Opinione scritta da MCF
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Vera poesia
Era il mio sogno che qualcuno leggesse la Divina Commedia al mio posto e me la spiegasse; quindi, ho comprato al volo questo libretto scritto in modo fluido e avvincente. Avevo studiato e letto l’opera a scuola senza entusiasmo e non ricordavo come fosse tutta in rima, né la musicalità e il significato delle scene che l’hanno resa immortale. Nei cerchi iniziali dell’inferno, ci sono coloro che hanno peccato senza cattiveria, come Paolo e Francesca, rei di un amore adulterino; c’è il grande maestro di Dante, che il poeta stima profondamente, reo di essere omosessuale, autore di vari scritti, tra cui uno simile alla Divina Commedia e che ha poi ispirato il suo allievo. Man mano che si scende nei gironi dell’inferno, i peccatori sono sempre più tormentati perché i loro peccati sono sempre più gravi e imperdonabili. Era il mio sogno che qualcuno leggesse la Divina Commedia al mio posto e me la spiegasse; quindi, ho comprato al volo questo libretto scritto in modo fluido e avvincente. Avevo studiato e letto l’opera a scuola senza entusiasmo e non ricordavo come fosse tutta in rima, né la musicalità e il significato delle scene che l’hanno resa immortale. Nei cerchi iniziali dell’inferno, ci sono coloro che hanno peccato senza cattiveria, come Paolo e Francesca, rei di un amore adulterino; c’è il grande maestro di Dante, che il poeta stima profondamente, reo di essere omosessuale, autore di vari scritti, tra cui uno simile alla Divina Commedia e che ha poi ispirato il suo allievo. Man mano che si scende nei gironi dell’inferno, i peccatori sono sempre più tormentati perché i loro peccati sono sempre più gravi e imperdonabili. Era il mio sogno che qualcuno leggesse la Divina Commedia al mio posto e me la spiegasse; quindi, ho comprato al volo questo libretto scritto in modo fluido e avvincente. Avevo studiato e letto l’opera a scuola senza entusiasmo e non ricordavo come fosse tutta in rima, né la musicalità e il significato delle scene che l’hanno resa immortale. Nei cerchi iniziali dell’inferno, ci sono coloro che hanno peccato senza cattiveria, come Paolo e Francesca, rei di un amore adulterino; c’è il grande maestro di Dante, che il poeta stima profondamente, reo di essere omosessuale, autore di vari scritti, tra cui uno simile alla Divina Commedia e che ha poi ispirato il suo allievo. Man mano che si scende nei gironi dell’inferno, i peccatori sono sempre più tormentati perché i loro peccati sono sempre più gravi e imperdonabili.
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Superficialità
Ho comprato questo libro perché mi piaceva la copertina; ebbene sì, superficialità pura. Mi ricorda molto Salinger perché è un diario in cui l'autrice racconta la sua vita, i suoi affetti e i suoi conflitti; ma la storia ti rimane dentro perché è dolorosa, profonda, traduce silenzi in parole, ma è più quello che viene taciuto che quello che viene raccontato. Lo stile è nitido, svelto, i personaggi tratteggiati con poche e vivide espressioni che ne mostrano il carattere, la consapevolezza della propria inadeguatezza in un mondo consumista, in cui la miseria è considerata un'imperdonabile colpa.
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Una storia affascinante
Sono entusiasta di questo libro che avevo in casa da anni e non mi attirava per niente, forse per la mole e un po’ per il timore che fosse noioso. Aggiungo che detesto le trilogie o comunque i testi con un seguito che si è costretti ad acquistare. Sono solitamente attirata dai romanzi brevi, forse perché anche i miei scritti lo sono; quelli lunghi sono talvolta gonfiati dall’autore per renderli più attraenti agli occhi del pubblico che pensa di trovarvi una trama particolarmente sfaccettata o profonde analisi e riflessioni.
Torniamo a questo libro, ambientato ad Amburgo intorno al 1920 e che narra la vita di quattro donne, i loro sogni, le loro difficoltà. Mi sono affezionata alle protagoniste, ognuna con il suo carattere e i suoi difetti, che riescono a portare avanti negli anni un'intensa amicizia; questo legame coinvolge anche le rispettive famiglie creando un'atmosfera serena, piena di affetto e solidarietà, un esempio per tutti. In due mesi ho letto la trilogia.
Mi ricorda "Piccole donne" di M. Alcott e "Signorinette" di W. Bontà perché ha uno stile semplice, fluido, piacevole; l’autrice sa come mantenere viva l’attenzione del lettore con piccoli e grandi colpi di scena.
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La passione è la chiave della felicità
Questo libro ha lo stesso meccanismo vincente di "Dare l'acqua ai fiori": abilmente narrato in prima persona alternando passato e presente, parte da un presupposto doloroso: l'incidente in cui due coppie hanno perso la vita. lasciando i figli piccoli ai nonni, devastati dalla tragedia.
La protagonista, Justine, decide di indagare sull'accaduto; riuscirà a riannodare pazientemente i fili di una matassa molto intricata che nasconde una verità diversa da quella che appare. L'autrice sembra non amare le nonne che dipinge sempre incapaci di stabilire un rapporto affettuoso con i propri famigliari. Ma in questo libro, la figura della nonna è controbilanciata da quella molto diversa di un'ospite della casa per anziani dove lavora Justine; essa rimane affascinata dalla sua storia al punto di annotarla su un quaderno.
I temi fondamentali sono sempre l’amore e la passione che invadono il testo e i personaggi, rendendoli straordinariamente vivi e vividi.
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Fragilità
È un libro di non facile lettura in cui l'autore si rivolge a Giacomo Leopardi esaltando l'energia con cui persegue la felicità terrena nonostante le sue vicissitudini.
Dal testo:
"Rapimento, improvvisa manifestazione della parte più autentica di noi, quel che sappiamo di essere a prescindere da tutto: risultati scolastici, successi lavorativi, giudizi altrui e l'esercito minaccioso di fatti che vorrebbero costringerci entro i confini della triste regione dei senza sogni... Tu (Giacomo) mi hai insegnato che il rapimento non è il lusso che possiamo concederci solo ogni tanto, ma la stella polare di una vita intera".
"Da subito avevi intuito che la vita va dal meno al più, bastava guardare il fiorire dei semi in primavera: il poeta sa che il futuro delle cose è celato già nella loro origine”. Sono d’accordo. Quanti hanno dovuto fare studi e lavori contrari alla loro natura perché le loro ispirazioni non garantivano la sopravvivenza.
“Sperare non è il vizio dell’ottimista, ma il vigoroso realismo del fragile seme che accetta il buio del sottosuolo per farsi bosco”. Bellissimo!!!
“Caro Giacomo, tu mi hai svelato il segreto per far fiorire un destino umano intuito nell’adolescenza. Solo la fedeltà al proprio rapimento rende la vita un’appassionante esplorazione delle possibilità e le trasforma in nutrimento, anche quando la realtà sembra sbarrarci la strada”.
Seguire la propria inclinazione rende felici perché quello che si fa con amore e passione dà sempre buoni risultati.
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Una saga famigliare
Sto leggendo “I leoni di Sicilia” di Stefania Auci che narra la storia della famiglia Florio, ambientata nell’Ottocento in Sicilia. L’autrice ha una capacità incredibile di dare vita ai personaggi al punto che mi sembra quasi di conoscerli, come se fossero dei vicini di casa.
Il libro inizia con un incendio nella casa dove vivono Paolo, sua moglie Giuseppina, il figlio Vincenzo e il fratello Ignazio. I due uomini sono molto diversi: il primo è determinato e introverso, il secondo pacato e affettuoso. Vivono a Bagnara, un piccolo paese calabrese, dove Paolo non vede alcun futuro per la famiglia; decide quindi che si trasferiranno nella prosperosa Palermo dove hanno un piccolo negozio di spezie. Giuseppina non perdonerà mai al marito questa scelta e rimpiangerà tutta la vita il suo paese di origine.
Quando Paolo muore, Ignazio prende in mano l’attività e continua a vivere con il nipote e la cognata. Lui e Giuseppina si sono sempre amati ma rispetteranno la distanza imposta dai loro ruoli famigliari.
Vincenzo erediterà dall’amatissimo zio l’attività; è un ragazzo intelligente e scaltro che riunisce in sé la determinazione del padre e il rancore della madre che riverserà sui palermitani che non dimenticano le sue origini e gliele rinfacciano di continuo.
Con Vincenzo l’attività diventerà floridissima. Intanto incontra l'anima gemella che è animata dalla sua stessa passione e determinazione; è una donna seria, Giulia, che sarà umiliata dall’uomo che ama accettando di essere solo la sua amante perché lui ambisce a una donna più giovane e soprattutto nobile per essere accettato dalla società palermitana. Solo dopo aver partorito un maschio riuscirà a farsi sposare dal padre dei suoi figli.
