakob Mendel si occupa di rivendere al minuto cose di poco valore; o meglio, apparentemente di poco valore. In realtà questo strano personaggio è specializzato in un campo particolare: i libri, di qualsiasi genere, di qualsiasi autore, soprattutto quelli rari e introvabili.

Probabilmente non ha letto ogni volume ma è a conoscenza dell’esistenza di tutti e sa dove trovarli. Siede al Caffè Gluck, a Vienna, nel periodo immediatamente precedente lo scoppio della Prima Guerra mondiale, senza occuparsi della politica, delle relazioni internazionali o di chi gli sta attorno.

E’ sempre immerso nella lettura di qualche libro o catalogo e alza la testa da questi solo se qualcuno gli chiede di trovare un’opera per lui. Sarà il mondo esterno, con il conflitto bellico, a portare scompiglio nella sua vita, sottraendolo alla sua attività e dal suo unico amore.

Non è una novità il fatto che la casa editrice Adelphi sia tra le migliori, in Italia, per titoli e autori: da Siddharta di Hermann Hesse a tutte le opere di Milan Kundera, da La morte della Pizia di Dürrenmatt alla produzione di Leonardo Sciascia. Con la “Biblioteca Minima”, viene confermato il continuo lavoro di ricerca e selezione: Friedrich Nietzsche e Irène Nemirovsky, Chateaubriand e Federico Garcia Lorca, convivono in una serie fatta di testi brevi (circa sessanta pagine), tendenzialmente opere minori, che permettono di vedere questi grandi autori sotto una luce diversa (su tutti, si pensi a Memorie del primo amore di Giacomo Leopardi).

Tra le ultime uscite vi è appunto Mendel dei libri di Stefan Zweig, scrittore austriaco della prima metà del Novecento. Si tratta di uno dei protagonisti della vita culturale di Vienna nei primi anni del XIX secolo, accanto a Freud, Klimt, Schiele, Kelsen e Schnitzler. Ed è proprio a quest’ultimo, autore de La signorina Else e di Doppio sogno, che Zweig viene spesso accostato, per l’attenzione data nelle sue opere alla psiche umana, vista alla luce della psicoanalisi che andava nascendo e diffondendosi proprio in quegli anni.

Anche in questo libro viene data particolare rilevanza alla mente del protagonista per via della sua incredibile capacità di immagazzinare qualsiasi informazione relativa a saggi, trattati, romanzi, insomma, ogni cosa che abbia un formato cartaceo.

Nella brevissima presentazione che accompagna il racconto si parla di una dichiarazione d’amore e appartenenza all’ebraismo (Zweig era ebreo) insita in quest’opera, ma ancor si sottolinea la dichiarazione d’amore e di appartenenza alla letteratura fatta dall’autore, con questo personaggio che, con la sua memoria, sembra voler mettere in salvo i libri dall’umana follia che di lì a pochi anni avrebbe sconvolto il mondo.

“Chi brucia libri, presto o tardi finirà per bruciare uomini” ha detto il poeta tedesco Heinrich Heine. In queste parole e nella figura di Mendel, padre, fratello e amico dei libri, sembra racchiusa la premonizione degli orrori del Novecento.

Un racconto che ho letto in poche ore di un pomeriggio di questa calda estate, nella piazzetta solitaria e ventilata, davanti ad una chiesetta del '500. Qui ho conosciuto Mendel dei libri che porterò a lungo nella memoria.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
altri libri sulla bibliomania
Trovi utile questa opinione? 
20
Segnala questa recensione ad un moderatore
Politica e attualità
 
Voto medio 
 
3.0
Stile 
 
3.0
Contenuti 
 
3.0
Approfondimento 
 
3.0
Piacevolezza 
 
3.0
galloway Opinione inserita da galloway    01 Agosto, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Una vera catena di montaggio sforna libri-denuncia

Per capire qualcosa della premiata ditta Travaglio&Co bisognava osservare i soci fondatori, solo pochi giorni fa, a Capalbio, in mezzo ai radical chic spiaggiati. Travaglio e Gomez nel pomeriggio si presentano all’Ultima spiaggia, uno in jeans scuri e polo bianca a maniche corte, Peter in camicia, entrambi col trolley dietro. Dovevano presentare il loro ultimo libro all’Argentario, ma un sindaco di centrodestra non ha gradito. Morale: rapido trasferimento nel regno dell’esausto radical chic. Appena arrivano, alle cinque, il fuggi fuggi. Dal piccolo tendone allestito sulla sabbia spariscono gli abituali frequentatori noti, politici, uomini Rai, giornalisti della sinistra romana, opinionisti. Segue presentazione, affollatissima, ma di ragazzi, anziani, gente qualunque; un’altra Capalbio.



Anni fa le cose erano diverse, racconta Marco Travaglio. «Alle nostre presentazioni venivano intellettuali, giornalisti; adesso gli scrittori sono scappati, vengono soprattutto ragazzi, che magari sanno poco, ma non si fidano di quello che gli vien detto dai giornali e dalla tv. Anche perché facciamo quello che spesso i giornali non possono o non vogliono più fare, mettere insieme dei dati, ricostruire uno scenario, un lavoro per cui non bastano più uno, due articoli». I ragazzi tempestano di domande. «Non è vero che stiano tutti con Grillo. Anzi. Sono lettori vari, misti, post-ideologici». La prima cosa che c’è dietro questa premiata ditta Travaglio&Co, che sforna libri su libri, ed è capace di venderne profittevolmente come pochi altri, è allora l’esistenza di un pubblico. Che non coincide necessariamente con la rappresentazione politica che ne viene fatta, quella del grillismo, o del dipietrismo, o del giustizialismo. È gente che compra libri, ma paradossalmente legge poco i giornali. Fine di un binomio che credevamo classico.



I libri poi bisogna scriverli. E allora è normale chiedersi con quale piccola industria sia possibile scriverne così tanti, e con cadenze così regolari, oltre che successo quasi immancabile. Per dare solo pochi numeri, Regime (il primo della serie, uscito da Rizzoli nel 2004, prefazione di Giorgio Bocca), scritto da due persone (Travaglio e Peter Gomez), con dietro un editor (Lorenzo Fazio) e un pugno di redattrici, ha venduto 220mila copie ed è stato un caso editoriale. Mani sporche, scritto da tre persone (con Gomez e Gianni Barbacetto, di Diario) e uscito per la nuova «chiarelettere», editor Lorenzo Fazio, coadiuvato da Maurizio Donati, ne ha vendute 125 mila. Il successivo, Se li conosci li eviti (con Gomez, sempre per «chiarelettere») 175 mila, e sta per essere ristampato. L’ultimo, il Bavaglio (Travaglio-Gomez più Marco Lillo, dell’Espresso), sulle nuove leggi ad personam, il lodo Alfano e il tentativo di mettere, appunto, il bavaglio all’informazione vietando la pubblicazione delle intercettazioni (anche per riassunto), ha già qualcosa come 120mila richieste. Ed è stato scritto in soli quindici giorni.



«In casi come questi mettiamo su un piccolo team composto da quattro redattori, compresi me e Maurizio, e lavoriamo pancia a terra», spiega Lorenzo Fazio, quasi deus ex machina della premiata ditta, prima in Rizzoli, adesso a «chiarelettere». I tempi possono essere molto diversi. Per Mani sporche un anno, per il Bavaglio quindici giorni. Oppure gestazioni intermedie dettate dall’incalzare degli eventi: Se li conosci li eviti è stato concepito e scritto in un mese e mezzo, quando Prodi è caduto: la premiata ditta s’è messa sotto e a ridosso delle elezioni anticipate ha prodotto il libro che racconta chi sono e cos’hanno fatto nel recente passato 150 aspiranti onorevoli con magagne giudiziarie, che siedono nel nuovo Parlamento.



È una storia-cronaca che nasce così: racconta Fazio che il tandem Travaglio-Gomez produce testi che hanno bisogno di pochissimo lavoro editoriale; complice in questo una certa difficoltà di Travaglio nel prender sonno: gli altri dormono, lui sfoglia carte, recupera sentenze, rilegge verbali, e soprattutto scrive, anche fino alle quattro di mattina («si sveglia tardi, però», sorride Fazio). Peter Gomez ha memoria d’elefante. Gianni Barbacetto è un gran puntiglioso. La rilettura delle bozze di solito se la sobbarca Travaglio. Poi entra in scena il team-Fazio.



