Opinione scritta da silvia71
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Il tutto e il niente
Il nuovo romanzo di Marco Missiroli si propone di raccontare una storia dal sapore amaro e struggente, una storia di fragilità umana, di caduta e di perdita di controllo.
Un menage familiare di superficie che scorre tranquillo ha solcato il mare dell'intera esistenza di una coppia e dell'unico figlio, eppure il demone del gioco d'azzardo è entrato tra le mura di casa, dapprima in sordina per poi radicarsi come erba infestante.
La vita scorre con i suoi riti e ritmi in una città di provincia, tra consuetudini, conoscenze e chiacchiericcio.
Rimini con il suo velo nebbioso autunnale che cala come un sipario dopo la stagione estiva, due volti che si alternano, luce e grigiore, aggregazione e solitudine.
Milano la grande città verso cui evadere per consolidare una posizione professionale e gettare le basi per un nuovo percorso di vita.
“Avere tutto” nel suo titolo emblematico vuole essere la storia di un padre e la storia di un figlio. Stati d'animo inespressi, verità taciute, silenzi tra le mura di casa, maschere da indossare per celare il buio dell'anima.
Due protagonisti perfettamente delineati nella loro debolezza ma al contempo nella loro pertinace ricerca di riscatto. Due uomini fatti di zone di luce e zone d'ombra, affini e diversi, complicati nella loro apparente semplicità.
L'autore ritorna al suo stile asciutto, dove la sintesi è tagliente e affilata, i flashback portano avanti e indietro il flusso temporale come a seguire l'irrequietezza del pensiero e l'indomabilità dei ricordi, che si affastellano numerosi, teneri e dolorosi insieme.
Non ci si propone un costrutto narrativo che vada a sviscerare le cause che hanno portato un giovane uomo ad entrare nella palude del gioco, ma con rapidità e precisione si fotografano immagini delle disfatte e degli sprazzi di speranza, delle piccole gioie quotidiane e delle bugie.
Una storia dagli esiti aperti, né condanna né assoluzione.
Emozionale, essenziale, intimistico.
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Una donna un'opera d'arte
Se un' opera d'arte pluri centenaria potesse parlare e raccontare tutto ciò che ha visto dalla sua nascita, a partire dalla gestazione alla realizzazione da parte del suo autore, per poi attraversare secoli dopo essere stata ammirata, toccata, ceduta, sottratta, donata a volti noti della storia, sarebbe un'esperienza straordinaria da ascoltare.
Parte da questa idea bizzarra e fantasiosa la stesura del romanzo “Io, Monna Lisa” a cura della scrittrice inglese Solomons.
L'impatto è da subito destabilizzante e curioso per il lettore che si trova ad ascoltare la protagonista di uno dei quadri più celebri al mondo. Eppure pagina dopo pagina, il contenuto conquista e aggrada, per la forte verosimiglianza delle riflessioni della Gioconda, per un buon lavoro di ricerca e approfondimento che vi è sotteso, per l'interessante rappresentazione della personalità di Leonardo.
Scorrono i secoli, i volti di Papi, Re, artisti, di tutti coloro che sono venuti a contatto con quella tavola di pioppo che raffigura Lisa del Giocondo.
Una prospettiva narrativa interessante, alternativa, fuori dagli schemi convenzionali in uso nel segmento storico: documentazione e ricostruzione accorpate tra loro con una dose necessaria di fantasia. Operazione più semplice a dirsi che a realizzarsi, per non incappare nella banalità e nella mancanza di credibilità.
Merita un buon plauso questo lavoro e ben si adatta ad un pubblico ampio, lettura godibile e trainante.
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Decadenza
La casa dell'oppio è un romanzo breve ambientato nella Cina nella prima metà del Novecento, periodo che precede la fondazione della Repubblica Popolare.
Il nucleo narrativo ruota attorno alle vicissitudini e al declino di una famiglia di latifondisti, intenti allo sfruttamento delle proprie terre convertendole dall'agricoltura alla coltivazione del papavero da oppio. L'autore ne racconta fortuna e declino, meschinerie, miserie e crudeltà sia tra le mura domestiche sia verso braccianti e contadini.
Un mondo gretto, sordido, ingiusto e anche immorale, dove oltre alla fame, regna violenza e indifferenza nelle relazioni sociali e umane.
Il villaggio seppur immaginario di Fengyangshu diviene microcosmo per rappresentare l'intera Cina rurale, arretrata e depressa dove i contadini perdono i connotati umani per assumere la valenza di strumenti di lavoro, da usare e di cui abusare senza il minimo sentore di pietà.
Decadenza morale che mette le radici nel profondo, tra coniugi, tra genitori e figli e tra fratelli.
Il filone letterario percorso dallo scrittore Su Tong appartiene alle cosiddette avanguardie che oltre a mettere a nudo la complessità delle situazioni sociali, scoperchiando pentole che il governo voleva blindate, fanno ricorso ad un nuovo linguaggio crudo senza orpelli stilistici.
I personaggi sono molteplici, appena abbozzati ma delineati con pochi tratti forti che ne rendono nell'immediato lo spessore psicologico. La scena è data da un groviglio di volti e voci che si accavallano e dialogano sovrapponendosi, generando un flusso narrativo ininterrotto che mescola all'interno della stessa frase il discorso diretto e indiretto.
Una scrittura fatta di immagini, di oggetti simbolici, di tanti personaggi che rappresentano ciascuno un punto di vista, nessuna strada tracciata da percorrere, anzi ciò che sembra un percorso di vita già compiuto, viene travolto e annientato.
Una lettura pertanto non agevole, complessa ma ricca di spunti di grande interesse.
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Il potere dentro di noi
Nel campo astronomico una “nova” è un'esplosione improvvisa che si genera sulla superficie di una stella.
Fabio Bacà utilizza questo termine come titolo del suo romanzo per definire in maniera sincretica la manifestazione della violenza nell'individuo.
Un viaggio faticoso e senza pretesa di esaustività quello che lo scrittore intraprende, volto all'analisi delle diverse e antitetiche componenti umane ossia l'autocontrollo e la sua frattura che sfocia in azioni violente e brutali.
Il protagonista è uno stimato professionista in campo medico ed il cervello è l'oggetto della propria attività quotidiana, operando nell'ambito della neurochirurgia. Un uomo dedito al proprio lavoro e alla famiglia, finchè alcuni eventi esterni vengono a spezzare la consueta routine e a sovvertire modus di pensare e di agire.
Parte da qui la narrazione il cui costrutto mette in evidenza la dicotomia tra la perfezione meccanica del cervello come organo ed il lato oscuro che si annida all'interno di esso e che nessun addetto ai lavori può conoscere e saper gestire.
Ci sono situazioni nella vita di chiunque che costituiscono banco di prova, che fanno venire meno i freni che la parte razionale pone ai comportamenti; ci sono situazioni accidentali che portano alla scoperta di reazioni non conosciute, azioni che svalicano nella perdita del controllo.
Che cosa è il controllo della propria mente e del corpo? Da cosa nasce e come si consolida nella vita quotidiana dell'individuo? E' corretto che la vita sia sempre e solo dominata dal controllo?
Ci sono eventi in cui è eticamente corretto prendere una posizione e demolire il muro dell'autocontrollo per irrompere nel mondo della violenza?
Il vivere civile contempla la condanna della violenza, quindi la completa inibizione a qualsiasi pulsione che possa sfociare in gesti aggressivi. Eppure è interessante soffermarsi su casistiche seppur estreme per affrontare un viaggio nell'oscurità del pensiero umano.
Tanto si prefigge Bacà con un romanzo di cui si percepisce la lunga gestazione per addentrarsi nell'universo caleidoscopico dell'agire e del pensare umano.
Il finale piuttosto aperto e la non risoluzione delle tematiche trattate costituiscono la visione dell'autore e sono l'epilogo più realistico ed onesto che vi possa essere.
Il tema dell'esplosione dell'individuo e della rottura del guscio della “normalità” non è un'equazione matematica, non è scientificamente tracciata, è oscurità, è stratificazione, è nebulosa, è insondabile.
In un panorama letterario che ci mostra sempre più disinteresse per il vocabolo, per la ricerca espressiva, poter leggere un autore che sceglie consapevolmente uno stile di scrittura ricercato ed erudito e che si compiace nell'utilizzo di termini che giacciono ormai solo nelle pagine polverose dei vocabolari, è piacevole, stuzzicante, prezioso per i cultori della lingua italiana.
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Amori politica e guerra
Dopo “Il mercante di Venezia” edito nel 2008, Riccardo Calimani torna a ambientare un romanzo storico nella città lagunare, percorrendo un arco temporale che va dal 1570 ca al 1606.
Il costrutto narrativo ruota attorno all'excursus vitae di un giovane Marco Barbarigo, giovane rampollo appartenente ad una famiglia aristocratica veneziana, seduttore nella vita privata e aspirante politico e comandante militare nella vita pubblica.
Seguendo le vicissitudini del baldo giovane prima e dell'uomo attempato poi, l'autore ripercorre tanta parte degli eventi storici del periodo come la battaglia di Lepanto, la lega santa, l'avvicendamento di svariati pontefici e dogi, il tema dell'espulsione del popolo di fede ebraica, la peste, le evoluzioni politiche tra Papato e Serenissima.
Davvero tanta la carne al fuoco da trattare in sole quattrocento pagine; il risultato che ne deriva è quello di un lavoro che si prefigge di donare al lettore una visione d'insieme ma ciò avviene a discapito dell'approfondimento.
Un incipit narrativo lento che si sofferma troppo a lungo su particolari di scarso interesse, ruba la scena a quello che poteva essere il cuore palpitante ossia la battaglia di Lepanto, trattata con poche pagine rispetto alla sua centralità.
Qualche pagina di troppo dedicata alle scorribande amorose del veneziano Barbarigo, con dettagli che mal si prestano ad essere presenti all'interno di un romanzo di stampo storico.
Quasi sull'epilogo, la narrazione riprende vigore portando in tavola temi di filosofia politica piuttosto profondi e ben congegnati nell'esposizione.
Insomma, non è operazione semplice quella di dare vita ad un romanzo storico, in primis saper dosare con equilibrio eventi reali e eventi verosimili, poi garantire spessore documentale al narrato.
Una mancanza che si avverte qua come nel romanzo precedente, è la cura dei dettagli storici di usi e costumi che rendano vivido lo spaccato sociale per far sì che il lettore si trovi calato nel contesto e che possa camminare tra calli e campielli.
Un lavoro studiato di cui si percepisce l'intento di Calimani di tornare a parlare della sua Venezia. Nel complesso la lettura desta interesse e può rendersi adatta ad un novello lettore di romanzo storico.
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Non solo fame
Tra le pagine di questo romanzo, si apre un viaggio all'insegna della bestialità umana dove le analisi sulle cause non sono sufficienti per mitigare le immagini crude e spietate che si susseguono.
La miseria quella più profonda può essere la dinamo unica per far scaturire comportamenti amorali, per spingere l'uomo oltre il confine del lecito?
Un quesito che aleggia durante ogni momento della lettura.
All'inizio fu una famiglia ed uno status di povertà, poi è seguita la violenza come giustificazione della fame, ma una forma mentis anomala e alterata non tarda a mostrarsi in tutta la sua evidenza.
La storia raccontata non brilla per originalità, a tratti la mano dell'autore sembra eccedere sul particolare macabro e riprovevole come per stupire lo sbigottito lettore.
Ciò che permane di questa lettura a tratti gotica, è un impatto emotivo deciso, un senso di disagio di fronte ai personaggi, stupore e disapprovazione, mai giustificazione alcuna; forte il sentore che l'autore detti un gioco alquanto duro per confondere il pubblico, alternando ai gesti efferati una sorta di ricerca delle cause iniziali che hanno dato origine a tutti i mali.