Una storia alla” Buddenbrook “di Thomas Mann perché ha lo stesso ritmo incalzante e la stessa abilità nel dipingere personaggi e ambienti, nel primo caso austeri e nel secondo vivaci e rumorosi, odorosi di salsedine. Amore, passione, odio si mescolano con affari e denaro.
“Cannella, pepe, cumino, anice, coriandolo, zafferano, sommacco, cassia… no, non servono solo per cucinare, le spezie. Sono farmaci, sono cosmetici, sono veleni, sono profumi e memorie di terre lontane che pochi hanno visto”. Così comincia l’avventura palermitana della famiglia, con un’atmosfera di sogno e magia. Ma subito c’immerge nella realtà commerciale: “Per raggiungere il bancone di una rivendita, una stecca di cannella o una radice di zenzero deve passare per decine di mani, viaggiare a dorso di mulo o di cammello su lunghe carovane, attraversare l’oceano, raggiungere i porti europei. Ovviamente i costi lievitano ad ogni passaggio”. Pag. 32.
“Luce trabocca dalle finestre, allaga le scale, raggiunge i soffitti e precipita sulla tavola imbandita. Incendia i vetri di Murano, si adagia sulla porcellana di Capodimonte. La casa sembra esplodere di luce. Giulia, in abito da sera, attende l’arrivo degli ospiti. L’occasione è importante: è la prima volta che lei organizza una cena: si festeggia la nascita della società di cui Vincenzo - > suo marito < è così strano da dire- è stato promotore. È vero, si tratta di una cena tra soci in affari, un momento di convivialità tutta maschile. Ma gli ospiti sono tra i più importanti uomini d’affari di Palermo e non solo: ci sono anche nobili, gente con un titolo lungo quanto un braccio. Non può permettersi di sbagliare. È la sua parte di responsabilità: adesso è una Florio”. Pag. 290.
“Donna Giulia, grazie per l’invito”. È un’occasione straordinaria, questa.”. Lanza di Trabia, principe colto e di vedute aperte, proprietario di una delle dimore più eleganti di Palermo, sembra valutare con una sola occhiata il prestigio del luogo dove si trova. Ma non potrebbe essere diversamente. Sua moglie è una Branciforte. Nobiltà antica, di quelle che hanno fondato la città. Giulia si sente addosso il suo sguardo, cerca un sorriso da darle, qualcosa che ammorbidisca la severità del giudizio. Stefania Branciforte è una matrona vestita con un abito color amaranto. È avanti negli anni, e indossa gioielli antichi, che probabilmente appartengono alla sua famiglia da generazioni. Si guarda intorno come se avesse timore di sfiorare le pareti o i mobili, e a nulla valgono le occhiate di rimprovero che le lancia il marito”. Pag. 296.
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Nobiltà e ricchezza, due mondi a confronto.
Un grande romanzo ambientato nel periodo di transizione dal vecchio regime al nuovo che vede l’Italia unita grazie a Garibaldi; è imperniato sulla figura del principe Fabrizio Salina che si distingue nella società siciliana per il sangue blu, la figura possente e l'aspetto nordico ereditato dalla madre tedesca; ma non solo: è anche abile matematico e astronomo a differenza dei suoi avi. Queste peculiarità si traducono in una profonda capacità di analisi dell'ambiente circostante che gli permette di capire i limiti della mentalità sicula e prevedere l'evoluzione sociale e politica dell’isola; nessuno dei discendenti erediterà la sua intelligenza analitica. Altri personaggi che si distinguono sono l’adorato nipote Tancredi, bello affascinante ma senza patrimonio, Angelica, la futura moglie, figlia del sindaco che è un uomo del popolo, avido, ricco e interessato alla nobiltà della casata. Sullo sfondo, la moglie del principe, Maria Stella, bigotta e soggetta a crisi d’isterismo, le tre figlie tra cui Concetta, la maggiore innamorata di Tancredi e ricambiata che non perdonerà mai al padre di averla sacrificata per dotare l’amato della ricchezza che gli manca per soddisfare i suoi capricci. Dal libro è stato tratto il film di Luchino Visconti dal cast eccezionale: Burt Lancaster nei panni del principe, Claudia Cardinale nei panni della bellissima Angelica, Paolo Stoppa che interpreta il sindaco e Alain Delon nei panni di Tancredi.
Dal testo:
“Lui, il Principe, intanto si alzava: l’urto del suo peso da gigante faceva tremare l’impiantito e nei suoi occhi chiarissimi si riflesse, un attimo, l’orgoglio di questa effimera conferma del proprio signoreggiare su uomini e fabbricati. Non che fosse grasso: era soltanto immenso e fortissimo; la sua testa sfiorava, nelle case abitate dai comuni mortali, il rosone inferiore dei lampadari; le sue dita potevano accartocciare come carta velina le monete da un ducato; a tra Villa Salina e la bottega di un orefice era un frequente andirivieni per la riparazione di forchette e cucchiai che la sua contenuta ira, a tavola, gli faceva spesso piegare in cerchio. dita, d’altronde, sapevano anche essere di tocco delicatissimo nel maneggiare e accarezzare e di ciò si ricordava a proprio danno Maria Stella, la moglie; e le viti, le ghiere, i bottoni smerigliati dei telescopi, cannocchiali e cercatori di comete, che lassù, in cima alla villa, affollavano il suo osservatorio privato si mantenevano intatti sotto lo sfioramento leggero”. Pag. 33.
“Poco dopo venne Russo il soprastante, l’uomo che il principe trovava più significativo tra i suoi dipendenti. Svelto, ravvolto non senza eleganza nella bunaca di velluto rigato, con gli occhi avidi sotto una fronte senza rimorsi, era per lui la perfetta espressione di un ceto in ascesa. Ossequioso del resto e quasi sinceramente devoto poiché esercitava le proprie ruberie convinto di esercitare un diritto. Fece cenno a Russo di sedere, lo guardò fisso negli occhi. “Pietro, parliamoci da uomo a uomo, tu pure sei immischiato in queste faccende?”. Immischiato non era, rispose, era padre di famiglia e questi rischi sono roba da giovanotti come il signorino Tancredi. “Si figuri se nasconderei qualcosa a vostra eccellenza che è come mio padre”. (Intanto, tre mesi fa, aveva nascosto nel suo magazzino, centocinquanta ceste di limoni del Principe e sapeva che il Principe lo sapeva”.
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Polizia e criminali a confronto
Mi è piaciuto tantissimo questo libro di Paolo Roversi sulla Milano degli anni '60 e '80 testimone di scontri tra polizia e malavita. L'ho comprato perché sono rimasta molto colpita dal delitto alla Cattolica ufficialmente senza colpevole e avevo letto che era raccontato proprio in questo libro; non solo, è anche risolto e a quanto pare il colpevole non è stato incarcerato per rispetto alla divisa che portava. Inizia con una rapina cinematografica in cui dei delinquenti derubano un portavalori con una tale perizia che Indro Montanelli li loderà in un articolo sul Corriere della Sera; e quando la polizia catturerà i malviventi scriverà che, sotto sotto, la maggioranza della gente tifava per i rapinatori.
Certo non tutto è divertente: la tragedia di piazza Fontana per esempio, in cui hanno perso la vita tanti innocenti; il caso di un ragazzo che si è suicidato nel carcere minorile disperato per i maltrattamenti subiti e quello di un poliziotto cui gli anarchici spezzano in due il cranio.
L’autore descrive con una buona dose di umorismo e un po’ di amarezza le figure leggendarie di alcuni criminali che brillano per il coraggio, l’ambizione e la mentalità spregiudicata; sono eleganti e fascinosi anche perché pieni di soldi grazie alle rapine. Dall’altra parte della barricata, ci sono i poliziotti dai saldi valori morali che si battono a volte sacrificando la vita per riportare l’ordine e difendere i cittadini. I personaggi chiave sono il poliziotto Antonio Santi e il bandito Roberto Vandelli: i cognomi sono scelti per rifletterne la personalità? Dal testo:
“Deve ancora compiere quattordici anni ma ha appena deciso che mestiere farà da grande: lo sbirro. Lui – l’adolescente schivo con gli occhi stretti, da cinese – quegli uomini che hanno messo a ferro e fuoco via Osoppo non li vuole imitare ma sbattere al fresco.
Hanno l’aria di pensarla diversamente i tre ragazzini che ciondolano sul lato opposto del marciapiedi. Tre facce da bulletti, non più di dieci anni. Il più piccolo, Roberto, riccioli ribelli sulla fronte e occhi verdi che ti scavano dentro, si comporta già da capo”. Pag. 12.