È un gruppo che, in parte, s’identifica col lavoro di «chiarelettere», la casa editrice che ha pubblicato il libro di Ferdinando Imposimato sul caso Moro, quello del magistrato Bruno Tinti, clamoroso successo editoriale (80 mila copie), o di Saverio Lodato e Roberto Scarpinato sulla mafia: otto milioni e mezzo di fatturato nel 2008 devono molto a Travaglio&Co. Il nocciolo duro, con Gomez e Barbacetto, s’è via via arricchito di giovani come Marco Lillo, o di vecchi come Pino Corrias, col quale Travaglio ha aperto un blog (www.voglioscendere.it) e iniziato una singolare collaborazione. Singolare perché Corrias ha scritto un’ampia introduzione per il Bavaglio, ma i due non se le mandano a dire: Corrias, per esempio, ha molto criticato i toni della manifestazione di piazza Navona. «Siamo una ditta molto aperta e democratica, a differenza di chi ci vede tutti col forcone», sorride Travaglio. Così si sono avvicinati giornalisti come Paolo Biondani, Mario Gerevini, Vittorio Malagutti. Non dei grillisti.



Cambierà o sta cambiando qualcosa, questa produzione indefessa, del rapporto tra i giovani, la lettura, la politica? In sette libri la premiata ditta ha venduto un milione di copie. Molti di più di qualunque girotondo; abbastanza per costruire una comunità, un’officina e anche un brand che frutta, ancor più in un’Italia berlusconizzata per sfinimento.





JACOPO IACOBONI

LA STAMPA

30/07/2008



.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
tutti i travagli precedenti
Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
Scienze umane
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    01 Agosto, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Chi è stanco di Londra ?

"Chi è stanco di Londra è stanco della vita". Lo disse in altri tempi Samuel Johnson e l'affermazione è ancora valida oggi. Non si può mai essere stanchi di una città che ogni quarto di secolo è capace di cambiare. Negli ultimi cinquant'anni Londra è cambiata almeno tre volte. Gli anni sessanta, gli anni ottanta, oggi. E già si annuncia il quarto mutamento con le olimpiadi del 2012. Questa è una citta che davvero vive nel futuro, vola sul presente e ignora il passato. Sì, è vero, il passato si vede ancora in giro. Basta andare a Buckingham Palace al cambio della guardia oppure da Madame Tousseaud e vederlo vivo come si può vederlo in un museo vivente. Ciò che fa invece di questa città il futuro è la sua capacità di andare oltre, sia in estensione che in altezza, ma anche in contenuti. La città multiculturale e multietnica. Dove un abitante su tre è nato all'estero. La città che sale verso l'alto, con i grattacieli delle banche e dei mercati lanciati verso il cielo. La città della conoscenza e della comunicazione, con quarantatré istituti di formazione superiore e centinaia di migliaia di studenti. La città delle celebrities e dello shopping estremo. La città delle città.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
tutto di Londra
Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
Religione e spiritualità
 
Voto medio 
 
3.8
Stile 
 
4.0
Contenuti 
 
4.0
Approfondimento 
 
3.0
Piacevolezza 
 
4.0
galloway Opinione inserita da galloway    29 Luglio, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Gli apocrifi

Una lettura interessante, da non perdere, quella dei Vangeli apocrifi. Le ragioni di questa affermazione vanno trovate, ed accettate in pieno, nelle tre pagine di introduzione di Dario Fo. Da impareggiabile e colto guitto quale lui è ha spiegato benissimo i motivi di questa lettura, sia per i credenti che per i non credenti. Che siano vere oppure no, conta poco. Resta il fatto che queste "storielle", che non fanno parte del "canone", sono quanto mai utili a comprendere l'ambiente, lo scenario, la cultura del tempo in cui Cristo visse. Un avvenimento tanto importante quale fu quello della venuta del Figlio di Dio in terra, dovette necessariamente scatenare la fantasia e l'immaginazione popolare. Tutti dovettero avvertire la necessità di raccontare, immaginare, relazionare, speculare alterando fatti e convinzioni, destabilizzando certezze e credenze, dando vita a dubbi e conflitti. Non è un caso che la "cosa" ancora oggi, a distanza di duemila anni, suscita a dir poco dibattiti ed interesse. Il Figlio di Dio è sempre e ancora tra di noi.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
i Vangeli veri
Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    28 Luglio, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Un uomo che forse si chiamava Schulz

Presentando nel 1970 la traduzione italiana dell'unico libro di Bruno Schulz, "Le botteghe color cannella", Italo Calvino non esitava a professare la sua commossa ammirazione: "Da oggi la letteratura europea del Novecento conta tra i suoi maestri un nome in più". A distanza di circa trent'anni Ugo Riccarelli, dopo una frequentazione che presumo assidua e incantata, scrive un romanzo intitolato "Un uomo che forse si chiamava Schulz". E' la storia dello scrittore ebreo-polacco ispirata dal libro e dalla biografia, ma anche dai vuoti del libro e della biografia, nel ricordo delle carte disperse e di una fine immatura e atroce.

Schulz era nato a Drohobycz, nella Galizia austroungarica, che, dopo essere diventata polacca e poi sovietica, appartiene oggi all'Ucraina, in una vicenda metamorfica che lui avrebbe saputo apprezzare. Morì, abbattuto da un colpo di pistola alla testa, nel ghetto della città natale. Prima di riconoscersi scrittore era stato un originale pittore, e si sentiva rassicurato dal capitano tedesco, Landau, di cui aveva eseguito il ritratto e affrescato le pareti di casa. Ma un altro ufficiale nazista, per vendicarsi del collega che aveva mandato a morte un suo protetto, uccide Schulz, identificato anonimamente come "il giudeo di Landau". Definendo il suo triste eroe "Un uomo che forse si chiamava Schulz", Riccarelli non intende tanto cautelarsi contro eventuali imprecisioni o fraintendimenti ma riscattare, con un supplemento di scavo e di pietà, quel nome negato.

Immagina che sia lo stesso Schulz, sotto la canna della pistola, a ripercorrere la sua intera vita, come un caleidoscopio scosso dalla mano del destino. Esce dal ventre materno con "riluttanza", avverte più di quanto non accada comunemente la stranezza di essere tenuto per i piedi, con la testa all'ingiù. Quella testa pesante che tenderà sempre a piegarsi verso terra: dove contempla i graffi e le minuzie del pavimento, il tramenio degli insetti che rodono la casa, le presenze umane rivelate dalla foggia delle scarpe. Con intuizione sicura, Riccarelli disegna così la condizione di solitudine a avvilimento, propria di chi crescerà sforzandosi di "passare inosservato lungo i muri della storia".
Sarà il padre visionario, il mercante di stoffe Jakub, che lo induce a sollevarsi in un mondo di quotidiane fantasmagorie, a spaziare in cieli tumultuosi, in una festa panica di colori e prodigi. E' un demiurgo bizzarro che contende al Dio dei padri e all'Imperatore dalle lunghe fedine il diritto di manipolare la materia, di infrangere le regole, di smemorarsi con le collezioni di insetti, i manichini, le ibridazioni di uccelli esotici, le più strampalate teorie.

Non è un caso che il piccolo Bruno, nell'immaginazione del suo interprete, attenti con involontaria profanazione alla Bibbia conservata nel tempio: lui che è affascinato dalla ricerca del Libro Autentico, riconosciuto di volta in volta nel registro della bottega paterna, nelle riviste illustrate con cui viene accesa la stufaÀ? Ma la sregolatezza è ammessa soltanto nella dimensione dell'infanzia, che è la vera maturità e colora di fiaba gli anni del tramonto asburgico, minacciati dal "sacrilegio del Cambiamento". (Quello che, annunciato dalla effimera febbre del petrolio, condurrà alla prima guerra mondiale, all'invasione sovietica e nazista). Si spiega così come Schulz, a eccezione di qualche breve viaggio a Leopoli, Vienna, Parigi, decida di rinserrarsi a Drohobycz, a fare l'insegnante di disegno, a coltivare sogni fiammeggianti.

Riccarelli procede con fedeltà alle fonti e illuminanti invenzioni. Penso al padre che attribuisce ogni sciagura all'imperfetto dosaggio del sale nell'alimentazione: il sale che è seme di sapienza ma è anche la sostanza biblica in cui sono trasformati gli uomini che Dio ha abbandonato, "statue immobili nelle circonferenze dei giorni". E penso alla storia del Messia, oggetto di un romanzo perduto di Schulz. Si sparge nel ghetto la voce che sia vicino, scende dai Carpazi per fare giustizia, e Bruno è mandato ad avvistarlo.