Destabilizzante e provocatorio, sicuramente all'autore va riconosciuto il potere di tenere in scacco fino al termine, dove ciascun lettore cerca di trovare uno spiraglio di luce dopo aver percorso tanto buio.
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Legame indiano
La produzione letteraria di Giorgio Montefoschi spazia dal romanzo, genere che lo incoronò vincitore del Premio Strega nel 1994, alla saggistica dedicata alle esperienze di viaggio.
Da grande innamorato del suolo indiano, nell'arco di trent'anni vi si è recato innumerevoli volte, da solo e con amici o colleghi al seguito. “Il buio dell'India” edito nel 2016 raccoglie un sunto di tante esplorazioni, di tanti incontri con persone e luoghi che gli hanno permesso di poter instaurare un legame spirituale e viscerale, improntato alla conoscenza, al rispetto e alla comprensione.
Eterogenee e contrastanti le immagini che scorrono tra le pagine, visioni di sofferenza e difficoltà ma anche di dignità e serenità.
Luci, colori, riti, afrori, miscelati in una ballata vorticosa e inafferrabile per l'uomo occidentale.
Tanti volti e tanti incontri, narrati dalla penna sapiente di un romanziere, rendono lo scritto un piccolo gioiello, lontano dalla fredda reportistica, ma vicino al calore umano colto in ogni battito di ciglia.
Il viaggio attraverso un paese, va condotto con la mente aperta, abbandonando pregiudizi e preconcetti, va affrontato lasciando a casa le suggestioni altrui o le aspettative mutuate dai media.
Montefoschi riesce in questa difficile operazione, sicuramente aiutato dal fatto di aver potuto godere di una conoscenza approfondita e continua nel tempo che lo ha portato ad attraversare e soggiornare in ogni regione indiana.
La mano dello scrittore si avverte, pertanto lettura godibile ed altrettanto meritevole lo spaccato socio culturale descritto, in maniera sommaria senza scendere nel minuzioso, tuttavia suggestivo e stuzzicante per chi si accinga ad intraprendere la conoscenza di uno dei paesi più enigmatici e complessi.
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La fuga e la ricerca
Giulia e Giovanni, una coppia di coniugi del mondo di oggi; una vita di routine divisa tra casa e lavoro, scandita da abitudini consolidate, gesti intimi e familiari che donano sicurezza, racchiudendo le anime in un guscio protetto da eventuali influenze esterne.
Una vita di gioie e dolori, ma affrontati sempre nell'unione affettiva e spirituale.
Eppure in un attimo, quella stessa vita che ti ha dato tanto, può toglierti tutto.
La persona che ti stava a fianco diventa un libro in bianco che non riesci più a decifrare.
La coppia indissolubile è svanita, al suo posto un uomo solo ed una donna in fuga.
Vana la ricerca del colpevole, del terzo incomodo reo della distruzione del nido coniugale; un maledetto Vronskij, seduttore senza scrupoli, si fa largo nei pensieri disperati e ossessivi di un marito abbandonato.
Una storia che prende corpo dal comune sentire e dalla quotidianità tipica della società contemporanea per poi attraversare un nutrito tratto narrativo in un limbo difficile da contestualizzare come realistico, per poi sfociare in un quadro più concreto.
Un percorso narrativo con picchi in altezza e in discesa, lasciano il lettore piuttosto basito, a tratti disorientato nel cercare di comprendere quale messaggio sia sotteso oppure se sia più proficuo affidarsi alla fantasia dell'autore e attendere l'epilogo per poter valutare l'intera vicenda.
Quando tutti i tasselli si uniranno, la visione d'insieme è importante ed interessante apparirà il punto di vista dell'autore. Un modus inconsueto per raccontare le interferenze che possono minare i legami, le insidie generate dal dolore fisico e spirituale, il lento sprofondare nel gorgo buio della disperazione, la voglia di cedere e lasciarsi cullare da un anestetico sonno.
Merito dell'autore quello di aver toccato temi delicati senza attingere in maniera banale allo strumento del sentimentalismo; al contrario un approccio a tratti quasi surreale accompagna una storia dove la parola dolore, la parola amore incondizionato e la parola speranza, si incarnano nei volti e nei gesti di un uomo ed una donna legati da un vincolo che va oltre quello matrimoniale.
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Frammenti di poesia
Ben sette secoli prima di Cristo visse la poetessa Saffo, nativa dell'isola di Lesbo, ultimo avamposto greco, ad un passo dalle coste dell'Asia Minore su cui sorgeva Ilio.
Insegnante per le giovanissime donne della sua terra di canti, danze e in generale di tutto quanto fosse volto al culto della bellezza, della grazia, contemplando anche le basi di quella che poteva definirsi educazione al piacere, non discostandosi dai principi della cultura ellenica del tempo.
I frammenti dei versi a lei attribuiti, hanno attraversato i secoli tramandati dai ricordi e dagli scritti di altri autori posteri. Da qui la nascita di mito e leggenda attorno alla figura di una delle donne più note del mondo antico, per colmare quei vuoti di conoscenza oggettiva che si sono creati nei secoli.
Una stura di ricostruzioni e interpretazioni, hanno dato forma ad una miscellanea di stratificazioni errate e corrette in merito al vissuto di Saffo, alla sua poetica, ai temi cari, alle finalità dei suoi versi e agli eventuali collegamenti con usi e costumi da lei adottati in prima persona.
Insomma dietro ad uno dei nomi più conosciuti e più citati, in realtà vi è tanta nebbia, tante informazioni prive di riscontro e fondamento.
L'approccio dell'autrice, docente universitaria, è quello di proporre una vera e propria esegesi delle fonti, passando in rassegna le stessi dalle più antiche alle più moderne per fare in modo che passo dopo passo si possa delineare da sé il volto e l'opera artistica della ragazza di Lesbo.
Il saggio non appoggia teorie di alcun tipo, è scevro da opinioni da parte di colei che scrive, si rende veicolo di raccolta di tutti i frammenti storici pervenuti dal mondo letterario e artistico, seppur analizzati e approfonditi da una penna addetta ai lavori, competente a tutto tondo, capace di camminare sul filo sottile che divide il mito e la storia.
Uno scritto di notevole interesse storico e documentale, più facilmente fruibile da chi possiede un pregresso bagaglio classico- umanistico.
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La prima tra le nobili
Sulla riva occidentale del Nilo, nei pressi della Valle dei re, fu innalzato il maestoso complesso funerario dedicato ad accogliere le spoglie mortali della celebre regina Hatschepsut (1500 a.c.)
Scenografico nella sua splendida incastonatura nelle rocce, ancora oggi è uno dei luoghi più affascinanti da visitare nonostante abbia subito una massiccia opera di ricostruzione.
E mentre gli occhi si cibano di tanta visione, seppur sotto la canicola egiziana, la mente ritorna ad immaginare il vero volto di questa donna, la sua vita e le imprese che la resero grande e immortale.
Donna abile nel prendere le redini di un paese che soffre ancora delle minacce latenti degli “hyksos, gli stranieri occupanti e usurpatori, vigilare sui confini è una priorità, ma anche l'esplorazione alla ricerca di convenienti rotte commerciali è uno dei capisaldi della sua politica estera, costruendo una flotta di navi per navigare lungo il Mar Rosso alla ricerca del “Paese di Punt”, fucina di prodotti indispensabili come l'incenso e la mirra.
L'ultimo lavoro di Christian Jacq dedicato alla leggendaria figura di Hatschepsut è esclusivamente da catalogare come romanzo, con scarsi approfondimenti di interesse storico-archeologico.
Il contenuto è blando, ruota intorno alle figure della regina, di alcuni familiari e del fidato consigliere e braccio destro Senemnut. Si parla di cospirazioni interne all'entourage politico e a quelle esterne, qualche accenno alle opere architettoniche in cantiere e alla preparazione per il viaggio verso Punt.
Tutto molto sbiadito, non si respira l'Egitto, si fatica a trovare immagini di abiti, dimore e templi.
Un viaggio non riuscito per chi affronta la lettura alla ricerca di una ricostruzione documentata.
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- sì
- no
Tra lava e cenere
La devastante eruzione del Vesuvio dell'anno 79 d.c. è storia ma anche leggenda narrata da una folta schiera di penne a partire dai testimoni oculari miracolosamente scampati a coloro che si occuparono di riportare episodi raccontati e tramandati con il tempo.
Fiumi d'inchiostro hanno riempito pagine fotografando una delle catastrofi naturali e umane più eclatanti del mondo antico.
Con il romanzo breve intitolato “La fortuna”, Valeria Parrella contribuisce a ridare vita non solo al momento eruttivo ma a quella fetta sfortunata di umanità coinvolta, sradicata nel giro di qualche minuto dalla propria casa, dagli affetti, dalla vita.
E così il romanzo ruota attorno al giovane Lucio, poco più che adolescente, essere fragile marchiato da un difetto fisico che lo ha sempre relegato ai margini della società, considerato come non idoneo a svolgere le stesse attività di un coetaneo. Eppure la rivincita di Lucio sarà quella di superare le barriere del pregiudizio tanto da imbarcarsi su una quadriremi, la Fortuna appunto, della flotta imperiale capitanata dal celebre Plinio il vecchio e stanziata a Miseno.
L'intento dell'autrice non vuole essere descrittivo su temi naturalistici, qualche accenno modulato con lirismo ne dà una buona misura, bensì è volto in toto all'analisi umana, rappresentando le sfaccettature psicologiche di un giovane uomo la cui vita è divisa tra un “prima” e un “dopo” l'eruzione del Vesuvio.
Lirico, intimistico, poetico. Una rappresentazione di morte, rinascita e sopravvivenza, analizzata attraverso gli occhi deboli del protagonista che dopo aver visto il volto del terrore, si consacra ad un futuro da adulto.
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Volare in Giappone
Riuscire a raccontare il Giappone ad un'ampia platea di lettori siano essi viaggiatori o semplici cultori del Sol Levante, non è impresa semplice. Una terra di luci e ombre, di forti contraddizioni, un passato ed un presente divergenti di cui occorre scoprire l'esistenza di un comune denominatore.
Il saggio di Mario Vattani, diplomatico e giornalista, è ben congegnato, appassionante e ben scritto.
La scelta dei temi trattati per approfondire la conoscenza della cultura del paese è ponderata, capace di attrarre l'attenzione del lettore pagina dopo pagina. Nonostante ciascun capitolo sia dedicato ad un argomento, tuttavia il flusso dei contenuti si sostanzia in un unicum narrativo volto a far sì che il lettore acquisisca conoscenza di innumerevoli aspetti culturali, sociali e storici, conquistando tassello dopo tassello una visione d'insieme strutturata ed interessante.
Naturalmente non è sufficiente la lettura di un saggio per quanto sia valente l'autore per sentirsi diplomati conoscitori; eppure questo lavoro regala delle immagini del Giappone moderno davvero suggestive, di forte impatto, dettagliate e impreziosite da spigolature curiose, collegandole in parallelo a riflessioni sul passato da quello più remoto a quello più recente.
In Giappone i due piani temporali sono intrecciati misteriosamente, due volti in apparenza distonici ma sorti dalle stesse radici; da qui la necessità di osservare, ascoltare e comprendere, principi che Vattani ha fatto propri nel corso della sua permanenza tra Tokyo, Kyoto ed Osaka, accompagnandoci in un viaggio attraverso costumi e consuetudini di un popolo avvolto da un'aura misteriosa.
Lettura consigliata per chi conosce il mondo Japan e per chi non avesse ancora letto nulla sull'argomento; lontana dalla saggistica istituzionale, fredda e talora tediosa, è un testo brillante e stuzzicante che merita di essere conosciuto.