Intorno ai due protagonisti, ruota una miriade di personaggi tra i quali c’è la pupa del gangster Vandelli, una splendida ragazza di buona famiglia che preferisce la vita avventurosa a quella borghese e partecipa alle rapine organizzate dal compagno.
Poi c’è il Solista del Mitra, così chiamato perché nascondeva l’arma in una custodia per il violino; è sposato con una spogliarellista che lo appoggia nella sua attività tanto che sono noti come Bonnie and Clyde.
Poi c’è il Molosso che insegnerà a Vandelli la filosofia criminale.
Non ultimo il giornalista della Notte, Mario Basile, accanito fumatore e bevitore di fernet, che con i suoi articoli sagaci e sprezzanti, spiana la strada ai poliziotti.
Unica pecca che vorrei rilevare è la mancanza del corsivo per le espressioni dialettali che sono tutte tradotte alla fine del libro; avrei preferito per comodità una nota a piè di pagina. Manca anche la traduzione delle frasi in francese e in dialetto che non tutti conoscono.
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Il coraggio di una donna
Nadia Fusini è autrice e traduttrice; scrive veramente bene, ha uno stile elegante e armonioso che impreziosisce la sua capacità di analisi.
In questo libro racconta in prima persona la vicenda di una donna maltrattata; le voci narranti sono due: quella del poliziotto che raccoglie la sua deposizione e Maria stessa.
In questo libro racconta la storia di una donna come ce ne sono tante, Maria, una ragazza semplice e ingenua che s'innamora dell'uomo sbagliato; la sua vita diventa un incubo e lei è annientata dalle violenze fisiche e psicologiche inferte dal marito, un frustrato e un sadico, consapevole della superiorità intellettiva della sua compagna. Per una strana legge naturale, la vittima rimane attaccata al suo carnefice, o perché è affascinata dalla sua forza e dal suo potere su di lei, o per il gusto di disprezzarlo: “Ma nell’incontro con Giovanni io sono arrivata a covare nel mio cuore l’odio. Giorno dopo giorno si faceva sempre più forte l’istinto, questo sì sadico, di assistere alla degradazione di un’anima”. Per non impazzire trova rifugio nel mare in cui si tuffa felice attingendo energia e poi nel figlio che concepirà.
La voce narrante non è una sola: in buona parte è quella di un poliziotto che trascrive la storia che la donna racconta alla psicologa della questura e per il resto è quella della vittima.
“Io vivevo letteralmente nel buio, ma questo non significava che non ci potesse essere da qualche parte la luce. Poi, ecco che una luce mi apparve. Sì, una volta vidi una luce che mi abbagliò, e mi resi conto che non è solo il buio ad accecare. Venne dal di dentro quella luce, come un bene che sale dalle viscere: perché con tutto il male, e con tutto l’orrore di un’esistenza che neppure immaginate, ridotta a un animale maltrattato, affamata d’amore, senza nessuno che avesse per me un gesto umano, concepii nel mio ventre una vita nuova”. Pagina 57.
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Pennacchi e l'arte di raccontare
"Il delitto di Agora. Una nuvola rossa" è un giallo bellissimo; non conoscevo l'autore che è molto abile nella difficile arte di raccontare fatti esterni al delitto - dalla storia di Agora e dei paesi vicini, frutto di una ricerca attenta mirata a spiegare il carattere dei personaggi che vi abitano. E veramente difficile distogliere l'attenzione di un lettore di gialli dai fatti strettamente connessi al delitto senza annoiarlo – io non ci sono mai riuscita. La voce narrante è l'autore stesso che nel testo è seguito da uno psicanalista con cui analizza le pulsioni umane. Molto bello anche il suo raccontare i fatti spiegando come il destino dell'uno sia condizionato dal passato degli altri.
Un giallo intenso che si compone come un puzzle raccontando separatamente i fatti per riunirli alla fine, evidenziando contraddizioni e false testimonianze, idee distorte, sentimenti, paure. È un flash sul modo di agire della polizia nel confrontarsi con i delitti; il finale smentisce la razionalità del testo.
Pennacchi è un genio. Pensare che ero dubbiosa quando l’ho comprato perché di solito il destino sta nel nome.
Dal testo:
“Il pubblico ministero aveva sposato in pieno la tesi dei carabinieri. È un giudice giovane, d’assalto. Ha fatto la gavetta in Calabria contro la ‘ndrangheta. È uno di quei giovani pretori che c’erano andati volontari laggiù, quando tutti gli altri si mettevano in mutua e scappavano perché i picciotti calabresi – tra sequestri, racket delle estorsioni e narcotraffico – erano diventati padroni del territorio e avevano preso la deprecabile abitudine di far saltare in aria giudici e poliziotti. Il nostro c’era andato volontario, e dopo tre o quattro anni di quella trincea – in cui tutti sostengono che s’è comportato da eroe e che gli varrà come pedigree per una sicura e prorompente carriera – lo hanno rimandato qua. È gracile. Pare un niente. Ma lo regge la tigna: è peggio di un cisternese. Abita ancora alle case Gescal sulla via del Mare, a Latina, insieme alla madre che, da quando è cominciata questa storia sembra Alba Parietti. La televisione ha intervistato anche lei: “Ecco la madre del giudice antimafia che ha scovato il mostro”, ha detto Emilio Fede. E tutti la riveriscono al mercato, l’aspettano nell’androne, le chiedono pareri sul delitto”. (pagina 132).
“Un altro esempio: quei due – Tacito e Svetonio, non Beppe Grillo ed Emilio Fede – asseriscono che Nerone abbia fatto uccidere sua madre Agrippina, che era comunque una gran rompiballe. Ci aveva provato altre volte, dicono loro, finché fece preparare un battello che si sfasciasse a comando in modo da farla morire per il naufragio o la caduta del ponte.
E io, per ammazzare qualcuno, faccio affondare una nave intera, senza manco organizzare dei sicari che si accertino del buon esito ma, anzi, tutto l’equipaggio si dà da dare per salvarlo, quel tanghero? Ma nemmeno i nostri servizi segreti sarebbero capaci di tanto”. (pagina 55).
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Ognuno deve danzare al ritmo di se stesso
Tutti i figli di Dio danzano di Mukarami. Einaudi
Tutti i figli di Dio danzano è una serie di racconti che ruotano tutti intorno a un terribile terremoto che ha distrutto la città di Kobe e mietuto molte vittime; tutti i personaggi sono a conoscenza di questa sciagura che ha coinvolto milioni di persone. Diventano così consapevoli della caducità delle cose e di quanto la vita sia effimera. Proprio questa presa di coscienza spinge ognuno a prendere delle decisioni, a cambiare la sua vita, a danzare al ritmo del proprio essere, delle proprie aspirazioni.
Così la donna bruttina sposata a un uomo bello e superficiale che attinge alle sue risorse spirituali senza poter contraccambiare, lo lascia dicendogli “Tu sei dolce, gentile, bello ma per me vivere con te è stato come avere accanto una bolla d’aria“. Pag. 5.
Un altro abbandona il suo mondo per inseguire la libertà; ama accendere dei falò sulla spiaggia, vederli nascere, svilupparsi e spegnersi. “In quel momento, guardando le fiamme del falò, tutto a un tratto percepì qualcosa. Era qualcosa di profondo. Qualcosa che forse si sarebbe potuta chiamare emozione condensata, perché era troppo viva, aveva una consistenza troppo concreta per poterla chiamare idea. Attraversò lentamente il suo corpo e svanì da qualche parte, lasciando un’emozione indefinibile, simile a una struggente nostalgia”, Pag. 31. Vi è mai capitato di sentire un’emozione così intensa? Beati voi. A me no. Quello che ammiro in Mukarami è la capacità di creare dei personaggi banali, piccoli nelle loro capacità, ma con un’interiorità assolutamente meravigliosa. Io posso solo leggerlo e sperare di migliorare la mia capacità di percepire i segni dell’universo.
Poi ci parla di un ragazzo senza padre che pensa di riconoscere il genitore durante un viaggio e lo insegue fino ad arrivare in un posto deserto; io non vedevo l’ora di sapere chi era quell’uomo e se si sarebbe ricordato della madre, se si sarebbe commosso o spaventato quando il ragazzo gli avesse parlato. Niente di tutto questo; Mukarami è più interessato alle evoluzioni interiori che ai fatti. Il protagonista a un certo punto del racconto si chiede:
“Che cosa ho cercato facendo tutto questo? Si chiese Yoshiya continuando a camminare. Volevo accertare una sorta di legame con il mio essere qui e adesso? Speravo di entrare a fare parte di una nuova trama, che mi venisse concesso un nuovo ruolo, più definito?” - (Ma perché l’uomo ha questo bisogno di definirsi? Perché facciamo tutti parte di un ingranaggio perfetto, in cui ognuno ha un compito da svolgere, dal moscerino allo scienziato). – “No, pensò Yoshiya, non è così. Ciò che ho inseguito fin qui è quella specie di coda buia che porto con me. L’ho vista per caso, l’ho inseguita, mi ci sono attaccato, e alla fine l’ho lasciata cadere in un buio ancora più profondo. So che non la rivedrò mai più. Lo spirito di Yoshiya riposava adesso in un punto del tempo e dello spazio perfettamente limpido e sereno”. Pag.55.
