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gracy Opinione inserita da gracy    07 Luglio, 2015
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Il bacio come sigillo?

Si, perché non è solo il bacio di una bielorussa qualunque, questo è il bacio dell’amore sfiorato, dell’amore mai esistito, dell’amicizia fantomatica e opportunista, dell’amarezza, della paura, della tristezza, della volontà che brutalmente si incontra con l’involontaria voglia di esser felici a tutti i costi, della brutalità che si trasforma in orrore, della disonestà della ricchezza senza freni… E’ il bacio della morte senza redenzione.

Antonio Pagliaro è uno scrittore che rimane coerente e dannatamente perfetto in tutte le storie che finora ci ha raccontato. Come nelle sue precedenti opere anche “Il bacio della bielorussa” si insinua lentamente nella mente del lettore come un thriller ben congegnato e ben strutturato, inizia in un modo fin troppo ingarbugliato per poi sciogliere ogni nodo nella seconda parte in modo semplice e appropriato, quasi col fiato in gola come una corsa contro il tempo, dove tutti i tasselli satelliti da soli trovano la giusta collocazione nel mosaico che una volta ultimato rivela il disegno orripilante e claustrofobico del lato nascosto della politica sporca, della mafia, della pedofilia, della vita senza amore e senza dignità.

Un thriller a più livelli, la morte di due italiani in Olanda, l’ausilio della polizia italiana nelle indagini, una manciata di politici e avvocati corrotti, la morte di un politico senza scrupoli e la mano di un sicario che a sua volta si prende tutta la scena nella seconda parte del libro. Costui è Franz La Fata, che si presenta attraverso il linguaggio azzeccato di chi conosce solo l’amore eterno verso il rispettoso mondo mafioso che lo ha creato dal nulla, Franz ha l’indole di un uomo quasi a metà e con il suo modo di parlare palermitano-italiano acchiappa tutta la visibilità della storia fino all’ultima riga, in modo avvolgente e crescente da fare male a lungo, perché i pugni nello stomaco riservati al lettore sono somministrati a piccole dosi.

Non so perchè sia stato intitolato “Il bacio della bielorussa” dato che Franz il palermitano è l’anima del libro e il suo bacio alla fine è quello che ti acchiappa e non ti molla più.

"Prima che mi innamoro io si devono asciugare le balate della Vucciria.”

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gracy Opinione inserita da gracy    23 Febbraio, 2015
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Metafore o meteore nel firmamento?

La valigia sul letto, quella di un lungo viaggio… ve la ricordate la celebre canzone di Julio Iglesias? Ecco mi ha martellato nella testa tutto il tempo, perché il libro inizia con questa valigia e finisce con la stessa valigia. Si parte? E per dove? Onestamente non lo so e siccome non proseguirò con il resto della trilogia me ne farò una ragione.
Andiamo a priori, tutto parte dall’autrice Sara Bilotti, scrittrice di una bella raccolta di racconti neri “Nella carne”, pubblicata qualche anno fa, un bell’esordio per una piccola casa editrice, è brava e viene promossa per la scrittura, per stile e contenuti , tutto appannaggio del genere noir, psicologico o come lo vogliamo chiamare, perché una cosa è certa questi racconti spaccano.

Boccio il primo libro di questa trilogia per diversi motivi, uno tra tutti è lo stile spicciolo e pseudo-ridondante, segue la mancanza di contenuti che non fa gridare al miracolo come scritto nella quarta di copertina “La prima serie noir erotica italiana” (?)

Qualcuno mi spiega cos’è questo filone noir erotico ?

Ma allora anche le sfumature della James sono riconducibili a un noir erotico? Si, perché il povero Grey che non ama fare l’amore ma ama scopare, che poi s’innamora della sua verginella Ana e di conseguenza crolla il suo ego di uomo dominatore, perché guarisce dalla sua malattia di sesso a contratto che era dovuta al suo passato di toyboy di una milf, ha le carte in regola per essere un noir. Forse.

Con la lettura della trilogia della James e contrariamente con questo libro, mi sono divertita per la totale assenza di tutto quello che era stato sbandierato sul sesso vissuto da chi domina nel rapporto e da chi viene dominato con piacere e in compenso ho capito che Ana si morde il labbro in modo sensuale e Gray a dorso nudo con i jeans bagnati è da urlo.
Ritornando al libro in questione, “ l’oltraggio” che ne esce fuori è verso il lettore, che si troverà infarcito di metafore che stridono come unghiate sulla lavagna, niente eros e niente noir….un piccolo assaggio:

"Alessandro compensava la caduta di stile spandendo manciate di polvere magica."

"Cosa ci poteva essere di più eccitante di un uomo che non si sporca?...nessuna sbavatura, nessun odore. Niente è più intrigante del sesso di un angelo."

Lui non rispose, si limitò a farsi leccare la faccia dal sole. Era splendido, anche sotto quella luce impietosa
.
"…Se sei bella devi fingere di non saperlo."

"Lì dentro la sua voce urtava contro i finestrini….era difficile non sentirsi attratta dalla sirena che la modulava."

"A letto era una manna dal cielo."

"L’amore si nutre di debolezza e non di perfezione. L’amore ha bisogno di tenerezza, come si fa a provare tenerezza per un uomo senza difetti? (frase molto carmelitana)."

"…una palla di lava arancione era sospesa nel cielo, bassa e fastidiosa, e guardava di fronte a sé, verso uno spicchio di luna."

"Corinne ama Alessandro con tutta se stessa, e questo per me significa molte cose. La prima di tutte vuoi sapere qual è? Lui è off-limits."

"Sentiva un peso nell’utero che la spingeva verso terra., la indeboliva."

[…]

La storia.

Banale e triste, Eleonora è la protagonista, una donna che amava un uomo bruttino e rompiballe, che dopo la separazione si rifugia in un casolare toscano in quel di Bruges, dove abita una sua amica che a sua volta ha un menage con un uomo dolce che a sua volta ha un fratello un po’ troppo “alla Grey”, nel bellissimo casolare vivono altre persone. Tutti nascondono un segreto, tutti sono depressi, tutti fanno sesso (mi ricordavano le immagini dei film di Tinto Brass), praticamente tutti a turno hanno bisogno di neurolettici ma di quelli forti. E’scontato che tutti si innamorano di lei e che lei li ama tutti. Vuoi o non vuoi le 50/50 sfumature holliwoodiane saltano sempre fuori dal cilindro.

Personaggi scevri e dialoghi ridotti all’osso :

-Fermati un attimo, cristo. Ti accompagno io, a Firenze. Come ci vai?
-Con il pullman.
-Ma prima devi arrivare al centro del borgo, e hai la valigia…

-....Io devo sapere che posso prendermi cura di te.
-Ma perché?
- Tutti quelli che entrano a far parte della mia vita devono stare bene. A me piace così. ( Gramellini docet).

-Ah, dimenticavo. Niente può scalfire il tuo aplomb.
-Mi prendi per il culo?
-Forse.

[….]

Einaudi pubblica queste perle in prossimità della prima del film più visto e più banale del momento, si vede che ha bisogno di una ripresa nel suo bilancio e lo fa con onestà, tanto battage pubblicitario al modico prezzo di 9 euro, siccome è l’indiscussa qualità Einaudi è ovvio che sarà più costoso di un Harmony che si trova sullo scaffale dell’Ipercoop e che vive di quella “cattiva luce” di essere lettura per donnine “strappamilemutande”. Giuro che in passato ho letto Harmony scritti meglio, tradotti meglio, piacevoli, con un filo logico e più scorrevoli, mi viene in mente anche la piacevolezza della Lesley Lokko, molto trascinante nelle sue storie di donne e le loro molteplici problematiche di cuore e non solo.
Siamo in piena crisi economica, non ci sono assunzioni, non rinnovano i contratti di lavoro da tempo, non pagano gli straordinari, facciamo fatica a fare rinunce voluttuarie, ma vi prego risparmiateci almeno l’onesta delle letture, si grida così tanto che il pensiero ci rende liberi e poi ci infoiate di scopate senza trasporto dove nemmeno spostare il filo del perizoma è un deterrente sufficiente per un trasgressivo cunnilingus che non viene nemmeno descritto con il rispetto che si merita.
Non ce n’erano abbastanza in giro di romance erotici? Evidentemente il sesso in tutte le salse è come lo zucchero, non basta mai e il sesso agita le discussioni, i social, i giornali, i blog e spero anche gli italiani a letto.

E poi c’è il noir…ma su questo non proseguo perché non c’è traccia, Scerbanenco si risvolta da tempo nella tomba e a quest’ora sembra una turbina impazzita in preda del moto perpetuo.
Forse ho capito! Il noir erotico è un misto, è la nuova moda del momento creata apposta per acchiappare in un colpo solo i lettori del noir e delle 50 sfumature. “Two gust is megl che uan. “

"-Piacere. Emanuele.
-Eleonora. Bel cavallo.
-E’ una troia.
Eleonora sussultò e lui rise, sorpreso."

Anch’io rido ma con amarezza.

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gracy Opinione inserita da gracy    06 Febbraio, 2015
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Non tutti i romanzi rosa sono rosa

Scerbanenco è stato un grande autore italiano. Se diamo uno sguardo al panorama letterario attuale e ci soffermiamo agli autori italiani è facile notare miriadi di scrittori emergenti che sgomitano dalle più deboli case editrici a quelle più blasonate ormai orfane di identità. Perché scrivo questo? Perché il mio vuole essere un invito trasversale, un invito alla lettura italiana che sta nel mezzo, cioè tra i classici canonici e i contemporanei e solo dopo averli “pesati” cioè letti diventa più facile fare le differenze.
“Dove il sole non sorge mai” non è forse quello più apprezzabile di tutta la prolifica bibliografia di Scerbanenco, eppure leggendolo dopo quarant’anni dalla sua pubblicazione (1976) è forse una delle opere che rappresentano meglio il panorama italiano degli anni 60. Ricordando che egli non è solo il padre del noir, ma uno scrittore che ha spaziato dal western alla letteratura rosa, non ha mai perso di vista l’utilità della lettura e il rispetto del lettore che una volta accostatosi non rimane indifferente alle pagine che scivolano tra le dita anche quando ne rimane deluso, perché gli darà sempre quel riconoscimento di aver saputo trasmettere emozioni vere, anche quando sono pugni nello stomaco e ti senti afferrato per la gola e ti strattona fino alla parola fine, che poi è quello che è successo a me.
Una lettura spiazzante, commovente e fortemente evocativa, attraverso un linguaggio datato e all’uso di parole ormai in disuso, c’è tutto quello che oggi chiamiamo fiction. Si respira l’aria delle città del boom economico, non quella patinata ma quella triste, rude e poco brillante:

dai vecchi nobili attaccati al titolo che per portare avanti l’ingombrante blasone fanno di tutto per mantenere alto il tenore di vita, alle condizioni sconvolgenti degli operatori dei riformatori e delle case di recupero per minori (oggi case famiglie);

dalle scadenti e frammentarie indagini e delle sbrigative sentenze dei tribunali (non che oggi sia diverso, ma all’epoca non c’era la tv, non c’era la D’Urso e non c’era il web), all’aria viziata di fumo nei locali per le tante sigarette accese una dietro l’altra anche tra le ragazzine, compreso le sale da visita degli ospedali( pure lo scroscio dell’accendino ha il suo fascino);

dalla povertà della maggior parte degli italiani e soprattutto degli emarginati, disoccupati, ubriaconi, sfortunati e prostitute ai ricchi cerimoniosi che stappano lo champagne e mangiano caviale prussiano ( quello russo è poco snob).

Potrei parlare ancora all’infinito di questa perla della letteratura rosa ma non troppo, per sapere della storia che ci narra basta leggere la quarta di copertina, personalmente preferisco soffermarmi su queste sensazioni ricche di emozioni e di magoni.

“Ma lei ha dimenticato una cosa molto importante: che tutti soffriamo, non solo lei. E poi ne ha dimenticata un’altra: che la natura ha provveduto un potente rimedio quando si soffre: il pianto. Pianga, pianga tutte le volte che può, in qualunque luogo si trovi, di fronte a chiunque.. il pianto è la più grande medicina che conosciamo, contro il dolore. Se lei si irrigidisce, se lei si chiude nel mutismo, il dolore si gonfia dentro di lei, s’indurisce come pietra, diventa disperazione.”

Si fa presto a dire scrittore, ma la versatilità appartiene solo a chi ha talento.

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gracy Opinione inserita da gracy    19 Gennaio, 2015
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Blanca

Patrizia Rinaldi attraverso questo giallo a tinte nere ci fa respirare l’aria afosa di Pozzuoli, Margellina e Napoli in piena estate, dove tutti sono un po’ macilenti, sudati, stanchi e attraverso la sua scrittura un pò farraginosa ci fa conoscere un commissariato di Polizia dotato di un organico di professionisti che con le disgrazie e i grattacapi ci va a nozze. Il commissario Martusciello e l’ispettore Liguori fanno i conti con una vita privata molto travagliata e il lavoro che svolgono non li esula da altrettanti coinvolgimenti tra omicidi, scomparse misteriose e intrighi familiari intessute nelle reti della malavita locale.
Blanca è assegnata a questo commissariato per necessità, non mi dilungo sulla trama perché ci ha pensato la quarta di copertina a raccontare molto, ma è lei la protagonista, che certamente colpisce per la sua sensibilità e la sua capacità di amare il prossimo e ce lo dimostra con empatia e abilità professionale, fino all’ultima pagina. Blanca è un personaggio che compare quasi in punta di piedi, quasi per caso o quasi per la necessità di dare colore a questo piccolo noir dall’inconfondibile senso di vuoto, di incompleto e di ombre. Blanca è un poliziotto ipovedente specializzata in decodificazioni. Blanca è il personaggio necessario per fare indagini approfondite sulle intercettazioni telefoniche, è capace di interpretare le parole, le pause, i silenzi degli interstizi nelle pause, anche quelle brevi di chi è al telefono intendo a fare una conversazione che supera i segmenti delle normali o apparenti comunicazioni appese a un filo. La verità si può trovare ovunque e a renderla più preziosa ci pensano le donne protagoniste assieme a Blanca, che hanno una “colpa”quella di essere madri, amanti e mogli al fianco di uomini egoisti che non sanno amare.

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gracy Opinione inserita da gracy    09 Gennaio, 2015
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Le sultane

Godi fanciullo cotesta età fiorita… perché ad invecchiar non ti accorgerai molto facilmente, finché non saranno gli altri a dirtelo.

Le sultane di Marilù Oliva sono tre ultrasettantenni che si ritrovano a fare i conti con l’età che avanza solo dopo aver vissuto una vita travagliata, modesta e fatta di sottrazioni. Sono tre amiche sincere, quasi dipendenti l’una dall’altra, ciascuna a modo suo contribuisce a rendere più completa la vita delle altre, accomunate dall’ombra della solitudine e dell’indifferenza. Quasi in simbiosi invecchiano e si custodiscono nel loro bel condominio tra una giocata a carte, uno scambio di verdure fresche dell’orto, una torta sapientemente sfornata o davanti un pacchetto di sigarette a consumar biscotti raffermi. Fanno molto tenerezza quando Marilù Oliva ce le presenta nella loro intimità;

Wilma: colpita profondamente da un lutto importante;

Mafalda: la più trascurata e la più avara alle prese con l’accudimento totale del marito allettato colpito da Alzheimer;

Nunzia: la più bacchettona e quasi ingenua…quasi, visto che riuscirà a rompere tutti i suoi tabù.

“La vecchiaia non te l'ha insegnato, che la vita è fatta di tentativi?”

Una vita piatta e quasi ai margini in netto contrasto con i diversamente “vecchi” quelle delle tre sultane, che un bel giorno dopo un litigio con la giovane e procace inquilina Carmela si trasforma in un incubo inquietante di vaste proporzioni. Ma la bellezza di questo noir sono le diverse chiavi di lettura, perché la sapiente scrittura di Marilù Oliva non si sottrae a nessuna considerazione di sorta, dietro ad ogni amarezza e approfondita rivelazione di ciascuno di loro non emerge solo la dura condizione degli anziani, ma un corollario di disarmanti situazioni grottesche che diverte e ammalia nel suo insieme. Ti accorgi che tra le mani non hai il vecchio finto-rimbambito Tommaso Perez di Lorenzo Li Calzi ( Che cosa ti aspetti da me?) piuttosto ti trovi ad assaporare o meglio a giocare assieme a tre attempate a “Cadavere squisito”, perchè ignori fino alla fine dove tutte e tre andranno a parare.
Una miscellanea di sentimenti veri e di situazioni inevitabili e imbarazzanti che le tre sultane, un pò per per caso e un pò per espressa volontà si ritrovano a dover affrontare, ma soprattutto spacca quando assaporano il gusto amaro di quella rivincita che presenta loro un conto molto alto da pagare.

Ma avevano altre scelte? Tanto ormai erano vecchie e i vecchi sono come i bambini, innocenti, ingenui, ripetitivi e capaci di fantasticare di insaziabili orizzonti e come dice Luca Crovi “L’età migliora il talento per l’omicidio.”

“- Secondo te possiamo desiderare tutto quello che vogliamo?
-Ci mancherebbe. Da quando è peccato sognare?”

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gracy Opinione inserita da gracy    04 Agosto, 2014
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4 personaggi in cerca d’autore

Robert Goolrick ha scritto una storia molto piccante e intrigante, ambientata nel 1907 nel freddo Winsconsin, tra miserie, desiderio di riscatto e ricchezze. Il titolo per Frassinelli “Una moglie affidabile” ha la capacità di suscitare interesse, non sai se corri il rischio di leggere un rosa o un mistery, diciamo che tutto parte dal titolo dell’annuncio di Truitt, un ricco vedovo sui cinquant’anni con un passato burrascoso che lo fa pubblicare su un giornale con questa precisa richiesta:

…AAA cercasi moglie affidabile.