Scoprirà davanti a uno zingaro crocifisso che l'atteso Messia non è altri che il Reich. Quello che li tiene avvinti e ne farà strame. Riccarelli non ricorre alle immagini lussureggianti, alle rampollanti metafore del suo autore. Anche se lievitata a momenti da uno humour di chiara derivazione chassidica, il tomo dominante è quello di una asciutta, sommessa trenodia.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
tutto sul nazismo e sugli ebrei
Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
Religione e spiritualità
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    27 Luglio, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Il libro del buon senso

Il taoismo insegna la passività e l'arrendevolezza dell'acqua la quale, va ricordato, lentamente rode e corrode le pietre. Nel Tao si trova sia il bene che il male anche se, sia per l'uno che l'altro, non ci sono parole che possano descriverli. Il Tao fu scritto durante la vita di Confucio o giù di lì.

L'autore Chuang Tzu visse tra il 370 ed il 286 a. C. e portò il Taoismo ai suoi limiti. Se il Tao è una unità che abbraccia tutto, vuol dire forse che non si può vedere alcuna differenza tra il bene ed il male, l'esistenza e la non esistenza, la veglia e il sonno? Forse, ma non è certo. I beni terreni non hanno senso, come non significa nulla il potere senza un contenuto spirituale.

L'uomo deve piuttosto liberarsi da queste condizioni e fare si che convinca gli altri a fare la stessa cosa. Il "modo" in cui la "via" si manifesta, è il Tao il quale, se lasciato così com'è, si realizzerà da sè. Le parole "rivoluzione" e "progresso" sono nemiche del Tao. Altrettanto l'industrializzazione, la guerra e tante altre parole care in special modo a noi occidentali.

L'autore di questo libro lo dice chiaro e tondo, da occidentale: il Tao gli ha cambiato la vita e può cambiarla a chi legge il suo libro. Egli spiega gli 81 precetti da occidentale, psicologo e americano. Dyer interpreta l'antico testo in chiave moderna e occidentale dimostrando come alcuni principi (non farsi la guerra, non regolare la vita degli altri) siano applicabili alla politica. Altri (vivere in semplicità, nella natura, non giudicare) alla quotidianità. Se non ci cambieranno la vita, senz'altro ci aiuteranno ad aprire la mente e forse l'antica dottrina cinese non sembrerà venuta da un altro pianeta.

Solo buon senso, il buon senso umano che dovrebbe guidare tutti gli uomini.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
i libri sulla Cina
Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
Scienze umane
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    24 Luglio, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

I luoghi della letteratura

Più che a orientarsi, gli atlanti e i libri di geografia aiutano a sognare, a compiere viaggi mentali: la cui memoria però svanisce, come appunto quella dei sogni, quando le si sovrapponga la realtà, cioè quando in quei posti ci si vada davvero.

Non è un rischio che corrono i luoghi immaginari: a differenziarli dai tanti luoghi reali che non abbiamo visto c'è la certezza che non verranno mai smentiti, modificati, tradìti. Malgrado gli sforzi di preservare l'atmosfera anni cinquanta, le "isole nella corrente" le Bimini, non sono più come le visse e descrisse Hemingway; mentre l'isola di Robinson Crusoe è dopo tre secoli, inevitabilmente, la stessa. Non ha importanza che nel sequel del romanzo Defoe ce la mostri colonizzata, o che nel remake di Coetzee si riveli un isolotto brullo e battuto dai venti: il mito si alimenta della propria indeterminatezza e contrariamente all'esperienza la letteratura consente accumulazioni e contraddizioni.

Non so però cosa possa accadere quando di un luogo immaginario ispirato, come spesso accade, a un luogo reale, il luogo reale si riappropri. È il caso di Vigàta, la cittadina siciliana dove lavora il commissario Montalbano (il suo arrivo lì è narrato nella Prima indagine di Montalbano). Fino a pochi anni fa era impossibile trovarla sulle mappe stradali, in quanto invenzione di Camilleri; ma recentemente il comune di Porto Empedocle, dove Camilleri è nato, e che a Vigàta certamente assomiglia, ha deciso di aggiungerne il nome al proprio toponimo.

Queste informazioni, e moltissime altre, si trovano nel Dizionario dei luoghi letterari immaginari di Anna Ferrari, già autrice di un Dizionario di mitologia. Ma la mitologia è un argomento ben catalogato, e ormai sostanzialmente chiuso; ben più difficile approntare un repertorio di tutte le località che gli scrittori hanno saputo inventare, in ogni tempo o paese, per ambientarci le loro storie: per restare con le isole, da quelle delle Arpie descritte da Virgilio a quelle della Poesia di Marino all'Isola-non-trovata di Gozzano (e Guccini). E non solo città, regioni o mondi; anche strade (la Rue Morge del commissario Dupin), palazzi (la villa di Schifanoja del Piacere di d'Annunzio), imbarcazioni (la Folgore del Corsaro Nero o il Nautilus di capitan Nemo). Nomi mai casuali: come Ferrari spiega nella sua introduzione, alcuni annunciano le caratteristiche del luogo (il Paese del Bengodi, la Città del Sole, il Palazzo Gioioso), altri attraverso il gioco linguistico o etimologico suggeriscono una familiarità e insieme dichiarano la propria radicale alterità (il regno di Tribnia dei Viaggi di Gulliver, anagramma di Britain; o il non-luogo di Thomas More, il regno di Utopia), altri correggono toponimi reali per creare un cortocircuito fra realtà e immaginario (esemplare la geografia di Camilleri: Menfi diviene Merfi, Gela diviene Fela, Sciacca Fiacca, Raffadali Raccadali).

Scorrendo le migliaia di voci è inevitabile accorgersi di qualche omissione: la Villa Salina del Gattopardo o il paese emiliano di don Camillo e Peppone, il "mondo piccolo", che nei film è Brescello ma nei romanzi resta indeterminato (nella prima stesura del primo racconto si chiamava Ponteratto). Ciò nonostante si tratta di un ottimo lavoro, con pochissimi precedenti (forse solo un Dictionary of Imaginary Places, uscito nel 1980): utile strumento di consultazione ma anche guida pratica per il turismo della fantasia.

Harvard Diary
a cura di Francesco Erspamer
RAI Italica
http://www.italica.rai.it/

.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
i libri sui luoghi reali
Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
Salute e Benessere
 
Voto medio 
 
4.6
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
4.0
Approfondimento 
 
4.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    22 Luglio, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

In vino veritas

Il vino ha una storia antica, tanto antica che accompagna l’uomo dall’inizio della sua storia. Con il vino l’uomo viaggia i giorni della sua vita su questa terra. Rosso o bianco, dolce o robusto, giovane o invecchiato, il vino traccia la strada della verità a chi decide di intraprenderla. Non a caso il tradizionale detto “in vino veritas” indica agli uomini il giusto atteggiamento da intraprendere, la giusta “filosofia”, appunto, di cui l’autore di questo interessante libro parla.

Perchè di filosofia si tratta. C'è una filosofia della conoscenza, dell'arte, della scienza, della morale, dell'azione... Ogni ambito del sapere può aspirare a essere oggetto di riflessione filosofica. Anche il vino. Certo, il vino è più un prodotto della pratica che del sapere; e quindi dal dire si passa al fare, e bisogna saperlo dimostrare. Tante sono le sue implicazioni - culturali, religiose, simboliche, etiche, e quindi filosofiche - che non è affatto sorprendente trovarsi tra le mani un volume che ripercorre la lunga storia del rapporto del vino con la riflessione filosofica.

Parlare di vino significa, allora, parlare di idee ed il pensiero va subito a persone e personaggi come Platone, o meglio il Socrate platonico: è nel Simposio che si assiste, per la prima volta nella storia della filosofia occidentale, a un elogio del vino e dell'ebbrezza che ne è conseguenza, ebbrezza che, sulla scorta del mito dionisiaco, del pitagorismo e dell'orfismo, è vista come disvelatrice di verità.

Ecco, la “verità” di cui dicevo innanzi. Chi conosce il vino, conosce e quindi dice la “verità”. E la “verità” fa riconoscere il giusto vino. Sembra una cosa facile, questa. Ed invece, non lo è. Specialemente oggi che tutti si sono messi a fare il vino. Ovunque ci vada, si viaggia e si desina, c’è un posto in cui il vino ha la sua presenza. Tutto il mondo sembra essere inondato da questo dolce mare rosso vellutato, o bianco dorato, tutto è avvolto dal suo profumo che viene da lontano e ti porta lontano. Spesso anche troppo. Ma in Aristotele c'è già quella condanna dell'ebbrezza che avrebbe caratterizzato gran parte della cultura occidentale. Mentre nel cristianesimo si assiste alla sua simbolizzazione: simbolo mistico per eccellenza, il vino è il sangue di Cristo.