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Acquerelli americani
Non è insolito restare colpiti da un'opera d'arte come un dipinto e maturare il desiderio di approfondire la conoscenza dell'autore, soprattutto se trattasi di un connazionale la cui fortuna non è stata eccelsa.
Nasce così il piccolo saggio dello svedese Fredrik Sjoberg, scrittore, giornalista culturale e collezionista, proprio dalla contemplazione di un acquerello intitolato “ Pino a Roskar” di Gunnar Widforss presso il museo di Stoccolma.
Gunnar è un giovane svedese con numerose problematiche familiari e personali alla spalle, alla ricerca sia di se stesso sia di un mestiere per sbarcare il lunario, percorre tanta parte del globo prima di insediarsi sul territorio americano, coltivando un interesse prettamente naturalistico.
Da qui un legame indissolubile con i grandi spazi, con l'immensità dei parchi del Grand Canyon, del Brice, dello Zion, specializzandosi in acquerelli dai colori pastellati e delicati ma dalle prospettive profonde.
In virtù della vita raminga, tanti disegni sono andati perduti, venduti talora per pochi spiccioli a non addetti ai lavori ebbero una fine infausta, come accertato nel lungo lavoro di ricostruzione.
Il percorso intrapreso attraverso gli Stati Uniti e la Svezia alla ricerca di questo strano e sfortunato pittore non è stato semplice e lineare, scarse le informazioni disponibili, pertanto lo scritto assembla impressioni raccolte durante i viaggi effettuati da Sjoberg, spaccati di resoconti di vita dello stesso pittore e riflessioni da parte di chi scrive su temi inerenti alla vita, ai fallimenti e alle realizzazioni ed in senso lato al “desiderio di fuga” dagli schemi imposti dalla società e dalla famiglia.
Il risultato finale produce un approccio alla lettura confusionario e lontano da descrizioni paesaggistiche dettagliate e avvolgenti; rare le immagini dei parchi, della vegetazione, delle rocce e della fauna, un lavoro incentrato sull'aspetto umano e psicologico.
Lettura non adatta a chi ricerca un bel viaggio attraverso gli States fatto di colori, luci, profumi di resina, terra rossa, cactus e sequoie.
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Lasciarsi tutto alle spalle
Un divorzio di velluto è quello tra i coniugi Katarina e Eugen.
Vite intrecciate con passione iniziale, minate poi da frasi taciute e insoddisfazioni reciproche.
Il “divorzio di velluto” è quello che divise la Cecoslovacchia in due stati indipendenti e autonomi nel 1993, ponendo una cesura tra due popoli che si percepivano differenti, culture distanti che il tempo non era riuscito ad amalgamare.
Due generi di divorzio, due binari paralleli, da sondare e percorrere, per tentare di comprendere le cause della frattura.
Il romanzo non vuole essere immerso nelle tematiche politiche, ne resta ben lontano, dedicandosi in via esclusiva alle persone, ai volti che sono i protagonisti, mariti e mogli, genitori e figli, senza dimenticare gli amici.
La divisione del paese funge da sfondo, divenendo uno degli elementi narrativi che coinvolge psicologicamente tutti.
Una storia di scissioni familiari, un viaggio all'interno di famiglie all'apparenza unite e amorevoli, ma nella sostanza terreni fertili per incomprensioni, disamore, ripicche e fughe.
Una narrazione costruita su un impianto temporale che segue il filo dei ricordi, un riaffiorare continuo di episodi, di incontri, di emozioni che la giovane Katarina vuole raccontare in primis a se stessa, per potersi fornire delle risposte che per lungo tempo non ha cercato, nella convinzione di vivere una buona vita e di aver raggiunto obiettivi solidi.
Uno dei cardini sottesi alla storia è il bisogno di integrazione e accoglienza, sia esso nell'ambito familiare o nel più vasto sentire socio-culturale, richiamando temi attuali come il rispetto delle origini altrui, degli usi e costumi, di tutto ciò che concerne l'espressione dell'individuo.
Si tratta del primo romanzo di una autrice slovacca, che ha scelto di vivere in Italia da numerosi anni, pertanto è comprensibile che siano numerosi gli spunti personali utilizzati per la stesura dei contenuti.
Interessante l'intento e l'impronta del binomio tra le due tipologie di divorzio, tuttavia manca un pizzico di brio nella prosa e qualche riferimento più sostanzioso alla separazione tra le due culture.
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1592-1610
Nel 1592 a Galileo viene assegnata una cattedra di matematica presso l'attuale Università di Padova, ai tempi nota come Universitas Artistarum dello Studium Patavinum.
Aveva ventotto anni e alle spalle una fama di scienziato, nonostante una vita privata piuttosto dissoluta.
Gli anni trascorsi a Padova divennero ben diciotto, definiti dallo stesso come “li diciotto anni migliori di tutta la mia età”; anni di studio e di frequentazioni fruttuose con Giovanni Sagredo, Paolo Sarpi e di corrispondenze con Giovanni Keplero, fino a diventare un punto di riferimento per la comunità scientifica ed un interlocutore di spicco per i politici della Serenissima.
Non si tratta di una biografia nel senso tecnicamente e stilisticamente inteso, neppure di un romanzo storico, bensì di un saggio che prende vita da una raccolta di missive vergate dalla mano di Galileo oppure da lui ricevute nel lasso di tempo trascorso in terra veneta.
Rarissimi gli interventi di raccordo narrativo posti ad inframezzo, pertanto la lettura assume una valenza in toto documentale, con certune descrizioni minuziose di ricerche tecniche e teoremi, più adatti ad un pubblico di addetti ai lavori.
Lo scritto è frutto dell'idea di un docente di fisica e astrofisica, Alessandro De Angelis, di cui si apprezza la passione per il grande Galilei e la voglia di portare a conoscenza di un'ampia platea l'intenso e produttivo “periodo padovano”, tuttavia l'opera resta fredda e didascalica, assumendo le semplici vesti di una raccolta di lettere poste in ordine cronologico.
Castelvecchi è un editore che dedica ampi spazi alle opere di natura storica e di ricostruzione biografica, quindi è apprezzabile la scelta di pubblicare il testo per la riproduzione di lettere e conversazioni di grande valore storico, tuttavia la sinossi di copertina dovrebbe trasferire con maggior chiarezza il reale contenuto per non generare aspettative poi disattese.
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Morsi di rabbia
Una Shanghai algida e tiepidamente abbozzata accoglie una giovane italiana in fuga da una recente perdita dolorosa e stigmatizzante.
Una giovane donna che porta sulle spalle il fardello del lutto di un fratello gemello, una scomparsa non solo da elaborare ma che nasconde al suo interno un'intricata voragine di problematiche irrisolte.
Un terremoto interiore che ha fatto crollare ogni sovrastruttura personale e familiare, mettendo a nudo rimorsi, rabbia, delusione e vuoti da colmare.
Le mancanze affettive diventeranno sinonimo di fame spasmodica e delirante che la giovane protagonista tenterà di saziare con un amore totalizzante, fatto in primis di fisicità estrema, oltre che di sottomissioni e idealizzazioni.
Viola Di Grado ci conduce all'interno di una storia a tinte fosche a tratti allucinatoria, di cui inizialmente se ne comprende il disegno sotteso in vista di un percorso liberatorio, ma al termine la parabola narrativa pare debole.
Non è semplice rappresentare la ricerca di evasione da una palude emotiva attraverso l'utilizzo del proprio corpo, come strumento per infliggersi castigo e per cogliere serenità; temi spinosi e complessi da trasferire al pubblico.
La prosa conferma il consueto stile asciutto e tagliente dell'autrice, fatto di sequenze rapide di immagini e stati d'animo, ricco di colori, suoni e odori.
Una prova impegnativa che nell'elaborazione del contenuto, o meglio nel suo bilanciamento, ha perso di vista il giusto mix degli elementi.
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Il dolore della sopravvivenza
Kyoko aveva quindici anni quando il 9 agosto 1945 venne sganciata l'atomica su Nagasaki.
Ad una manciata di giorni dalla fine del conflitto mondiale, una catastrofe ha segnato l'umanità.
Non saranno più i quindici anni della spensierata adolescenza, ma l'inizio di una nuova vita che assumerà le sembianze di una sopravvivenza, di una lotta continua con le immagini di morte e di sofferenze indicibili, con le conseguenze della contaminazione che trasformano il corpo e la psiche.
Come poter tornare alla vita quando ciò che resta di un figlio o di un amico è un piccolo cumulo di cenere all'interno di una scuola.
Come tornare alla vita quando resti solo in mezzo alla distruzione dopo che impotente hai visto morire nell'immediato o a posteriori, familiari e amici con i corpi dilaniati.
Odori, colori, buio, urla e silenzio.
I racconti editati con il titolo “Nagasaki” sono un unicum narrativo, un narrato per immagini e dialoghi che parlano direttamente allo sgomento lettore, senza necessità da parte di chi scrive di ricercare commiserazione.
Non è una testimonianza che cerca sentimentalismo, è la voce di una donna che una volta entrata nella stirpe dei sopravvissuti, ha abbracciato la missione del ricordo con un occhio rivolto in modo particolare all'universo femminile come lascia percepire tra queste righe.
L'olocausto nucleare non ha una fine per chi lo ha subito, è un fardello che accompagna l'intera esistenza e di cui da sempre Kyoko Hayashi si è fatta portavoce fino all'anno 2017 in cui è spenta lì a Nagasaki.
Unico testo tradotto in italiano, è auspicabile che possa giungere nel nostro paese anche la restante produzione dell'autrice.
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Alla ricerca delle radici
Sedici parole vengono scelte dall'autrice per rappresentare il paese e la cultura iraniana da cui proviene la famiglia.
Figlia di immigrati approdati in Germania negli anni Ottanta, Mona da sempre vive una vita all'occidentale ma senza dimenticare il luogo lontano su cui si innestano le radici familiari.
La perdita della nonna, anziana capostipite rimasta a vivere a Teheran, sarà motivo per intraprendere un viaggio carico di dolore e al contempo latore di ricordi intimi e sepolti dalla lontananza e dal tempo.
Per chi si aspetta di essere accolto tra usi e consuetudini dell'Iran, di inebriarsi di aromi speziati, di riempirsi la vista di colori, moschee e manufatti, il contenuto lo disattende ampiamente.
La narrazione perde di vista il desiderio di accompagnare il lettore all'interno della cultura persiana, per farne conoscere lo stile di vita quotidiano del passato e del secolo corrente, ma incentra il contenuto su eventi prettamente familiari e personali, facendosi diario soggettivo di scarso valore letterario.
Un'occasione sprecata, una costruzione studiata intorno a sedici parole, emblemi di una cultura millenaria e antitetica a quella europea, parole e concezioni il cui approfondimento resta sbiadito e poco percepibile.
Un viaggio per accarezzare ricordi e sentimenti personali, con poche fotografie dei luoghi e degli aspetti storico-culturali.
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Un uomo e la sua cima
Agostino fin da bambino prova un'attrazione speciale per le montagne che circondano il suo paese e durante il periodo estivo in cui sale sugli alpeggi per guadagnarsi la pagnotta come aiuto del malgaro, cementa un legame che durerà tutta la vita con una cima in particolare, il Monte Grappa, per lui semplicemente “la Grapa”.
Un amore che diventa rispetto, generando un senso di appartenenza, perchè percorrere quei fianchi rocciosi e scoscesi significa libertà e felicità, quando gli occhi si perdono all'orizzonte e il silenzio tutto sovrasta.
“Il Moro” come tutti lo chiameranno è un uomo cresciuto in simbiosi con la sua montagna, piantando delle radici che neppure la famiglia riuscirà a scalzare.
Antesignano della figura della guida alpina per i primi appassionati di escursionismo ad alta quota sui primi del Novecento, quindi guardiano del primo rifugio sorto sul Grappa fino allo scoppiare della prima grande guerra che farà di questa vetta una triste e tragica protagonista, colma di sangue e morte.