E puntualmente la moglie dei sogni, affidabile e adorabile risponde all’annuncio.

Capitolo dopo capitolo si comincia a capire di che pasta sono fatti i due futuri marito e moglie e le altre due figure che determinano l’evoluzione della storia, non svelo nulla della trama, perché è davvero il fulcro di tutto il libro e toglierebbe lo sfizio della lettura . Sin dall’inizio si capisce subito che l’aria che si respira è ricca di mistero e di passioni celate, man mano che i capitoli scorrono i protagonisti si spogliano delle loro apparenze e anche dei vestiti , con molta semplicità e sfrontatezza, mostrando senza remore il lato oscuro che li contraddistingue. La lettura che si apre agli occhi del lettore è senza dubbio seducente, ammiccante e morbosa, non mancano i colpi di scena che si insidiano tra bugie, sotterfugi in combutta tra di loro con esasperante disperazione, incuneati ed eviscerati per uno scopo soltanto quello della conquista della ricchezza con allegato il trionfo dell’amore. L’amore sofferto è l’elemento trascinante che si fa strada quasi strisciando tra un personaggio e l’altro e tra una rivelazione e un dialogo spesso si perde un po’ la lucidità di chi sembra più credibile o menzognero e a un certo punto anche la rivelazione del marito della moglie affidabile pare che abbia preso un piccolo scivolone nella sua rivelazione finale, molto sommario rispetto alle sue dichiarazioni iniziali.

Un concetto un pò confusionario, ma è quello che a fine lettura ho percepito, malgrado la fluidità della scrittura e la bella rappresentazione ambientale che sono le peculiarità che salvo del libro.

Do un consiglio per chi si appresta a leggere questo libro, non perdete di vista il pensiero di Truitt cioè il marito, perché tutto ruota attorno a lui.

"Cose del genere succedono"…si Goolrick e non hai scritto un opera che si avvicina allo splendore di “Rebecca la prima moglie” della du Maurier, come c’ è scritto nella quarta di copertina.

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Consigliato a chi ha visto i seguenti film:

“La mia droga si chiama Julie” e" Original Sin” tratti da “Vertigine senza fine” del famoso scrittore Cornell Woolrich. Quindi non è poi così originale, qualcuno ci aveva già pensato prima.

E a chi ha amato ”Follia” di McGrath
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gracy Opinione inserita da gracy    21 Luglio, 2014
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“L’Aquila bella me, te vojio revete”

Sin da subito sono stata attratta dalla bella copertina e dal titolo così compiaciuto che mi fa ricordare una classica espressione di apprezzamento tipica dell’agrigentino “bella me”. D’altra parte la grafica e le copertine che la Elliot sceglie mi piacciono sempre.

“Bella mia” è un inno alla vita, alla persona che amiamo, alla terra che ci accoglie, è la ricerca spasmodica della speranza, della ricostruzione dopo l’abbattimento del disastroso e indimenticabile terremoto che ha colpito l’Aquila. E’ una confessione intima e struggente di chi è rimasto illeso nel corpo, è l’urlo straziante di una donna che vede morire la sorella gemella e che a piccole dosi vede crollare il mondo che la circonda e il resto della famiglia che le rimane. E’ una dura prova di sopravvivenza, di dettagliate situazioni che Donatella Di Pietrantonio spulcia con pochi mezzi, ma quelli usati sono parole dettate da un’intima narrazione quasi scarna e dolorosa tanto quanto è stata la violenza del terremoto che ha raso al suolo case, persone, oggetti e le affezioni della propria terra natia. E’ la dura prova che l’uomo deve sostenere prima con se stesso e poi con chi gli sta accanto per elaborare il complesso concetto della perdita improvvisa. Una risalita dalle macerie, un piacevole ricordo che riemerge nella mente osservando la tanto desiderata felpa gialla dei Simpson dell’ultimo compleanno di Marco, stesa sul filo esterno della biancheria nella zona rossa vietata al pubblico e ai residenti, oppure un vasetto di alici che tristemente staziona sopra una mensola risparmiata dal sisma e che Olivia non mangerà più.

Cosa resta di noi se un terremoto ci portasse via tutto quello che amiamo? Si diventa ladri in casa propria, furtivi e impietriti dai propri ricordi come quelle mura diroccate che non hanno più anima, si diventa “deportati “ presso le C.A.S.E. provvisorie e facili all’usura pure quelle. L’autrice lo delinea con un linguaggio a tratti severo ed empatico, lasciando lo spazio essenziale alla rabbia e alla morte dell’anima che solo col tempo può tornare a rivivere e trovare la forza e il coraggio per andare avanti e ricominciare tutto daccapo. In silenzio, urlando dentro se stessi e riallacciando gradatamente e senza rancore i lembi amputati da chi ha reciso la dignità senza altra alternativa o via di scampo.

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gracy Opinione inserita da gracy    15 Luglio, 2014
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Appuntamento al Gambrinus, portate pop corn e ...

...patatine.

La serie del commissario Ricciardi questa volta è ambientata in un calda e assolata estate napoletana. Il panorama è sempre la Napoli degli anni 30, i personaggi sono gli stessi e la morte rivive in tutte le sue sembianze, carnefici e vittime colpevoli in misura più o meno sovrapponibili, quindi le tinte noir si pastellano tra di loro e si adagiano quasi in tono minore o assenti rispetto all’intreccio che si crea nell’esposizione degli eventi.
Il tono della narrazione appare da subito ovattato e quasi accorato, dilungato nei contenuti e a tratti ammorbante e soporifero, un’esplosione di sentimenti che fanno quasi concorrenza al più sdolcinato e pompato Nicholas Sparks, poco noir e tanto romance inflazionato. Ecco i motivi della mia delusione.

Chi predomina la scena non è il commissario triste e solitario che vede i morti ma sono le donne e la ginecologia:

Livia, elegante e bellissima primadonna del nord che si contraddistingue dalle altre, invidiata, amata e osannata da tutti gli uomini (tranne dal suo amore non corrisposto) che non trova pace malgrado la sua posizione da sirena in mezzo a tanti scorfani.

Lucia, dedita alla famiglia e all’economia domestica che con grande responsabilità e dedizione incarna la moglie ideale.

Rosa, tata riservata, scontrosa e servile domestica di famiglia che lotta tra la vita e la morte, che ruba la scena al commissario Ricciardi, vede più morte lei in tutti i sensi.

Enrica, ecco la vera passione di Ricciardi è completamente trasformata, quasi irriconoscibile, a mio avviso anche poco credibile, la crescita repentina di un personaggio quasi stereotipato che esce dal guscio con prepotente ed holliwoodiana emancipazione.

“Non siamo mai contenti, vero papà caro? Ci manca sempre qualcosa”

Sisinella, Rosinella, Bambinella, Maria Carmela.

…..E la Madonna del Carmine, anche lei protagonista, assieme al suo grande cuore alla mercé di tutti i devoti e i tristi fanatici.

Il cuore di tutti, il cuore che ama, il cuore che soffre, il cuore che rinuncia e il cuore che muore. La commedia e la tragedia umana.
Fiction da intrattenimento adatto a tutti, deboli di cuore inclusi, specie se amate le telenovelas, il capolavoro che decanta la pubblicità è solo uno specchietto per le allodole…

Hanno ucciso l’Uomo Ragno chi sia stato non si sa, forse quelli della mala o forse la pubblicità! Pluff…

I capolavori sono altre cose. Perfetta lettura estiva da ombrellone e a fine lettura niente di nuovo sotto questo sole, ammesso che l’estate 2014 arrivi prima o poi!

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La serie del commissario Ricciardi dello stesso autore
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gracy Opinione inserita da gracy    02 Luglio, 2014
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Silver Blaze…

... in omaggio a Doyle e alla fiamma della Benemerita.

Un uomo viene ucciso in casa sua e una vicina di casa diventa il testimone chiave perché è riuscita a prendere la targa di una vettura sconosciuta nei paraggi del condominio. Entrano in causa un giovane e la sua famiglia, in tempi brevi spunta anche il movente e il caso è chiuso. Un giallo essenziale, asciutto e senza colpi di scena, praticamente perfetto o soltanto prevedibile e sempliciotto.
La costruzione dei personaggi e l’approfondimento psicologico attraverso una struttura narrativa adeguata in poco più di cento pagine, praticamente da leggere in un pomeriggio di mare, vale il prezzo del biglietto.

Cosa salva questo piccolo poliziesco? La figura del maresciallo dei Carabinieri Pietro Fenoglio, una new entry nella bibliografia di Carofiglio, un pacato uomo onesto che ha il fiuto per le indagini e che si avvale della facoltà di ricercare con scrupolo e anche “fortuna” il tassello che manca per incastrare il vero colpevole. In questo caso la perfezione che manca sta proprio nell’aria, si avverte col naso e ha il nome di un celebre profumo.
L’autore ha voluto omaggiare con questo racconto lungo il bicentenario dell’Arma dei Carabinieri e l’edizione del libro è stata realizzata in collaborazione con l’Ente editoriale dell’Arma. Ma è stato anche furbetto, sicuramente perché sapeva di aver scritto un giallo quasi scolastico e ha voluto inserire come fanalino di coda la creatura che manca dalle librerie da molti anni, dulcis in fundo per farsi perdonare. E fin qui ci sono arrivata pure io… Elementare Watson.

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Loriano Macchiavelli e la saga di Sarti Antonio
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gracy Opinione inserita da gracy    04 Giugno, 2014
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Ieri

“Ieri tutto era più bello, la musica tra gli alberi, il vento nei miei capelli e nelle tue mani tese al sole.”

Con Agota Kristof non sai mai quando dice la verità e quando racconta le menzogne.
Facilmente individuabile è la nazione non ben definita in cui è ambientato questo romanzo, è un posto ricco, dove trovano riparo molti profughi e dove anche il lavoro nelle fabbriche non è difficile da trovare se si pensa che c’è in corso una guerra. Il salario di un operaio è basso, a malapena si riesce a mangiare e pagare l’affitto, ma il lavoro è indispensabile per la vita stessa e chiunque ce l’ha sopravvive. L’operaio ha una vita monotona, si fanno sempre le stesse cose: un cartellino da timbrare, la regolarità degli orari degli autobus che fanno fermate fisse, un pasto alla mensa di modeste proporzioni, ma l’uomo ha una mente che elabora pensieri e il protagonista ha molto da pensare, tra quello che è la sua vita presente sulle basi di quello che è stato il passato, per meglio reinventarsi il futuro. Si illude di essere perfino un bravo scrittore che farà carriera vendendo la sua storia. Intanto ha un nome inventato, una vita inventata, diverse incertezze, tanti dubbi e una sola attesa che si chiama Line.

La vita non è mai perfetta.

La vita di Tobias o Sandor che si reinventa, che si racconta in questo romanzo è il fulcro di questo piccolo romanzo di appena 90 pagine ma corposo nella sostanza. Eppure è il romanzo perfetto, dove anche le imperfezioni compiute dal protagonista e dagli altri personaggi diventano fondamentali per la riuscita di questa piccola opera dal messaggio chiaro e preciso. La sua vita è alienata dalle insoddisfazioni e dalla sofferenza e spesso è sinonimo di morte, ma sarà che accarezzando il pensiero della morte Tobias o Sandor finirà per amare la vita?

“Amavo la morte. Amavo giocare con la morte. Posato in cima alle oscure montagne, chiudevo le ali e, come una pietra, mi lasciavo cadere."
Ma non arrivavo mai fino in fondo.”

E’ un classico esempio di quando si dice che la qualità di un libro non è proporzionata alla quantità delle pagine. Dilungarsi nella trama non ha senso, eppure l’ho fatto e forse scriverei all’infinito, superando anche le 90 pagine, anzi consiglio vivamente di non leggere la quarta di copertina e farsi questo viaggio semplicemente iniziandolo a leggere in una sola pausa lettura. Lo stile e la forma espressiva sono catalizzanti, se conosci Agota sai che sei nelle sue mani e soffrirai molto per quello che ti racconterà, con la consapevolezza di non riuscire a staccarti dalla lettura perché vorrai ardentemente conoscere se salterà fuori il punto d’incontro tra il passato e il presente.

-Hai scelto di scappare e di diventare un niente. Un operaio di fabbrica. Perché?
-Perché è diventando assolutamente niente che si può diventare uno scrittore.

Agota aveva tanto talento da vendere.

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Lo consiglio a chi cerca un classico del 900, a chi ha amato Delitto e castigo, a chi ama i thriller e i noir questo è un esempio di confessione a cuore aperto tra la vittima e carnefice, a chi piace scrivere e scrive di tutto, c’è tanta innovazione stilistica e tanta sapienza.
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gracy Opinione inserita da gracy    26 Mag, 2014
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Un uomo e le sue qualità

Murakami anche questa volta non costruisce castelli di sabbia e non ci propina ridondanti storie dal gusto insipido, pur mantenendo costante il suo modo di scrivere e la purezza dei personaggi si avalla dei colori per riproporre temi come l’amicizia, l’amore, la famiglia, il lavoro. Non ci sono doppie lune, pozzi da esplorare, personaggi bislacchi o gatti scomparsi, eppure c’è molto déjà vu, primo fra tutti l’evocazione musicale tanto cara all’autore.

La storia nel suo insieme è molto semplice, Tsukuru viene allontanato dai suoi 4 amici carissimi senza una spiegazione, una lite o una discussione, deve attendere 16 anni per comprendere la motivazione del gesto ma nel frattempo il suo carattere, la sua vita sociale, il suo temperamento sono diventati privi di significato e privi di colore, l’unica certezza che ha è che nella vita vuole costruire stazioni di treni. Riacquistata la consapevolezza di voler conoscere la verità si imbatte in una riscoperta del suo essere finora ignota e poco esplorata, poco alla volta la sua vita si tinge di colori, è finito il tempo di sostare nella sala d’attesa di un’anonima stazione ferroviaria, così come è finito l’incubo ricorrente che lo attanaglia tutte le notti. Più verità vengono a galla, più Tsukuru comincia ad amare la vita e allontanare da se il senso di estraneità, più profonde sono le ferite, più i cuori delle persone vengono unite intimamente. Più si scava nel buio profondo incolore dell’oblio più viene fuori un barlume di calore e di colori.

Leggere l’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio è come planare su uno sterminato cielo azzurro senza paura di cadere, un volo in incognito verso spazi indefiniti e con la voglia di continuare a volare all’infinito, poi sul più bello folate di vento ti fanno rallentare la corsa e cerchi l’atterraggio più morbido. Un viaggio intimo che non manca di riflessioni, di amore per il Giappone ordinato e caotico, dove la solitudine alberga con prepotenza e aliti di mistero e reati insoluti fanno da cornice restituendo uno splendido scenario di situazioni che accarezzano l’anima del lettore incapace di svincolarsi dal suo abbraccio onirico e non importa dove andrà a parare. Il finale è un poco affrettato, lascia margini di incertezze che si intrecciano con vacue pennellate di incoraggianti stimoli rassicuranti.

Ma stiamo parlando di Murakami e l’ultima parola spetta al cuore di chi si è lasciato imprigionare dalla sua trappola senza ancora di salvataggio.

Un libro che si legge in un fiato e che rimane dentro a lungo, ma non è il suo capolavoro.

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gracy Opinione inserita da gracy    22 Mag, 2014
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B-side di un uomoperbene

Odessa Star è un libro cattivo, è il libro perfetto per chi vuole farsi del male e per chi ha voglia di conoscere il pensiero di un maniaco che cuce di giorno in giorno il pensiero diabolico di annientare tutto quello che non gli sta bene nella sua vita poco appagata e gratificata.

“Quindi forse un’avvisaglia c’era. Avevo smesso di ridere per primo e poi avevo contagiato mia moglie e mio figlio?”

Fred ritrova Max, un vecchio compagno di scuola che non aveva dimenticato per la cattiveria che sin da ragazzo aveva manifestato per tutto quello che nel suo pensiero rappresentava la mediocrità, subito tra i due scocca la scintilla idilliaca della malvagità che li porterà in una rapida discesa negli inferi, tra omicidi, tradimenti, quiz truccati, insofferenze e subdole sparizioni.

Koch è uno scrittore gentile, pacato, garbato, intelligente e attento ai problemi di natura sociale, l’ho conosciuto diversi anni fa e l’abilità chirurgica con cui ha scritto il suo terzo libro politicamente scorretto lo rende forse poco “credibile” o al contrario è fin troppo bravo quando si tratta di raccontare storie sul tema della morale umana e le sue contraddizioni. E’ disarmante la semplicità che utilizza nel dispiegamento delle sue storie, anche questa volta c’è un uomo con i suoi tormenti e le sue frustrazioni che crede di dare un senso alla propria vita attraverso il riscatto più estremo e indegno.

“Forse significava che al mondo nulla va perduto?, che per ogni cosa che fai ottieni qualcosa in cambio, persino quando sbrogli il filo di uno yo-yo. Per me quello sarebbe stato il momento di dire -va bene, allora vado-“

Non mi piaci? Sei antipatico? Sei ricco e arrogante? Il tuo cane sporca il giardino condominiale e sei un’obbrobrio alla mia visuale dal terrazzo con le tue ciabatte rosa fatiscenti? Ecco, ricordati che presto sarai fuori dai giochi. Agghiacciante lettura scritta in maniera semplice e diretta e voglio pensare che il corsivo utilizzato per certe parole come “uomo gentile” “umiliato” “cancro” sia una forma di salvezza, come tracciare dei solidi punti di ancoraggio per non perdere di vista quel minimo di raziocinio e dare una proporzione adeguata al pensiero della legalità umana. Ma intanto la lettura scorre via velocemente e si assapora inevitabilmente il retrogusto amaro che lascia basiti fino all’ultima parola.