“Poi a un tratto pensò a tutto ciò che esisteva al centro della terra che adesso calpestava. Lì c’era il ruggito sinistro di un’oscurità profonda, una corrente sotterranea, sconosciuta agli uomini, che trasportava il desiderio, un brulicare di viscidi insetti, e lì si annidava quel terremoto che trasformava le città in un ammasso di detriti. Tutte queste energie contribuivano a creare il ritmo della terra”. pag. 57. Terribile, meglio non pensarci.
Un altro personaggio ha dentro di sé una pietra. È una pietra bianca e dura. Fatta di odio per una persona che ha incontrato. Incontra una vecchia che le predice un sogno che le permetterà di liberarsene; e qualcuno dice:” Lei è una bella persona, dottoressa. Forte, e dalle idee chiare. Ma sembra che si trascini un peso nel cuore. È tempo che lei cominci a prepararsi per affrontare la morte con dolcezza. Se lei continuerà ad investire troppe energie solo nel vivere, non riuscirà a morire bene. In un certo senso vivere e morire si equivalgono.”. pag. 75. Mi ricorda Socrate che diceva che il nemico è dentro di noi e va combattuto con la consapevolezza dei nostri e limiti e di quelli altrui.
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L'arte di essere felici
Se avete voglia di ridere e sorridere, questo libro fa per voi. Mi ricorda il film Qualcosa è cambiato perché il protagonista, nonché la voce narrante, da vecchio rude e bisbetico diventa buono e dolce come il miele. Padre di una figlia fedifraga e di un gay, nonno di Federico, ha un buon rapporto con due vicini datati come lui. Ha anche una storia d'amore con un'infermiera matura e disponibile con cui inizialmente faceva solo sesso. Divertenti i suoi litigi con gli estranei con cui finge di essere un'autorità in pensione per spaventarli (e ci riesce). C'è un tocco spiacevole: la violenza domestica che riguarda una nuova vicina che lui cerca di aiutare.
Dal testo:
"A un certo punto della vita si apre un mondo finora inaccessibile, un mondo magico popolato da gente gentile, premurosa e affabile. Eppure la cosa più preziosa che si conquista con l’età è il rispetto. L’integrità morale, la solidarietà, la cultura sono nulla di fronte alla pelle incartapecorita, le macchie sulla testa e le mani tremolanti. Il rispetto è un’arma che permette all’uomo di raggiungere una meta per molti inarrivabile, fare della propria vita ciò che si vuole. Mi chiamo Cesare Annunziata, ho settantasette anni e per settantadue anni e centoundici giorni, ho gettato nel cesso la mia vita. Poi ho capito che era giunto il momento di usare la considerazione guadagnata sul campo per iniziare a godermela sul serio”. Pagina 12. Quindi, la vita comincia a settant'anni. Non più a quaranta, cara Marina Ripa di Meana.
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Io e l'altra
L’altra figlia è un breve romanzo autobiografico scritto in prima persona in cui l’autrice s’immagina di rivolgersi alla sorella morta prima della sua nascita di cui i genitori non le hanno mai parlato. Struggente ed evocativo, ricorda un po’ La prima moglie di D. du Maurier.
Dal testo:
“Se passo in rassegna la nomenclatura dei sentimenti, non ne trovo nessuno che io abbia provato per te nell’infanzia e oltre. Né odio, senza oggetto perché sei morta, né tenerezza, niente di ciò che un essere umano suscita in un altro, vicino o lontano che sia. Un biancore di sentimenti. Una neutralità, al massimo adombrata se sospettavo la tua innominata presenza nelle loro considerazioni che avevano come oggetto “la tomba”. O invece, forse, un’oscura paura. Che tu ti vendicassi”. (pag. 59).
“In quelle immagini non ti penso mai al mio posto. Non riesco a vederti dove mi vedo con loro. Non ti posso mettere dove sono stata io. Sostituire la mia esistenza con la tua. C’è la morte e c’è la vita. Tu o io. Per essere, ti ho dovuta negare”. (pag. 74).
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Un amore oltre il tempo
Premetto che non amo le storie d’amore né i libri scritti da giornalisti: trovo le prime stucchevoli e i secondi più adatti a riportare fatti di cronaca che emozioni. Ho notato questo libro sugli scaffali della libreria perché mi piacciono gli scrittori italiani in generale e perché non conoscevo l’autrice; ma la sua professione e il sottotitolo mi hanno scoraggiato e quindi l’ho sfogliato velocemente e senza interesse. Mi ha subito colpito però il modo di scrivere in prima persona, molto coinvolgente. L’ho comprato e l’ho letto in un paio d’ore; è un romanzo lucido, intenso e struggente che racconta un amore che va oltre il tempo, oltre la vita, e supera le emozioni solitamente connesse a un rapporto sentimentale - possessività e gelosia. Mi ha colpito il rapporto tra i due personaggi principali, due ragazzi cresciuti senza affetto, che si incontrano bambini e sono da subito uniti da un’attrazione particolare, fortissima; si rispecchiano l’uno nell’altro e si appartengono. Temendo di spezzare questo filo che li unisce, evitano di vivere insieme, in modo da rinnovare ad ogni incontro l’entusiasmo e la passione: “Soltanto tu hai capito che la mia fuga era un’umile promessa: vado e vedo se riesco ad amarti per l’eternità” (pag. 101). Così ognuno vive la sua vita, ha amori e affetti; ma ognuno c’è sempre per l’altro, ne sente il richiamo.
Dal testo: “Ancora oggi, se voglio, posso aprire la nostra porta, entrare in te. Mi stai aspettando. Hai le gambe lunghe e senza forma di quando eri alle medie. Hai la barba che ti arriva fin quasi sotto gli occhi, come a trent’anni. Hai gli occhiali da presbite e leggi il giornale. Fumi. Non fumi più. Non hai ancora imparato a fumare. Hai gli addominali tesi, mentre ti allunghi per cercare il libro di latino sulla libreria. Hai il torace attraversato dai segni del tuo primo infarto. Hai i capelli biondi, li hai bianchi. Sei vivo. Sei tu”. (pag. 29).
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Storia di un abbandono
Ho comprato il libro perché mi ha incuriosito il titolo e perché mi è stato consigliato da conoscenti, lettori appassionati ma critici.
E' una storia ambientata in una realtà di miseria dove i sentimenti sembrano scarsi come i soldi; la protagonista è una bambina che viene adottata da una zia benestante; ma quando è adolescente, viene restituita alla famiglia d'origine senza spiegazioni. Naturalmente soffre molto del distacco da quella che reputava la sua vera madre; si convince che ci fosse un motivo grave perché non vuole dubitare dell’affetto di chi l’ha allevata fino ad allora. Ora deve chiamare mamma e papà i suoi genitori originari, due estranei poveri e ignoranti; e, da figlia unica quale era, si trova ad avere quattro fratelli rumorosi; per fortuna riesce a stabilire un rapporto di complicità con due di loro, Adriana e Vincenzo.
È il diario amaro di un’arminuta* che si sente respinta, abbandonata, ignorata dalla persona di cui si fidava di più. A volte gli adulti tacciono una verità scomoda per comodità o paura di ferire; ma così facendo, causano grandi sofferenze e minano l'autostima di chi le subisce.
Il romanzo non si limita alla protagonista e ai suoi sentimenti ma descrive la realtà in cui viene a trovarsi, una realtà dura, grama, difficile da vivere e da accettare; c’è chi lavora duramente e chi cerca di fare soldi in altri modi per sfuggire al destino dei genitori e delle persone che lo circondano.
Dal testo: "Solo a pochi passi l'ho vista e mi sono fermata di colpo. Occupava una sedia alta, dallo schienale rozzamente intagliato, come un rustico trono all'aperto. Era vestita di un grembiulone abbottonato sul davanti, del colore dell'ombra che la copriva. Sono rimasta lì a guardarla, incantata dalla sua fiabesca imponenza". (a pagina 112).