Un racconto intenso e pervasivo che prende le mosse da una singola storia di vita per raccontare uno spaccato della grande Storia. Un modus efficace, denso di particolari documentati e palpitante sul piano emotivo.
Una grande prova di scrittura per Paolo Malaguti, una prosa elegante, colta e raffinata che utilizza con sapienza e ponderazione il gergo regionale.
Un romanzo storico di grande interesse che lega a doppio filo il lettore con un uomo che ha vissuto sia la pace estrema in cima alla sua vetta sia l'orrore della guerra; attraverso quegli stessi occhi le immagini dei tempi scorrono veloci e impietose, dapprima i colori e gli spazi infiniti, i sentieri bianchi di ghiaia in estate e di neve in inverno, poi la carneficina, il rosso del sangue che tutto tinge, le trincee che bucano la pancia della montagna, il fragore degli spari, morte e orrore, i cimiteri di fortuna.
Una penna quella di Malaguti che viene posta al servizio della Storia partendo dai ritratti dei singoli volti, degli italiani, di chi ha fatto e subito l'inesorabile avanzata dei tempi e degli eventi, ricalcando le orme del grande Sebastiano Vassalli nell'elaborato stilistico del contenuto.
“La montagna è donna finchè resta fertile, finchè i suoi pascoli danno erba nuova e nuovi fiori anno dopo anno. Lassù su quella che un tempo era stata la sua cima, casa sua, erba non ne sarebbe più cresciuta. Era diventato quello che avevano cercato e voluto dalla guerra in poi. Il monte, il simbolo del popolo vittorioso, il sarcofago dei guerrieri morti nel fuoco e nel ferro.”
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Attrazione floreale
L'epopea delle spedizioni volte all'esplorazione naturalistica pulsa ancora nel corso dell'Ottocento e spinge i paesi occidentali agli antipodi del globo in una sfida economica e di potere.
Viaggi fatti di traversate estenuanti, nubifragi, malattie e morte. Ma anche di ricompense, quali scoperte di rare specie di cui il vecchio continente ne è all'oscuro.
Per chi ha la fortuna di toccare indenne le sponde delle terre lontane, si aprono alla vista panorami inusuali, una natura rigogliosa e padrona, culture difficili da decriptare e a cui assoggettarsi.
In siffatto quadro storico, uno dei volti dei pionieri botanici fu lo scozzese Robert Fortune, mite giardiniere dell'Horticultural Society di Londra, sposato e padre di due figli.
La passione per le peonie sovrasta quella per la famiglia.
Dovendo scegliere tra coltivare una vita di tranquilla routine circondato dal calore di un'amorevole famiglia e imbarcarsi verso luoghi ignoti decantati come la culla del mondo vegetale, preferisce l'incanto floreale, sia esso il frutto di una passione sconfinata o semplice incoscienza.
Un romanzo gradevole proposto con le vesti di un diario che alterna le voci di Robert, della moglie la cui vita prosegue per anni lontana dal consorte e della cinese Lian, guida fidata e compagna dell'intera avventura.
Una storia piacevole, confezionata senza pretesa di assurgere ad un fedele resoconto biografico, ma coglie lo spunto per essere romanzata dalla penna della tedesca Nicole Vosseler.
Un viaggio di estremo interesse per noi avvezzi all'era moderna, per noi che con un click possiamo visionare ogni angolo del mondo senza lasciare la poltrona di casa; eppure solamente due secoli fa c'erano uomini disposti a rischiare la vita per potersi proclamare scopritori di piante di rose o di orchidee, senza tralasciare la grande importanza assunta dalla camellia sinensis, ossia la pianta del tè e la relativa guerra commerciale sorta, di cui si accenna nel testo.
Adatto ad una vasta platea, meno indicato per chi cerca approfondimenti storici pervasivi e dettagli scientifici a tutto tondo.
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Sopravvivere e rinascere
E' la notte del 28 dicembre 1908 quando all'alba le viscere della terra esplodono inghiottendo migliaia di persone tra Messina e Reggio Calabria.
Solo polvere, morti, buio e terrore.
La vita si è fermata e spezzata in un prima e un dopo per i pochi sopravvissuti,
Un esercito di esseri annichiliti, disperati e sconfitti dalla violenza della natura si aggirano disperati, allampanati e famelici tra macerie fumanti alla ricerca dei propri cari prima, alla ricerca di un oggetto, di un pezzo di pane raffermo da mettere sotto i denti o di una pozza di acqua melmosa per abbeverarsi dopo.
All'interno di un quadro dalle tinte fosche e surreali, l'autrice ritrae due volti, quello di un orfano e quello di una giovanissima donna, seguendo il loro “prima” familiare e il loro “dopo” di caduta, svilimento e infine di perseveranza e rinascita.
Un romanzo breve eppure intenso per i contenuti, per le immagini pregne di realismo, per lo spessore emotivo ed il ritratto psicologico di quanto rappresentato.
Una narrazione che alterna un capitolo alla storia di Nicolino ed uno alla storia di Barbara; emblemi della tragedia colossale che ha sconvolto lo stretto, simboli di una sofferenza subita per mano di un destino imperatore.
Il piccolo Nicola è simbolo del mondo dell'infanzia, di quell''esercito di orfani che nasce all'alba del giorno successivo alla scossa, quando migliaia di madri e padri non si risvegliano.
Cosa fare, dove andare? Anime perse che vagano giorni e giorni cercando nella polvere e rischiando di incappare nelle trappole di adulti aguzzini, perchè le tragedie non scaldano il cuore, ma sembrano scatenare bragia e violenza all'essere umano.
La bella Barbara, un fiore che stava per sbocciare prima del terremoto, poi è calata una notte densa che ha portato abbruttimento e lacerazione, spezzando i petali colorati sostituendoli con le spine.
Nonostante il tema affrontato e la gravità delle immagini, il taglio narrativo impresso da Nadia Terranova è di resilienza, di forza e di speranza.
Il lirismo della penna è un valore aggiunto che carica di pathos ogni rigo, permeando di balsamo gli aspetti più brucianti e donando una carezza di vicinanza e comprensione a tutti i protagonisti.
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In salita verso la luce
Il Purgatorio di Dante è concepito come speculare alla voragine infernale pertanto assume la conformazione di una montagnetta composta da sette cornici dedicate ciascuna all'espiazione dei peccati capitali. Le anime qua rappresentate sono ree di colpe più lievi rispetto a quelle a cui tocca una collocazione agli inferi senza appello, tuttavia il percorso cui devono sottostare prima di assurgere alla luce paradisiaca, è lungo e faticoso.
Il buon Dante intraprende la salita verso la vetta incontrando centinaia di volti e immergendosi nelle loro storie, ricche di aneddoti, di gioie e dolori, di errori pagati a caro prezzo e voglia di riscatto. Sono scomunicati, superbi, invidiosi, iracondi e golosi, pronti ad un lungo pellegrinaggio per guadagnarsi il paradiso.
Rispetto alla prima cantica, il Purgatorio raccontato e parafrasato da Vittorio Sermonti è un percorso arduo e accidentato, cavilloso su tematiche teologiche, filosofiche, linguistiche e socio-politiche, una vera selva intricata di approfondimenti dal sapore squisitamente accademico.
Ottimo testo per addetti ai lavori, meno per chi cerca il piacere di riscoprire la Commedia di Dante
in un testo raccontato con maestria e pertinenza di contenuti ma accessibile e godibile.
Lontano dall'impostazione dell'Inferno, vuoi perchè la cantica è più densa ed enigmatica concettualmente vuoi per volontà dell'autore, il Purgatorio strada facendo va assunto a piccole dosi perchè talvolta pesa come il macigno caricato sul dorso dei superbi.
La grandezza dell'autore resta ed è ampiamente certificata dalle redazione di un lavoro critico di tale spessore seppur si volga ad un lettore di nicchia o ad un dotto ricercatore.
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Lawsonia inermis, alias hennè
Una storia tutta al femminile, ambientata nella Jaipur del 1955 primo periodo post indipendenza dello stato indiano.
Tanti volti di donne di caste diverse, di estrazioni sociali contrapposte, ma accomunate dall'attaccamento alla tradizione, ai riti beneauguranti, fasciate nel loro sari, sia esso ricamato di fili dorati sia esso sdrucito dall'usura.
Un esercito di voci, di storie, di dimore sontuose, di bicocche misere.
In primo piano Lakshmi, che grazie all'hennè ha conquistato la libertà, la sua abilità nel decorare la pelle delle donne come vuole la tradizione le ha fatto ottenere il riscatto da un marito-padrone e dagli obblighi imposti da una cultura di stampo maschilista.
Sicuramente un'eccezione in un vasto mare di sottomissione, un esempio di tenacia e perseveranza, una donna alla ricerca spasmodica dell'indipendenza economica e sociale.
Un romanzo delicato nei toni ma denso di realismo, ricco di momenti descrittivi di usanze del vivere quotidiano, di utilizzo di erbe medicamentose, di costumi della società indiana del tempo.
Lettura gradevole con un ponderato connubio tra dialoghi e narrato, con la giusta centratura dello spessore psicologico dei protagonisti ed una buona documentazione nella citazione di piante, fiori, frutti e spezie utilizzati a fini decorativi, culinari e medici.
Una scrittrice esordiente Alka Joshi di origini indiane ma con una formazione occidentale alle spalle, di cui si percepisce la voglia di rendere omaggio al mondo femminile della terra natia.
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Apis mellifera carnica
Il secondo conflitto mondiale ed il regime nazista stanno seminando terrore morte e oppressione in ogni dove.
Egidius è costretto ad abbandonare la sua professione di insegnante e a rifugiarsi nel suo paese natio sito in una sperduta landa tedesca ai confini con il territorio belga.
Un ritorno ad una vita agreste tramandata da generazioni, con un particolare interesse all'apicultura e alla piccola ma complessa società cui le api danno vita.
La solitudine profonda di un uomo che combatte con una malattia da nascondere al mondo, per non correre il rischio di essere tacciato per essere anomalo e in quanto tale da sopprimere, perchè inutile e latore di geni corrotti.
La necessità di procurarsi costosi farmaci per sopravvivere, spinge l'uomo a correre qualsiasi rischio, come quello di favorire la fuga di esuli ebrei dalla Germania.
Un racconto che si snoda sulle pagine di un diario, dove ogni giorno il protagonista annota la sua giornata, le sue attività, lo stato di salute suo e delle sue amate api di cui ne dettaglia minuziosamente la vita in ogni stagione dell'anno.
Il diario datato 1944 si alterna ad immagini rievocate da un lontano passato che ricostruisce frammenti di storia medievale alla ricerca di un celebre antenato dello sventurato Egidius.
Una vicenda colma di mestizia e narrata in maniera semplice, senza guizzi stilistici, ma di cui si percepisce la voglia dell'autore di riportare alla luce una traccia storica su cui ha effettuato ricerche e il cui frutto prende vita tra le pagine di un romanzo gradevole.
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Non solo arte
L’artista Jed Martin è il protagonista enigmatico del romanzo.
Sperimenta le arti figurative perorando il campo della fotografia e della pittura alla ricerca della propria essenza, percorre svariate strade artistiche per realizzarsi come uomo e per trovare un posto nella società.
Vita dura quella dell’artista, in perenne bilico tra realizzazione e critica, tra soddisfazione e vuoto creativo, tra acclamazione e isolamento.
I momenti down, dove le nebbie sono fitte e gli spunti creativi latitano, si alternano con rinascite e folgorazioni improvvise, come quella di creare un’opera d’arte utilizzando uno scatto fotografico che ritrae una porzione di carta stradale della guida Michelin. Tuttavia le operazioni brillanti sembrano svaporare col passare del tempo, fomentando il tarlo sordo della vacuità.