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-La cena
-Villetta con piscina
dello stesso autore e che ha apprezzato il cinismo e l'audacia della sua cattiveria
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gracy Opinione inserita da gracy    19 Mag, 2014
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Ali di gabbiano nero...le mie sopracciglia

Poche pagine, pochissime, ma ricche dell'essenza di Frida e dei suoi tormenti. Il libro non necessita di presentazioni o divagazioni personali, perché è lei la protagonista e a lei spetta la parola, in silenzio e col cuore in mano.

"Ho imparato nella pioggia a sopravvivere:alla barbarie di una vita spezzata, a me stessa dolorante, e infine, a Diego.”

Amores Y desamores.

“Diego è come la mia vita: un lento avvelenamento senza fine, tra gioie di sublime intensità e abissi di angosciosa disperazione. Eppure..amo la vita quando amo Diego. E a volte confondo l'odio per questa vita d'inferno con l'odio per Diego che mi trascina all'inferno e poi mi aiuta a uscirne.”

“La morte può essere crudele, ingiusta, traditrice...ma solo la vita riesce a essere oscena, indegna, umiliante.”

Una donna che ama in modo sconfinato e che ha il cuore traboccante di voglia di vita soltanto può esprimere anche questo:

“Solo io so solo quando sia bello Diego. SOLO IO: E’ come un cactus messicano:forte e possente, cresciuto nella sabbia e nella pietra vulcanica, irto di spine per gli estranei e con un cuore di dolce tenerezza che solo a me svela...”

Frida Kalho e Diego Rivera come “l’elefante e la colomba.”

Una donna che ha espresso attraverso la pittura l’essenza della sua vita e che ha vissuto in prima persona la vita politica del Messico come una “soldadera” col pensiero di una donna forte ed emancipata al cospetto del fallimento e dei tradimenti dei tanti “gattopardi” che si apprestavano alla Revolucion con l’effimera idea di cambiamento che in realtà esprimeva l’affermazione del potere affinchè non cambiasse nulla :

“Sarei andata a lottare al fianco di chi? Ormai ci azzanniamo l’un l’altro come cani rabbiosi, tutti si dicono comunisti e non aspettano altro che piantare una pugnalata nella schiena di altri che si dicono comunisti! Cannibali, ecco cosa siamo diventati…cannibali.”

Frida pata de palo:

“Il dolore è un urlo lacerante, un ruggito a denti stretti, una litania di gemiti, un delirio di parole spezzate, frantumate…Parole mutilate dal dolore.”

“Continuerò a scriverti con i miei occhi. Sempre.”

E allora VIVA LA VIDA!

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Chi ama Frida Kahlo e chi ha voglia di conoscere l'anima di una donna combattiva.
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gracy Opinione inserita da gracy    09 Mag, 2014
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Un romanzo è uno specchio che si porta con sé...

...lungo la via

C’era una volta un vecchio brutto orco arricchito ormai settantenne che abitava nella sua isola sperduta e poi c’erano due belle ragazze incantevoli che incarnavano il candore delle giovani principesse segregate fino a quando non è arrivata la forza irruenta di Mercurio che con la sua cura ha dato una svolta decisiva e ha sovvertito le sorti dei protagonisti.
Straordinaria favola che non ha nulla da invidiare alle celebri fiabe dei fratelli Grimm o di Andersen, per l’originalità della storia nella sua interezza e per la considerevole forza narrativa con cui A. Nothomb descrive e ammalia il lettore imponendo la sua scrittura brillante e catalizzante come una fulminea frecciata che non puoi scansare. Ti lasci ferire e aspetti fino alla fine la lenta guarigione quasi arrampicandoti sugli specchi.

“Ma cosa può capitare di meglio a una ragazza che di finire nelle mani di un mostro?”

La temperatura sale sin dalle prime pagine, la febbre attanaglia subito le viscere e non c’è termometro a mercurio che tiene e anche le ferite inferte non guariscono intingendole col semplice mercurio cromo. E nel frattempo sei pure catapultata nell’isola di Montecristo e nella Certosa di Parma con Carmilla al seguito.

La bellezza di questa favola sta proprio nella sobrietà di come viene snocciolata, il tema trascinante è la bellezza in tutte le sue forme e il candore quasi etereo di come amore e bellezza si identificano.
Possedere, prevaricare, mantenere, tutelare e rafforzare la bellezza sono le azioni che s’impongono i protagonisti. L’amore del vecchio orco è un amore egoistico e inappropriato, l’amore che pervade il cuore di Hazel è quasi un sentimento inesistente, perché è lei stessa l’innocenza e la purezza, Mercurio è la fredda counselor che come un caduceo, come la dea Atena inizia la sua battaglia legata al raziocinio delle cose a far rinsavire i due dall’incantesimo del destino crudele e della redenzione inaudita.
Ma il mercurio si sa è inafferrabile e anche il finale della favola riserva al lettore diverse conclusioni che catturano e sfuggono assieme, vittime e carnefici che si reinventano i ruoli pur di possedere e amare il frutto della tanto sofferta bellezza.

“Essere brutti e rassicurante: non ci sono sfide da raccogliere, basta abbandonarsi alla propria sfortuna, farsi i gargarismi, è così confortevole. La bellezza invece è una promessa: bisogna poterla mantenere, bisogna essere all’altezza. E’ difficile.”

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Una favola seducente che difficilmente si dimentica, perfetta da raccontare ai posteri accanto alla principessa sul pisello, Hansel e Gretel, la bella e la bestia e Pollicino.
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Gialli, Thriller, Horror
 
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gracy Opinione inserita da gracy    06 Mag, 2014
Top 50 Opinionisti  -  

Non si tratta con i farraginosi

Un libro molto drammatico e attuale, dove emergono tanti aspetti che sono riconducibili alla ricerca della felicità e al rovescio della medaglia quando diviene una chimera irraggiungibile. Come l’insoddisfazione della propria vita, la ricerca dell’amore e l’incertezza di chi ha difficoltà nel manifestare i propri sentimenti e quando questo accade vince la paura che prende il sopravvento e lo tramuta in odio. La bellezza dell’amore diviene appannata e quasi sfuma tra le pagine perché James M. Cain le ha macchiate di terrore, di alcool e di irriverente bisogno di evasione. Evasione dalla vita quotidiana, con il presentimento che fuggire da un posto sia il modo perfetto per raggiungere la felicità e che esisterà sempre un posto migliore lontano da dove si vive.

La voce dell’Io narrante è di Frank, un vagabondo, nullatenente e quasi parassita, che conosce Cora una bella giovane donna insoddisfatta del suo matrimonio con un grassone che racimola quattrini di origine greca, vittima del sogno americano. Siamo nell’America della grande depressione e i due si ritrovano in molte cose, si amano e si odiano, compiono gesti, speculano e tramano un omicidio per un solo scopo, fuggire assieme e tentare la fortuna altrove. Le cose tra i due cambiano, si innescano situazioni che non lasciano scampo alla sincerità, alla fiducia, si sfaldano le basi del loro amore e poi basta ascoltarsi, capirsi che si ritrovano più vicini, complici e amanti che mai. Un susseguirsi di azioni e dialoghi contrastati, irriverenti, quasi insopportabili, ma il testo è breve e perfetto per il fine ultimo del messaggio, che per l’uomo è facile fare il male il difficile è propendere alla redenzione. Finisci per amare i due per la loro spontaneità che li ha portati sull’orlo del baratro per la mancanza della più elementare forma di moralità, perché il loro amore è al di sopra di tutto anche quando le incertezze aleggiano come l’aria che respirano e l’opportunità di amare è il frutto del contrasto di ciò che in realtà il destino cuce addosso e che con devastante violenza restituisce ai protagonisti il peso delle loro colpe.

Lo strazio delle ultime pagine suggellano lo stile di James M. Cain, un Proust dei poveri come lo definiva il suo contemporaneo Chandler, una prosa asciutta, essenziale, carica di patos che con destrezza riesce a tratteggiarlo di tinte noir lasciando ampio respiro alle emozioni, intensissime nere emozioni.

“Siamo due miserabili Frank….Non siamo stati all’altezza del nostro amore. Come un bellissimo motore d’aeroplano, che ti porta in alto, nel cielo, al di sopra delle montagne: che se lo applichi a una Ford, la rompe in mille pezzi. Questo eravamo, Frank. Un Paio di Ford….”

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Romanzi storici
 
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gracy Opinione inserita da gracy    11 Aprile, 2014
Top 50 Opinionisti  -  

Inseguendo le maschere a volte s'inciampa

“Sono essenzialmente uno che s’inventa e racconta storie, un contastorie, o se lo preferite, un romanziere”

Andrea Camilleri non è solo Montalbano, infatti sarà ricordato ai posteri come uno scrittore dalle spiccate capacità narrative, un uomo che nutre e coltiva la passione per tutto quello che scrive anche quando ci impacchetta le storie sottoforma di “cuntu”di personaggi realmente esistiti ma pressoché sconosciute o quasi dimenticate. Gli è bastato un regalo risalente più di trent’anni fa del suo amico pittore Andrea Carmassi , un catalogo di una sua mostra del ’72 che si pregiava di una presentazione di Leonardo Sciascia dal titolo “La faccia ferina dell’Umanesimo”, che subito è scoccata la scintilla che lo porterà a nutrire curiosità per un ebreo originario di Caltabellotta, piccolo paese in provincia di Agrigento, convertito al cattolicesimo intorno al 1400, un istrionico personaggio sconosciuto e affascinante che si delinea in diverse opere storiche spesso incomplete e poco chiare. Per il sommo Camilleri è sicuramente fonte di un dispiegamento di fantastiche ricostruzioni che ruotano attorno a questo personaggio, infatti si avalla di meticolose puntualizzazioni, praticamente accetta la scommessa che è possibile fare una plausibile rielaborazione sulle orme di un uomo poliglotta che rivive in molti personaggi attraverso il modo più credibile, cioè ad inseguire la sua ombra sotto forma di romanzo, utilizzando diverse chiavi di lettura e tirando in ballo il proprio pensiero tra un capitolo e l’altro per meglio delinearne i contenuti smorzando la sensazione di leggere un romanzo storico.
Le pagine scorrono via velocemente, il grande Camilleri ci snocciola la storia attraverso una narrazione fluida, semplice ed esaltante, facendoci conoscere le piccole comunità ebraiche presenti in Sicilia nel 1400 e le loro condizioni sociali in un contesto storico ben delineato.

“Ma l'umanità è un immenso formicaio e se vuoi conoscerla davvero devi trasformarti in formica e viverci dentro”

Il camaleontico protagonista è Samuel Ben Nissim Abul Farag che poi diventerà Guglielmo Raimondo Moncada e per ultimo Flavio Mitridate in veste di maestro di cabala di Pico della Mirandola. Tre personalità diverse per un solo personaggio, si tratta di maschere pirandelliane? Di certo è che molte caratteristiche rivivono in tutti e tre, come la smoderata furbizia, la notevole e spigolosa capacità di ammaliare prelati, rabbini, pontefici, politici e potenti grazie alla capacità oratoria , la deviazione di pederasta e l’indole di dissacratore e omicida.

Personalmente ho voluto leggere il libro nel luogo natio del mio amato scrittore, un po’ a Porto Empedocle e un po’ sdraiata sulle spiagge da lui calcate e ricordate nel libro. Sono emozioni che scaldano il cuore del lettore anche quando arrivi alla parola fine senza aver subito appieno il fascino di questo personaggio pruriginoso e irritante, ancor meno dalle strategie seppur brillanti, utilizzate per farlo rivivere come intercapedine tra quest’ uomo e la sua ombra.

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Letteratura rosa
 
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gracy Opinione inserita da gracy    14 Febbraio, 2014
Top 50 Opinionisti  -  

Alte sopra il tuo corpo vanno le nuvole...

Avete mai provato a guadare il cielo? Provate a sdraiarvi su un prato.
Tutte le volte che lo faccio avverto la sensazione di sentire dentro lo spazio sterminato di un mondo nuovo, ignoto e rassicurante, la mia personale percezione è di piacevole e avvolgente sensazione d’infinito. Le nuvole sparpagliate diventano pezzi di puzzle, pezzi da incastrare, pezzi da interpretare, tutto è un divenire di forme che lo sguardo coglie e gli da vita.
Che meraviglia! Lo stupore della bellezza della natura si coglie anche da questi piccoli dettagli, piacevoli e incantevoli pezzi di mondo. Pezzi che si ribellano, cambiano, avanzano, spariscono, si arrabbiano, si rabbuiano, si addolciscono.
Le nuvole come gli uomini incuneati nello spazio che occupano, forse meno infinito o meno stretto di un cielo infinito che avanza e che muove il mondo. Il cielo stabilisce il sereno o la tempesta o la pioggerellina ristoratrice, e Nuvole cosa c’entra in questo contesto? Penso che c’entri per la serenità che infonde.

Nuvole è la seconda opera di S. M. May e la sua storia intrisa di amore e sentimenti autentici si muove come un cielo costellato di nuvole variabili, di cerri che non diventeranno mai tempesta. Con destrezza e semplicità lo spazio ristretto dei personaggi assume le dimensioni di uno spazio infinito, da scoprire e da ammirare per la bellezza dei contenuti, prima fra tutti la tolleranza e l’amore libero da vincoli. Un libro che vola libero come le nuvole del cielo, di una bellezza e libertà disarmante. Tutto perfetto e raziocinante quello che accade ai protagonisti, il mondo che vorremmo in cuor nostro, dove gridare e far conoscere chi siamo e chi amiamo, senza ostacoli, dove abbracciare, baciare , accarezzare diventa naturale come le nuvole stagliate in libertà nel cielo grande e sconfinato sempre pronto a dare ossigeno a tutti, anche quando gli uomini con il loro egoismo soffocano e inaspriscono ogni barlume di spontanea libertà di amare.

Il cielo e le sue nuvole infinite sono come la storia di Luca e Mircea, due uomini che si amano e che con il loro amore sfideranno il loro mondo, un mondo diverso dal nostro e lontano dai fatti di cronaca inaudita, un mondo più buono, che li accetterà e li preserverà con naturale tolleranza e senza indugi.
Goethe diceva che un arcobaleno che dura un quarto d’ora non lo si guarda più, Mircea era la linfa per Luca e non gli bastava mai. E questo è amore.

“Quando perdi la testa è difficile tornare indietro”



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Gialli, Thriller, Horror
 
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gracy Opinione inserita da gracy    03 Febbraio, 2014
Top 50 Opinionisti  -  

Nessuno muore fino a quando viene ricordato

“In qualche modo il criminale è una persona che osa, che si libera dal vincolo sociale, che si distingue dalla massa.”
… E se il criminale che osa uccidere una figlia appena diciottenne per gelosia è una madre lucida e determinata non si libererà mai dal legame indissolubile delle leggi della natura che regolano la vita degli uomini, il vincolo di sangue sarà l’inevitabile stretto nodo che li congiungerà e non le separerà mai fino alla fine.

“Quando viene commesso un omicidio, nulla viene dato per scontato.”

“Avvocato, sono stata condannata per l’omicidio di mia figlia…” E’ così che inizia questa viscerale e terribile storia vera che attraverso la penna e la sensibilità di Gianluca Arrighi riesce a dare voce a Rosalia Quartararo, una madre snaturata che con feroce violenza uccise la figlia, sconvolgendo l’Italia nel 1993.
Fine pena mai.
Concepibile e inevitabile la repulsione dinnanzi a un crimine di questa portata tanto quanto la corale condanna concreta di una società che si indigna e che metterebbe al rogo la madre indegna e mostruosa. La penna elegante e incisiva d Arrighi riesce a far dileguare questo concetto e si accosta unicamente alla figura di Rosalia, ovviamene ergastolana, dandole piena voce attraverso la personale confessione, permettendo in questo modo di far conoscere il lato più intimo e buio di questa donna che ha sempre vissuto nell’ombra della violenza e della sofferenza vera.
“Siamo uomini e quindi fallibili e incoerenti per definizione. E quando tentiamo, scioccamente, di essere perfetti, ci trasformiamo in ciò che prima odiavamo.”
Toccante e commovente, un libro da leggere con calma, che non giudica mai il mostro e nemmeno lo assolve dal crimine commesso, ma che riesce con la semplicità del linguaggio e la portata dei contenuti a far conoscere la triste e contrastata vita di Rosalia fatta di sensi di colpa e la sua graduale risalita dagli inferi attraverso il perdono.

Una madre che uccide la propria figlia è destinata a morire anche lei ogni giorno.

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Carofiglio, Buffa, legal thriller
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gracy Opinione inserita da gracy    24 Gennaio, 2014
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C’erano una volta Carola e gli scavalcamontagne…

Il percorso letterario di Barbara Garlaschelli non delude i suoi lettori. Brava, talentuosa scrittrice di razza non lascia dubbi nemmeno in questa sua opera che trasuda di emozioni pure dell’amore romantico, dei sentimenti verso la famiglia e il rispetto verso l’amicizia.
E’ di scena il teatro del primo novecento nelle forme sfaccettate di alcune piccole comunità ambulanti in giro per l’Italia, con attori e impiegati tutto- fare che montavano un sipario e facevano del loro meglio per rappresentare sprazzi di vite inventate e fiumi di lacrime finte, un mondo affascinante e certamente curioso che si avvicinava al vagabondare degli zingari e ai tristi preconcetti di gente poco per bene.