"Sono rimasta sulla sedia, senza aiutarla. Il principio di una rabbia feroce lievitava nello stomaco. All'inizio mi ha tolto le forze, risucchiato il sangue da ogni vena. Mi sono sfilata le scarpe con una fatica da vecchia stanca. Ho lisciato un attimo il raso, le ho annusate dentro cercando l'odore spensierato dei piedi di una volta. All'improvviso, come per un'iniezione dall'effetto istantaneo, un'energia distruttiva mi ha invaso". (a pagina 99)
* restituita
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Un testo teatrale
Ho letto "Tre volte all'alba" ieri mentre tornavo a Milano in treno; ci ho messo un'ora. Primo giudizio: stressante; secondo giudizio: è troppo teatrale: la scena e gli interpreti principali sono gli stessi dall’inizio alla fine; la dinamica riguarda solo la loro interiorità. Quando l'ho finito, però, ho deciso che lo rileggerò perché voglio ritrovare quelle parole piene di sensibilità, umanità, dolore e amore per la vita e per gli altri che sono il messaggio dell'autore. Un altro messaggio secondo me è che la persona peggiore cambia nel momento in cui ci si prende la briga di parlarle e farla riflettere; ognuno ha il suo lato buono, basta cercarlo. E certi suoi personaggi che all'inizio prenderei a sberle, si trasformano durante il racconto e fanno cose inaspettate. Questo è Baricco: critica e perdono, botte e carezze.
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Una storia d'amore e di impegno politico
Mi è piaciuto molto il romanzo La mentalità dell’alveare di Vincenzo Latronico, perché è moderno e scorrevole pur essendo ricco di molti spunti di riflessione a tutti i livelli – personale, politico e sociale.
Il libro racconta la storia di una giovane coppia che aderisce entusiasticamente a un movimento politico, nato su internet, con l’obiettivo di denunciare le nefandezze dei partiti dominanti. Il gruppo gradualmente si organizza e s’impone sulla scena nazionale raccogliendo il favore degli individui insoddisfatti dell’attuale governo che sono ormai la maggioranza. La ragazza partecipa attivamente dimostrando di avere la grinta e la capacità necessarie a rappresentare il partito mentre il marito milita in seconda linea. La vita politica e quella matrimoniale s’intersecano e si declinano in un mosaico in cui tutti i tasselli - sentimenti, obiettivi e battaglie personali e pubbliche - s’incastrano faticosamente.
L’autore dà la possibilità di vedere le cose dall’interno del partito, e non solo da spettatore e utente finale come siamo abituati; così cozziamo con tutte le difficoltà che accompagnano le iniziative, ci confrontiamo con le strategie dei militanti che devono prontamente dirottare gli attacchi verbali della stampa e degli stessi membri del gruppo per dirigerli nella direzione loro favorevole. Sentiamo la tensione, la paura, l'emozione dei protagonisti. Conosciamo le loro crisi e i dubbi, la tristezza della sconfitta e il trionfo della vittoria.
Riporto alcuni brani tratti dal testo; i primi due riguardano l'annoso problema dei privilegi dei politici:
“Oggi lo incontro in sala consiliare e mi fa: ‘Mica siamo tutti ragazzini come voi, Barbarelli. Io con quattromila euro una famiglia non la mantengo’. Boemo era un consigliere di un partitello di destra che non aveva mai appoggiato una mozione della rete. ‘Povero,’ disse Alice senza neanche alzare gli occhi dal libro. ‘Solo quattromila – per scaldarsi quest’inverno dovrà bruciare la sua collezione di pittura astratta’. Filippo riprese l’aneddoto. ‘Io gli ho dato una pacca sulla spalla. Quattromila? Gli ho detto. ? Fatti un giro sull’Alveare, collega. Noi consiglieri saremo a stento a due e cinque’. Dovevate vedere la sua faccia!” (pag. 90)
“Comunque,” riprese Leonardo, ’da un certo punto di vista lo capisco. Supponi che abbia fatto un mutuo. O che abbia chiesto un prestito, magari a cinque o dieci anni - contava sullo stipendio, no? E ora come fa?’ Camilla esplicitò l’irritazione che aveva cercato di trasmettere a gesti, e che non era stata colta.
‘Senti, Leo, ma ti pare che ti matti a difendere un fascistello solo per…’ ‘Solo per cosa?’ chiese lui voltandosi. Il suo bicchiere era vuoto.
‘Ma no,‘ s’intromise più cardinalizio Filippo, ancora sul divano. ‘E’ un’obiezione sensata. Ma vedila da un altro punto di vista, Leo’ e per la prima volta usò il suo diminutivo a voce alta. ‘Che cosa gli dava il diritto di contare su quello stipendio – alto, te lo posso assicurare: se io e Camilla non ce lo decurtassimo,. Sarebbero più di ottomila al mese. Tu dici che ci contava – e ti sembra giusto? che contasse su sei volte quello che prende un insegnante di scuola?” (pag. 92)
“Dopo alcuni minuti di meditazione e tre lunghi risciacqui con l’acqua fredda, Camilla uscì dal bagno con tutta la flemma che quindici anni di militanza politica e di gestione delle emergenze le avevano insegnato. Si ricordò di quando, durante una manifestazione, era andata in bagno in un bar (dopo una lunga fila alla porta) e all’uscita aveva trovato tutti i suoi amici caricati su una camionetta della polizia, e una traccia di sangue sull’asfalto; presa dall’agitazione, aveva pensato di telefonare non a un avvocato o a un ospedale ma a suo papà. Poi, calmandosi, aveva affrontato la situazione” (pag. 163).
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Commento
Ieri sera ho fatto un giro alla Feltrinelli e ho comprato un delizioso libretto. Confesso: l'ho comprato per la copertina, di un vivido azzurro, il mio colore preferito, con un'immagine fiabesca; male che vada, ho pensato, lo metto in bella mostra nella mia libreria.
L'ho letto subito; un po' noioso e con uno stile raffinato che talvolta risulta un po' pretenzioso; nelle sessanta pagine di cui è composto, l'autore, scrittore e filosofo, deplora amaramente il ruolo di internet e dell’avanzare dell’età nel ridurre la memoria; in tal modo, quel generoso patrimonio di conoscenze, idee e sogni di cui l’uomo disporrebbe se ricordasse tutto quello che ha vissuto, cade nell’oblio.
Come diceva Kundera (più avanti), ricordiamo solo ciò di cui parliamo spesso, tutto il resto va perso e, con esso, le potenzialità dell’uomo, così molteplici e articolate, che potrebbero cambiare la sua vita:
"Memoria è lettura e scrittura insieme, cinema, teatro, recitazione, canto, musica, banalità, e non importa se ne valga o no la pena, è riconvocazione perpetua del vissuto".
Così la preghiera, che è un rito ripetuto sempre uguale, favorisce la memoria:
“Gli oranti abituali, senza le violenze espressive dei santi barocchi, incatenati dalla regolarità orazionale, in quanto favoriti dalla memoria, è probabile ricordino facilmente dove avranno messo gli occhiali, ricorderanno di comprare l’olio extravergine e la vitamina B12”.
Caro Ceronetti, hai ragione: oltre alla nobilissima aspirazione dell’uomo a essere superiore a se stesso, ci vogliono anche le vitamine e quegli elementi prosaici necessari per il buon funzionamento dell'apparato digerente, visivo e umano in generale. E la memoria serve anche a questo; senza benessere fisico, non c'è ispirazione che tenga. La filosofia non è forse nata in società prospere e ben pasciute?
Riflessioni, humour e creatività.
"Una certa idea di mondo" si compone dei commenti di Baricco a cinquanta libri che ha letto. Lo consiglio senz'altro perché ha un modo di scrivere arguto, fluido, direi anche creativo; perché non si limita a spiegare perché gli piace un testo, ma va oltre, scava nella personalità dell'autore, nella trama, nei personaggi, nelle sue impressioni, il tutto con un tono sorridente e arioso che conquista.
Ecco due brani tratti dal testo:
“Ora è difficile crederlo, ma Stefan Zweig fu negli anni venti e trenta del secolo scorso un autore di best seller planetari (il pianeta era più piccolo, allora). Era ebreo, austriaco, nato in una famiglia decisamente ricca, compagno di strada di gente come Richard Strauss, Freud, Schnitzler. Convinto pacifista, si fece in un ufficio la prima guerra mondiale e, all’avvento del nazismo, prese senza fare molto rumore la via dell’esilio. Non si ricordano sue prese di posizione clamorose: continuò a scrivere quel che gli piaceva scrivere, e a scappare con grande dignità".
"Il libro che fondò l'idea moderna di sapere, agli occhi di chi lo scrisse, era una fiction. Liquidati i preamboli, inizia praticamente con questa espressione: "Fin dall'infanzia sono stato allevato nello studio delle lettere...". Quasi Proust. Ah. Una volta ho chiesto alla mia professoressa di italiano dove cavolo Proust aveva preso quel modo di scrivere. Cioè, quella sontuosa capacità di srotolare sintassi per venti righe senza la minima fatica".