Il romanzo è una fucina di tematiche a sfondo non solo artistico ma sociale, economico, culturale e politico.
Lo scrittore francese naviga con estrema disinvoltura nei suddetti campi, contaminando il contenuto di spunti personali, cimentandosi in uno sdoppiamento di se stesso, Houellebecq autore e artista, camminando sul filo sottile del reale e del visionario.
I contenuti sono elaborati con un flusso che stimola la curiosità del lettore, convogliando l’attenzione sul viaggio che si compie attorno alla complessa personalità del protagonista, che vuole essere simbolo di una intera categoria.
Romanzo dalla scrittura elegante e dalla prosa coinvolgente con un giusto equilibrio tra registro cinico, critico e denuncia sociale.
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La dea che voleva essere umana
Circe la dea ribelle, la figlia diversa e poco considerata dal “clan familiare” cui appartiene.
Fin da bambina anela affetto da un padre e da una madre avari di attenzioni.
Mettere al mondo la prole è un mero esercizio per la schiera degli dei, egoismo ed ambizione individuale corrono veloci in direzione opposta al concetto di nucleo e di casa, più consoni alla stirpe umana.
Circe e la sua isola di Eea, con le sue bianche spiagge su cui passeggiare all'alba, con i suoi boschi rigogliosi da esplorare alla ricerca delle preziose piante “magiche” con cui produrre i pharmaka, le pozioni dai poteri prodigiosi.
Circe maga ma anche donna, tormentata dalla sua solitudine affettiva, desiderosa di innamorarsi e di trattenere sulla sua isola l'affascinante comandante Ulisse, pellegrino alla ricerca di un approdo sicuro di ritorno dopo la sfiancante guerra di Troia.
Un lavoro di ricostruzione fisica e psicologica davvero certosino e coinvolgente quello che la Miller riesce a portare a termine. Una protagonista delineata a tutto tondo e còlta nelle sue frustrazioni, nelle sue tensioni amorose, nelle sue delusioni più amare, nelle sue disastrose relazioni familiari.
Un volto che dopo alcuni capitoli sembra materializzarsi e far dimenticare al lettore di trovarsi nel mezzo di un racconto mitologico, tanto è lo spessore umano e concreto che assume.
Una scrittura impreziosita da un linguaggio elegante e pertinente, uno studio dei contenuti supportato da ricerca storica e documentale per dare corpo ad un narrato credibile.
In alcuni frangenti, la penna si attarda un poco oltre misura generando un calo del ritmo, ma nulla che vada ad intaccare la prova di scrittura e il romanzo godibile che ne nasce.
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Strappi ricuciti
Un abbandono subìto la cui risposta da parte del destino fu un'accoglienza.
Un cordone biologico strappato ed un legame di cuore instaurato.
Due mamme fanno parte della storia di una donna, un volto mai goduto appieno ed uno amato come un pilastro fondamentale.
Una ricostruzione del proprio percorso personale, familiare, sociale e spirituale, compiuto abbandonandosi alle sensazioni evocate da ricordi, suoni, voci, immagini, oggetti.
Uno scritto che segna un momento di riflessione per raccontare quanto di più intimo possa esistere, come l'appartenenza ad una famiglia, i legami di sangue e i legami voluti, i vuoti da colmare e gli affetti da metabolizzare.
L'autrice avvezza al componimento poetico, presta la sua dote stilistica alla voce che le scaturisce dal cuore come fiume in piena, dando vita ad un genere ibrido che fonde narrato a elegia.
Una storia intensa e di grande trasporto, merito di un linguaggio fatto di essenzialità eppure efficace nel mettere a nudi i nervi scoperti.
Un'apprezzabile sperimentazione linguistica per evadere dai solchi del romanzo e del diario autobiografico.
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Vittima della giustizia
E' il 4 marzo 1617 quando il rogo su cui è stata arsa l'ennesima strega, si spegne in quel di Milano e la folla di curiosi si disperde lentamente.
La sventurata condannata è Caterina Medici originaria di Broni, piccolo borgo del Monferrato. Una vita di miseria e soprusi subiti da parte di tutti gli uomini incontrati, una reietta per la società del tempo, obbligata alla prostituzione da un consorte cerbero da cui riesce a guadagnare la fuga con coraggio e furbizia. Ma il destino di dolore è impresso nel sangue della donna e neppure la grande forza di volontà riuscirà a donarle salvezza.
Una vita rocambolesca, fatta di mali estremi, di povertà, di sopraffazione e umiliazione, ma con una forte tensione emotiva alla ricerca di quel calore familiare mai vissuto.
Una ricostruzione corposa, avvolgente ed esaustiva quella racchiusa tra le pagine di questo romanzo storico, la cui linfa vitale è data da uno studio accurato dei carteggi imbastiti per il processo a Caterina, personaggio realmente esistito nella Milano dei Borromeo e degli spagnoli.
Una carrellata di volti storici animano le pagine, con ricchezza di dettagli, di ambientazioni, di usi e costumi dell'epoca, generando un climax temporale ben congegnato per fare da sfondo e arricchire di verosimiglianza la storia di una condannata alla stregoneria.
La mano dell'autrice intreccia in concomitanza alla vita di Caterina un'appendice romanzata che dona grande pathos e profonda umanità, proponendo un approfondimento sul ruolo antitetico al condannato ossia quello dell'esecutore di giustizia, figura discussa e avvolta da un'aura nera poiché dispensatrice di torture efferate e di morte seppur in nome delle sentenze emesse dai tribunali.
Un lavoro interessante, ben strutturato e documentato con una apprezzabile legenda finale in cui l'autrice dettaglia quanto sia figlio della storiografia e quanto sia frutto della sua penna; un dettaglio lodevole che illumina il lettore e ne fa apprezzare ancora di più il contenuto, senza lasciare dubbi su quali possano essere essere gli inserimenti fiction nel corpo del romanzo.
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Cercando Archimede
Se ci mettiamo alla ricerca di un approfondimento sulla vita e le gesta dell’esimio Archimede, in realtà scopriremo che le notizie certe tramandateci sono esigue e poco attendibili a seguito di manipolazioni e mistificazioni.
Archimede vive a Siracusa a metà al III secolo a.c. e durante l’assedio romano con le proprie abilità nel campo della meccanica diventa una risorsa indispensabile di re Gerone per resistere agli attacchi messi in atto dai generali di Roma le cui mire espansionistiche impongono loro di dominare la Sicilia e il mar Mediterraneo.
Taluna aneddotica ce lo rappresenta come uomo solo, dedito unicamente agli studi e alla sperimentazione nel campo della geometria, matematica, ottica, astronomia; studi sfociati in scoperte e principi che gli hanno conferito una fama immortale.
Partendo dalle poche certezze fornite delle fonti storiche in merito alla collocazione spazio temporale, lo scritto di Francesco Grasso propone una ricostruzione romanzata dell’ultimo periodo vissuto dal matematico, diviso tra passione per la ricerca e la messa in atto delle proprie invenzioni tecniche e l’insegnamento a qualche nuovo discepolo volenteroso di apprendere. La voce narrante è affidata ad uno di questi ultimi giovani che ha affiancato il siracusano nelle giornate dedicate agli esperimenti, alle costruzioni di marchingegni ma che ne ha conosciuto anche le relazioni complesse con l’entourage del re e da ultimo con i familiari.
Il lavoro pecca di sostanza e soffrendo della vacuità documentale non riesce a sopperire ad essa con una nutrita ricostruzione che affondi a piene mani nel contesto storico, sociale e politico.
La proposta editoriale si presta ad un segmento di pubblico di giovanissimi da far avvicinare alla Storia in maniera leggera sia per contenuto sia per stile e linguaggio.
Lettura non adatta a chi ricerca profondità di contenuto in stretta relazione con l’utilizzo di una soddisfacente bibliografia.
Natura e spiritualità made in Japan
Osojima è un'isola nipponica la cui forma ricorda il cavalluccio marino.
E' un tripudio di flora e fauna, un paradiso naturale incontaminato popolato da leoni marini, capricorni giapponesi, uccelli rari, ficus rigogliosi, aceri e banani.
Un territorio da studiare e riscoprire per un giovane geografo, il cui viaggio-studio si trasforma in una immersione totalizzante in un contesto ambientale e sociale profondamente mistico e magico.
Un lembo di terra che ha vissuto la dicotomia religiosa buddhismo- shintoismo, senza tralasciare una profonda tradizione sciamanica, un calore spirituale che trasuda dalle rocce, dai ruderi templari disseminati, dalla vegetazione.
Immaginazione o realtà? Luoghi fittizi o esistenti? Contesto storico e sociale ascrivibile a talune isole dell'arcipelago oppure frutto di fantasia narrativa?
L'impatto con il mondo ricreato dalla scrittrice Kaho Nashiki è da principio destabilizzante e richiede tempi dilatati per ambientarsi e cogliere il limite sottile tra immaginario e tangibile.
Si tratta di una penna votata al tema ambientale, alla salvaguardia delle tradizioni e del territorio, all'attenzione ai retaggi spirituali come perno portante di una cultura atavica.
Scrittura eterea e cristallina aderente alla odierna letteratura nipponica, un contenuto più incisivo sul tema naturistico, carente sull'approfondimento psicologico del protagonista a dispetto delle anticipazioni entusiastiche vergate sulla quarta di copertina.
Il nucleo fondante da cui prende vita lo spunto narrativo è interessante, ma manca di sviluppo, restando un abbozzo, un bozzolo da cui non dispiega le ali la farfalla tanto attesa.
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Vita e morte tra quelle mura
Una vetusta dimora storica è un luogo che desta ricordi, le pareti hanno accolto e ascoltato storie di vita, si sono impregnate di fragranze, le stanze sono mute testimoni di passioni e vendette, di lacrime e sorrisi.
Simona Vinci parte dalle mura datate e misteriose di una villa situata nella pianura bolognese, per ricostruire in parte le reali vicissitudini dei proprietari che l'hanno abitata a cavallo tra Ottocento e inizio del secolo successivo, intrecciando il documentato con altri piani temporali e con personaggi di fantasia.
Le immagini frammentarie ed immaginate della vita della mezzosoprano Giuseppina Pasqua, contemporanea di Verdi, che ha realmente attraversato queste stanze insieme al consorte, il baritono Giacomelli, si mescolano con una storia di coppia attuale, di passione e di solitudine, di morte e di rinascita.
Un romanzo dalla struttura complessa, studiato nella forma e nei dettagli storici utilizzati, pervaso da un'aura cupa che smorza ogni slancio di ottimismo; a tratti visionario e astratto sembra inghiottire il lettore in un buco nero, ricalcando il climax tipico del romanzo gotico.
La stratificazione temporale che mescola periodi e volti in maniera rapida, crea un gioco di specchi seducente, obbligando il pubblico ad una decriptazione dei significati sottesi.
Un'analisi di due mondi distinti ma in simbiosi, quello dell'anima di una dimora e quello intimo e spirituale di chi la abita. Una connessione intrigante e misteriosa, un flusso di sensazioni e di scambi, la creazione di un unico corpo.
Una riflessione sui luoghi in cui trascorriamo le nostre esistenze, sul calore o sul gelo che vi alberga all'interno, sui destini incrociati tra la luce della vita ed il terreo della morte.
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Ridare un volto alla regina
Ultima regina d'Egitto, Cleopatra VII all'età di diciotto anni è chiamata alla solenne investitura per mettersi alla guida di un popolo al tramonto, dopo che i fasti di una cultura millenaria già succube della conquista ellenica, nel lontano 50 a.c. circa si stanno spegnendo sotto i colpi insistenti dell'egemonia di Roma.