“Anche quella fu una delle tante lezioni che imparai da Alba.
Essere e fare, due universi lontanissimi”

Un mondo imperfetto, dove la giovane Carola si troverà catapultata come per magia, impersonando la figura dell’immaginario mondo dei bambini rapiti dagli zingari, sola e sperduta solo per aver avuto paura delle sue colpe legate a un fiume e alle temute conseguenze di non riuscire a superare il rimorso. Crescendo vivrà tutte le difficoltà che questo vagabondare le arrecherà, cercando e accarezzando tutto quello che di piacevole e importante può donarle la felicità meritata.

“La mente degli uomini era un posto grande, per la maggior parte inesplorato, e che esistevano mille strade per essere felici, tutte diverse.”

Acqua e teatro sono temi che l’autrice tesse in maniera impeccabile, attraverso cui srotola una matassa e tesse una storia sorprendente e ricca di inquietudine, dai tratti poetici, soavi e affilati nello stesso tempo.

“Quello che non aveva previsto era che uccidere un uomo non era semplice come andare in bicicletta.
Uccidere era complicato come vivere.”

Amo come scrive questa scrittrice e amo il suo percorso letterario, “Non ti voglio vicino” (finalista Strega nel 2010) è sicuramente l’opera che rappresenta la sua consacrazione nel firmamento del genere drammatico e inquietante, a differenza di quanto riportato nella quarta di copertina non mi piace che venga tacciata di scrittrice che finalmente si toglie l’etichetta noir, come se il noir rappresenti una pecca o un difetto o un genere secondario ad altri. Diversamente penso che la migliore opera rimanga quella noir, i suoi primi romanzi che ha scritto giovanissima trapelano una maturità e una genuinità che nel genere noir appartengono solo ai grandi nomi e comunque al di là di questo, sperimentare generi diversi rimane una sfida che finora le ha fatto vincere tutti i traguardi.

Lettura consigliatissima.

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Romanzi
 
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gracy Opinione inserita da gracy    20 Gennaio, 2014
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Crash Man

E poi mentre spulci tra i libri intonsi a buon prezzo presso una nota libreria romana resti colpita da un titolo “Tutto quello che amo in questa vita al contrario” , ammaliante e affascinante con tanto di copertina al neon e un idilliaca frase “Alice nel paese delle meraviglie raccontato da J. Fante e C. Bukowski” . Al modico costo di 2 euro per una lettura gradevole e mai banale.

Tutti abbiamo una storia da raccontare, la nostra vita è una storia e che scorre inarrestabile nel tempo, ricca di accadimenti e di ampi respiri. Facciamo le cose per quello che sentiamo e in virtù delle azioni che nel passato abbiamo compiuto o che gli altri ci hanno trasmesso. Anche un senzatetto, un alcolizzato, un mendicante hanno una storia da raccontare, è il caso di Rhonda il protagonista maschile che ha un nome di donna e che gìà dalla nascita è segnato da una vita al contrario. Crescere con la mamma alcolizzata e un patrigno violento lo ha segnato profondamente e quel bambino poco amato non è mai cresciuto, è stato sempre presente anche quando è diventato un adulto pieno di contraddizioni e di problematiche. Ritrovare se stessi cercando il cibo nei cassonetti o facendo la scelta bizzarra di tatuarsi una tavola di Rorschach è inconcepibile, eppure è la percezione reale di una vita sentita e apprezzata.
Tutto ha il suo perché.

-“Avanti piccolo fammi un sorriso”ha detto.
-E io ci ho provato”

Joshua Mohr, apre il suo cuore con una prorompente storia che narra di un uomo senza pace, un quasi senza tetto, alcolizzato e schizofrenico, lo stile con cui spennella i dialoghi e il sentire del protagonista sono molto toccanti, originali e nostalgici.

-Sto avendo una di quelle giornate in cui vorrei tirarmi il copriletto fin sopra la testa e urlare per ore. Capisci cosa intendo?
- Ci sono stato
-Dove?
-In quel posto dove la vita sembra facile per tutti, tranne che per te.

Sono pochi i personaggi che ruotano attorno al nostro Rhonda, così tristi, così provati che riesce facile amare malgrado stiamo parlando di una dolorosa vita al contrario.

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gracy Opinione inserita da gracy    15 Gennaio, 2014
Top 50 Opinionisti  -  

Le memorie di Brenno Alzheimer

Alzi la mano chi è “eretto”!
Quanti di noi siamo eretti? Certi e sicuri di non sbagliare mai? Di fare sempre le cose giuste e di dire sempre le cose perfette e condivisibili con il resto del mondo nei secoli dei secoli?

E gli “sdraiati”? Chi sono li sdraiati di Serra?
Sono quelli che sbagliano, che urlano, che ciabattano, sono i disordinati, i disubbidienti, i maleducati, i nevrotici, gli insolenti, gli apatici, i fancazzisti, gli stanchi, insomma i giovani odierni!

I giovani adolescenti non hanno le ombre che si adagiano al suolo ma è tutta la loro persona e il loro essere che si sdraia, sono “divanizzati”, sono gli appollaiati che si connettono col mondo solo se sdraiati, con le dita impegnate su una tastiera alla ricerca di domande e risposte nel web, mentre altre dita contemporaneamente sfogliano un testo scolastico e altre ancora fanno zepping tra un reality e un altro, masticano merendine e spargono cenere di sigarette ovunque stando sempre sdraiati, connessi con le cuffie di un ipod e sempre meno collegati con la realtà.

L’involuzione della specie o l’evoluzione della società di domani?

Bando alle altre domande e passiamo alle risposte che mi sono venute spontanee una volta finita la lettura di questo libro.
La voce narrante è quella di un padre che mette nero su bianco il suo fallimento di genitore, la sua conversione al concetto di “dopopadre” e i suoi tentativi di intraprendere il dialogo con il figlio partendo dalla visita tanto desiderata del monte Nasca. Un desiderio nato per sancire e godere dell’incontro generazionale tra un padre che sa cosa vuol dire dialogare, stare in famiglia, godere di una passeggiata , assaporare la vendemmia coi propri cari e il figlio, che diversamente non capisce e non vuol capire tutto questo senso di appagamento paterno.

La lettura parte bene, diverte per la schiettezza di come certi eventi vengono raccontati “una fragilità materna non preventivata, rammollisce il mio aplomb virile. Mi rendo conto di sommare le due debolezze: la smania protettiva della Madre, le pretese di rettitudine del Padre. (Quante volte invece di mandarti a fare in culo avrei dovuto darti una carezza. Quante volte ti ho dato una carezza e invece avrei dovuto mandarti a fare in culo.)” O il riverbero “penso a come è stato facile amarti da piccolo. A quanto è difficile continuare a farlo ora che le nostre stature sono appaiate.” O i luoghi comuni “lei deve parlare di più con suo figlio.”

Dopo l’ilarità delle prime pagine la lettura si è trasformata in una martellata sugli zebedei, pur essendo un libretto di 108 pagine, il monologo è sfociato nella noia più insofferente, perché la storia si dipana in una guerra futuristica di incomprensibile valore, si fa presto ad arrivare alla parola fine e rendersi conto di aver letto l’apoteosi del nulla. Una lettura breve ma faticosa che mi ha innervosito perché la tematica è sicuramente interessante e discutibile per molti aspetti, però se tra un concetto e un altro ci sono due pagine vuote e tra un paragrafo e un altro interminabili spazi, il librettino non è più di 108 pagine ma molte meno.
Ma soprattutto è irritante il protagonista/autore che s’impone con l’atteggiamento di professorino che impartisce lezioni con messaggi stridenti che sanno di unghie strisciate sulla lavagna, che con i suoi piagnistei logorroici, la sua amara ironia cadono sul banale col risultato che il gusto di aria fritta di questo vademecum per genitori falliti si concretizza prepotentemente senza scampo.

Mi viene da pensare che forse Serra prima di scrivere questo pseudoromanzo era partito con l’idea del saggio pedagogico sugli adolescenti o semplicemente un articolo giornalistico ridondante o peggio ancora un romanzo intimo lasciato a metà.
A mio parere ho letto un requiem inconcludente.

Abercrombie& fitch… o Polan&Doompy e la Apple ringraziano.

C’è sempre una società di sdraiati agli occhi di chi li ha preceduti.

Wow… forever young.

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gracy Opinione inserita da gracy    24 Dicembre, 2013
Top 50 Opinionisti  -  

Le storie sono un pezzo di mondo

“Il bordo vertiginoso delle cose” (la citazione è da un verso di Robert Browning, “a noi preme soltanto il bordo vertiginoso delle cose”), si staglia quasi come un accorato bisogno di raccontare una storia vissuta, una storia sofferta, quasi al capolinea e quasi accorata.
Enrico Valenti è uno scrittore di grido che dopo aver pubblicato un solo libro non trova più la sua ispirazione e si ritrova a fare un lavoro “sporco”, senza slancio e senza talento, quello di ghost writer, giusto per far quadrare i conti e soffocare l’angoscia tutte le volte che gli chiedevano quando sarebbe uscito il suo prossimo romanzo.
Come l’avvocato Guerrieri nel suo ultimo “Le perfezioni provvisorie” , si avvale degli spazi temporali per raccontarci la sua storia. I flashback si alternano in capitoli che sono suddivisi in ordine cronologico, quando Enrico Valenti adulto si confessa, e in capitoli che portano il nome “Enrico”, che rappresentano il passato adolescenziale del protagonista ai tempi del liceo, quando per caso viene a contatto con le rappresaglie di sinistra negli anni di piombo e vive la struggente passione per la giovane supplente di filosofia.

“Non ero mai stato un adolescente felice – qualcuno lo è?”

Enrico Valenti appare un essere macilento che girovaga nel buio, barcolla in virtù del passato che lo ha segnato come uomo, un po’ fiacco e distrutto.
Gli basta leggere una notizia sul giornale per capire che finalmente è arrivato il momento di fare i conti col passato e dare le risposte ai quesiti insoluti ormai datati quasi vent’anni, col rischio di precipitare del tutto o di ancorarsi al trampolino e oscillare senza scivolare.

Pochi personaggi che ruotano nella storia di Enrico, sicuramente i minori, sono quelli che danno forza alla trama autobiografica, come il barbiere e il professore-pescatore in pensione.

Gianrico Carofiglio mantiene il perfetto equilibrio nella narrazione, avvalendosi dei contenuti di molti autori, da Tonio Kröger a I Buddenbrook di T. Mann, dal revisionismo di Marx a Gramsci, da Fitzgerald “Nella vera notte buia dell’anima sono sempre le tre del mattino” all’ironia pungente dei Peanuts, da Hegel a Schopenhauer, da Platone a Jackson Pollock, da Mellville a Conrad…e così via. Una bravura fin troppo perfetta e indiscutibile.
Ma il succo della storia in sé mi ha delusa, forse è mancata la forza trascinante e intrigante che richiedeva una trama così articolata e ricca di spunti. Perdersi nei meandri delle letterature altrui e poi scivolare con troppa semplicità in una storia troppo scontata e prevedibile, con finale aperto compreso, l’ho trovato fin troppo facile.

Un tentativo di allontanarsi sempre di più dall’essere scrittore di gialli che aveva trovato un felice approdo con “Il silenzio dell’onda”, che ritengo davvero magistrale rispetto a quest’ opera, per non parlare del racconto noir di “Cocaina” , il più bello che ho letto quest’anno, che ha superato di gran lunga Carlotto e De Cataldo per la sua completa bellezza.
Giusto per fare una puntualizzazione, a me il Carofiglio noir è quello che piace, quello che meglio sa discernere le storie e le sa esprimere con i perfetti criteri di giudizio, pacato, intelligente e sicuramente più coinvolgente e meno banale.

“E allora che pensieri l’hanno portata sull’orlo del molo, a rischio di finire nell’acqua fra i cefali?”

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gracy Opinione inserita da gracy    28 Novembre, 2013
Top 50 Opinionisti  -  

Duraniana o Spandau?

Se dico anni 80 cosa vi viene in mente?
A me vengono gli occhi lucidi. E’ il decennio della mia adolescenza, degli anni più belli in assoluto, sono gli anni che hanno segnato percorsi fondamentali per la mia formazione, sono cresciuta accarezzando, vivendo e assaporando i mitici anni 80 a colpi di mode, il chiodo e le Cult con tanto di minigonna e collare punk per poi passare ai capelli ricci, acconciati con gli accessori Naj Oleari, con tanto di cartella e giubbotto griffato, scarpe e jeans di tendenza, per poi passare dall’ascolto dei Sex Pistols ai Clash, dai Pink Floyd agli Ac/Dc, da David Bowie ai Doors…. per poi non rimanere assolutamente indifferente al fascino della boy band dei Duran Duran. I poster nella cameretta, le cassette nello stereo, tutte le riviste “Cioè” “Ragazza In” e gli adesivi sul diario. “L’insostenibile leggerezza dell’essere” sul comodino assieme a “Un uomo” della Fallaci “Camera con vista” e “Il piccolo principe”. Potrei parlarne all'infinito.

"È una notte di lunedì al Brighton Dome, due settimane prima dell'uscita di Girls On Film, il nostro terzo singolo. Una settimana dopo il mio ventunesimo compleanno. Le luci si abbassano e attacca Tel Aviv. Ma sta capitando qualcosa di strano. Nessuno di noi riesce a sentire la musica. Che succede tra il pubblico? È il suono della folla che si fa sempre più rumoroso. Un continuo crescendo. Un coro. Sono urla. Poi entriamo sul palco, attraversando il sipario di sicurezza. Un brivido di paura ci percorre. Ci scambiamo sguardi apprensivi. Una smorfia compare sui nostri volti, come per dire "sarà tutto vero?". E il sipario si alza sulla nostra nuova vita".

Io ero innamorata cotta di Jonh Taylor, Simon Le Bon era affascinante per carità, ma il magnetismo che emanava sul palco John per me era il massimo, col suo spolverino, i capelli lunghi, con quel ciuffo mechato e le sue movenze mentre suona il basso sono rimasti indelebili nella mia memoria.
In questo libro Nigel John Taylor si confessa, ci racconta i suoi percorsi formativi di figlio unico, di studente irrequieto, di adolescente che vive il suo presente, di ragazzo “punk”appassionato di musica, di musicista in erba, di talentuoso artista che a poco emerge in quella bolgia di innumerevoli pop star che tentano di sfondare il lunario. Lui, assieme ai Duran Duran ci riesce e da Birmingham il successo diventa planetario. C’è tanto “wild boy” nella sua storia, fatta di ascese e di discese, di meriti e di sconfitte, di successi e di insuccessi dove il sesso, la droga e l’alcool hanno sempre avuto un ruolo determinante, ma toccare il fondo e acquisire la consapevolezza di ritornare a vivere hanno dato il giusto equilibrio per tornare ad essere un uomo maturo, che con il suo modo semplice di raccontarsi e di mettersi a nudo con saggezza e ironia ha mantenuto costante il suo fascino, è davvero uno degli uomini più belli, eppure sono trascorsi trent’anni. Interessanti certi aneddoti, bellissime le foto, una chicca che non deve mancare nelle librerie di chi ha vissuto fortemente i mitici anni 80.

A proposito! E le spalline enormi nelle giacche ve le ricordate?

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Gialli, Thriller, Horror
 
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gracy Opinione inserita da gracy    18 Novembre, 2013
Top 50 Opinionisti  -  

Un Deerstalker per scacciare il diavolo

...i cervi possono aspettare!

“Proprio vero che l’esperienza aiuta a rimettere le cose nella giusta prospettiva”

Big Joe, dopo la delusione del 7° episodio “Sotto un cielo cremisi” del duo Hap&Leo, ritorna con la sua avvincente anima diabolica, ma solo di facciata perché nulla accade per caso, i fatti di violenza inaudita sono molto light rispetto al sapore aspro della coppia Hap&Leo che di fronte a una serie di eventi ti lasciano incollato alle pagine mentre aspetti che il colpo di scena sia solo un momento svenevole di pura suspense.
Hap&Leo non possono morire, non è Beautiful e Joe non può fare morire uno dei due beniamini e nemmeno far scoppiare la coppia, ma creare buoni spunti sulla solidità dell’amicizia e dell’amore sicuramente si, Joe lo fa con lo stile e la scioltezza di un linguaggio proprio, ed è questa la cosa bella che a me piace. Tra sparatorie, scazzottate, capezzoli rizzati sotto t-shirt di ragazze mozzafiato “tra quei due correvano certe scintille di sesso da poterci accendere uno stoppino” e una mangiata di crackers con chili non mancano i momenti di riflessione e di pacato approfondimento sull’uomo e sul suo rapporto con i suoi simili, sulla difficile comunicazione a compartimenti stagni, droga, prostituzione e disagio sociale.
Detective per caso al soldo di Marvel, Hap& Leo devono scoprire chi ha ucciso il figlio innocuo di una signora benestante, da un semplice crimine si apre una voragine che si arricchisce di molteplici omicidi raccapriccianti, sarà opera dei vampiri o del diavolo?
Trovare il bandolo della matassa diventa facile, ritorna Vanilla Ride la bellissima killer di professione, finalmente sappiamo qualcosa di più di questo personaggio che sa molto di fumetto, Brett è ormai la donna fissa di Hap ed è proprio Hap che ruba la scena per tutto l’episodio. Leo sembra più bislacco del solito, l’amore per il suo ex boyfriend lo rende vulnerabile e più ammansito, l’idea di fargli indossare un ridicolo berretto Deerstalker di altri tempi può sembrare patetico, non è il cervo che si sta pedinando e forse Joe, ha voluto omaggiare così Sharlock Holmes e non ha fatto le cose a caso.
Con l’8° episodio una cosa è certa Hap&Leo sono più adulti e anche più stanchi, ma leggerli è come ritrovare vecchi amici che da tempo non vedi e che quando incontri ti fa sempre piacere.