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Soprattutto l'orgoglio
Ho letto con grande interesse questo libro in cui Oriana Fallaci esorta gli occidentali a combattere gli arabi prima che ci distruggano completamente e a sciogliere la comunità europea che giudica inefficace. Non sono del tutto d’accordo con quanto asserisce però, e vorrei spendere due parole in difesa di noi europei che giudica stupidi e inetti: come inviata, la Fallaci si è confrontata con leader politici e situazioni diverse; ciò le ha permesso di avere una visione completa e distaccata di quanto accade. Mentre noi, immersi nella nostra realtà condizionata dai media, giudichiamo con grande parzialità i nostri nemici, combattuti tra la pietà e la paura. Quanto all’Unione Europea che attacca così duramente, è nata in un periodo storico difficilissimo per unire le forze e rapportarsi agli Stati Uniti con pari potere contrattuale; deve amalgamare culture differenti, economie diverse, oltretutto in crisi, fronteggiare problemi di guerra e di corruzione; avrà bisogno di anni per raggiungere dei risultati in termini di equilibrio e coesione. Quando si era trattato di unire tutti i popoli sotto il Sacro Romano Impero, era stata imposta la religione cattolica per uniformare la mentalità degli stati membri; oggi si è curato più l’aspetto formale, senza invadere la sfera ideologica. Sono d’accordo quando critica la predominanza dei Paesi più forti all’interno dell’Unione Europea; ma è la legge del branco: guida chi è più forte, nel bene o nel male. E sono d’accordo quando deplora la mancanza di patriottismo degli italiani; il nostro purtroppo è un popolo che è sempre stato asservito dai Paesi confinanti; ed è quindi abituato a scodinzolare davanti al potere per sopravvivere. Quello che ammiro della Fallaci, oltre al coraggio e all’intelligenza, è l’autostima; una considerazione di sé così alta è un ottimo supporto. Chi ce l’ha è già a metà dell’opera.
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Storia di un supereroe
Mi è piaciuto moltissimo questo libro, centrato sul rapporto del giovane protagonista con il fratello down. L'ho incominciato preparandomi a provare una grande tristezza e invece mi sono ritrovata a sorridere spesso e volentieri perché è pervaso da un affetto e una simpatia assolutamente trascinanti; ma soprattutto non è un triste resoconto delle mancanze di Giovanni come ci si aspetterebbe, ma la descrizione delle sue prodezze in un mondo popolato da gente diversa da lui. E anticipa il suo pensiero citando una frase di Einstein: “Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità ad arrampicarsi sugli alberi, lui passerà la sua vita a credersi uno stupido”. Ecco un brano che mi ha colpito:
“Pensai che Gio, tra i molti problemi, aveva un talento particolare: sapeva creare una storia diversa con ognuno. Si sarebbe potuto scrivere un libro sul rapporto tra Gio e ogni singola persona che gli gravitava intorno, e sarebbe stata una saga più lunga de “Il Signore degli anelli”. Gio creava mondi. Ognuno di noi camminava con lui lungo una strada personale. E la cosa pazzesca era che riusciva a essere diverso con tutti, ma sempre se stesso. Non era matematica, Gio, che una volta trovata la soluzione è sufficiente replicare i passaggi per ottenere lo stesso risultato. No, lui era più basket dove, se una volta hai fatto canestro, poi non basta che replichi il movimento per riuscirci di nuovo. Mi convinsi che dovevo trovare il mio modo personalissimo di fare canestro. E che dovevo riuscirci da solo”.
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"Chi vuole il meglio, rovina il bello"
L'autrice parla del tema del momento, felicemente lanciato dalla giapponese Marie Kondo: l'importanza dell'essenziale o, meglio ancora, della semplicità. Accontentarsi e rinunciare al superfluo - oggetti, idee e preconcetti- dovrebbe librare il nostro io a livelli eccelsi; forse è semplicemente un modo per adeguare mente e spirito alle difficoltà della crisi economica; ma non solo. Insomma, il famoso proverbio "Chi si accontenta, gode" è più che mai attuale. O per riprendere il buon vecchio Shakesperare, "Chi vuole il meglio rovina il bello" ed è proprio il caso di questo libro.
Racconta la storia di una donna modesta, Joceline, che vive con la sua famiglia in un paese della Francia; gestisce una piccola merceria e ha aperto un blog incentrato su fili, tessuti, ricami e lavori a maglia che ha un enorme successo. Il marito, che si chiama come lei, Jocelin, lavora da Hagen Datz; è un tipo rude che esprime i suoi sentimenti senza reticenze, egoista e infantile nei sogni e negli atteggiamenti. Due figli adulti e un padre malato completano la famiglia. Joceline è amica di due simpatiche gemelle che la convincono a giocare alla lotteria; e lei vince diciotto milioni di euro. Non dirò che cosa accade ma vale la pena di leggerlo per capire come l'amore, gli affetti famigliari, la serenità valgano più della felicità effimera che si può acquistare con il denaro.
L’autore dipinge i personaggi con una tale abilità che sembra quasi di conoscerli: soprattutto le gemelle, vispe e piene di entusiasmo.
Ecco un paio di brani tratti dal testo:
"Jo è fatto così. Non conosce la raffinatezza, l’eleganza, le parole ricercate. Non ha letto molti libri; preferisce i riassunti ai ragionamenti; leggere le figure più delle didascalie. Gli piacevano gli episodi del tenente Colombo perché si conosceva fin dall’inizio l’assassino”.
“Sì, penso che tutto quel che viene dal passato non sia superato. Il fai da te ha un so che di bellissimo; prendersi il proprio tempo è importante. Sì, penso che tutto vada troppo in fretta. Si parla troppo in fretta. Si pensa troppo in fretta – quando si pensa! Si inviano mail, messaggi senza rileggersi, si perde l’eleganza dell’ortografia, l’educazione, il significato delle cose”.
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I personaggi di Kundera
Finalmente ho capito che cosa mi urta nei libri di questo autore: l'apparente freddezza dei personaggi maschili che si scontra con la vulnerabilità di quelli femminili. Sembra quasi che gli uomini siano spettatori, avulsi dalla storia; che non abbiano proprio modo di evitare di fare soffrire chi hanno intorno. Reagiscono al dolore immergendosi in una nebbia isolante, sembrano intoccabili. Invece, i personaggi femminili soffrono follemente, si scontrano con l'ineluttabilità degli atteggiamenti di mariti e amanti, si sentono inadeguati, sballottati in un mondo in cui non hanno voce in capitolo. Kundera scrive bene e fa delle riflessioni acute, profonde, belle. Sicuramente da leggere, ma io lo trovo tristissimo. Il titolo si riferisce alla scarsa capacità dell'uomo di memorizzare il passato; se i ricordi non sono raccontati, commentati, risvegliati di continuo nei discorsi tendono a sparire e l'uomo vive ignorando una parte importante di se stesso, di quanto ha concorso alla sua formazione.
Ecco un brano tratto da "L'ignoranza" (a pag. 44): "D'improvviso, Irena è paralizzata da una visione: un gruppo di donne corre verso di lei brandendo dei boccali di birra e ridendo sgangheratamente. Lei coglie qualche parola in ceco e realizza con terrore che non è in Francia, che è a Praga ed è perduta".
Un altro passo che mi è piaciuto perché è uno dei pochi in cui anche gli uomini mostrano un lato umano - la paura della morte - è a pagina 57: "Suona e suo fratello, che ha cinque anni più di lui, apre la porta. Si stringono la mano e i guardano. Sono sguardi di un'immensa intensità e loro sanno esattamente di che si tratta; rapidamente, discretamente, il fratello spia nel fratello i capelli, le rughe, i denti; ciascuno sa quel che cerca nel viso che ha di fronte e ciascuno sa che l'altro cerca la stessa cosa nel suo. Ne provano vergogna, perché quel che cercano è la probabile distanza che separa l'altro dalla morte o meglio, per dirlo in maniera più brutale, cercano nell'altro la morte che traspare". Eppure, devo ammettere che mi scandalizza un po' questa competizione; dopo anni di separazione, due fratelli dovrebbero gettarsi l'uno nelle braccia dell'altro; Kundera è molto realistico e mi fa venire in mente il detto 'amor di fratello amor di coltello'. Mi viene spontaneo chiedermi: se i personaggi fossero stati due sorelle, i sentimenti sarebbero stati gli stessi? Avrebbero spiato l'una nell'altra, i segni dell'invecchiamento o avrebbero ritrovato un legame che pareva perduto? Avrebbero sperato nell'appoggio e nella fiducia reciproche? Probabile, ricordando la linea di Kundera che, stranamente, spesso propone l'idea della solidarietà femminile come arma di difesa dall'egoismo maschile.