Ricostruire la vita della mitica regina significa ripercorrere un segmento importante e pluri trattato di Storia in concomitanza con le gesta politiche e personali di Giulio Cesare, Marco Antonio e Ottaviano Augusto. Cleopatra attraversa la vita di ciascuno di loro, creando legami politici e affettivi, divenendo complice, vittima, amante, consigliera, compagna di vita e potenziale nemica.
Una donna dai mille volti per effetto di quanto tramandato dalle fonti di cui nei secoli ci si è serviti per attingere a piene mani informazioni sulla sua indole come personaggio politico impegnato in un difficile scacchiere e come simbolo di avvenenza femminile.
La discendente dei Tolomei ha vestito tutti gli abiti che sostenitori e detrattori le hanno cucito addosso, dalla falsità alla cupidigia, dalla sottomissione alla diplomazia, ma al netto di tutte le ipotesi e ridimensionati gli estremismi, si consolida l'immagine di una donna colta e perspicace.
Il saggio dell'autrice statunitense è un vero gioiello per la modalità in cui le fonti sono integrate all'interno dell'esposizione creando un intarsio coerente e amalgamato e per la ricchezza di documentazione e informazioni di cui il lettore ne esce ebbro.
Una profondità di dettagli sulla cultura tardo egizia e romana, sugli accadimenti politici, sui protagonisti che hanno condiviso un pezzo di vita con la regina.
Una lettura di grande spessore storico, proposto in maniera godibile e facilmente fruibile per un'ampia platea, ottimo strumento per maturare un'idea verosimile su chi fu Cleopatra, sgomberando il campo da ricostruzioni mendaci, provocatorie e faziose.
Un saggio affascinante come la figura enigmatica e complessa di cui tratta.
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UN VUOTO DA COLMARE
Un piccolo borgo arroccato sull'Appennino, un vecchio falegname un po' strambo, vittima di irrisione da parte dei compaesani, finche l'idea di ricavare un figliolo da un ciocco di legno cambierà i suoi orizzonti, proiettandolo in una nuova dimensione alla ricerca spasmodica di quell'affetto mai donato e mai ricevuto.
Una riscrittura del celeberrimo Pinocchio ma dedicata in via esclusiva alla figura di Geppetto, un anziano, un solitario, un umile lavoratore abituato a creare oggetti utili con l'abilità delle proprie mani, un uomo avvolto nel silenzio delle mura della propria casa-bottega per lungo tempo forse per una vita intera, rallentato nei gesti quotidiani ma ancora lucido e pulsante il suo cuore triste.
La delicatezza stilistica propria della penna di Stassi ha dato vita ad un nuova chicca letteraria, con la consueta capacità di utilizzare una storia ed un volto infondendo anima, linfa vitale, spessore umano, trasportando il lettore in una ballata vorticosa che sembra astrarre dal mondo reale ma al termine del viaggio lo catapulta senza sconti tra le braccia del quotidiano.
Uno scritto per riflettere sulle solitudini declinate in più forme, siano esse amaro frutto della vecchiaia oppure del seme funesto della malattia, che si sostanziano in un declino doloroso e sfiancante che ingiustamente intacca molto spesso la dignità dell'essere umano.
Dietro ad ogni volto scavato di un Mastro Geppetto c'è un cuore che batte e che non si arrende anche se intorno è sceso il silenzio, anche se nessuno tende una mano.
Fabio Stassi allunga quella mano che tanti ritraggono, per donare una carezza a chi è scivolato nella voragine della dimenticanza, a chi è orfano del calore familiare, a tutti coloro a cui si è spento l'interruttore della memoria.
Una parabola amara e accidentata quella del canuto falegname, bersaglio di tiri crudeli, avvezzo all'incomprensione e all'isolamento, ma in nome di un briciolo di affetto è pronto a plasmarsi una creatura con cui condividere il proprio cammino.
Un percorso ad ostacoli doloroso che abbandona i guizzi della fantasia per sostanziarsi in una verità commovente e palpabile.
Indicazioni utili
Fedor e Paolo
Sanguina ancora quella ferita creatasi dopo la prima illuminante lettura di una brossura sdrucita di
Delitto e Castigo, una profonda ferita da cui è sgorgata una passione intramontabile per la letteratura russa di cui Paolo Nori non solo ne ha resa la sua professione ma di cui si nutre come linfa vitale.
Nasce come atto dovuto di amore non solo verso Dostoevskij ma verso tutto il filone letterario russo, il saggio di Nori, anche se fin dalle prime pagine assume una forma ibrida, allontanandosi dal rigore previsto dal genere in questione e tingendosi di aspetti intimi e personali.
L'autore intraprende un percorso narrativo che prevede una disamina della produzione del russo, unendola sempre con dettagli e riferimenti biografici per far cogliere anche al lettore più digiuno, il riflesso dell'uomo e delle sue esperienze di vita negli scritti e nei romanzi prodotti.
Un'analisi a tratti impegnativa dove entra in gioco la penna competente e asciutta del docente universitario ma senza che lo scritto assuma la forma troppo pomposa tipica della critica letteraria; la mano di Nori si ferma a paragrafi brevi e di facile digestione per qualsiasi tipologia di lettore, concedendo ampi spazi a riflessioni e racconti a cuore aperto che toccano la propria sfera privata e autobiografica, dalla giovinezza agli studi, dalla famiglia agli amici, in una ballata di tanti ricordi felici e amari insieme.
Una lettura di approfondimento per chi avesse già letto i romanzi cardine della letteratura russa, un'occasione per potercisi avvicinare per coloro che ancora conoscessero poco o nulla di tale produzione, facendosi ispirare dalla competenza e dalla passione dell'autore emiliano.
Indicazioni utili
Una guida appassionata
Non è semplice trovare gli occhi giusti cui corrisponda una buona penna cui affidarsi per intraprendere un viaggio di approfondimento di un paese ed in generale di una cultura.
Numerosi occidentali hanno studiato e scritto sulla cultura nipponica, dando alla luce opere dal diverso grado di coinvolgimento per il lettore.
La carta vincente di Alex Kerr è data dalla compenetrazione del mondo del sol levante nella propria formazione personale e culturale, creando un legame indissolubile con questa terra misteriosa, grazie ai lunghi periodi vissuti là in epoca adolescenziale prima e poi scegliendo da adulto in maniera consapevole, di voler abbracciare in toto questo paese.
Da amante dell'arte a tutto tondo, Kerr ci conduce tra le maschere e le danze del teatro kabuki, ci trasporta all'interno delle antiche dimore dove si celebrava la cerimonia del tè, con descrizioni accurate di movenze, usanze e suppellettili, ci svela tanti dettagli su ciò che governa il magico mondo della calligrafia.
Attraverso di occhi di un uomo occidentale possiamo cogliere quello che fu l'avvento della modernità negli anni Settanta del secolo scorso, epoca in cui inizia una folle corsa verso il futuro con la conseguente cancellazione di tanta parte del passato. Un'analisi estremamente interessante e lucida volta a riflettere su svariate contraddizioni e sull'evoluzione socio-culturale giapponese dell'ultimo secolo.
Un saggio che non nasce con la pretesa di essere esaustivo data l'immensità della tematica, ma che analizza alcuni pilastri della cultura giapponese, portando a conoscenza del lettore gli aspetti più intimi, profondi e misteriosi per cercare di salvare dall'avanzata della modernità la bellezza del passato.
Una lettura a tratti impegnativa ma colma di competenza e passione, da cui è impossibile non farsi travolgere, nominando l'americano Kerr come una delle guide più coinvolgenti per farsi accompagnare attraverso un percorso giapponese.
Indicazioni utili
Sbarcare in Giappone
Una trasposizione narrativa dell'incontro-scontro tra due civiltà agli antipodi; questa può essere la prima succinta etichetta da apporre sulle millecento pagine del tomo scritto da James Clavell.
Cosa accadde nel lontano 1600 quando un mercantile olandese guidato da un intrepido pilota inglese dopo lungo peregrinare per mari alla ricerca di tesori da predare si arenò sulle coste giapponesi?
Si apre il sipario ad una narrazione fitta di volti, le cui storie si dipanano e si intrecciano come mille fili colorati di un kimono.
Il popolo nipponico è retto da un sistema feudale, piramidale e inflessibile, tuttavia avvezzo da decenni ad utilizzare la mediazione commerciale di spagnoli e portoghesi per potersi rifornire di materie prime provenienti dal mercato cinese. Eppure questi occidentali così diversi, così strani, resteranno sempre dei “barbari” agli occhi di chi li ospita.
Nulla accomuna le due civiltà, dalle consuetudini del quotidiano allo spirito religioso, dalla nutrizione al vestiario. Una filosofia di approccio alla vita del tutto sconosciuta ai marinai europei che sbarcano per la prima volta sull'arcipelago.
Straniamento e stupore sia da un parte sia dall'altra alla vista di tanta diversità.
Tentativi di coabitazione forzati, ricerca di integrazione per sopravvivere ad un contesto socio-ambientale complesso da parte degli occidentali, mentre da parte degli asiatici ricerca di informazioni dettagliate su civiltà lontane e sconosciute e utilizzo dei naviganti esperti per primeggiare nella lotta per il controllo economico e politico del paese.
Il racconto prende le mosse agevole per poi procedere in un groviglio complesso di faide politiche e familiari, che ben rappresentano e contestualizzano il periodo storico, tuttavia l'esito è di notevole pesantezza per il lettore. Una sforbiciata avrebbe donato brio e velocità, soprattutto in alcuni passaggi di dialogo ridondanti e superflui al contenuto narrativo espresso.
Innegabile l'impegno profuso nella gestazione e nella stesura di un'opera così titanica con cui l'autore si impone esaustività nella fotografia storica e nel dettaglio sociale e politico.
Un viaggio letterario intrigante, importante, interessante.
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Cercando Plinio
La devastante eruzione del Vesuvio del 79 d.c. sommergendo tanta parte dei territori alla sue pendici, procurò migliaia di vittime, tra le quali si annoverà anche il celebre Plinio il Vecchio.
Una vita trascorsa non solo come comandante militare e governatore di territori soggetti al dominio romano, ma uomo dedito alla filosofia, alla scienza, allo studio della natura e alla scrittura, tanto da redigere il prototipo ante litteram di enciclopedia, un compendio di tutto il sapere e lo scibile del suo tempo racchiuso in ben 37 volumi.
La sua “Naturalis Historia” fu per secoli definita un capolavoro e mai eguagliata fino ai tempi moderni. Una faticosa e certosina raccolta di documenti, materiali e tradizioni attinti dalla fonti scritte a sua disposizione e altrettanti materiali acquisiti in prima persona durante le peregrinazioni a seguito dei contingenti romani. Riuscì a spaziare dalla botanica alla medicina, dalla zoologia alla mineralogia, dalla geografia alla storia, senza tralasciare l'arte e tante altre nozioni.
Un lavoro che lo ha consacrato alla fama eterna, un personaggio interessante di cui in realtà è dato conoscere poco, cosicchè taluni saggisti hanno esteso le ricerche e gli studi alla vita del nipote Plinio il Giovane per cercare di dare un volto al celebre zio.
Daisy Dunn è una giovane ricercatrice inglese amante della cultura classica.
“All'ombra del Vesuvio” è un piccolo saggio che si propone di riportare alla luce eventi, accadimenti, impegni politici-sociali di entrambi i Plinii, zio e nipote, per accorpare più tessere possibili e profilare le loro personalità, le attività e le gesta loro attribuite.
Ne nasce una succinta opera di divulgazione, dai contenuti interessanti ma non esaustivi, esposti con l'intento di seguire uno schema cronologico anche se sovente la traccia temporale si perde nei meandri di descrizioni slegate dal flusso narrativo del momento. Ciò produce una segmentazione del narrato con effetto “catalogo” degli usi e costumi del popolo romano del primo secolo dopo Cristo.