-Ma …ma che è successo? Cosa c’è che non va?
-La vita…
…rispose Leonard

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gracy Opinione inserita da gracy    15 Novembre, 2013
Top 50 Opinionisti  -  

Chiamatemi Mrs Vertigo!

L’uomo sogna di volare da sempre, da bambini tutti abbiamo avuto il desiderio fantastico di metterci delle ali di farfalla, di angelo o semplicemente un mantello da far svolazzare saltando da uno o due gradini di slancio, oppure lanciandoci da una sedia a braccia aperte.
Oplà!
Volare come i nostri eroi, come i nostri amati fumetti o cartoni animati, perché volare è libertà, è conquista, è dominio del mondo che guardiamo dall’alto, ci fa apparire tutto un poco più piccolo e la mente si apre al pensiero strepitoso di dominare il mondo solo con lo sguardo.
L’uomo non può volare, ma sognare di volare si.
Paul Auster, attraverso il mondo di Walt, ragazzino orfano che imparerà a volare sotto l’ala del maestro ungherese Yehudi, un po’ stregone e un po’ artista, proietterà il lettore in una lettura vertiginosa e inebriante, affascinante e fantastica, dove il desiderio di volare inizia sin dalle prime pagine.

“Avevo dodici anni la prima volta che camminai sulle acque. A insegnarmi il trucco fu l’uomo vestito di nero e non sarebbe da me far finta di aver imparato nel giro di una notte. Maestro Yehudi, che mi aveva trovato quando di anni ne avevo solo nove, ero orfano e vagavo per le strade di Saint Louis mendicando spiccioli, mi aveva addestrato per tre anni di seguito prima di lasciarmi esibire i miei numeri in pubblico”.

Incipit che mi ha colpito e che mi ha fatto volare col pensiero, immedesimare nelle avventure mozzafiato e nelle disavventure più tristi e scabrose, dove la dolcezza ha pochi spiragli (Mrs Witherspoon le incarna tutte) e la violenza dell’uomo si staglia nelle varie forme, dall’ egoismo più spicciolo al più spietato Ku Klux Klan. E si fa presto a tornare con i piedi per terra perché ad ogni crudeltà perpetrata corrisponde un capogiro, una vertigine e la testa duole per la paura. Si cresce e il mondo cambia, volare rimane il vero sogno dei fanciulli anche se il lato fanciullesco che è in ognuno di noi accarezza sempre il desiderio di spiccare il volo e viaggiare dentro noi stessi.
Volare è come vivere, respirare ed essere felici.
Le letture straordinarie sono quelle che rimangono nella mente perché hanno quel qualcosa in più che ci rimane dentro rispetto ad altre, la lettura che vince su altre è quella che in fondo ci cambia, ci lascia il segno e ci fa amare per davvero tutto quello che ci ha trasmesso.“Mr Vertigo” è stata una scoperta personale dell’anno scorso, ero così infatuata della storia che l’ho lasciata dentro di me e non l’ho sfogata nero su bianco, ma è sempre ritornata con insistenza, con piacere ho riletto vertiginosamente questo piccolo gioiellino che ha riacceso quella voglia nascosta di volare a braccia aperte e di gridarlo al mondo intero.

-…Saremmo costretti a ribattezzarti Mr Vertigo.
- Mr che?
- Mr vertigini. Mr capogiro. Mr paura- di –volare.
- Io non ho paura di un bel niente. Lo sapete.

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A chi vuole avvicinarsi per la prima volta a uno scrittore eclettico come Paul Auster
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gracy Opinione inserita da gracy    08 Novembre, 2013
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Allungare il brodo e dimenticarsi del sale

Che dire, il primo deludente Hap & Leo della saga che leggo, è stato piacevole ritrovare Hap&Leo, Brett e la tazza di latte caldo con i biscotti alla vaniglia, i tacos, le numerose bottiglie di Dr Pepper e le scorribande sul pickup. Scazzottate e sparatorie splatter sempre coerenti con lo stile a cui siamo abituati i fedeli seguaci di Big Joe, ma le forzature di questa trama piatta, i dialoghi ripetitivi e a volte mosci dei due non me l’aspettavo. E poi l’allegoria assente, nessun pensiero profondo, nessuna riflessione del caro Hap e nemmeno dell’incontenibile Leo e dire che c’erano personaggi interessanti come Vanille Ride, ma nulla, nessuno sviluppo, solo forzature e ripetizioni. L’unico momento particolarmente originale e “lansdeliano” è stata la confessione del tizio della Dixie Mafia chiamato il Tonto, che racconta la sua vita tribolata con tinte noir raccapriccianti, poi per tutto il resto la sensazione del déjà vu di una vecchia foto sbiadita e qualche offesa di troppo verso la religione cristiana.
Penso che scrivere gli episodi delle saghe a volte sia più arduo che scrivere un romanzo ex-novo, la pressione dell’editore e la poca ispirazione dell’autore portano a scrivere pagine insulse e da dimenticare.
Delusa, parecchio.

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gracy Opinione inserita da gracy    04 Novembre, 2013
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Mamma li turchi..mamma li turchi!

Sono di scena la storia, la fiction, l’amore, la guerra, l’astuzia, la strategia e soprattutto la bravura di Matteo Freddi.
Malta è forse l’isola più affascinante di tutto il Mediterraneo, un borgo medievale che ha mantenuto nel tempo la sua caratteristica di fortezza militare e le sue vecchie mura a difesa delle invasioni sono ancora messe lì ben salde a ricordarcelo, difesa che mantiene tutt’ora per qualsiasi straniero che si intravede all’orizzonte. Ma quella è un’altra storia.
I turchi nel Mediterraneo hanno sempre mietuto terrore, gli infedeli più cattivi e forse i più temuti sono stati per lungo tempo saccheggiatori e artefici di dolorosi assedi, Malta combatte duramente l’invasione turca del 1565 e il compito di difesa spetta ai cavalieri cristiani dell’Ordine di Malta.
La storia è molto semplice, si articola con le gesta di battaglie e di guerriglie, di prigionieri, principesse, valorosi soldati e anche dei mercenari più sfrontati, uomini che rischiano la vita senza indugi e parafrasando il motto che ricorre spesso “finché morte non ci riunirà”, il lettore aspetta fiducioso l'esultanza della vita. Ma intanto nel bene e nel male tutti i protagonisti hanno avuto un ruolo determinante nell’evoluzione delle battaglie e delle guerre che si sono perpetrate da un capo all’altro dell’isola.
Un gradevole racconto che si legge tutto d' un fiato, ci riporta in un preciso periodo storico e ci fa rivivere le gesta di tanti eroi, vittime e carnefici, che hanno mantenuto alto sia il valore dei propri ideali di appartenenza sia il valore affettivo legato alle persone care.
In un momento particolare del nostro panorama letterario, che sta vivendo il boom del thriller storico, Freddi si sofferma in una breve rivisitazione epica, dove il mordente è prevedibile, ma giustificabile, perché nel suo insieme mantiene integra l’evoluzione reale di una pagina di cronaca storica.

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gracy Opinione inserita da gracy    30 Ottobre, 2013
Top 50 Opinionisti  -  

..E la fedeltà alla modernità dei pensieri.

“Non c’è peggior nemico della felicità che la falsa felicità.”

A fior di pelle.
A inalare aria attecchita di profumi che saziano il corpo e che lo ravvivano, odori e sapori che si proiettano direttamente nell’anima come fotografie indelebili e necessarie per la felicità.
Una cucina, un fuoco acceso, un tegame e un persico che rosola col burro e insaporisce l’aria e la vita di chi la respira.
Un tavolo e una sedia, luci calibrate, un piatto raffinato e un persico adagiato con erba cipollina e a qualcuno la vita può cambiare.
Antonio Scurati ce lo racconta attraverso la sua impeccabile scrittura creativa. In Italia abbiamo molti scrittori che scrivono libri meravigliosi avvalendosi di questa scrittura così viscerale, diretta, cruda, sfaccettata e assolutamente superba e accorata, dolce e amara.
Sicuramente brillante e moderna.
La perfezione di un viaggio dentro l’uomo del nostro millennio, capace di far albergare il binomio infelicità e infedeltà assieme.

La nostra, è un'epoca particolare, ricca di elementi che spesso non si fondano su basi precise, anzi, piuttosto prescindono la tradizione e i consigli dei padri. Basti pensare che l’attesa di un figlio è vista come un evento quasi alieno con corsi pre-parto in modalità yoga e la considerazione del sonno post –parto come elemento scatenante di rottura della coppia e della morte della sessualità. Si sbriciola così un rapporto, in virtù dell’egoismo e sorpassa il concetto che la nascita di un figlio consolida la famiglia.

“Nascita e rinascita. Espiazione e risurrezione. Tutto si tiene, il cerchio si chiude. Mi chiamo Glauco Ravelli, faccio il cuoco e mi pento prima ancora di avere iniziato.”

Antonio Scurati in questa coraggiosa opera, molto intima e profonda ha dato il meglio di sé affrontando una tematica molto attuale, osservando l’angolazione di un uomo nei confronti della sua famiglia.
La moglie Giulia, una presenza-assenza che è l’elemento determinante nella vita di Glauco Ravelli, un comune uomo del nostro tempo, quarantenne laureato in filosofia ma di fatto cuoco affermato, che ha seguito le orme del padre, abbracciando le nuove tendenze culinarie, ormai considerate di fatto un culto, una filosofia di vita.

“Giulia se n’era andata e io l’avevo lasciata andare. Se le lasci andare, le persone se ne vanno. “

Poi c’è la figlia Anita, tre anni che riveste un ruolo scatenante nella vita di Glauco, figlio della modernità e del progresso, che racconta per tutta la durata dl libro, con il cuore in mano, il crollo del matrimonio dopo la sua nascita, la sua vita di uomo contrastato e di padre di questa generazione di “padri vergini” nella dimensione della nuova modernità. I suoi sentimenti e la sua rabbia sfogati come un fiume in piena, avvalendosi di un linguaggio elegante e raffinato che stupisce e commuove.
In silenzio si legge senza giudicare.

...La felicità ad ogni costo ci aveva rovinati…

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gracy Opinione inserita da gracy    06 Ottobre, 2013
Top 50 Opinionisti  -  

Iddische Glick…fortuna da ebrei

Oh Irene, cosa non sai plasmare? Le parole diventano suoni cacofonici nelle tue mani, gli uomini diventano burattini che si muovono maldestri e senza posa sempre nelle tue mani, ma con quanta grazia e talento sai dare un senso a tutto quello che scrivi. Metti in ballo le percezioni degli uomini risaltando il lato più debole e sai creare tarli irreversibili che si stagliano nell’universo senza tempo. Il tuo tempo è il nostro tempo…è adesso, la nostra società che sembra cambiare con la storia è immutata nella sostanza. L’uomo è uguale da sempre.

E dire che il primo libro che si pubblica in genere è acerbo, il tuo Irene è stato troppo perfetto, nel 1929 hai saputo indignare e farti ammirare.

Strumentalizzare.
E’ questa l’azione che sai trarre dagli uomini e dalle donne che racconti nelle tue storie, strumentalizzare gli altri col solo fine di soddisfare se stessi, l’egoismo che pervade gli animi di chi cerca coi denti la felicità, la ricchezza , la gloria e l’amore.
Hai strumentalizzato David Golder solo per beneficiare Gloria, la venale moglie e austera donna incapace di fare un sorriso e la figlia Joyce, giovane insolente, frivola, vuota e sgualdrina.
Il dio denaro impera nelle sue forme di soddisfacimento, sotto forma di titoli petroliferi, collane di perle grosse come sassi, diamanti superlucenti e vistosi smeraldi, mobili di superba fattura, fino all’ultima lussuosa Rolls Royce o Bugatti.
David Golder, il denaro che ti sei sudato a colpi di affari, notti insonni, titoli di borsa in caduta, in ripresa e poi il crollo economico e l’inevitabile crollo fisico, il cedimento di tutto quanto senza poterlo controllare è stato effimero.
Un uomo incapace di cercare il rispetto, la felicità, una vita consumata alla ricerca della ricchezza, ma vuota di calore e certezze, un uomo strumentalizzato per produrre denaro.
Tutto e niente. Nessuno spiraglio di gioia, di felicità gratuita, ma tutto rapportato a misura di denaro di quello palpabile tra le dita, carta che si misura a suon di collane e di cigolò ebeti e parassiti senza arte e né parte.

“Vedi, il fatto è che io nella vita voglio tutto,altrimenti preferisco morire! Tutto! Tutto!”

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gracy Opinione inserita da gracy    29 Settembre, 2013
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“E’ meglio morire di bevute che di sete”

Parola di Angelo Musso.

Per le strade della mia Sicilia in queste fresche mattine autunnali e soleggiate di giorno è un continuo fermento di trattori ricolmi di grappoli d’uva e cantine fibrillanti che macinano acini di tutti i colori, un tripudio ricco di laboriosa fatica che si trasformerà a breve in quel piacere godereccio che tutto il mondo ci invidia, il buon vino novello.

Anticipo l’uscita del vino dalle tinozze con un brindisi speciale, in alto i calici al nostro Jonh Fante, scrittore americano di origini italiane nato ai primi del novecento, che ha fatto rivivere in maniera straordinaria squarci di italianità, tradizioni e atteggiamenti che spetta solo agli italiani per molte caratteristiche.
Fante ha utilizzato una scrittura marmorea, diretta, nitida e la traduzione ha regalato un italiano elegante, d’altri tempi, ma vivo, vivo perché è realmente il vissuto provato dall’autore come molti italiani che emigrando in America hanno mantenuto tradizioni e costumi, atteggiamenti e modi di pensare. Eppure molti emigrati e figli di emigrati non hanno mai visto le loro terre d’origine.

“Me ne sto seduto nella mia stanza piccola e sudicia a succhiarmi il pollice cercando di scrivere un romanzo…La storia di quattro italiani vecchi e ubriaconi, di Roseville, un racconto su mio padre e i suoi amici.”

"La confraternita dell’uva" è un piccolo capolavoro del nostro Novecento, pubblicato per la prima volta nel 1974 è un inno alla famiglia, un inno alla ricerca della propria identità nel mondo.
Una combriccola di amici che si riuniva al cafè Roma davanti a un bicchiere di vino di troppo e davanti a un mazzo di carte a dissipare tutte le loro risorse economiche guadagnate col sudore della fronte e a sospirare dietro a ogni gonna che passava.
Un idilliaco ritratto per molti versi autobiografico, struggente, divertente e non è difficile rimanere affascinati dal modo di come viene narrato e descritto l’amore per Nick Molise padre padrone dotato di molti limiti e l' affezione verso la madre, vittima e accondiscendente, debole e quasi ridicola nel suo cappotto di seconda mano, ma amabile nel suo insieme. Scritto in prima persona dal figlio Henry, che incarna lo spirito di Fante in persona, scrittore famoso che narra col cuore in mano di come è arrivato a scrivere piuttosto che diventare muratore come il padre, della fatica e degli stenti patiti prima di diventare famoso, non tralasciando il suo ringraziamento a Dostoevskij e ai suoi fratelli Karamazov.
E’ difficile non rimanere deliziati dalla cucina profumata di manicaretti a base di melanzane filanti al formaggio, cosce di agnello e patate al forno, fritto misto di scampi e cavolfiori, tutto innaffiato di vino, quello di Angelo Musso, quello buono per intenderci.

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Fante, un autore da scoprire!
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gracy Opinione inserita da gracy    26 Settembre, 2013
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Mai sottovalutare il potere dei libri

Parola di Nathan Glass…

O di Paul Auster?

“Quando trovi un uomo dotato di spirito c’è sempre speranza per il mondo.”

Paul Auster è uno scrittore che sa raccontare le sue storie, le arricchisce di dettagli, di minuziosi aneddoti e di personaggi che vivono la loro esistenza con grande trasporto e condivisione con il lettore, con reale affetto e amore. Parte da un racconto lineare, senza frasi particolarmente memorabili, per concludere la storia in un perfetto cerchio ricco di contenuti quasi tentacolari che abbracciano tanti versanti, il tutto con uno stile pacato e mai urlato
Forse sono presenti tutti i sentimenti che l’uomo è capace di provare e pertanto il tutto può divenire una follia, così le follie di Brooklyn sono il frutto di quello che passa per la mente di Nathan, sessantenne da tempo in pensione e da tempo in lotta con un tumore in fase di guarigione, che decide di ritornare alle origini, nei pressi di Park Slope in una poliedrica Brooklyn, il posto perfetto dove morire e dove scrivere un libro.
Nathan,decide di fare una resa dei conti con la sua vita e con i legami affettivi che più gli stanno vicino, come il nipote Tom, la nipote Aurora, la figlia Rachel e la piccola Lucy, e tanti nuovi amici e nemici, personaggi troppo normali da rasentare la follia dei drammi vissuti o a sfatarli rendendoli quasi divertenti commedie che si snodano con abile manualità in piccoli corollari dalle tinte forti.
Auster perfetto burattinaio muove le fila tra divagazioni kafkiane, ricordando le lettere indirizzate a una bambina di una bambola scomparsa, passando per il fatidico 11 settembre che coincideva con una data propizia per il nostro Nathan.
Auster, infarcendo le storie di surreali situazioni e di reali emozioni, un po’ autobiografiche, ha voluto ricordarci che nella vita di tutti i giorni c’è posto per ogni cosa e ognuno occupa un posto suo in un angolo di mondo, a prescindere da tutto il resto che ruota attorno.
Piacevole e scorrevole, una spanna sotto “Mr Vertigo” che mi ha fatto innamorare della penna stupefacente di Auster.