Nel leggere la storia filosofica del vino fino al Novecento (secolo nel quale la celebre "svolta linguistica" non ha prodotto anche una svolta enoica: Wittgenstein, osserva Donà, aveva un atteggiamento "apertamente negativo" nei confronti del vino), scopriamo che Bacone ne evidenziava gli effetti benefici e che Descartes era interessato ai processi di vinificazione e agli effetti del vino sull'organismo; che il razionalismo e l'empirismo teorizzavano la misura nel berlo, così come Kant. Hegel lo amava ma non ne teorizzava, Kierkegaard ne tesseva le lodi nel dialogo “In vino veritas”. Nell'Ottocento è stato visto a volte come rimedio alla tragicità dell'esistenza (Baudelaire, Leopardi), mentre nel Novecento è stato spesso visto come simbolo di trasgressione dai valori informati all'equilibrio borghese di origine illuminista (Bataille, l'esistenzialismo francese).

Ma il vino vince su tutto e tutti. Di fronte ad un bicchiere di vino non si può mentire, si può sognare ma non si può tradire. E Giuda, quella sera non bevve...

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
i classici del vino
Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
Storia e biografie
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    20 Luglio, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

19 anni nei "laogai"

Mani curate, cravatta rossa e una certezza: l’economia cinese è basata sullo schiavismo. D'accordo, ne parleremo, ma anzitutto chiediamo a Harry Wu se vuole parlarci dei suoi diciannove anni rinchiuso in un laogai. Ci guarda mestamente: «Devi prima capire che cos’è davvero un laogai». E noi credevamo di saperlo: sono dei campi di rieducazione voluti da Mao Zedong che hanno accolto non meno di cinquanta milioni di persone dalla loro costituzione, praticamente l’Italia intera; si è calcolato che non esista un cinese che non conosca almeno una persona che vi è stata soggiogata. È una detenzione che non prevede processo, non prevede imputazione, tantomeno esame o riesame giudiziario o possibilità di confrontarsi con un’autorità. La decisione di rinchiuderti è a totale discrezione del Partito. «Ma loro» dice «per definirti usano la parola prodotto, e il primo prodotto sei tu, quello che devi diventare: un nuovo socialista. Il secondo è un prodotto vero e proprio, tipo scarpe, vestiti, spezie, tessuti, qualsiasi cosa.

Ogni laogai ha due nomi: quello del centro di detenzione e quello della fabbrica. Tu devi affrontare una quota di lavoro quotidiano, sino a 18 ore, sennò non ti danno da mangiare. Spesso devi lavorare in condizioni pericolose, come nelle miniere, con prodotti chimici tossici». Una pausa, scuote la testa: «Ma neppure questo, in realtà, è il laogai». È come se Harry Wu, cinese fuggito negli Usa, non volesse parlare di sé. Eppure è presidente della Laogai Research Foundation, è una prova vivente, fu arrestato a ventidue anni dopo che all’università, leggendo un giornale assieme ad altri studenti, aveva semplicemente criticato l’appoggio cinese all’invasione sovietica di Budapest. Delazione. Manette. Nessun tribunale, nessuna prova o indizio, nessuna accusa precisa se non quella d’essere un cattolico e un rivoluzionario di destra. «Il primo giorno, a Chejang, mi dissero che per potermi rieducare sarebbe occorso molto tempo. Poi mi spiegarono che non avrei neppure potuto pregare né sostenere di essere una persona: perché mi avrebbero punito o ucciso. Mi obbligarono a confessare delle presunte colpe dopo aver costretto alla confessione anche mio padre, mio fratello, la mia fidanzata. Solo mia madre rifiutò di farlo. Sono stato molto orgoglioso di lei».

Un’altra pausa. L’impercettibile imbarazzo di Toni Brandi, il coordinatore della Fondazione che ci sta facendo da interprete: «Non ha confessato perché si è suicidata». E tutto, attorno, comincia a farsi stretto, troppo in distonia col racconto, e troppo rossa quella cravatta rossa, troppo pulita la moquette di quell’hotel nel centro di Milano. «I primi due o tre anni», racconta Harry Wu, «pensi alla tua ragazza, alla tua famiglia, alla libertà, alla dignità: poi non pensi più a niente. Perdi ogni dimensione, entri in un tunnel scuro. Preghi di nascosto. In un laogai non ci sono eroi che possano sopravvivere: a meno di suicidarti o farti torturare a morte. Scariche elettriche. Pestaggi manuali o con i manganelli. L’utilizzo doloroso di manette ai polsi e alle caviglie. La sospensione per le braccia. La privazione del cibo e del sonno. Questo ho visto, e così è stato per preti, vescovi cattolici, monaci tibetani».

Ci mostra la foto di un vescovo di 33 anni, e ancora altre foto in sequenza che nessun quotidiano o rotocalco potrà mai riportare: uomini e ragazzi inginocchiati, una ragazzina immobilizzata da due soldati mentre un terzo le punta il fucile alla nuca, una foto successiva in cui è spalmata a terra con il cranio orribilmente esploso. Poi un filmato. È un dvd curato dall’associazione, e dovrebbero vietarlo ai minori e agli occidentali in affari con la Cina: esecuzioni seriali, di massa, i condannati inginocchiati, prima la fucilata e poi lo stivale premuto forte sullo stomaco per controllare che morte sia stata, un ufficiale di partito che per sincerarsene usa una sbarra d’acciaio, e anche di questo qualcosa sapevamo, ma come dire: il video, un video. Sapevamo pure delle fucilazioni e delle camere mobili di esecuzione: furgoni modificati che raggiungono direttamente il luogo dell’esecuzione con il condannato legato con cinghie a un lettino di metallo, il tutto controllato da un monitor accanto al posto di guida. Poi via, si riparte verso altre esecuzioni da effettuarsi pochi minuti dopo l’emissione della condanna a morte. Noi sapevamo che la maggior parte delle condanne è pronunciata in stadi e piazze davanti a folle gigantesche, e che le cose, in Cina, sono tornate a peggiorare dal 2003, laddove ogni anno vengono giustiziati più individui che in tutti i Paesi del mondo messi insieme. «Nel 1984, dopo un articolo di Newsweek, smisero di portare i morti in giro per le strade come pubblico esempio», ci dice, «ma dal 1989 hanno ricominciato, e i familiari devono pagare le spese per le pallottole e per la cremazione». E la faccenda degli organi? «Le autorità prelevano gli organi dei condannati a morte in quanto appartengono ufficialmente allo Stato. I trapianti sono effettuati sotto supervisione governativa: il costo è inferiore del 30 per cento rispetto alla media, e ne beneficiano cinesi privilegiati e cittadini occidentali e israeliani».
E la faccenda dei cosmetici fatti con la pelle dei morti? «Dai giustiziati prendono il collagene e altre sostanze che servono per la produzione di prodotti di bellezza, tutti destinati al mercato europeo».

Nel settembre scorso, della pelle di condannati o di feti, parlò anche un’inchiesta del Guardian: citò la testimonianza, in particolare, di un ex medico militare cinese che sosteneva d’aver aiutato un chirurgo a espiantare gli organi di oltre cento giustiziati, cornee comprese: senza ovviamente aver prima chiesto il consenso a chicchessia. Il chirurgo parcheggiava il suo furgoncino vicino al luogo delle esecuzioni e, stando alla testimonianza, nel 1995 tolsero la pelle anche a un uomo poi rivelatosi vivo. «Devi prima capire», ripete, «che cos’è un laogai». Forse sì, forse dobbiamo capire: dobbiamo poterci raccontare, un giorno, tra vent’anni, che sapevamo. «I laogai sono parte integrante dell’economia cinese. Le autorità li considerano delle fonti inesauribili di mano d’opera gratuita: milioni di persone, rinchiuse, che costituiscono la popolazione di lavoratori forzati più vasta del mondo. È un modo supplementare, ma basilare, che ha fatto volare l’economia: un’economia di schiavitù». Il numero dei laogai è imprecisato: è segreto di Stato.