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Una storia antica scritta con lo stile moderno
Un bel libro, corposo e ben costruito. Narra la storia di una famiglia di ebrei polacchi che si trasferisce in Germania e poi, a causa delle leggi antisemitiche, fugge in America. La trama è avvincente, i personaggi sono descritti in modo che il lettore ne abbia un’immagine precisa; consapevole del collegamento tra corpo e mente, l’autore abbina l’aspetto al carattere; complessi, debolezze, qualità sono mirabilmente esposte: c’è il duro che vivrà nella fortezza delle sue convinzioni finché il mondo circostante glielo permetterà; poi dimostrerà tutta la sua intelligenza rivedendo le posizioni a lungo difese; il buono bistrattato sarà accolto con rispetto, l’idealista si scontrerà con la realtà. Splendida la parte relativa al dott. Zerbe, uno squallido individuo che sfrutta ignobilmente uno dei protagonisti, ingannandolo con fine psicologia.
Dal testo:
“I Karnowski della Grande Polonia erano noti per il loro carattere testardo e provocatore, ma allo stesso tempo stimati per la vasta erudizione e l’intelligenza penetrante. La genialità era iscritta nelle alte fronti da studioso e negli occhi profondi e inquieti, neri come il carbone. Ostinazione e sfida si leggevano sui nasi forti e sproporzionati che spiccavano beffardi e arroganti nei loro visi scarni: poche confidenze! È per via di questa testardaggine che nessuno in famiglia era diventato rabbino, anche se non sarebbe stato difficile, e tutti avevano preso la via del commercio. Per quanto non nuotassero nell’oro – si guadagnavano onestamente di che vivere e nulla più – i loro figli trovavano moglie tra le più ricche casate della Grande Polonia.”
“Il più svelto, vivace ed elegante di tutti è Solomon Burak, il proprietario del negozio. Snello, biondo, con un abito inglese a quadretti, la cravatta rossa e il fazzoletto di seta nel taschino della giacca attillata, un grosso anello a sigillo all’indice della destra, sembra più un commediante tedesco o il direttore di un circo che il padrone di un emporio non lontano dal quartiere ebraico. Dal suo modo di fare brioso e agitato traspare l’ebreo, e non tanto l’ebreo tedesco, quanto l’immigrato dall’Europa orientale. “Soldo più, soldo meno, “mormora a commessi e commesse“ l’importante è vendere. Voglio vedere movimento.” Acquista a basso prezzo e rivende a basso prezzo. Accetta pagamenti in contanti, in cambiali, a rate. Ma benché abbia lasciato la Linierstasse e la sua clientela sia tutta di gentili, non nasconde le proprie origini come fa invece la maggioranza dei commercianti ebrei del quartiere. Il suo nome ebreo spicca a grandi caratteri sull’insegna. Non cerca neppure di nobilitare l’emporio impiegando commessi dai capelli biondi, preferisce assumere parenti suoi o della moglie, che fa arrivare da Melnitz.”
Si percepisce che Singer ha pianificato e preparato la storia con puntiglio curando tutti i particolari. Ma manca di quella fluidità e di quella passione che contraddistinguono i libri dei secoli passati; gli autori di un tempo riuscivano a dare vita e ad avvicinare i personaggi al lettore che ha l’impressione di seguire le vicende di cari amici e rimane spaesato e triste quando arriva all’ultima riga. Qui invece, i protagonisti e coloro che li circondano rimangono prigionieri della carta stampata; quando la storia finisce, finiscono anche loro e il lettore li dimentica.
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Un triangolo pericoloso
“L’altra faccia di mezzanotte” è un romanzo spigliato e appassionante che comincia come una favola per tramutarsi infine in un giallo. La sua peculiarità è che ha due protagoniste assolutamente opposte come si evince dal titolo: una, Noelle, biondissima e dominata da una sete di vendetta implacabile che la porterà ai vertici del successo; la sua personalità mi ricorda una frase di un’opera di Shakespeare “Ho giurato che fossi bionda e ho pensato che fossi splendente, tu sei nera come l’inferno e cupa come la notte”*; l’altra, Catherine, è bruna e appassionata, dedita al lavoro e al marito. Le loro vite si snodano in parallelo fino a sfiorarsi tragicamente; in comune hanno la bellezza, l’intelligenza, l’ambizione e l’amore per lo stesso uomo, un pilota affascinante, spietato, deciso ad accaparrarsi tutto quello che la vita gli offre, incapace di amare; l’unica sua passione è volare.
Da leggere.
*sonetto 147
Riporto qualche brano tratto dal testo pubblicato da Sperling & Kupfer:
“Nei suoi ricordi più lontani vedeva una culla di vimini bianco, sormontata da un baldacchino di pizzo bianco, guarnita con nastri rosa e soffici animaletti di stoffa, di bambole bellissime e di sonaglietti dorati. Aveva imparato ben presto che, se apriva la bocca e lanciava uno strillo, qualcuno si affrettava a prenderla in braccio e a consolarla. A sei mesi, suo padre la portava in giardino sulla carrozzina, le lasciava toccare i fiori e diceva: ”Sono belli, principessa, ma tu sei più bella di loro”. Pag. 38
“Noelle si comportava come l’amante perfetta. Continuava a rendere comoda la sua esistenza, faceva da padrona di casa e, in effetti, faceva di lui uno degli uomini più invidiati di Francia; ma in realtà lui non aveva mai un momento di pace, perché sapeva di non possederla, sapeva che non l’avrebbe mai posseduta e che sarebbe venuto il giorno in cui Noelle avrebbe deciso di uscire dalla sua vita capricciosamente come vi era entrata.” pag. 226
“Una sola cosa impedì a Catherine di fidanzarsi all’istante con Ron, il fatto che lui ignorava la sua esistenza. Ogni volta, quando lo incontrava nel corridoio della scuola, il cuore cominciava a martellarle selvaggiamente. Pensava qualcosa di intelligente e provocante da dire, in modo che lui le chiedesse un appuntamento. Ma poi, quando erano vicini, le si paralizzava la lingua e si incrociavano in silenzio: come il transatlantico Queen Mary e una chiatta carica di rifiuti, pensava disperata.” Pag. 28
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Un romanzo storico
Ancora una volta, Maria Bellonci ci intrattiene con le vicende degli Sforza e dei Gonzaga con il suo stile sontuoso che evoca e rispecchia l’eleganza degli ambienti descritti. Il titolo è quello di una canzone medioevale che si riferisce alla tendenza femminile di ricorrere a sotterfugi e intrighi per aggirare il potere degli uomini che da sempre prevale. Il libro include tre racconti: il primo s’intitola “Delitto di stato” e ha come protagonista un uomo leale e onesto, sensibile e intelligente che si macchia di un delitto per difendere l’onore del suo signore, il duca di Mantova; in seguito a questo terribile evento, è costretto a eliminare tutti i testimoni per conservare intatta la sua reputazione e quella del duca e la sua vita è disperatissima. Nel secondo episodio, “Soccorso a Dorotea”, l’autrice racconta la triste vicenda di un’erede dei Gonzaga promessa dalla sua famiglia a Galeazzo Maria Sforza; descrive l’atteggiamento sottomesso della ragazza e la prepotente esuberanza del rampollo sforzesco che non ha remore a umiliare chi lo circonda; i tratti delle due casate si fondono in lui nel più infelice dei modi regalandogli un orgoglio che la sua indole non può sostenere. Infine, il terzo episodio, intitolato come il libro, si sofferma sulla storia dei Visconti e di Milano.
Riporto qualche brano tratto dal testo:
“Mi pungeva la straordinaria dolcezza della sera accelerandomi il battito del cuore e suggerendomi per abitudine il nome della mia signora Cinzia. Ripetei quel nome invocandolo come fanno gli amanti; ma non me ne venne il respiro ampliativo che incanta l’animo e gli dà arcane certezze. Ero troppo turbato dai casi della mattinata, pensai; ed era vero; ma qualcosa in me sapeva che, quando abbiamo spremuto da un amore tutto il suo succo, anche i nomi dal potere arcano ricadono inerti. Avrei dovuto sposarla, e non da poco, la signora Cinzia Bonatti, giovane vedova aggraziata, favorita della principessa Maria e ricca di beni; magari l’avessi fatto, dico ora. Ma il timore di affliggere Osanna che mi tenevo in casa da vent’anni mi aveva sempre ritenuto: avevo un segreto con lei.”
“A vederlo come lo disegnò il Pollaiolo per lo sbiecato ritratto degli Uffizi, la maestà dell’aspetto e l’eleganza della persona davano Galeazzo Maria per un vero principe; ma nel suo viso i caratteri viscontei e sforzeschi si succedevano senza fondersi, lasciandogli tra un piano e l’altro qualcosa di freddamente disarticolato, l’irrigidimento di una volontà slegata, provvisoria, soggetta alle variazioni del capriccio e della noia.”