“Preferisco mille volte un furfante astuto a un pio allocco. Forse il primo non rispetterà le regole del gioco, ma ha lo spirito.”

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Mr Vertigo dello stesso autore o a chi ha voglia di leggere una storia dentro altre storie...a tutti ovviamente!
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gracy Opinione inserita da gracy    23 Settembre, 2013
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God save the Queen!

“Talvolta non conosciamo fino in fondo la nostra natura. Non sappiamo bene chi siamo finchè non sopravviene una nuova circostanza a rivelarcelo.”

Ebbene il nostro eroe, che ci accompagnerà per tutta la durata della lettura, avrà molte occasioni per capire la sua natura e tante occasioni per rigettarla.
Ma alla fine avrà imparato qualcosa? Ha trovato almeno una circostanza che glielo abbia svelato? O ne ha trovate tante fino a farlo fossilizzare nella sua natura di uomo perennemente legato al suo stato di uomo normale?



Questa è la storia di Thomas Foley.

La città di Bruxelles viene spesso focalizzata con l’immagine dell’Atomium, quella grande struttura futuristica d’acciaio che sovrasta la periferia della capitale belga e il Belgio ricorda il 1958 come l’anno della prima fiera internazionale del secondo dopoguerra, esattamente l’”Exposition Universelle et Internationale de Bruxelles 1958”. Gli stati europei si ritrovano tutti assieme appassionatamente con tanta voglia di rinascita, di fare e creare. Dopo tanti anni di combattimenti l’America e l’Unione Sovietica sono fianco a fianco ma con riserva, infatti erano più le spie che mettevano il naso negli affari degli avversari che i visitatori della fiera.
L’invito è arrivato anche a sua maestà la Regina d’Inghilterra e il compito di espletare molte funzioni per l’allestimento è toccato alla società COI (central office of information) di Baker street, dove lavora il nostro versatile protagonista Thomas Foley, un giovane uomo sposato, padre di una piccola bambina, legato alla mamma vedova da tempo, insomma un ragazzo tranquillo che accetta di assolvere l’incarico di supervisore del pub Britannia che sarà un po’ il simbolo ricreativo del padiglione rappresentativo dell’Inghilterra.

Thomas aderisce al progetto dell’Expo 58 e si trasferisce da solo a Bruxelles, a questo punto Coe pone tutte le condizioni essenziali che spingeranno a far cambiare il suo uomo. Thomas, che veniva etichettato come Gandhi dai suoi colleghi per il suo silenzio, Gary Cooper dalle sue segretarie, Dirk Bogarde per la somiglianza degli occhi, finirà nel corso di quei mesi a trovarsi spesso davanti a un bivio, davanti a scelte che in realtà esalteranno i suoi punti deboli, legate alle sue effettive inclinazioni di “uomo per bene”, il classico tipo affidabile e senza pretese. Insomma alla fine emerge che Thomas, uomo tranquillo come ci aveva fatto credere, non lo era proprio.

Tutto ha avuto un prezzo e Thomas paga lo scotto di quegli anni per tutta la vita, ormai ultraottantenne ricorda quegli anni quasi ovattati e fatui e scoprirà altre realtà che finora gli erano ignote quando ormai era troppo tardi.

Ma Thomas si sa, non ci arriva subito a capire, arriva sempre dopo.

Era già tanto che il nostro Thomas riuscisse a focalizzare di essere al centro di un vero e proprio intrigo di spionaggio, fino a quando non ci scappa il morto.
Solo una cosa era certa, la sua debolezza verso l’hostess Annike, che gli fa assaporare momenti di indimenticabile fugace felicità.
Ma tutto è etereo e incredibilmente onirico, l’Expo 58 è un convivio di stati che s’incontrano ma è anche una beffa, un surrogato di fandonie che mira a mettere in mostra il b-side di una fetta di mondo che tutela la propria nazionalità e non accetta condivisioni.
L’euro è ancora un’utopia, il Britannia un finto pub , tutto è falso, gli ambienti appositamente creati in una terra straniera mantengono le distanze e tutelano coi denti la propria identità.
Anche i dialoghi continui di tanti uomini così diversi e di altrettante donne che proiettano l’immagine della donna europea del futuro, mescolano sentimenti e idee tra realtà e finzione.
Difficile capire dove stava la verità e dove la finzione, ma erano tutte spie al soldo dei vari paesi o qualcosa si poteva salvare?
Thomas diviene un uomo sempre più confuso, debole e frustrato, pensa sempre alla moglie Sylvie e all’idea che il loro sia un matrimonio ormai incrinato, arriverà alla soglia degli ottant’anni e ancora si chiederà se ha sbagliato qualcosa e dove ha bruciato le sue tappe

Come sempre Coe è molto piacevole da leggere e sicuramente interessante per la sua creatività a ideare personaggi che fanno emergere il bisogno di ricercare la felicità e l’identità. I fan di Coe che hanno amato “La banda dei brocchi”, “La casa del sonno” e “La famiglia Winshaw” magari storceranno il naso per la lentezza e per la scarso slancio tipico del “primo” Coe.”

Personalmente l’ho trovato un po’ poco travolgente all’inizio, però dopo la prima parte riesce a coinvolgere e a divertire in perfetto humor british, appare davvero brillante l’idea di far rivivere l’Expo del 1958 così vivido di personaggi strani e stereotipati e infarcire profonde riflessioni sociali sui rapporti tra gli europei, non tralasciando la vena romantica, il tutto viene raccontato con uno stile impeccabile e poi quel finale a sorpresa che ti spiazza e ti lascia un sottile senso di nostalgia.


"Era reale, immaginata o ricordata? Talvolta, di questi tempi, poteva essere difficile capire la differenza."

Intanto a me questa lettura ha fatto venire voglia di andare a Londra, bere una pinta di birra e mangiare fish & chips aspettando il te delle cinque.

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gracy Opinione inserita da gracy    18 Settembre, 2013
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E il cappello di Humphrey Bogart

Il detective Sam Spade è il protagonista di questo libro considerato il capostipite della letteratura hard boiled poliziesca, rappresenta sicuramente uno dei personaggi più importanti della storia dei gialli polizieschi.
Intelligente, furbo, deciso, incontrastato, poco simpatico, ammaliante con le donne e duro quanto cinico, insomma il perfetto detective che ha lasciato il testimone a molti altri nel corso degli anni e se ne contano molti che rispecchiano la personalità del vecchio Sam.
Il falco maltese fu pubblicato nel 1930, si respira San Francisco di quegli anni e soprattutto si articola una storia di misteri e ingarbugli diplomatici per il ritrovamento di una statuetta dal valore incalcolabile. Pedinamenti a tutto spiano, perquisizioni, interrogatori, bugie, poliziotti, uomini corrotti e una femme fatale accattivante e istrionica che si insinua nella vita dell’imperturbabile Sam Spade.
Il punto di forza dell’opera è l’ingranaggio che si articola nella trama, lo spirito investigativo è concentrato nelle azioni dei protagonisti e soprattutto è un concentrato di dialoghi continui, forse troppi e un pò coprono tutto il resto che si dipana senza interferenze o forzature.
Tutto appare molto scenografico, infatti preferisco ricordarlo come film che come libro, un cupo Humphrey Bogart ha impersonato egregiamente il ruolo del freddo Sam nel film di J. Huston.
La nota positiva del libro è il finale, deciso, senza sbavature o cadute di stile, sicuramente uno dei finali polizieschi più belli che abbia letto.

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gracy Opinione inserita da gracy    15 Settembre, 2013
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Respirare polvere e mangiare fango…

Il lettore che ha una vita piena di sicurezze non va a cercare letture rassicuranti perché spesso non aggiungono sapore alla vita del lettore che è già saturo di certezze e quello che va a cercare è il brivido di una lettura che lo destabilizzi e gli faccia provare il brivido dell’ incertezza, che lo prenda per mano e lo porti lontano a sperimentare nuovi orizzonti, nuovi confini… forse adesso sto esagerando!

Ebbene, leggere "Fango" nuoce gravemente alla salute, ti ubriaca, ti droga, ti violenta, ti annichilisce, ti umilia, ti mette nudo sopra un carro e ti fa fare il giro del paese. Ammaniti con una forza straordinaria, con una narrazione serrata, dai contenuti forti e mai prevedibili ti fa respirare con tutta la forza la polvere e poi ti fa ingoiare pezzi di grandine, un miscuglio che in bocca forma pezzi di fango che vanno giù a forza di autentico stupore e apprezzamento.
Fango è una raccolta di racconti molto variegata, ripercorre immagini già viste di inaudita violenza, ma raccontate con uno stile e una prosa impeccabile che gli fa un baffo agli splatter-horror-humor d’oltralpe.
Leggendolo è come maneggiare una bomba tra le mani, non sai mai quando esploderà, ma sai che farà danni.

Il grottesco Capodanno di “Parenti serpenti” di Monicelli in confronto al racconto rocambolesco “Ultimo Capodanno dell’umanità” sembra una fiaba di Bambaren. Troppo suggestivo e crudo, è stato come rivivere la sciarada dei “Dieci piccoli indiani” della Christie, ma ai Parioli. E’ il racconto dell’egoismo e della disparità sociale, quello che ho preferito, mi ha fatto ridere e rodere.

“Rispetto” è il racconto della freddezza e del buio, del nero che si cela nell’uomo e dell’ insubordinazione della ragione quando vince l’animalesco e l’effimero degrado di un branco. Il più crudo e il più infame, uno snuff-movies che ricorda la prorompente narrazione di Lansdale.

“Ti sogno con terrore” è il racconto della follia, di chi vive la percezione di una realtà che sta solo nella testa di chi crede di avere ragione, mentre gli altri hanno torto e intanto qualcuno muore e tu lo capisci solo alla fine.

“Lo zoologo” è il racconto splatter e più trash, un piccolo vademecum kingiano con tanto di zombie incartapecorito.

“Fango” è il racconto della malavita, dei trafficanti, dei clan, dei papponi e della dura vita di chi non può uscire dal giro ed è costretto a ingoiare fango per vivere.

“Carta” è il racconto più combustibile e va via veloce.

“Ferro” è il racconto della principessa e del ranocchio…visti al contrario, anzi no è la favola del più moderno Shrek o forse ricorda il triste Edward mani di forbice oppure no.

Come direbbe Hitchcock :
Ebbene signori leggere “Fango” aiuta molto, vi cambierà e ne godrete i benefici, rimarrete più rafforzati e ancorati alle vostre rassicuranti certezze, altrimenti non leggetelo e godetevi le vostre insicurezze come avete fatto finora.

Sono stata cinica? Beh io vi ho avvisato!

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gracy Opinione inserita da gracy    11 Settembre, 2013
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Una chiacchierata con Noa

“Vento caldo, vento freddo, vento violento,vento con una zaffata di olio diesel e il mio amore si risveglia dentro di me a ogni mutamento di luce, a ogni mutamento dell’aria.”

Noa Weber, scrittrice israeliana affermata che ha superato i 40 anni, mette a nudo la sua vera identità e lo fa raccontando in prima persona la sua vita, partendo dalla G di Gerusalemme e dalla G di Giudea per poi affondare tutte le sue vicissitudini dentro a un’esistenza legata alla presenza ingombrante e determinante di un uomo, ebreo ramingo rivoluzionario di origini russe, il vero amore della sua vita....
...Alek.

“Qualcuno dovrà spiegarmi un giorno perché la gente faccia tanta pubblicità all’amore, ce ne riempiono la testa fin da bambini, come se questa particolare follia fosse un importante valore sionista. Preparati, predisponiti, sta arrivando…come il lampo di un fulmine…il tuo terremoto personale…fai in modo che non ti ignori, anche tu meriti di sperimentarlo…amore a prima vista per ogni cittadino!”

Noa è una donna forte, che però nel corso degli anni ha nascosto le sue debolezze legate a questo suo unico vero amore, un amore nato per caso, un amore che si insinua nella sua anima e lo racconta facendo vivere in un modo quasi adulatorio, spirituale e sublime tutta la sua forza.

“Devo ammettere che mi piaceva quella mia incapacità, quella mia totale dipendenza da Alek e per qualche irragionevole motivo mi piaceva anche la paura.”

Un amore contrastato, ribelle, dove è lei che attinge e quasi elemosina il sesso, il dialogo da Alek, che diversamente da lei vive questo rapporto in modo avulso, quasi legato solo al bisogno sessuale del momento, non importa che hanno avuto una figlia, importa stare assieme quando lui torna dai suoi viaggi dal mondo, infatti ha altre donne e altri figli sparsi, ma è con Noa che sembra vivere frammenti di sentimenti contrastati, mai dichiarati, privi di romanticismo ma carichi di compatibili idee politiche e religiose.

“Il paradosso dell’amore è che ti rende schiavo di una persona e così facendo ti libera da altre cose, ti libera fino a farti arrivare all’indifferenza, che sempre più mi appare come l’autentica libertà.”

Per questo Noa, femminista innamorata e irrequieta, vive il suo amore concedendosi ad altri uomini, ma la vera Noa è quella della confessione, quella delle elucubrazioni.

“La vita vissuta in clandestinità ti porta a questo:innamorarsi alla follia senza dover stare ad ascoltarti parlare e senza pagare lo scotto della vergogna.”

Noa lo ama e lo segue in ogni gesto, c’è una guerra una lunga guerra di pace che non conosce fine, ci sono schieramenti, nazioni, idee e regimi che cambiano ma nella sostanza il conflitto rimane lo stesso.

“L’amore non mi farà mai espandere.
L’unico corpo giusto non verrà mai da me.”

Gail Hareven racconta le confessioni di Noa in maniera granitica, tagliente, priva di sottigliezze romantiche, quasi crude, ma in una perfetta scrittura creativa che fa rivivere in un certo modo anche il primo amore di ognuno di noi. Vincitrice del Premio Sapir in Israele e in Amarica come Best Traslated Novel Award.

Ultima elucubrazione:

“Il paradosso dell’amore è che ti rende schiavo di una persona e così facendo ti libera da altre cose, ti libera fino a farti arrivare all’indifferenza, che sempre più mi appare come l’autentica libertà.”

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Grossman, Yehoshua
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gracy Opinione inserita da gracy    08 Settembre, 2013
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Confessione di un uomo senza ombra …signor giudice

“Come potevo spiegarle che si può essere felici e soffrire? Eppure queste due parole vanno naturalmente in coppia, e io non avevo mai sofferto veramente prima che Martine mi rivelasse la felicità.”

Affilato come una lama, impressionante come un tuono a ciel sereno, Simenon anche questa volta tira fuori tutto il nero che si cela nell’anima di chi vive la vita in bilico tra la ricerca della felicità contemplando la propria esistenza nel baratro dell’inesistenza e del vuoto.
Lettura serrata, sofferta e accorata come solo Simenon sa creare.
Ritorna sempre il fantasma delle donne che incarnano responsabilità profonde nella vita degli uomini che vivono l’amore come sofferenza, sottoforma di repulsione dei valori e del rispetto, come una sfida da combattere, come avversione da sopprimere.

Charles Alavoine, medico apparentemente tranquillo, è un uomo che scrive una lettera al giudice che ha curato il suo processo e lo fa sottoforma di una confessione intima, molto profonda e molto sentita, proiettando tra le pagine i suoi veri sentimenti, quelli della sua vera anima e della sua vera deviazione che lo hanno portato a commettere un reato per un amore insano. Quella folle malattia che è la gelosia mista a un’ignota forza incontrollata, senza raziocinio, senza scampo solo perché ha avuto sete, per la prima volta Charles aveva avuto sete di una vita diversa, una vita che per qualche ora gli aveva concesso la sensazione di infinito. Tradire con accanimento per ritrovare ad ogni costo la sua ombra, mirare in alto e aspirare a un amore proibito, inspiegabilmente radicato, fino a quando compare la piccola e gracile Martine…
Martine… così giovane, così instabile e volitiva, così normale e così importante per quell’uomo che si impossessa della sua anima e dei suoi respiri, così legata e completamente perduta nell’ombra di quell’uomo che vive nell’ombra della Martine che doveva sopravvivere per amore…solo per amore.
Una storia amara, assurda, senza scampo che porterà Charles a esaminare dettagliatamente i suoi gesti, le sue scelte e la vera disperazione senza nessun appello, ma bisogna leggerlo per poter capire questa terribile lettera.

Simenon …..il tormento dei tuoi personaggi è il tuo tormento ed è sempre un’esperienza che difficilmente si dimentica.

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gracy Opinione inserita da gracy    06 Settembre, 2013
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Pillole...

“Il tempo non c’entra. Qualche minuto o qualche secolo non fa differenza. L’attesa finisce sempre per essere ripagata”

Aprire un libro e cominciare a leggere è l’inizio della vita delle parole e rigo dopo rigo, pagina dopo pagina si concretizza il significato del messaggio e bisogna leggerne tante una dietro l’altra per capire, per dare un equilibrio alla narrazione e per giudicare a nostro piacimento la gradevolezza e lo stupore o meno di quello che abbiamo letto e affibbiargli il peso del contenuto di quanto appreso e quanto percepito.

Maxime è il Caronte della situazione quando si tratta di contenuti e di parole, riesce a far traghettare con lentezza e precisione il lettore nelle acque più turbolente e non lo molla mai in balia delle onde, lo tiene per mano e non lo fa affondare. Maxime si trasforma in un insolito pifferaio magico, ti ammalia e ti tiene col fiato sospeso nell’arco di tempo di una lettura veloce ed efficace.
Non è la quantità delle pagine che conta.