Secondo l'Associazione, dovrebbero essere circa un migliaio. I prigionieri, se la rieducazione fosse giudicata non completata, possono essere trattenuti anche dopo la fine della pena: «Io avrei dovuto rimanerci per trentaquattro anni, se non fossi fuggito. Perché avevo delle opinioni. Perché ero cattolico. Perché ero un uomo. Il 20 novembre compio vent’anni da uomo libero». Ieri. «E continuerò a lavorare perché la parola laogai entri in tutti i dizionari, in tutte le lingue. Appena giunto negli Usa non ne volli parlare per cinque anni, non ci riuscivo, poi cominciai a vedere che in America la gente parlava dell’Olocausto, parlava dei gulag, e però a proposito della Cina parlava solo della Muraglia e del cibo e naturalmente dell’economia. Ma i laogai, in Cina, esistono da cinquantacinque anni». Ben più, quindi, dei ventisette anni che ci separano dalla nascita della cosiddetta politica del figlio unico instaurata nel 1979 da Deng Xiaoping, prassi che ha spinto milioni di contadini a sbarazzarsi della progenie femminile: almeno 550mila bambine l’anno secondo l’organizzazione Human Rights Watch. Più dei due anni che ci separano dal giro di vite giudiziario introdotto nel 2003 nel timore che l’arricchimento potesse portare troppa libertà: laddove le madri e i familiari delle vittime di Tienanmen sono ancor oggi perseguitate, e i sindacati proibiti, i minori deceduti sul lavoro impressionanti per numero, per non dire dei cosiddetti morti accidentali: prigionieri che precipitano dai piani alti degli edifici detentivi e che solo il racconto di pochi scampati ha potuto testimoniare.

A Reporter senza frontiere e ad Amnesty International è invece toccato il compito di raccontare della rinnovata abitudine di rinchiudere i dissidenti negli ospedali psichiatrici, spesso imbottiti di psicofarmaci senza che le ragioni degli internamenti fossero state neppure ufficialmente stabilite: accade nel Paese che per un anno e mezzo riuscì e celare l’epidemia Sars, giacché i dirigenti cinesi temevano che potesse scoraggiare gli investimenti occidentali. Cose delicate. La Cina cresce sino al 10 per cento annuo e si metterà in vetrina ai giochi olimpici del 2008: e ci sono da quattro a sei milioni di persone, rinchiusi nei laogai cinesi, che stanno lavorando per noi. Harry Wu domenica mattina è ripartito per Washington. Doveva incontrare Bush e festeggiare i suoi vent'anni da uomo libero. O forse bastava da uomo.

Filippo Facci
IL GIORNALE
20 luglio 2008

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
tuttto della Cina
Trovi utile questa opinione? 
20
Segnala questa recensione ad un moderatore
Religione e spiritualità
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    19 Luglio, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Le Confessioni di tutti

Le Confessioni di Agostino sono le Confessioni di tutti. Un libro antico ma sempre attuale, moderno, aperto, un classico in tutti i sensi. Non può mancare nella biblioteca di chi crede nella vita in tutte le sue forme e manifestazioni.

Aurelius Agostinus nacque da padre pagano e madre cristiana a Tagaste, la moderna Suq al-Ahras in Algeria. Simpatizzante dei manichei, Agostino si avvicinò al Cristianesimo lentamente sotto l'influenza di sua madre, di Sant'Ambrogio di Milano e a seguito di diverse letture fatte sulle conversioni di Vittorino, traduttore di Plotino e di Ponticiano, un amico africano a seervizio dell'imperatore. Nel 387 venne battezzato e ritornò in Africa e a seguito della morte della madre divenne prete e poi nel 395 vescovo di Ippona. Le sue controversie con i Manichei gli fecero scrivere diversi libri per confutare questa teoria basata sul dualismo e sulle presunte contraddizioni del Vecchio e del Nuovo Testamento. Entrò in disputa anche con i Donatisti i quali ritenevano che l'efficacia dei sacramenti dipendeva dal valore di chi li somministrava. Fu in polemica anche con Pelagio il quale affermava che la perfezione umana può essere conquistata anche senza la grazia divina. Lo stile di Agostino è tutto pieno della profondità del suo sapere e della vastità dei suoi interessi. In effetti i suoi insegnamenti sono stati ampiamente usati dalla Chiesa Cattolica per diffondere la sua dottrina.

Questa autobiografia dimostra chiaramente che Agostino non era affatto promesso alla santità e alla castità. In effetti le sue Confessioni appaiono superiori a quelle di Rousseau altrettanto famose e lontane nel tempo.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
le Confessioni di Rousseau
Trovi utile questa opinione? 
50
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    15 Luglio, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

La grande Cina

"La Montagna dell'Anima è l'opera monumentale che ha consacrato Gao Xingjian come uno dei maestri del nostro tempo. È il racconto di un lungo viaggio tra le montagne, le foreste, le riserve naturali, i villaggi della Cina del sud e del sud-ovest, narrato, a capitoli alterni, in seconda e in prima persona: un tu che, sul treno, ascolta un altro viaggiatore parlare delle meraviglie di Lingshan - la Montagna dell'Anima, dove tutto è allo stato originario - e decide di gettarsi alla sua ricerca; e un io che, come Gao, è uno scrittore perseguitato dal regime, ha dovuto allontanarsi da Pechino e ha completamente cambiato la propria visione del mondo dopo che un medico, per errore, gli ha diagnosticato un cancro al polmone. Il viaggio è dunque l'occasione di un bilancio esistenziale e la fonte inesauribile di nuove esperienze. E l'autobiografia diviene romanzo picaresco in cui si intrecciano avventure di feroci briganti e tristi vicende di fanciulle suicide per amore, saggio enciclopedico (sugli animali e le piante della foresta vergine, sugli usi, le credenze, le leggende delle popolazioni tribali, sui fossili degli ominidi più antichi e sulle tracce della presenza dell'«uomo selvatico»), storia della Cina dalle antiche dinastie alla Lunga Marcia, dalla tabula rasa della Rivoluzione culturale al presente (e precario) compromesso fra sviluppo economico e autoritarismo politico, riflessione sul senso e lo scopo della letteratura, tormentata storia d'amore, ricerca filosofica della natura dell'anima, della propria identità, della verità dell'essere, di Dio che nell'ultimo capitolo si manifesta in forma di minuscola rana e parla il linguaggio incomprensibile di una palpebra che si alza e si abbassa… Erede sia della tradizione letteraria cinese sia delle più inquiete esperienze europee del Novecento, Gao riesce a fondere i diversi materiali narrativi grazie al supremo controllo dello stile. E questo romanzo, uno dei più importanti degli ultimi vent'anni, diventa un'appassionata professione di fede nella necessità della letteratura."



Tuttocina.it



.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
tutto della Cina
Trovi utile questa opinione? 
20
Segnala questa recensione ad un moderatore
Salute e Benessere
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    14 Luglio, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Censurato in Cina

Zhou Qing con questo libro ha vinto il Lettre Ulysses Award.

Arriva nelle librerie italiane ''La sicurezza alimentare in Cina'' di Zhou Qing, edizioni Spirali, il libro-shock vincitore del premio Lettre Ulysses Award, censurato dal governo cinese. Si tratta di un dettagliato resoconto sulla situazione alimentare esistente nel paese del dragone, sui pericoli connessi alle esportazioni e sulla propagazione globale dei danni alla salute umana.

Tra le questioni documentate dal volume: contraffazione di alcolici, uso di sostanze cancerogene, produzione di cibi geneticamente modificati fuori norma, inadeguatezza igienica, presenza di sostanze velenose (pesticidi, steroidi anabolizzanti, antibiotici metabolizzati, fluoro, iodio, ecc.) e illegali, commercio di alimenti deteriorati. Qing denuncia poi che "mentre vige il mito della Cina come grande paese moderno, l'80% delle sue tubature acquedottifere utilizza stabilizzanti al piombo, vietati da anni negli Usa. La Sars che ha provocato 90 milioni di ammalati nel mondo e' scoppiata nel Guangdong, in Cina".

"Nella stessa regione -ricorda ancora Qing- era scoppiata l'Aviaria. Oggi, 10 milioni di abitanti hanno problemi cardiovascolari, causa di due terzi delle morti nella zona. Eppure, scrive Qing, il trattamento ed il consumo alimentare in Cina non sono messi in discussione. L'evidenza scientifica mostra la relazione tra l'assorbimento di pesticidi, additivi, conservati e stimolanti vari con il numero di tumori all'intestino ed ai genitali, oltre con il tasso della fertilita' riproduttiva; per contro il responsabile dell'Ufficio nazionale di supervisione degli alimenti e dei farmaci di Shanghai dichiara che il controllo sulle carni non prevede opportune verifiche sull'uso di 'integratori' nei mangimi". In tutto questo, solo nel 2003, sono stati processati 1128 funzionari statali per corruzione dovuta a fondi per ristoranti.