Uno scritto leggero, lontano dagli approfondimenti della saggistica istituzionale, pertanto dedicato ad un'ampia platea di pubblico, divenendo leggiadra passeggiata alla scoperta dei costumi romani.
Per nulla sufficiente per saziare le curiosità che aleggiano attorno alla figura del padre di una delle opere più corpose che l'antichità ci abbia tramandato.
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Immagini indiane
Guido Gozzano alle soglie dei trent'anni decise di partire per l'India alla ricerca di un clima più adatto a mitigare la tubercolosi da cui era afflitto.
Era il 1912 quando Guido si imbarca per un lungo viaggio in nave che lo porterà in luoghi avvolti da sempre da un'aura misteriosa e fiabesca, un mondo lontano e differente da quello occidentale.
L'India immortalata risale oramai a cent'anni fa, periodo coloniale, crocevia per mercanti e avventurieri, ma il focus della narrazione non riguarda temi politici o economici, bensì l'attrazione destata dai luoghi, dalle persone, dalla cultura, dai luoghi di culto.
Le descrizioni paesaggistiche, rurali e cittadine sono suggestive, immerse nella luce e nei colori di una terra dai mille volti.
Le pagine trasudano di aromi e afrori, sono un sunto di bellezze e miserie, sono un inno alle sfumature della vita e a quelle della morte.
Da Bombay a Madras, da Agra a Ceylon, un itinerario che pare toccare varie zone dalle più remote alle più conosciute e frequentate da stranieri; un viaggio a tratti disagevole e periglioso che genera nello scrittore sentimenti contrastanti, talora stupore e ammirazione, a tratti insofferenza e disgusto.
Una prosa ineccepibile ed evocativa conferisce bellezza e valore a questa raccolta di articoli-lettere pubblicata postuma.
Una penna che vuole cogliere tradizione e cultura, mescolando immagini vissute in prima persona con episodi storici letti da altre fonti. Il desiderio di immortalare un'esperienza così forte e pervasiva si avverte distintamente, così come l'animo fragile e provato di colui che scrive.
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Anime distopiche
Il diciassette giugno segna tanti momenti salienti della vita di Mario, una data che scandisce ripetizioni di volti, luoghi e situazioni.
Mario, diviso tra più rapporti amorosi. Mario diviso tra anima e corpo, lacerato tra diverse e contrastanti declinazioni della parola “amore”.
Più storie si intersecano attorno al filo conduttore della corporeità, dell'uso e dell'abuso del corpo, strumento esso per dare e ricevere piacere e sofferenza.
Un percorso a ostacoli tra normalità e follia, vestiti degli abiti di persone perbene, ma pervasi da turpitudine e ossessioni. Così appaiono i protagonisti del romanzo, figure sfuggenti, invischiate in situazioni di perversione che mascherano voragini emotive e affettive.
Un romanzo composto da una sequenza di capitoli brevi dedicati in via alternata a ciascun protagonista che fluiscono in maniera circolare faticando a trovare una conclusione. Un contenuto destabilizzante attende il lettore, intrappolandolo in un gioco di specchi, dove distinguere il reale dall'illusorio diventa arduo.
Il registro stilistico è cerebrale, arzigogolato, insistente e ridondante per rendere volutamente l'effetto del doppio, del ripetuto, del lato nascosto da captare e svelare.
La parte più cupa, tenebrosa e disturbante si genera dalle continue e dettagliate immagini di pratiche sessuali estreme e da immagini di violenze deprecabili.
Un lavoro in cui si riconosce la capacità dell'autore nel costruire un castello di dolore e tristezza, toccando temi crudi e forti in maniera a volte diretta a volta mitigata dal dubbio, tuttavia si tratta di una lettura complessa che non concede sconti alla sensibilità del pubblico.
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- no
La chiamavano Lee
Uno scatto fotografico che desta straniamento e curiosità in coloro che osservandolo apprendono provenire dalla stanza da bagno di una delle residenze di Adolf Hitler.
Solo la sfrontatezza e lo spirito rivoluzionario di una donna come Lee Miller poteva concepire una simile posa da immortalare; gli scarponi infangati che imbrattano il candido tappetino, gli abiti gettati sulla sedia ed il suo corpo denudato adagiato nella vasca da bagno del fuhrer.
Uno sfregio per colpire nell'intimità il carnefice? Voyeurismo? Arte?
Probabilmente la nota immagine trae origine da tutti questi elementi, ma in ogni caso la signora Miller fu una donna dalla vita densa e all'avanguardia per il tempo in cui visse.
Interessante e brillante il lavoro della Dandini con cui riesce a scandagliare e ricostruire l'intera esistenza di una donna straordinaria, uno spirito libero, svincolata da clichè socio-culturali, unica padrona di se stessa. Modella, artista, fotografa, giornalista. Anche compagna e moglie, ma recalcitrante ai guinzagli e alle gabbie seppur dorate.
Cittadina del mondo, americana di nascita, ma attratta dal vecchio continente e dal nord Africa.
Non si tratta di un saggio biografico ma di una accurata ricostruzione documentale che sfocia in un racconto che unisce passaggi di stampo saggistico a pagine romanzate in cui l'autrice presta la voce ad Elisabeth in dialoghi di studiata verosimiglianza sulla base delle lettere e degli scritti consultati e citati. Da ciò uno scritto piuttosto originale modulato su più registri stilistici che sono piacevolmente omogeneizzati tra loro per dare un'ottima visione d'insieme.
Un personaggio femminile complesso, un'indole eclettica che ha preferito vivere fuori dagli schemi dettati dalla morale austera del Novecento, alla ricerca continua di appagamento.
Eppure un essere fragile come un cristallo che pochi hanno compreso.
Serena Dandini si astiene da giudizi, ma fornisce al lettore tutti gli strumenti per maturare un pensiero personale sulla enigmatica figura di Lee Miller.
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LA PERIFERIA DEL CUORE
La vita di Gaia è un'eterna strada in salita, un percorso ad ostacoli imposto dall'essere nata in un nucleo familiare schiacciato da difficoltà economiche che ne condizionano l'esistenza.
Una mamma simbolo di caparbietà che lotta ogni giorno per la sopravvivenza della famiglia, perchè la vita non le ha fatto sconti.
Un padre disabile che si spegne ogni giorno di più come un moccolo lasciato acceso troppo a lungo, sfibrato e silente.
Tre fratelli chiamati a condividere le stesse privazioni, difficoltà e angustie.
Sulla storia principale si innestano tante altre storie, per dare vita ad un microcosmo sociale che parla di disagio, emarginazione, ribellione e cadute.
Un racconto dove troneggia il dettaglio, degli ambienti, del vestiario, dei cibi consumati, degli usi e costumi a cavallo tra il novanta e il duemila, per dare vita ad un quadro esaustivo di contemporaneità. Facile per il lettore specchiarsi e ritrovarsi nello spaccato sociale che emerge nitido e realistico dalle pagine.
L'elemento fantasioso sembra assente dal telaio narrativo, sembra più verosimile e percepibile che l'autrice abbia attinto a piene mani da situazioni conosciute, di cui ha modellato volti ed eventi ma senza snaturarne le anime.
Cuori alla deriva, talora aggressivi talora sottomessi.
Un romanzo di contenuti, una scatola che ne racchiude molte altre, una voce narrante che coinvolge ed incalza il pubblico a completare il cammino insieme a lei.
Questa non è una storia di redenzione e non se ne percepisce l'intento da parte dell'autrice; è una storia il cui peso specifico è importante nella formazione di chi scrive, come un tatuaggio sulla pelle.
Un'autrice giovane anagraficamente e nel modus di scrittura, una penna che segue il flusso del pensiero in maniera rapida con un'esposizione immediata seppure con occhio attento al particolare descrittivo ed emotivo.
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Il canto di un uccellino
Il “son ca” è un truciolo di legno intagliato che trasforma il soffio umano in un delizioso canto d'uccellino, un canto di speranza e libertà che attraversa valli e boschi di un paese martoriato.
Un simbolo fragile che trasuda amore se è l'unico lascito di un padre alla figlia che non vedrà più.
Il Vietnam della terribile carestia del 1945, la bestia nera chiamata fame spazza via intere famiglie, le mani senza forza non riescono più a scavare nell'arido terreno alla ricerca di radici amare da suggere. Non sgorga goccia di latte dalle mammelle delle donne, i figlioletti sono destinati a soccombere in uno strazio senza fine.
Il Vietnam della riforma agraria degli anni Cinquanta, la disperazione trasforma l'essere umano in famelico predatore, uccidere a sangue freddo per un fazzoletto di terra, annientare gli altrui ricordi familiari, privare il prossimo delle radici con violenza prevaricatrice.
Il Vietnam della grande e sanguinosa guerra, mutilazioni fisiche e psichiche, ideologie e interessi contrapposti decidono delle sorti di un paese allo stremo.
Le foglie cadono dagli alberi per “l'agente arancio” contaminando terreni ed il sangue umano.
Le famiglie si sciolgono, il cuore parla di un arrivederci, la ragione mastica un addio.
Una nonna narra alla nipote il vissuto suo e della famiglia, decenni di sofferenze, ingiustizie e abusi scanditi da immagini di un realismo estremo e doloroso.
Una nutrita galleria di scatti fotografici da osservare in religioso silenzio.
Un racconto lacerante che mette in connessione il lettore alle voci delle donne protagoniste, esempi di forza e speranza.
Una scrittura asciutta non votata al lirismo e probabilmente neppure voluto, ma abile nel gestire i fili narrativi di più piani temporali che si intrecciano e dipanano in maniera ben congegnata.
Contenuti così pervasivi che si incollano alla memoria anche dopo aver sfogliato l'ultima pagina.
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Musica e onore
Definito da alcuni critici “un gioco di matrioske”, il romanzo di Tarabbia si articola su più piani temporali, sviluppandosi ed intrecciandosi attorno alla ricostruzione della vita del principe e compositore di testi e musiche sacre Carlo Gesualdo di Venosa.
Nel lontano '500 Carlo è il figliolo minore del principe di Venosa, dedito agli studi ecclesiastici e alla composizione di madrigali; il destino vuole che a seguito della prematura morte del fratello egli debba assumere le redini dei possedimenti familiari e relegare le proprie passioni letterarie e musicali a mero diletto da esercitare nei momenti liberi da impegni ufficiali.
Carlo ed il suo carattere ombroso e asociale, Carlo e le torbide vicende coniugali, Carlo e il delitto.
Pagine fosche, patinate di gotico, a cavallo tra memoria storica e bizzarrie fantasiose sfornate dalla tradizione popolare per ingigantire e arricchire di particolari la vita di personaggi in vista come i principi di Venosa, legati alle casate Borromeo ed Este.
Un romanzo che percorre taluni sentieri tracciati dalla documentazione storica, coniugandola con elementi noir verosimili e con altri spinti all'eccesso, arricchendo le scene con pittoreschi e floridi volti che si muovono con disinvoltura tra le pieghe narrative.
Un lavoro ben congegnato, per nulla ostico nonostante il tempo si scinda tra passato e presente, tra voci che giungono da un passato fosco e remoto e voci contemporanee che cercano di riportare all'ordine le tessere di un mosaico scolorito dai secoli trascorsi.
Cupo e tenebroso negli animi dei personaggi, negli interni riccamente descritti dei palazzi, nei destini e negli esiti ultimi.
Godibile, mai tedioso, percorso da una tensione vibrante che costringe il lettore a seguire l'intero excursus per trovare il vero volto di un personaggio complesso e controverso come Carlo Gesualdo.
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Sotto il peso dell'acqua
Maria nasce con un destino già segnato, quello della povertà e della fatica.
Un'adolescenza sconosciuta, una vita scandita da lavori gravosi più adatti alle caratteristiche fisiche di un uomo che ad una giovane donna.
Braccia forti e mani ricoperte da cicatrici, piedi che macinano chilometri con il gelo invernale e con l'afa estiva per rifornire di acqua la casa dei benestanti del paese.