Il violino nero si insinua lentamente con la sua voce, inizialmente con una nota bassa, poi due note e poi in completa armonia ti trascina in un turbine di suoni e colori che a “lettura-musica” finita ti rimane dentro a lungo, con morbidezza ti fa “ascoltare” e ti fa “sentire” assieme. Una volta chiuso il libro non si producono suoni, ma dentro l’anima continua ad orchestrare un pentagramma infinito di note, continua a vivere, continua a suonare il violino con la voce di una donna e col corpo di una donna. Johannes ha la musica dentro, ha fatto la guerra, ha fatto il musicista e il compositore, ha l’ardore della passione che brucia e lo tiene in vita fino a quando non concretizza l’essenza della sua esistenza, come in passato lo era stato per il maestro liutaio Erasmus,che come lui non smise mai di sognare.

“La cosa bella dei sogni è che non hanno limiti: ti danno ogni sorta di potere.”

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gracy Opinione inserita da gracy    03 Settembre, 2013
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E le tasche piene di sassi…

24 sono le ore, 12 scure e 12 chiare…e così gira il mondo in balia delle giornate che si interscambiano tra di loro gli umori e le situazioni, un giorno si piange e un altro si ride.

“C’è solo questo come consolazione: un’ora qui o lì, quando le nostre vite sembrano, contro ogni probabilità e aspettativa, aprirsi completamente e darci tutto quello che abbiamo immaginato, anche se tutti tranne i bambini (e forse anche loro) sanno che queste ore saranno inevitabilmente seguite da altre molto più cupe e difficili. E comunque amiamo la città, il mattino; più di ogni altra cosa speriamo di averne ancora.”

3 sono le donne protagoniste che si alternano nei capitoli:
1. è Clarissa, editrice del 2000
2. è Laura, una semplice casalinga degli anni 50.
3. è Virginia Wolf, scrittrice inglese nata nel 1882.

3 donne diverse, 3 donne narranti che non si sono mai incontrate nella loro quotidianità, ma Cunningham le rende unite e complici, sovrapponendo le loro fragilità e le loro oppressioni nel tempo, con lo scorrere delle ore.
Chi le tiene legate è la celebre signora creata dalla Woolf, Mrs Dalloway. Le 3 donne vivono la loro vita con passo felpato, quasi impercettibile, l’unico filo conduttore che le tiene unite è la tristezza intrisa di dolore incontrastato.
Ho avvertito troppo pathos e una lentezza infinita, pur essendo un libro di poche pagine.
La comunicazione dei sentimenti che ho avvertito è un po’ troppo forzata a far emergere i lati negativi delle persone e dei rapporti interpersonali compresa l’omosessualità che è inserita come una forzatura necessaria a dare un senso. La cosa più sensata e misurata è la scrittura, ostica e frammentaria che meglio rispecchia l’anima tribolata di un autore che vive con disperazione le sue ore, facendo rivivere con profonda angoscia le ultime ore della famosa Virginia Woolf.
Mi secca dirlo, a dispetto delle numerose lodi di giubilo che circolano sul libro, ma il Pulitzer Prize del 1999 l’ho finito con l’amaro in bocca, sarà stata anche la complicità della Woolf , infatti non ho mai completato la sua “Gita al faro.”

“Uno stormo di passeri fuori dalla finestra una volta ha cantato, senza ombra di dubbio, in greco.”

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Virginia Woolf
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Letteratura rosa
 
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gracy Opinione inserita da gracy    30 Agosto, 2013
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La prima e l’ultima Nic…

Si, devo purtroppo ammettere che mi sono imbattuta in una lettura davvero imbarazzante, mi piace sperimentare nuovi generi e scoprire nuovi autori, ma sin dalle prime pagine di questo libro mi sono sentita soffocare dall’insignificante trama e dell' inconsistenza dei dialoghi, premesso che è un libro intriso di sentimenti veri, di amore e la sacralità della famiglia è il tema ricorrente, ma non si possono sopportare 300 pagine di additivo edulcorante perfetto per una crisi diabetica, davvero insulso nella sostanza , lento e comatoso nell’insieme, alla fine non ha lasciato nulla, parole scritte al vento.
La storia è concentrata sui coniugi cinquantenni Jane e Wilson, che sembrano impersonare i celebri Barbie e Ken, tutti sappiamo che sono la coppia che non scoppia e allora che motivo c’era creare un soporifero concentrato di smancerie che non porta da nessuna parte?
La crisi di una coppia che ha come motivazione la dimenticanza di lui dell’anniversario di matrimonio, manco fosse il primo dei ventisei trascorsi amorevolmente assieme, ma intanto diventa fondamentale e si crea una mistura di ricordi e di romanticismo asettico e poi il nulla.
Non è una storia d’amore di quelle indimenticabili e non ha contribuito a lasciare tracce una volta chiuso il libro per nessuna caratteristica.
Nicholas esperimento fallito, pazienza.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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gracy Opinione inserita da gracy    28 Agosto, 2013
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Romanzo su un crimine

La coppia di coniugi Sjöwall Maj e Wahlöö Per cominciò a scrivere gialli ambientati nei paesi scandinavi a partire dagli anni 60, prima ancora di Mankell, prima di Nesbo, prima della coppia Roslund Anders- Hellström Börge, prima di Larsson e prima di qualsiasi altro scrittore del nord che catalizza le librerie con un giallo preconfezionato all’ultimo grido. Sjöwall Maj e Wahlöö Per c’erano prima e sono stati i veri fautori di un genere poliziesco elegante e interessante, che risente tanto dell’essenza degli anni 60 e della cornice geografica molto pittoresca e ammaliante del nord Europa. E’ un’altra epoca, ma i loro libri vivono di luce propria come allora.

La caratteristica di questi gialli è proprio il tempo in cui si inseriscono le vicende, gli anni 60 sono gli anni in cui si sedimenta il dopoguerra ed è costituito da personaggi nati anagraficamente negli anni 30. La cosa che colpisce è chiaramente il metodo investigativo e l’attenzione nei dettagli, quello legato alle indagini con pedinamenti stile "backtiling" all’americana, scambi di passaporti, barbe e baffi, occhi azzurri e capelli rossicci ovunque, donne statuarie e procaci un po’ vittime e un po’ di facili costumi, una foto, il dettaglio di una valigia, la marca di una macchina da scrivere, mentre i poliziotti aspettavano nei loro uffici di Stoccolma le telefonate per i riscontri agli orari prestabiliti, praticamente ambienti che non inducevano a ragionamenti di ampio respiro. Niente cellulari, niente DNA.
La dicitura “romanzo su un crimine” cambiava le precedenti etichette di genere del romanzo poliziesco e del romanzo giallo.
Saltano all’occhio anche le abitudini di questi paesi, il fumo era permesso ovunque aerei compresi, negli alberghi ungheresi mancava la carta igienica, il Nord Europa è stato sempre al top nel consumo di alcool, tra Tuborg e grog a fiumi.

“L’uomo andò in fumo”, è l’indagine sulla scomparsa di un uomo, un giornalista assente da dieci giorni, pochi indizi tra l’altro distribuiti in vari paesi come Bulgaria, Romania, Austria, Germania e tanto intuito e meditazione per l’ispettore Martin Beck. Questa è la sua seconda indagine, che ho trovato molto ben strutturata come è stato per il primo della serie: Roseanne.
Scritto con classe e perfezione questo giallo è una chicca che non deve mancare nelle librerie di chi ama il genere.

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Gialli e chi si vuole accostare al giallo "vintage"
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gracy Opinione inserita da gracy    26 Agosto, 2013
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Esoterismo in chiave romance

New York è la protagonista essenziale della storia.
Una New York in crescita, una New York che accoglie tutto il mondo, dove c’è posto per tutti, dove si inventano le identità e c’è sempre un angolo a disposizione per sognare la gloria.
Una città fantastica quasi surreale, la città americana per eccellenza, New York è la vera America.
Anni 20, da un lato il conflitto mondiale e il proibizionismo che incombe e dal’altro tante religioni che professano un credo assoluto e imperante, tante comunità, troppe persone diverse, ognuno con le sue abitudini e attitudini a contribuire alla crescita di un paese.

Dopo le storie dei vampiri, che hanno catalizzato la letteratura mondiale negli ultimi anni, Libba Bray ci prova con l’esoterismo e il genere thriller spicciolo. La fluidità del linguaggio è di una semplicità disarmante, un insulso malloppone di quasi 600 pagine che da al lettore la sensazione di un lavoro ricco di approfondimenti che sarebbero stati gestiti meglio se ad articolare la storia l’autrice avesse utilizzato un linguaggio e uno stile più serio e meno romanzato.
Lo so, l’intendo dell’autrice era evidentemente quello di creare pathos e leggerezza assieme, un po’ “Ombra del vento” di Zafon e un po’ “L’allieva” della Gazzola nostrana. Questa è stata la mia percezione. Mi ha innervosito la protagonista Evie, un’adolescente così perfetta, così insolente e così poco anni 20, togliendole il caschetto alla maschietta che andava di moda in quegli anni, una insolita divinatrice che ha strumentalizzato tutto il romanzo con la sua sfacciataggine e l’astuzia di un’adulta. Maghi, stregoni, divinatori, la bestia dell’Apocalisse, tante croci, tante confraternite, insomma un calderone di cose strappate al mondo dell’occulto, passando per il Ku Klux Klan, l’Atto di esclusione dei Cinesi, la Pillar of Fire Church e ...tanta roba.

Non salvo nulla, non ho gradito e poi quel finale aperto e affrettato è stata la ciliegina sulla torta, si c’è il sequel, è il primo libro di una tetralogia, che non leggerò ovviamente.
Ah dimenticavo…salvo la copertina, molto bella, così retrò e accattivante che mi ha ammaliata, ma non nella sostanza, insomma non sono caduta nella rete del diavolo!

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Romance, vampiri, a chi piace il genere
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Fantascienza
 
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gracy Opinione inserita da gracy    21 Agosto, 2013
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Confessioni di un genio…

Sipario:
Un fratello, una sorella, un cognato, una coppia di giovani sposi sono i protagonisti che si muovono e dialogano un pò come maschere che si articolano e si comportano in seno alle proprie necessità e anche quando non conoscono le motivazioni di base che li spingono a prendere certe decisioni e assumere determinati comportamenti nascono situazioni e dialoghi manipolatori di insana emotività.

Pensate che tutto nasce dalla lite tra marito e moglie, dopo che Fay chiede a Charlie di comprare dei tampax, lui esegue con malcontento e da questo episodio che ingenuamente si scatena una crisi di coppia senza precedenti.

Pura follia? No…genialità!

Standing ovation per uno degli scrittori più straordinari del panorama letterario del dopoguerra. Il Philip K. Dick di Blade Runner, il Philip Dick di Ubik degli Ufo e della fantafiction più elegante ed esilarante mai raccontata si imbatte con questo “quasi” memoriale di eccelsa creatività, niente di più originale e reale introspezione di vita terrena genuina e pura. E’ il primo romanzo non di fantascienza, si tratta di un romanzo “mainstream” scritto nel 1959 da un Dick già affermato scrittore di fantascienza di successo. Siamo negli anni 50 e l’interesse per altri mondi e vite ultraterrene sono argomenti che interessano e mietono successi e allora tutti con gli occhi rivolti verso il cielo in cerca di una navicella o un disco volante.

“E’ più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago che per uno scrittore di fantascienza essere accettato come autore serio quando non scrive fantascienza” (cit. Paul Williams)

Stati d’animo e vite vissute messe al setaccio, spremute e fatte a pezzi, dove ogni minimo dettaglio umoristico della spaventosa vanità delle menti viene esposto impietosamente attraverso il talento di un Philip K. Dick visionario che si materializza attraverso tre elementi essenziali: il senso dell’orrore, il senso dell’umorismo e la capacità nel creare personaggi credibili e sensibili. La dolorosa consapevolezza che il mondo attorno a noi è crudele e pazzo fa si che l’umorismo faccia terra bruciata e non stempera l’orrore tra gli uomini, che a furia di torturarsi tra loro non riescono a fare mai quello che sarebbe meglio tanto per se stessi quanto per coloro che li circondano.

Ma chi è l’artista in questione? Fuorviante il titolo, ma sicuramente lungimirante nella sua essenza. L’artista di merda è un “idiota”, lontano dalla concezione di Dolstoevskij, è un povero illuso dotato dell’idiozia molto vicina alla nostra normalità da spaventarci. L’artista è Jack Isidore, l’alter ego di Philipe K. Dick, uno schizzoide privo di buon senso, che con la mente viaggia nello spazio e ha stabilito nel suo deliro il giorno della fine del mondo, un uomo che vive di fantasie, un uomo ai margini, che comunque alla fine si dimostra realistico compatibilmente genuino se rapportato alla sua coscienza, perché riuscirà a sopravvivere e adattarsi appena si renderà conto di aver sbagliato che il mondo non finirà i suoi giorni e tuttavia la morte rimane un sintomo dell’anarchia e dell’annientamento dei sentimenti.

Non siamo di fronte a paccottiglia scritta a caso, dopo quasi un secolo nei rapporti interpersonali non è cambiato nulla: l’inezia della quotidianità, l’incomunicabilità, le violenze a più livelli.
Mettetevi nei “vostri”panni e cominciate a meditare seriamente quello che pensate senza pregiudizi e senza condizionamenti….cominciate a vedere contraddizioni? Ecco questo è l’artista….

“Del resto non è questo lo schema classico di rapporto uomo-donna? La donna prevale, con l’astuzia, senza che l’uomo se ne accorga.”

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tutto e niente :))
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gracy Opinione inserita da gracy    19 Agosto, 2013
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Sentimenti ed emozioni in salsa vintage

“Non siamo mai stati i tipi che viaggiano per espandere la mente. Abbiamo viaggiato per divertimento.”

Ella e John sono sposati da quasi sessantanni, hanno vissuto una vita tranquilla senza tanti slanci, hanno avuto due figli e a sua volta dei nipoti, hanno raggiunto una certa età anagrafica e inevitabilmente anche gli acciacchi con un certo grado di gravità invalidante, Ella ha un tumore e John ha un principio di demenza. Ella fa un resoconto della loro vita di coppia e le affiorano i ricordi delle volontà del marito di non finire i suoi giorni in un ospizio e sopratutto emerge la personale consapevolezza di essere sulla terra senza un motivo particolare se non di volere stare nella sua casa assieme ai suoi cari fino alla fine dei suoi giorni.
Ella è la voce narrante ed è lei che sfida le restrizioni e i divieti dei figli e dei medici che sconsigliano il viaggio che vogliono intraprendere, da Detroit, nel Michigan, dove Ella e John sono sempre vissuti, attraverso l’Indiana, l’Illinois, il Missouri, il Kansas, l’Oklahoma, il Texas, il New Mexico e l’Arizona per terminare ad Anaheim, in California, precisamente la tappa finale è Disneyland a bordo del loro vecchio Leisure Seeker. I nomi degli Stati sono anche i titoli dei dieci capitoli che finiscono quando ormai si arriva al capolinea dopo tante avventure e disavventure con un finale a sorpresa.

Percorrere la Route 66 per i due stravaganti vecchietti diventa un itinerante viaggio fatto di ricordi che si ripercorrono attraverso vecchie diapositive che proiettano la sera durante le loro soste, mangiando cibi unti e bevendo cocktail e birre, coinvolgendo o schivando altri viaggiatori, ladri, curiosi, poliziotti, sottolineando la bellezza dei tramonti, la desolazione del deserto e dei monti, i dettagli dei panorami e delle persone.
Una sfida contro la vecchiaia, contro la malattia, un viaggio contromano a tratti divertente e buffo, realistico, lento, profondo e romantico. Non esistono momenti perfetti, una sfida che Ella elabora con coraggio, come mezzo per riscattare la libertà dalla alienante vecchiaia e malattia contro ogni angoscia e paura.

“Solo se smetti di pensarci, se ti dimentichi di guardare, il tramonto arriva.”

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Gialli, Thriller, Horror
 
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gracy Opinione inserita da gracy    12 Agosto, 2013
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Storia di ordinaria follia

Dire follia è come dire pazzia, tutto è follia quando non è omologato nei canoni prettamente riconosciuti come elementi raziocinanti dal pensiero dell’uomo, tutto è pazzia se non rientra nel contesto ordinato delle cose…è folle chi non si da un contegno.
La storia si svolge in un manicomio criminale inglese nel 1959. Il perfetto follow up della malattia mentale è stato assolto dr McGrath! Clinicamente ci siamo.

Follia è un romanzo ben congegnato,ben strutturato e ben definito. La malattia mentale è descritta in maniera impeccabile, il comportamento deviato dei protagonisti non fa una piega sul decorso degli eventi fino al prevedibile epilogo finale.

McGrath è uno scrittore che mastica psichiatria come Dan Brown decodifica e smanetta numeri e segni ed è chiaro che l’esperienza nelle conoscenze e la geniale attitudine a forgiare argomenti “particolari” porta alle creazione di opere che a primo impatto sembrano perfetti vademecum per dare motivazioni scientificamente corretti a determinati accadimenti e alla loro evoluzione.

“La psichiatria attrae chi ha il terrore di diventare pazzo.”

Avrei molte cose da dire su quello che non mi ha convinto sul caso clinico, ma farei molti spoiler….
Del libro salvo l’amore romanzato, che stuzzica e infastidisce, che fagocita il lettore nell’abisso dell’amore folle, questo è il caso di dire “impazzire” d’amore.