L'indagine esplora ambiti secretati e offre testimonianze dirette: frodi, intossicazioni, utilizzo di mano d'opera dei prigionieri ai lavori forzati, impatto su piu' di 400mila vittime all'anno. Oltre i casi clamorosi recenti, (il cibo per cani che ha avvelenato gli Usa o il dentrificio killer a Panama) emerge una situazione strutturale preoccupante, su cui essere informati: a quelli generali dell'inquinamento si aggiungono gli effetti deleteri provocati sull'uomo dalla sofisticazione alimentare.

VITA.IT

.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
tutto sulla Cina
Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
Storia e biografie
 
Voto medio 
 
4.4
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
4.0
Piacevolezza 
 
4.0
galloway Opinione inserita da galloway    14 Luglio, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Hitler se la cava

Dall'esplosione del 20 luglio 1944, alle ore 12.40, Hitler uscì scosso ma vivo e nel giro di 24 ore il piano dei congiurati venne sgominato. Era l'azione più clamorosa compiuta dall'opposizione antinazista, dopo altri tentativi andati a vuoto nei mesi precedenti e organizzati sempre da quegli ambienti militari che da tempo cospiravano contro il regime. Su questa vicenda, che è stata oggetto di studi e ricerche, sopratutto in Germania e nel mondo anglosassone, è in corso di lavorazione un film con Tom Cruise nel ruolo del conte Claus Schenk von Staffenberg: si prevede che esca nelle sale l'anno prossimo. Su questa vicenda, che viene ricordata in poche righe nei manuali di storia, è benvenuto il lavoro di Luciano Garibaldi, una firma di autorevole giornalista e accredidato storico. Un testo di facile lettura per tutti con una documentazione inoppugnabile.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
la storia del Terzo Reich
Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
Poesia straniera
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    08 Luglio, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Un oceano di versi

In questa raccolta di poesie pubblicata piuttosto frettolosamente alla data dell'assegnazione del Nobel, manca la poesia "Il mare è la Storia" pubblicata successivamente alla stesura di questi testi e presentata anche sul forum di qlibri.



A questo proposito Nicola Crocetti, in occasione della lettura a Milano del testo inedito della poesia, ha scritto della poesia di Walcott:



"Walcott è poeta del mare. Si può dire che tutti i suoi versi siano impregnati del salmastro dei Caraibi. Le sue poesie sono un arcipelago, composto «di tante isole quante le stelle a notte», di «isole come piselli su un piatto di stagno», dell’isola di Crusoe e «del terrore di essere inghiottiti/ dal blu del cielo sopra di noi/ o dal più aspro blu sotto di noi». Il nostro stesso pianeta è «un’isola in arcipelaghi di stelle». E «il mio primo amico fu il mare», ci confida mentre ci parla di naufraghi e di navi affondate, della sua nostalgia per la distesa sconfinata, del flebile brusìo della risacca, delle foglie lunari dell’oceano e delle golette che lo solcano, e ci racconta quello che meglio conosce della vita: l’amore, i marinai, le tempeste e le maree.



Nella bellissima poesia inedita Il mare è la Storia che leggerà stasera alla Milanesiana, Walcott ribadisce, con Walter Benjamin, il suo credo, e cioè che «non vi è nulla di più epico del mare». Tutto, battaglie, martiri, memorie, è sepolto sotto quella volta grigia. Le religioni e i canti biblici, l’arte del Rinascimento e il progresso, lìemancipazione e la politica giacciono su irraggiungibili fondali. Ed è dalle buie orecchie delle felci, dal ridacchiare sapido delle rocce, cioè dalla Natura - ci ripete Walcott - che, «come un rumore senza alcuna eco», nasce il nutrimento della vita, e inizia davvero la Storia."

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
la poesia inglese
Trovi utile questa opinione? 
10
Segnala questa recensione ad un moderatore
Scienze umane
 
Voto medio 
 
4.8
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
4.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    08 Luglio, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Un classico

Un classico è essenzialmente un testo "aperto", nel senso che si presta di continuo a nuovi sviluppi, a nuovi commenti, a interpretazioni differenti. Con il passare del tempo commenti, interpretazioni e chiose formano una serie di strati, depositi, concrezioni, alluvioni, che si accumulano, si aggiungono, si sovrappongono come i detriti, i sedimenti di un fiume che si è interrato. Un classico consente usi e abusi, comprensioni e malintesi a non finire; è un testo che continua a svilupparsi, passibile com'è di arricchimenti e deformazioni, e tuttavia conserva la sua identità di fondo, anche se la forma originaria non può essere recuperata appieno. Questo è il caso di questo libro, un "classico" vecchio di oltre duemila anni, sempre moderno ed attuale e pur sempre diverso.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
tutto Confucio
Trovi utile questa opinione? 
20
Segnala questa recensione ad un moderatore
Classici
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    05 Luglio, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Novellare

Il “Decameron”, ovvero, novellare per salvarsi la vita. Una nuova elegante ristampa di questo classico immortale. La letteratura tiene lontana la morte. In sintesi, ecco il senso del Decameron di Giovanni Boccaccio e della sua tragica cornice. Lontano dai banchi del liceo, il lettore anche colto tende a identificare il capolavoro della prosa italiana medievale con alcuni celebri racconti rimasti nella memoria di tutti. Trascurando il fatto che le cento novelle sono contenute all’interno di una narrazione che descrive la devastante epidemia di peste del 1348. I dieci giovani che abbandonano Firenze, per rifugiarsi a “novellare” in una villa sulle colline, rappresentano «l’oasi consolatoria e a suo modo salvifica di un’opera letteraria». Il «giardino-eden» che li accoglie è l’antidoto letterario al trionfo della Morte, perfetto rovesciamento ideologico degli affreschi dell’epoca (come quello ancora oggi visibile al Camposanto di Pisa), che esaltavano la severa vita monastica e condannavano alla dannazione la società cortese che si dilettava nei giardini. Nell’ottima ed esauriente introduzione alla nuova elegante ristampa di questo classico immortale, Lucia Battaglia Ricci ci guida a una lettura più consapevole e profonda del testo. Invitandoci a soffermarci sui luoghi più trascurati dell’opera, dove si svelano più chiaramente «lo spessore ideologico e la raffinatezza letteraria» di un testo complesso e sfaccettato, perché si prefigge di riflettere la complessità e le sfaccettature del reale, instillando nel lettore «il tarlo del dubbio e la plurivocità delle interpretazioni». La migliore guida alla lettura del Decameron ce la offre Boccaccio stesso, se abbiamo la pazienza di leggere il proemio e la conclusione del libro. E soprattutto l’introduzione alla quarta giornata, con l’apologo delle donne papere che dimostra l’indole naturale della pulsione erotica e l’inutile schermo di un’educazione censoria. Ma nello studio della Battaglia Ricci vengono anche analizzate le novelle più significative, con pochi incisivi tratti che bastano a inserirle nel contesto di un «gioco sperimentale e divertita adozione di registri diversi, ma anche un modo particolarissimo di meditare sulle infinite, molteplici varianti e possibilità – tutto e il contrario di tutto – del vivere umano». Il rapporto con i lettori (le donne come destinatarie dell’opera), l’intento dichiarato di offrire diletto, il duello alla distanza con Dante (cento novelle come cento sono i canti della Commedia), il rovesciamento polemico del sottotitolo («Prencipe Galeotto» con citazione del V canto dell’Inferno) sono altri nodi fondamentali della «varia, multiforme, caotica “commedia umana”» che questa raffinata edizione tascabile invita a leggere o rileggere integralmente. Chi vincerà la pigrizia e i pregiudizi scolastici scoprirà un tesoro.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
romanzi, racconti e novelle
Trovi utile questa opinione? 
31
Segnala questa recensione ad un moderatore
Storia e biografie
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    05 Luglio, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Prezzolini prega per noi italiani!