Tanta solitudine la circonda, un vuoto esteriore ed interiore che difficilmente si potrà colmare.
Una durezza fisica di cui la protagonista andrà fiera per tutta la vita, nonostante le costi un profondo isolamento.
Uno spaccato regionale da collocare nella zona irpina, fatto di piccoli centri arroccati in zone impervie e mal collegate con le grandi città, un arco temporale che copre la fine dell'Ottocento e si protrae nei decenni del secolo successivo.
Una galleria di volti ben delineati e collocati in maniera appropriata nel contesto storico- sociale descritto, una netta divisione tra proprietari agricoli e braccianti, una cesura totale tra il destino riservato agli uomini e alle donne.
Le bocche da sfamare sono un peso in ogni focolare domestico, bisogna assegnare a ciascun figlio un mestiere, un futuro, una strada che lo porti ad essere autonomo per non gravare sulla famiglia.
Per le femmine di casa, il matrimonio combinato è una legge sociale e culturale cui non ci si può sottrarre; questo tema ha un peso notevole nell'economia del romanzo, vissuto come vessazione e molto spesso causa di dolori e disgrazie per la maggior parte delle donne che ne popolano le pagine.
Una storia intensa, emozionale, intrisa di mestizia, dominata da sentimenti forti quali odio, rabbia e dolore. Eppure quando i protagonisti sembrano essere schiacciati dalle consuetudini e dalle ingiustizie, la forza di volontà e di riscatto riaccende la luce della speranza.
Un testo poco pubblicizzato e di conseguenza poco conosciuto ma che merita di essere letto.
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Sentieri di guerra
Percorrono gli irti sentieri rocciosi della Carnia con la schiena piegata da carichi pesantissimi.
Sono madri, mogli e sorelle che rimaste sole nei piccoli paesi vogliono rendersi utili ai loro uomini posizionati nelle trincee sul confine, impegnati contro gli austriaci in una delle guerre più dure e cruente.
Sono donne che partecipano indirettamente alla guerra che massacra ogni giorno vite, portando fin sulle montagne viveri, medicamenti, vestiari ma anche armi e munizioni.
Troppo spesso occorre percorrere in discesa gli stessi sentieri trasportando corpi dilaniati e senza vita per concedere loro una degna sepoltura.
Donne definite “le portatrici” ebbero un ruolo chiave sul territorio delle alpi carniche durante la Grande Guerra e l'autrice ne celebra la memoria con un romanzo i cui protagonisti hanno nomi di fantasia ma traggono vita e volto da storia documentata.
Una narrazione lirica è contraltare di immagini di morte, agonia e paura.
Voci di speranza si innalzano al di sopra del silenzio plumbeo della tragedia.
Esempi di coraggio ostinato unitamente a disperazione, pertinacia nel poter e dover contribuire a difesa del proprio mondo, fatto di famiglia, fatica e lavoro.
Uno scritto che non nasce con l'intento di assurgere a romanzo storico, ma vuole ridare voce e lustro ad un pezzo di storia tutta al femminile, senza rinunciare ad una ricostruzione densa di realismo, nelle immagini, negli odori e nei rumori.
Lettura interessante dal ritmo narrativo fluido e scorrevole, pregna di umanità, dolore e forza.
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Dell'amicizia e della vita
Emanuele Trevi rende omaggio alla memoria di due amici fraterni con cui ha condiviso un pezzo di vita, condensando e cristallizzando alcuni segmenti significativi del percorso.
Numerosi i ricordi che affiorano e che descrivono tre personalità differenti ma accomunate da elementi che è arduo poter cogliere pienamente.
Lo scritto si snoda tra narrazione di singoli episodi vissuti durante gli anni della frequentazione con Rocco Carbone e Pia Pera e momenti di riflessione sugli anni trascorsi, sulle scelte di vita, sulle strade professionali.
Riflessioni per nulla banali, che prendono le mosse da situazioni contingenti la vita dei tre amici ma che assurgono a valutazioni a carattere generale capaci di abbracciare il comune sentire.
Uno stile di scrittura elegante contraddistingue l'intero lavoro, la capacità di indagare sentimenti ed emozioni è decisiva per donare profondità e saper trasferire al lettore il peso dei ricordi funesti e la gioia dei momenti felici.
Una lettura di carattere intimo, strumento espressivo per scandagliare il ricordo dell'essenza spirituale di due persone differenti ma accomunate da una vita breve e intensa, alla ricerca di se stessi tra slanci e cadute.
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Rincorrendo tartarughe
Una piccola sconosciuta l'isola di Ascensione.
Una scheggia di terra e scogli in mezzo all'Atlantico, selvaggia e inospitale e la mancanza di acqua dolce ha spesso costituito un deterrente per l'uomo e anche per il mondo animale.
Un'isola utilizzata dai navigatori che circumnavigavano l'Africa per seguire le rotte orientali, come scalo e successivamente divenuta strategica per collocare le basi militari dell'aviazione britannica e statunitense, senza tralasciare il posizionamento di strumentazioni e rilevatori da parte di alcune società.
Gli unici mezzi per poterla raggiungere sono i voli militari in partenza da Londra oppure via mare, magari partendo dalla vicina e più conosciuta Sant'Elena.
Quindi in realtà non esiste una popolazione stabile, ma solo “addetti ai lavori”, militari e civili che ivi si insediano per determinati periodi, tra questi anche numerosi scienziati e biologi.
Questo curioso diario di viaggio, nasce dall'avventurosa trasferta su Ascensione da parte di un medico veneto, aggregatosi ad una spedizione di biologi marini specializzati in studi sulle tartarughe.
Lettura gradevole, per il contenuto che unisce impressioni sul territorio e sul soggiorno, accenni storici e politici, volti di personaggi più o meno celebri che sono approdati sull'isola e per la scrittura ben editata e nitida.
Un pregevole strumento per approfondire un territorio quasi dimenticato e rimasto lontano dal calpestio del turismo di massa.
Una boccata di ossigeno per andare a zonzo per il mondo, riaprendo ai nostri occhi quegli orizzonti che si sono chiusi nell'ultimo anno.
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Il prima e il dopo
Una madre intenta nell'amorevole e quotidiano gesto di preparare il pane per la cena di tutta la famiglia. Una cena che non verrà mai consumata perchè la follia umana ha deciso che le famiglie di fede ebraica vanno eliminate dalla terra.
Edith Bruck parte dall'immagine di quel pane abbandonato sul desco della sua casa di un villaggio ungherese per trasportare il lettore attraverso il viaggio più straziante che mente umana possa concepire.
La Bruck nel tempo ha affidato alla sua penna tanti racconti sul suo passato, quest' ultimo ripercorre l'intera sua esistenza dalla vita di tredicenne spensierata all'inferno dell'internamento nei lager, dalla perdita brutale dei familiari alla sua sopravvivenza.
In particolare questo scritto si focalizza sul “dopo”, sul senso e valore di quella agognata sopravvivenza che giunge quando ormai le radici sono state strappate, quando gli affetti più cari sono stati annientati e la liberazione apre le porte ad un altro lungo calvario destinato a durare per sempre.
L'autrice con queste pagine intime e introspettive continua a riflettere sul senso di appartenenza ad un popolo, ad una cultura ad un paese, di tutti coloro che sono riemersi alla vita dopo i campi di sterminio.
Una vera odissea quella di Edith, giovanissima e sola alla ricerca di se stessa per colmare la voragine interiore e cercare un luogo che possa chiamarsi “casa”. Un errare sia geografico sia sentimentale, sospinta da un connubio di disperazione e forza.
Questo diario costituisce un altro tassello della recente Storia che una delle ultime testimoni oculari della Shoah ci lascia in eredità.
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Vita da barcaiolo
I burchi dal fondo piatto percorrono il dedalo di canali e lagune venete trasportando merci di ogni genere fin sul finire degli anni sessanta del secolo scorso.
Sulle sponde e agli attracchi fioriscono piccoli borghi il cui fulcro è un'osteria, luogo di incontro per rifocillare con un bicchiere di vino e due chiacchiere i “barcari” corrosi dai giorni trascorsi vogando. Faticoso e pittoresco insieme questo mestiere una vocazione per qualcuno un'eredità gravosa per altri, tramandata di padre in figlio.
Sono anni in cui l'Italia sta mutando, i servizi igienici prendono posto all'interno delle abitazioni, la televisione è l'oggetto più ambito, il motore soppianta il traino a cavallo e le imbarcazioni a remi, la fabbrica è la nuova dimensione lavorativa.
Mentre le acque dei fiumi sembrano soggiacere sempre alle stesse regole della corrente e delle piene, il paese morde il freno e corre verso la modernità.
La generazione di adolescenti del 1965 come il giovane Ganbeto, vive appieno questa metamorfosi socio-culturale; lasciare gli studi per fare il mozzo sul burchio di famiglia per volontà del nonno, assume le sembianze di una eccitante avventura nella fase iniziale per divenire poi costrizione e insofferenza col tempo.
Densamente realistico lo spaccato regionale proposto da Paolo Malaguti, in grado di raccontare un pezzo di storia che merita di essere ricordata, conferendo dignità ad una popolazione vissuta in territori disagevoli e complicati, dedita ad antichi mestieri che facevano dell'acqua strumento di lavoro e di sopravvivenza per portare un pezzo di pane sulla tavola.
Un mondo arcaico quello lagunare e fluviale, dominato da proprie leggi non scritte e tradizioni.
Animi duri, forgiati dalle correnti e dalle privazioni, dai sacrifici e dalla caparbietà.
Un flusso narrativo che si affida in buona parte ai dialoghi, colorandoli di termini e locuzioni dialettali per creare una fusione ottimale tra persone e luoghi, tra volti e contesto sociale.
Un romanzo il cui genere fa tornare alla memoria l'indimenticabile Sebastiano Vassalli, per la nitidezza dei protagonisti attraverso le cui storie personali si vuole raccontare la grande Storia di un Paese dalle forti caratterizzazioni regionali come il nostro.
Il titolo è stato selezionato per concorrere all'edizione 2021 del Premio Campiello.
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Colpevoli o innocenti?
Correva l'anno 1480 quando la Repubblica di Venezia processa e condanna a morte tre cittadini veneti di fede ebraica. L'accusa è grave e desta orrore tra i fedeli cristiani; sono stati identificati come gli artefici del rapimento di un bambino cristiano per compiere un sacrificio rituale di sangue durante il periodo pasquale.
Accuse fondate o fango gettato su innocenti nell'eterna lotta tra credo religiosi ed interessi economici da tutelare?
Partendo da eventi storici tracciati dalle cronache del tempo, Molesini imbastisce un racconto mixando il realismo del dato storico al colore e sentimento dell'immaginazione, facendo calcare la scena a personaggi realmente vissuti unitamente ad altri che egli stesso costruisce con grande maestria.
Il percorso narrativo diventa una bolgia della cattiveria, dell'ipocrisia, della viltà umana, una rappresentazione della peggior parte dell'uomo “lupo”, pronto a sbranare il prossimo per un favore politico, per convenienza economica o per cieca sottomissione ad un credo.
La scrittura è graffiante con i termini e con le immagini, dagli intrighi dei palazzi ai bassifondi dove si svolge la vita più grama; dai bordelli sordidi alle carceri, dalle stanze delle torture alle esecuzioni sulle pubbliche piazze, dallo strazio dei vinti all'esultanza dei vincitori.
Ma dove alberga la morte, la doppiezza e la falsità, che valore potrà assumere la vittoria?
Un quesito che emerge prepotente alla stretta finale e che assale il lettore rendendolo partecipe di tutto il buio narrato.
Un romanzo storico crudo che denota il carattere della penna di Molesini ed apre le porte alla riflessione storico-politica e non solo.
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