"Già, l'amore" dissi. "Parliamo di questo sentimento che non riuscivi a dominare. Come lo descriveresti?". Qui Stella fece un'altra pausa. Poi, con voce stanca, riprese: "Se non lo sai non posso spiegartelo".
"Allora non si può definire? Non se ne può parlare? E' una cosa che nasce, che non si può ignorare, che distrugge la vita delle persone. Ma non possiamo dire nient'altro. Esiste, e basta"

Edgar non è di certo l’unico deviato di questa storia, Stella si ammala sotto gli occhi di tutti divenendo un istrione senza sfinteri mentali, Max uno psichiatra sempliciotto e ingenuo e Peter Cleeve voce narrante e psichiatra che assiste quasi con occhio impersonale, asettico e voyeuristico tutta la tresca dall’inizio concedendosi a cedimenti e decisioni quasi frettolosi che avrebbero stupito di più se avesse scavato e messo a nudo il vero animo di tutti i personaggi compreso il suo.

“E in ogni caso io sono un medico, non ho nulla da rimproverare a chi si ammala. E come potrei rimproverare a te di esserti innamorata?”

Anche questo è amore!
L’amore morboso, l’amore molesto, l’amore sessualmente compulsivo, l’amore che non conosce ragione e vince su tutto, velando e annullando l’amore di una madre verso un figlio…infatti stiamo parlando di pura follia, circoscritta in un manicomio criminale poco lontano da Londra.

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A caldo consiglio...
-Pozzoromolo
-Esercizi sulla madre
di Luigi Romolo Carrino
-I cariolanti di Sacha Naspini
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Romanzi
 
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gracy Opinione inserita da gracy    05 Agosto, 2013
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“Non si dice che le persone che amano il verde...

...sono concrete?"

“Appena prese l’osso dalle mani della bimba, che era seduta per terra e lo masticava, si accorse che era umano”.

Questo è l’inizio del primo capitolo, che da l’idea di una storia che nasce da pochi indizi per trovare a chi appartiene uno scheletro rinvenuto in un terreno vicino Reykjavík. Le ricerche del commissario Erlendur sono approfondite e abbracciano eventi e famiglie che sono vissute in quel posto nel giro di quasi un secolo a partire dal 1910, quando una lontana cometa di Halley rappresentava per i contadini come una sorta di fuoco distruttore a tal punto che valeva la pena concedersi ai piaceri della carne, tanto la fine del mondo era alle porte. Una brutta storia che porta dietro i segni di sofferte fanciulleze e di uomini cresciuti con l’odio dentro, alimentato dalla perdita del buon senso e della bontà, proprio come gli orchi dei fratelli Grimm si insediava e attecchiva la fine dei sentimenti, dell’amore e del rispetto.

Il filo conduttore è davvero ben costruito, si intrecciano le storie del passato con il presente attraverso flashback inquietanti e scalpitanti. Tutte le storie hanno come tema dominante le violenze domestiche perpetrate contro le donne, come una forma di prosieguo naturale di chi ha vissuto una vita fatta di violenza a sua volta, come se la violenza e l’abbrutimento rappresentano le uniche conoscenze di sentimento necessarie per poter vivere e amare gli altri.

Davvero una tematica scottante e sconcertante .

Con Arnaldur anche l’Islanda ha il suo scrittore che spicca per i gialli costruiti con scenari legati a questa nazione che sa tanto di gelido mare, di rovi ricchi di ribes ottimi per marmellate superbe e di brughiere sconfinate al vento. Ma soprattutto perché il giallo si tinge di tinte psicologhe di un certo spessore.
“La signora in verde” rappresenta il secondo episodio della numerosa serie dedicata al commissario cupo e depresso Erlendur Sveinnson.

“Alla fine ti vergogni di essere la vittima di un uomo così; sparisci, ti chiudi in una solitudine totale e impedisci a chiunque di entrare nel tuo mondo, anche ai tuoi figli, perché non vuoi che nessuno si avvicini, meno che mai loro. E rimani lì ad aspettare la violenza successiva, che arriva all’improvviso; lui è pieno di odio per qualcosa che non capisci nemmeno cosa sia, e tutta la vita è solo un’infinità attesa prima di un nuovo maltrattamento. Quando arriverà? Quanto farà male? Cosa l’avrà scatenato? Come poterlo evitare? Più cerco di compiacerlo più lui mi disprezza. Più mostro sottomissione e paura, più lui accumula odio nei miei confronti. E se mi ribello non faccio mai la cosa giusta. Mai.”

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Gialli psicologici
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gracy Opinione inserita da gracy    31 Luglio, 2013
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E' una storia d'amore...

Credo che nella vita è noto che esistono malattie davvero brutte, ma ci sono quelle che sono davvero agghiaccianti, una malattia cronica congenita da l’idea al malato di non aver mai conosciuto il benessere di stato sano, viceversa un uomo sano che si ritrova malato cronico irreversibile è uno stato che mette l’individuo al confine di due vite parallele.

“Io prima di te” è essenzialmente una storia d’amore.

Una storia d’amore sdolcinata, una storia d'amore sofferta,una storia d’amore insolita, ua storia d'amore cinica e una storia d’amore atroce come lo è la tetraplegia C5/6.

Chiudo gli occhi e immagino Will Traynor prima dell’incidente che incontra Louisa Clarke e penso che mai e poi mai si sarebbe innamorato di una ragazza dei sobborghi così insignificante e così comune.
Riapro gli occhi e mi chiedo “sto leggendo una strazio di storia edulcorata per donne, una storia da snobbare caspita!”
Li richiudo e mi viene in mente “Ci sono ore normali, e poi ci sono ore invalide, durante le quali si ferma e scivola via, in cui la vita-la vita reale- sembra scorrere su un binario parallelo.”

Che la lettura abbia inizio e ovunque mi porterà so che soffrirò…

“La cosa curiosa dell’essere catapultati in una vita completamente nuova, o almeno sospinti così forte contro quella di qualcun altro da ritrovarti con il viso schiacciato contro la sua finestra, è che sei costretto a rivedere l’idea di te stesso. O di come potresti apparire agli occhi degli altri.”

Ecco è questa la storia quotidiana di questo libro che si svolge inseguendo una vita parallela, una vita tra l’incudine e il martello, tra una data di scadenza tatuata a fuoco e centodiciassette giorni per convincere Will Traynor che aveva una ragione per vivere.
Lo spettro della Dignitas che sovrasta con la sua discutibile capacità di prendersi la vita e restituirne le ceneri, mette solo tanta tristezza e tanta inquietudine da obnubilare di continuo la mente del lettore con questo pensiero. E’ davvero spiazzante e a niente vale l’ironia e la semplicità di Louisa con le sue battute, le sue scarpe stravaganti i suoi vestitini vintage.

“ Mi sforzai di non pensare a niente. Cercavo soltanto di esserci, cercavo di assorbire l’uomo che amavo per osmosi, cercavo di imprimere su me stessa quello che mi rimaneva di lui.”
...Oh Luoise che strazio, che ingiustizia, tu che avevi accolto questo lavoro senza abilità professionali e dove contava soltanto il tuo atteggiamento mentale.

Finalmente si arriva alla fine, grondante di lacrime assieme a Louise, la piccola Busy bee, l’apina operosa, a mangiare un croissant davanti a un caffè in un bar di Rue des Francs Bourgeois con l’occhio rivolto a una storica profumeria.

Mi sono posta tanti interrogativi.

“Si può aiutare veramente solo chi vuole essere aiutato.”

…siamo sicuri di questa cosa?

Accidenti!!

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Gialli, Thriller, Horror
 
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gracy Opinione inserita da gracy    29 Luglio, 2013
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Alla larga dalle ombre

…E voi ci credete che in questo mese con Caronte che impazza almeno nel sud Italia ci sia davvero così tanto freddo?

Il freddo subentra e pure forte fino alle ossa solo se leggerete “Freddo a luglio” di Joe Lansdale.
Scritto nel 1989 è uno di quei thriller un po’ western: con tanto di sparatorie, ferimenti, zampilli di sangue e calotte che si spappolano indossando stivali, cappello bianco e jeans sgualciti alla Roy Rogers; un po’ noir: uno sfondo psicologico molto combattuto tra i tre protagonisti quasi poco credibili, che però sotto l’effetto “Lansdale’s pulp” diventa una lettura che non abbassa mai il buon livello.
E’ una di quelle storie che sono raccontate bene e non si discute sull’azione incalzante e appassionante.
Quello che discuto è la storia, troppo pulp, troppo imponente, troppo dolorosa.
L’inizio è un classico Lansdale ambientato nel Texas, un omicidio per legittima difesa per opera di un brav’uomo che ama la sua famiglia, il caso per la Polizia è risolto, ma per Richard Dane invece è l’inizio della ricerca della verità, è l’inizio di un surriscaldato mese di luglio, entrano in ballo altri due personaggi che padroneggiano con il classico linguaggio che ti ruba una risata, ma pian piano come il freddo a luglio ti paralizza, ti spiazza. Sottilmente mi ha ricordato quel TG1 delle 20, di un lontano ottobre di diversi anni fa che trasmetteva le scene esplicite di pedopornografia e che è valso il licenziamento di Gad Lerner dalla Rai, io stavo vedendo quel TG e leggere questo Lansdale troppo semplice e sbrigativo mi ha un po’ ricordato lo sdegno di quella sera.

Eppure arrivata alla fine come sempre apprezzi Lansdale, per la sua schiettezza, per la sua semplicità, per il suo stile e per la capacità di far emergere spunti di riflessione, laddove in un primo momento pensi ci sia superficialità ti ritrovi una voragine profonda che ti mette di fronte a una scelta contraddittoria, quella di simpatizzare per un assassino e riconoscere l’antitesi di un autentico esempio di assenza di paternità e di troppo attaccamento alla paternità e quello sfondo di snuff movie che sovrasta e non finisce di girare e di stordirti fino alla nausea, insomma è una di quelle storie che un padre non racconterebbe mai a un figlio.

“La morte vista dal vero non somigliava affatto a come ci appare in televisione. Era sporca, puzzava e ti si appiccicava addosso come una brutta malattia”

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Tutti gli altri Lansdale, lo sconsiglio come primo approccio a questo autore che ha scritto di meglio
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gracy Opinione inserita da gracy    16 Luglio, 2013
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Un libro geniale!

La vita vissuta all’insegna dei sentimenti, la vita amata all’insegna dei sani contenuti, la realtà condensata di molteplici eventi, la quotidianità assaporata nelle piccole cose…questo è “L’amica geniale” e molto altro ancora.

Al centro di tutto ciò c’è Elena Ferrante: scrittrice geniale… sul podio delle scrittrici più brave del nostro panorama letterario. Ma di fatto non sappiamo nulla su chi sia Elena Ferrante in realtà, magari è un uomo, ma non lo sapremo mai.

Tempo fa il premio Pulitzer Elisabeth Strout aveva dichiarato che Elena Ferrante è una delle scrittrici contemporanee che ama di più. In effetti hanno qualcosa in comune queste due donne meravigliose, a parte la bravura stratosferica delle scrittrici con la esse maiuscola, hanno in comune la capacità geniale e disarmante nel modo di raccontare le storie degli uomini e sopratutto delle donne. Elisabeth brava a raccontare le storie del Maine ed Elena brava a raccontare le storie di Napoli.

“Napoli era così da sempre: si taglia, si spacca e poi si rifà, e i soldi corrono e si crea fatica.”

“L’amica geniale” è un punto di partenza sull’amicizia tra due bambine, che manterranno vivo il sentimento fino all’età matura, malgrado i contrasti e le contraddizioni che incontrano durante la crescita.
Lila e Lenù, sono nate e cresciute in un quartiere di Napoli negli anni cinquanta, un rione dove pullula un cuore che batte, ricco di famiglie numerose e di ragazzi intraprendenti che fanno a pugni con la povertà e gli stenti.
Morti improvvise, amori che sbocciano, la prima televisione, una macchina sportiva, un gelato nel centro di Napoli, un costume da bagno fatto in casa, un libro unto usurato e sbrindellato, la fabbricazione di una scarpa, frequentare il liceo, il matrimonio con un buon partito o acquistare una casa sono al centro dell’universo, sono le mete ambite o semplicemente assurde chimere.
Di fatto la lettura è quasi ipnotica, ti incanta, ti tiene incollata e non ti molla fino alla parola fine. Ma questo è solo l’inizio perché la seconda parte continua con “Storie di un nuovo cognome.”

“Se non c’è amore, non solo inaridisce la vita delle persone, ma anche quelle delle città.”

Ma la storia di Lenù e Lila va assolutamente letta per capirla a fondo e per comprendere quanto dentro ci sia una parte di ognuno di noi. Siamo state tutte un po’ Lenù e un po’ Lila nella vita…e senza accorgercene continuiamo ad essere un po’ l’una e un po’ l’altra.

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"Piccole donne" e chi ha voglia di leggere qualcosa di speciale..anzi GENIALE
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gracy Opinione inserita da gracy    07 Luglio, 2013
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… ancora whisky per favore!

“ -E’un abitudine da prendere.
-Quale abitudine?.
-Quella di amare o di non amare….”

Betty…

Oh Betty! Ma cosa ti frullava in quella testolina così gracile, così minuta e così peccaminosa, quanta testardaggine e raccapriccianti desideri di voler a tutti i costi appartenere a un uomo indefinito, incerto e ignoto, perché all’infuori di un uomo, non c’era più niente al mondo.
Un uomo di passaggio, un uomo di poche pretese, un uomo incapace di amarti, un uomo qualsiasi come un’incertezza piacevole, rilassante, quasi gioiosa…in quel bar di rue Ponthieu, come in una qualsiasi bettola o camera squallida da 2 soldi. Tutto questo solo per punirti, per “sporcarti”, per sublimare e per mentire come per respirare. Tanto alcool dove affondare i pensieri e i disagi della tua vita vuota per meglio collimare la noia, la catastrofe e il dolore.
Guy e la sua certezza di uomo innamorato, ricco, le sue attenzioni, le sue delicatezze, non ti bastavano e a nulla valeva il prestigio di un visone selvatico o l’amore di due tenere creature da crescere e accudire, era meglio la trasandatezza di una calza smagliata o un vestito costoso sgualcito o il fondo di un bicchiere e poi di un altro ancora.
Betty…un po’ vittima e un po’ carnefice.

“Essere donna, insomma , voleva dire subire, voleva dire essere vittima, e la cosa mi appariva un po’ patetica.”

Simenon…

Ha creato un personaggio tanto scuro quanto disperato, ha dato voce all’anima ribelle e disadattata di una ventiseienne in cerca dell’amore e contemporaneamente all’opposto dell’amore puro e incondizionato, il lacerante disagio di una punizione continua, iniziata da bambina e mai cessata.
Fare il male agli altri come a se stessa. Scavare nella psiche di Betty è stato come mettere a nudo il lato nascosto di alcune donne, quelle che dietro certe apparenze nascondono il degrado dell’anima, l’insoddisfazione dei sentimenti puri e la ricerca continua della propria identità. Simenon ci prova con Betty, un po’ prostituta e un po’ alcolizzata e ci riesce, smembrando la sua anima con empatica dedizione e consapevolezza di essere un bravo intenditore…di donne.

“Era strano udire le sillabe susseguirsi, concatenarsi, formare parole, frasi, un po’ come il filo di cotone che a poco a poco si trasforma in merletto o quello di lana che si trasforma in una calza.”

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gracy Opinione inserita da gracy    05 Luglio, 2013
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Il bisturi e il catgut...

Se siete al mare e avete voglia di leggere un bel thriller senza tante pretese, senza tanto mordente, senza tanto pathos, questo è perfetto. Almeno è quello che capita a me. Mi riservo di leggere i thriller in estate, sotto l’ombrellone sorseggiando una bibita ghiacciata, perchè non impegnano i pensieri e non perdi il filo delle scene sequenziali quando c’è un jukebox che ti distrae o una mamma che riprende in continuazione un bambino che gioca innocentemente tirando la sabbia ai passanti con la palettina.

Per carità non è roba leggera il caso che Jane Rizzoli della omicidi di Boston e il collega Thomas Moore hanno tra le mani, anzi è una gran patata bollente e sicuramente ben ingarbugliata, perché pochi indizi e diverse ragazze morte mutilate con perfezione chirurgica ti inducono a pensare che il colpevole deve essere legato a qualche sala operatoria, a qualche medico chirurgo appunto. Ma si sa i thriller ben studiati ti fanno credere una cosa e poi ti spiazzano con colpevoli improponibili. Al 20 % dell’ebook già sapevo chi potenzialmente poteva essere il colpevole…ho sbagliato, ma ci sono andata vicina.

Ho fatto un bel ripasso sulle CID e poi diciamola tutta come bloccano le emorragie interne in America non lo fa nessuno!

Le protagoniste che purtroppo appaiono nel libro come decedute o la dottoressa Catherine, che è l’unica sopravvissuta alle violenze, sono molto asettiche, statiche, non hanno una spiccata personalità che le mette in risalto e non hanno voce e carisma a sufficienza. Sono solo vittime e tutto è concentrato sulle mosse del killer seriale, come succede in tutti i thriller.
Catherine è sempre in pericolo e la sua presenza è sempre più eccitante per il predatore che ovviamente è un maschio che odia le donne e le mutila perché hanno determinati organi.
Il mostro si muove silenziosamente, a passo felpato, quasi neanche te ne accorgi fino alla parola fine. Il pensiero malato del killer si materializza solo per enfatizzare i sacrifici dei greci agli dei e i vichinghi che non sacrificavano vergini, ma prostitute.

Con questo libro si apre una serie che ha riscosso parecchio successo, consacrando Tess ad una collaudata popolarità, sicuramente ne leggerò qualche altro in futuro.
Ringrazio Sydbar per la piacevole scoperta.

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