Ci ha insegnato che l’Italia è stupenda e ingessata, che bisogna essere colti ma corsari, che la cultura è una faccenda per chi ha i controcosi. Grazie a una biografia ne rileggiamo le opere e i giorni

Se è vero, come diceva Bertolt Brecht, che Cesare aveva conquistato le Gallie, ma non certo da solo, e che quindi, fuori di metafora, i grandi uomini non fanno la storia, senza l’apporto delle migliaia di comuni esseri umani, o che, come diceva Tolstoj, fra i grandi personaggi e gli eventi storici c’è lo stesso rapporto che c’è fra l’etichetta sul barattolo e il contenuto del barattolo stesso, è però anche vero che ci sono, nella storia, dei personaggi che riescono ad imporre la loro visione del mondo, sia perché godono di favorevoli situazioni storiche, sia perché si trovano nel posto giusto al momento giusto, sia perché sono dotati di un carattere più forte degli altri, in grado d’indirizzare, almeno in parte, gli eventi.

Giuseppe Prezzolini fu una di queste persone, e il suo influsso sulla cultura e sulla storia italiane è notevole e duraturo. Lui, con un po’ di autocompiacimento, si definì più volte l’inventore del personaggio Mussolini, e forse esagerava, ma è anche vero che al futuro dittatore, in un momento particolarmente oscuro della sua storia, un percorso di vita fu tracciato proprio da Prezzolini, dall’uomo, cioè, che con La voce aveva creato la prima grande rivista culturale italiana, riuscendo a svecchiare una cultura storicamente troppo accademica ed elitaria. Prezzolini poi fu uno dei pochi, se non dei pochissimi, a non sfruttare i benefici accumulati con un Mussolini divenuto “Duce”, emigrando verso gli Stati Uniti d’America, in un esilio volontario che per l’Italia dalla schiena sempre troppo flessibile rappresentò una vera rarità. Prezzolini, anche, fu il primo a sostenere l’“anti-italianità”, non per disprezzo nei confronti di una nazione che amava tantissimo, ma per rimarcare agl’Italiani quanti e quali fossero i loro difetti, che impedivano alla sua patria di ottenere quel posto di preminenza che l’arte, la cultura, il sapere italiani avrebbero meritato.

La vita, questione di stile
Di Prezzolini si occupa ora Gennaro Sangiuliano (è stato vicedirettore di Libero, ed è ora caporedattore in Rai), in un’ampia biografia, Giuseppe Prezzolini. L’anarchico conservatore (Mursia, Milano 2008, pp.502, e24,00). Il rischio delle biografie, soprattutto di personaggi assai impegnati nella storia e nella cultura, è quello di sfociare nel “colore”, termine assai noto a chi si occupa di giornalismo, tendenza a trasformare fatti e persone in aneddoti e macchiette, sottolineando magari episodi curiosi e trascurando l’analisi dei fatti e dei tempi. Fortunatamente, questo rischio non si corre col libro di Sangiuliano, che utilizza uno stile giornalistico nel senso migliore del termine, adoperando un italiano pulito ed essenziale, facilmente comprensibile ma non banale – come d’altronde faceva lo stesso Prezzolini – e soprattutto non si limita a raccontare la lunga ed operosa vita del grande giornalista, che giunse lucido e attivo al traguardo, nel 1982, dei cento anni di vita, ma analizza in modo critico il suo mondo, confrontando le riflessioni prezzoliniane con quelle del suo tempo, nel confronto-scontro con altri personaggi importanti, e lanciando delle idee destinate a sopravvivere alla lettura del libro stesso.

Dal punto di vista formale, lo spazio maggiore è dedicato agli anni giovanili di Prezzolini: ben quindici capitoli si occupano degli anni della giovinezza e della maturità, tre degli anni “americani” (dagli anni Trenta agli anni Sessanta), e due per la parte finale della vita di Prezzolini. Risulta così compressa una grande parte della vita del protagonista, ma bisogna anche riconoscere che, altrimenti, non sarebbe stato pubblicato un volume, ma un’enciclopedia, e che l’opera è già più che meritevole così com’è: in particolare, è lodevole l’iniziativa di dare ampio risalto alle riflessioni filosofico-culturali, destinate ad avere grande importanza nella storia culturale italiana, ed ancora oggi di notevole interesse. Ad esempio, nel capitolo sedicesimo, si racconta dell’esilio volontario di Prezzolini e del suo studio su Machiavelli, l’opera sua destinata ad avere maggior successo di pubblico.

Vediamone alcune righe. «[Prezzolini] rievocherà lo stato d’animo delle giornate trascorse in biblioteca a Parigi per le ricerche preparatorie sul libro: “Mi sentivo tutt’uno col povero Machiavelli che aveva capito troppe cose del mondo e solo se n’era rimasto in esilio”. Negli anni futuri questa biografia, tradotta in varie lingue, diventerà un grande successo editoriale, ristampata per decenni, anche postuma e venduta in decine di migliaia di copie. Giuseppe adopera volutamente un linguaggio “incisivo, arguto, chiaro e ricco di allusioni”, che farà storcere il naso agli studiosi di Machiavelli, ma ne determinerà la fortuna editoriale. In questo libro inventa un nuovo modo di raccontare la storia. “Girolamo Savonarola e i suoi seguaci detti Piagnoni erano una specie di democristiani in anticipazione”, scrive a proposito del predicatore, che si distingue per il suo “pacifismo belante”». Come si vede bene da questo passo, la narrazione di Sangiuliano è chiara e precisa, evidenziando così anche i legami fra Prezzolini e Montanelli, creatosi suo discepolo soprattutto nella grande opera editoriale della Storia d’Italia, realizzata da Montanelli con la collaborazione di Roberto Gervaso e di Mario Cervi, ma chiaramente ispirata dalla biografia di Machiavelli fatta da Prezzolini: il dettaglio modernizzante, come i Piagnoni “democristiani”, infatti, si troverà in tutte le opere storiche di Montanelli.

Cristo o Machiavelli?
Quello che mancò invece al giornalista di Fucecchio fu il rovello filosofico che permea tutta la produzione di Prezzolini. Esemplare, al riguardo, è Cristo e/o Machiavelli, uno dei testi più densi di tutta l’opera prezzoliniana, in cui il rapporto fra cristianità e laicità viene inizialmente visto come di irriducibile alterità, salvo poi recuperare, attraverso S. Agostino (un autore che Prezzolini studiò accuratamente), un possibile punto di contatto: un realismo pessimista. «Si può – scrive Prezzolini – essere cristiani e volere una guerra; ma non goderne». Allo stesso tempo Prezzolini, mostrando davvero di essere in grado di antivedere il futuro, sottolinea la pericolosità, per la Chiesa, di occuparsi troppo del sociale, perché così facendo rischierà di lasciarsi coinvolgere dalla «vendita all’incanto delle promesse politiche».
Anche in questi collegamenti con la più stringente attualità si mostra con chiarezza l’importanza, non solo storica, ma culturale nel più ampio senso, di Giuseppe Prezzolini, riportato in piena luce da questa bella biografia.

Paolo Turroni

"Il Domenicale"
5 luglio 2008

.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
"Maestri" di Renato Farina
Trovi utile questa opinione? 
10
Segnala questa recensione ad un moderatore
Scienza e tecnica
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    27 Giugno, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

La storia del tubo

L’indubbio successo di YouTube è stata la facilità e l’immediatezza dell’uploaded. La possibilità di caricare in pochi istanti il proprio video e renderlo subito condivisibile con chiunque fosse connesso alla rete. Come scrive Benigni nel suo libro: «YouTube ha reso (quasi) ogni attività umana degna di essere filmata e condivisa e ha creato, all’interno del web, il luogo più ovvio per rendere pubblici tutti quegli atti che prima erano considerati (solo) privati. Di fatto, grazie alla sua semplicità, sta risolvendo la visione del futuro, il sogno mediatico della comunicazione interattiva globale, consentendo un potenziale contatto facile e gratuito tra ogni membro della popolazione mondiale». I numeri del successo di YouTube parlano da soli: 100 milioni di video che vengono visualizzati quotidianamente con 65.000 nuovi filmati aggiunti ogni 24 ore. A soli tre anni da quel primo video di Jawed al parco con gli elefanti.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
altre storie
Trovi utile questa opinione? 
10
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    26 Giugno, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

La Bibliotecaria

Claudio Ciccarone

La bibiliotecaria – La vera storia di Marta la tarma

194 pagine
14.00 euro

collana: Collezione Vintage
Editore Fanucci, pag. 194, euro 14

Marta è una tarma che divora libri, si ciba di cultura e vive a Napoli nella libreria di Claudio, il Leggilibri. È curiosa, sensibile, profonda e ama giocare con la fantasia immaginando un mondo tutto suo dove ogni cosa è un sogno. E così, tra un Piccolo principe narrato nelle Cronache marziane e Moby Dick che adora nuotare in un Oceano mare sotto una Eva luna alta nel cielo, si ritrova a volare Sulle ali delle Aquile sotto lo sguardo indagatore di Sherlock Holmes. Ma a un tratto il sogno svanisce e Marta è costretta ad affrontare il mondo esterno e a cominciare così un Viaggio al termine della notte, dove incontrerà la madre perduta e scoprirà il sapore amaro della vita.


Un romanzo che parla di ecologia, cultura, storia e Napoli, una travolgente avventura in un mondo di insetti. Una storia di emozioni che vivono e animano i cuori di noi umani, come i libri ci hanno sempre insegnato.

Claudio Ciccarone è un napoletano nato a Cosenza nel 1960. Giornalista professionista, nel 1998 è stato tra i vincitori del Premio giornalistico “Ilaria Alpi”, ed è autore anche di alcuni racconti per ragazzi e della fiaba La strana storia del pesciolino rosso, del bambino e della favola che non poteva finire così (L'isola dei ragazzi, 2004), oltre che sceneggiatore e regista di cortometraggi. Lavora alla Rai nella redazione campana del Tgr. Il suo primo romanzo, La bibliotecaria, pubblicato da Guida Editore nel 2000, è oggi al centro di una polemica per presunto plagio con l'autore Sam Savage e il suo romanzo Firmino edito da Einaudi.

Il 2 luglio sarà in libreria la nuova edizione aggiornata e riveduta dall’autore del romanzo La bibliotecaria di Claudio Ciccarone, oggi al centro della polemica per il presunto plagio da parte di Sam Savage, scrittore del best seller Firmino pubblicato da Einaudi. Innegabilmente, le somiglianze e i punti di contatto tra i due romanzi suscitano curiosità, ma ciò che più colpisce è il valore letterario di entrambi i libri.

Se vi è piaciuto il topo Firmino Marta la tarma vi incanterà!

Si ringraziano per la gentile collaborazione Fanucci Editore e Valentina Notarberardino

www.fanucci.it

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
Firmino
Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
Classici
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
galloway Opinione inserita da galloway    26 Giugno, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

Tristam Shandy

"Tristam Shandy" non è un racconto, ma una racolta di scene, dialoghi e ritratti, umoristici o commoventi, misti a molto spirito e con molto sapere, originale o preso a prestito. Rassomiglia alle irregolarità di una stanza gotica, costruita da qualche collezionista fantasioso, per raccogliere gli avanzi disparati di antichità che i suoi sforzi hanno accumulato e con poca proporzione nelle sue parti, quanta è la connessione tra gli elementi di un'armatura arruginita con la quale è decorata... Egli può essere annoverato tra gli scrittori più affettati e tra i più semplici; come uno dei più grandi plagiari, e uno dei geni più originali che l'Inghilterra abbia prodotto."



Victor Hugo

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
i romanzi moderni
Trovi utile questa opinione? 
20
Segnala questa recensione ad un moderatore
Scienza e tecnica
 
Voto medio 
 
3.8
Stile 
 
4.0
Contenuti 
 
4.0
Approfondimento 
 
3.0
Piacevolezza 
 
4.0
galloway Opinione inserita da galloway    23 Giugno, 2008
Top 100 Opinionisti  -  

La vita cambia la scuola

La scuola digitale si propone di analizzare, attraverso la presentazione di una serie di esperienze europee e internazionali, il megacambiamento che il rapporto tra scuola, formazione e Information and Communication Technology sta generando.

Una "rivoluzione" che coinvolge tutti gli aspetti del sistema formazione e del sistema scuola, tanto da rischiare di rendere, per certi versi, obsoleto il modo di intendere e praticare l'insegnamento e l'apprendimento propri della scuola italiana. I dati dell'indagine OCSE-PISA raccolti tra il 2003 e il 2006 mettono in rilievo, per esempio, come l'infrastrutturazione tecnologica della scuola vada a incidere in maniera rilevante tanto sulle modalità di apprendimento quanto sulle modalità di insegnamento.

La questione supera, e di molto, sia il problema della diffusione dei computer nelle classi sia quello dell'addestramento degli insegnanti e dei formatori al loro uso. La formazione e la scuola digitali, infatti, ridisegnano i propri spazi fisici oltre che pedagogici, epistemologici e relazionali. In tutta Europa, purtroppo non in Italia, cadono i muri, le classi vengono ridisegnate o abolite, nascono open space e laboratori per i lavori di piccolo gruppo, la didattica prosegue fuori dallo spazio della scuola all'interno delle classi virtuali, le enciclopedie analogiche vengono sostituite da Wikipedia.

In una parola, lo spazio fisico dell'apprendere si rimodella sulle nuove opportunità offerte dalla tecnologia. Anche lo spazio sociale della scuola si trasforma, il suo carattere di "medium sociale" assume nella nuova prospettiva digitale un volto nuovo. La comunicazione digitale sta infatti tessendo attorno ai luoghi fisici della formazione una struttura di relazioni formative "fuori le mura", che diventa lo strumento per la costruzione di una comunità di pratiche tra i soggetti coinvolti nel sistema (allievi, insegnanti, genitori, imprese, università), capaci di ideare e realizzare una nuova modalità d'interazione formativa e di comunicazione educativa.

Lo spazio dell'apprendere e la tipologia di oggetti culturali che costituiscono il mix formativo vengono ridefiniti: non più lezioni frontali e libri, ma Internet, iPod, lavagne digitali e classi virtuali si affiancano e trasformano le modalità "gutenberghiane" dell'apprendimento. I giovani, infatti, ricevono dagli ambienti soprattutto extrascolastici importanti stimoli e sollecitazioni all'uso dei nuovi media (si pensi al cellulare o al Pc che in larga misura usano a casa), che rappresentano un serbatoio di esperienze e conoscenze per la scuola stessa, e che modificano radicalmente il rapporto fra educazione formale e informale. Alla luce di questa premessa, emergono molte domande che chiedono alle politiche scolastiche e della formazione una risposta urgente: come colmare il divario che si è aperto in questo come in altri campi tra l'Italia e i paesi più avanzati d'Europa? Come trasformare la dimensione mediale di un ambiente educativo e formativo come la scuola? In che modo può funzionare concretamente una scuola senza classi in termini di orario, programmazione, attività, ruolo dei docenti, organizzazione? Come si organizzano gli studenti (rispetto all'età, alle promozioni o bocciature, alle capacità)? Come si organizzano le discipline? Come utilizzare i contenuti digitali nella didattica?

In sintesi il volume prova a offrire alcune risposte ricavate dall'analisi di casi internazionali e pone ai decisori politico-istituzionali, così come ai protagonisti del sistema scuola, il problema concreto e urgente della trasformazione organizzativa e didattica di tutta la scuola italiana.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
i libri di scuola
Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
124 risultati - visualizzati 1 - 50 1 2 3

Le recensioni delle più recenti novità editoriali

Identità sconosciuta
Valutazione Utenti
 
3.3 (1)
Incastrati
Valutazione Utenti
 
3.8 (1)
Chimere
Valutazione Utenti
 
3.5 (1)
Tatà
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Quando ormai era tardi
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Intermezzo
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Il carnevale di Nizza e altri racconti
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
La fame del Cigno
Valutazione Utenti
 
4.8 (1)
L'innocenza dell'iguana
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Long Island
Valutazione Utenti
 
3.0 (1)
Volver. Ritorno per il commissario Ricciardi
Valutazione Utenti
 
4.1 (2)
Assassinio a Central Park
Valutazione Utenti
 
3.8 (1)
Identità sconosciuta
Valutazione Utenti
 
3.3 (1)
Incastrati
Valutazione Utenti
 
3.8 (1)
Chimere
Valutazione Utenti
 
3.5 (1)
Tatà
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Quando ormai era tardi
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Intermezzo
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Il carnevale di Nizza e altri racconti
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
La fame del Cigno
Valutazione Utenti
 
4.8 (1)
L'innocenza dell'iguana
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Long Island
Valutazione Utenti
 
3.0 (1)
Volver. Ritorno per il commissario Ricciardi
Valutazione Utenti
 
4.1 (2)
Assassinio a Central Park
Valutazione Utenti
 
3.8 (1)

Altri contenuti interessanti su QLibri

Il successore
Le verità spezzate
Il carnevale di Nizza e altri racconti
Delitto in cielo
Long Island
L'anniversario
La fame del Cigno
L'innocenza dell'iguana
Di bestia in bestia
Kairos
Chimere
Quando ormai era tardi
Il principe crudele
La compagnia degli enigmisti
Il mio assassino
L'età sperimentale