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Descrizioni e pensieri di un'aristocratica
Molto carino questo libro di Elizabeth Von Arnim, narrato con il suo consueto senso dell’umorismo e condito con osservazioni argute e belle descrizioni.
Una giovane aristocratica si reca in vacanza a Rugen accompagnata dalla fida cameriera Gertrude e dal cocchiere che la chiamano “la nostra buona signora”; già il lettore prova un po’ di invidia per questa dama tanto riverita e si chiede se i due servitori le siano davvero affezionati o se in realtà sognino di strozzarla. Nella cornice di uno splendido panorama, la protagonista s’imbatte in una cugina femminista e in altre conoscenze piuttosto noiose; molto divertenti i suoi commenti in merito. Riporto altre simpatiche osservazioni: quando, in una giornata calda, invita Gertrude a fare il bagno con lei, chiedendole come faceva a resistere. “Ma era evidente che Gertrud poteva resistere benissimo. Adocchiò la meraviglia vivente del mare con lo sguardo di chi vi scorga semplicemente qualcosa che di un uomo asciutto ne fa uno bagnato. Disse che era raffreddata. “Domani allora” risposi speranzosa; ma lei replicò che i suoi raffreddori duravano giorni. “Insomma, appena ti passa” insistetti, pervicacemente e odiosamente speranzosa; a questo punto divenne profetica e disse che non le sarebbe passato mai più.”
O quando entra nella sala da pranzo in un albergo dove numerose famiglie stanno mangiando e ha l’impressione che tutti i bambini di Germania smettano di mangiare e la guardino; e il lettore ha l’impressione di essere là, in quella sala, sotto lo sguardo del piccolo esercito tedesco, consapevole della solidarietà e dello spirito patriottico che unisce questo popolo già soldato a un anno di vita. Ammirando il paesaggio, pensa che tanta bellezza entrerà nella sua anima addolcendola per sempre; avevo trovato una riflessione simile in una poesia del Pascoli in cui l’autore diceva che la gioia provata in un periodo della sua vita l’avrebbe gratificato per sempre. L’autrice ha uno stile brioso che compensa una trama piuttosto carente. In questo senso, ricorda “Ogni passione spenta” e “Passaggio a Teheran” di Vita Sackwille West e "Londra in scena" di Virginia Woolf, splendidi resoconti di pensieri e riflessioni e i film di Sofia Coppola in cui lo spettatore aspetta invano che succeda qualcosa.
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Ritrovare se stessi
Il protagonista è il responsabile delle risorse umane di una grossa azienda a Gerusalemme; non ha nome perché è una persona come tante, ripiegato su se stesso e sul suo lavoro, incapace di vedere oltre. La trama si snoda intorno a un fatto assurdo e doloroso: una donna delle pulizie che aveva lavorato presso la sua stessa azienda è morta in un attentato terroristico. Per difendersi dalla stampa che lo accusa di mancanza di umanità, il proprietario incarica il responsabile delle risorse umane a occuparsi della vicenda.
La sua segretaria gli dirà, parlando della vittima:
“Peccato, era una bella donna.”
“ Una bella donna? Lei esagera, se fosse stata davvero bella me la ricorderei.”
“Invece sì, era bella, anzi bellissima. E se lei non l’ha notato è perché di solito è come una chiocciola, chiuso in se stesso, e la bontà e la bellezza le passano accanto come ombre.”
“Poi segue il bambino che è filato fuori dall’ufficio e dopo essere rimasto per un istante spaesato dalla penombra del corridoio si è ripreso e si è messo a gattonare con nuovo slancio verso l’ufficio del proprietario. ‘E poi ci si stupisce che a vent’anni non gli bastino le montagne dell’Himalaya.’ Pensa il responsabile delle risorse umane seguendo passo passo l’energico marmocchio che di tanto in tanto, senza apparente motivo, si siede per una breve e dolce pausa di riflessione, per poi riprendere l’avanzata verso la meta originaria. “
Una particolarità del romanzo che lo rende unico: al racconto delle peripezie del responsabile delle risorse si alternano, in corsivo, i commenti delle persone presenti sulla scena e dei fantasmi che popolano i suoi sogni.
“E’ comparso da noi prima delle dieci, alla guardiola del custode, un uomo non alto, robusto, con un volto duro e stanco … a quanto pare, cercava ‘il responsabile delle salme’. Ma, signore, gli abbiamo risposto, adesso non è orario di visita e per entrare in ospedale a quest’ora ci vuole un permesso speciale. Gli abbiamo fatto i complimenti che un dirigente nella sua posizione fosse venuto di persona a quest’ora per un’addetta delle pulizie temporanea. Lui è apparso soddisfatto degli elogi.”
“Ohi, ohi. Scaricano di nuovo una bara dall’aereo. Presto, presto correte a svegliare l’ufficiale di turno perché decida che cosa fare prima che anche questa volta sia troppo tardi ... ecco l’ufficiale uscito finalmente dal letto con una nuova medaglia al valore comprata al mercato. E guardate com’è bravo: con un solo sguardo riesce a individuare l’uomo che scorta la bara, anche se quello cerca di fare finta di niente.”
“Ma per noi la fiamma brucia ancora, ne siamo attratti, lacerati e rimescolati nel tempo e nello spazio, tentacoli del sogno di in uomo prossimo alla quarantina, ex ufficiale dell’esercito, padre divorziato di una ragazza adolescente; responsabile delle risorse umane di un’azienda e ora responsabile di una breve e particolare missione. Ma possiamo, malgrado la sua pesante stanchezza, e il russare monotono di chi gli dorme accanto, dare inizio per lui a un sogno, infondergli direzione e senso perché lui possa ricordarlo e forse anche narrarlo agli altri? Per questo siamo qui. Agenti di fantasia e mediatori di visioni. Giunti a generare un sogno terrificante eppure stupendo. Ecco, già ci libriamo sopra le sue palpebre chiuse, ci intrecciamo al ritmo dei suoi sospiri, rimescoliamo frammenti del giorno trascorso con sogni infantili dimenticati … ecco, il sogno prende vigore, le palpebre fremono davanti alla prima immagine.”
Un libro intenso e coinvolgente, un invito a guardare dentro se stessi e a recuperare il nostro io subissato da tutti gli stimoli che la società ci trasmette.
Proprio come Moni Ovadia in “Vai a te stesso” indica il deserto come luogo di meditazione e di ascolto della parola di Dio, così l’autore mostra il viaggio del responsabile delle risorse umane verso il paese natio della donna come un percorso verso la sua interiorità che gli permetterà di ritrovare un’umanità seppellita sotto le sue ambizioni e di recuperare il rapporto con la famiglia.
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Animali, che passione!
Il libro è una spensierata descrizione del periodo trascorso dall’autore giovanissimo e dalla sua famiglia a Corfù. Pieno di aneddoti esilaranti e di personaggi originali, è scorrevole e appassionante. Così l’autore, che diventerà un celebre zoologo, presenta l’opera:
“In origine, doveva essere il resoconto blandamente nostalgico della storia naturale dell’isola, ma ho
commesso il grave errore di infilare la mia famiglia nel primo capitolo del libro. Non appena si sono ritrovati sulla pagina non ne hanno più voluto saperne di levarsi di torno e hanno persino invitato vari amici a dividere i capitoli con loro.”
Ma il fulcro del libro è l’osservazione del comportamento degli animali; così il lettore impara ad amare rettili e tartarughe, gazze e gabbiani trascinato dall’entusiasmo e dalla simpatia con cui Durrell li descrive .
“Il nuovo arrivato (una tartaruga, ndr) fu formalmente battezzato Achille e si rivelò una bestiola intelligentissima, simpatica e dotata di un particolare senso dell’umorismo.”
“Oltre alla passione per le fragole, in Achille divenne sempre più forte la passione per la compagnia umana.
Bastava che qualcuno andasse in giardino a prendere il sole o a leggere, e subito si sentiva un fruscio tra i dianti e la faccia seria e rugosa di Achille si affacciava tra le foglie. Se stavi seduto in poltrona, si contentava di avvicinarsi il più possibile ai tuoi piedi e là cadeva in un sonno tranquillo e profondo, con la testa pendula dal guscio e il naso appoggiato al terreno.”
“Quando il sole tramontava e i gechi cominciavano a sgambettare sui muri ombrosi della casa, Ulisse (il gufo ndr) si svegliava. Sbadigliava delicatamente, tendeva le ali, si puliva la coda, e poi rabbrividiva con una tale violenza che tutte le sue penne si arruffavano come i petali di un crisantemo sotto una raffica di vento. Essendosi così preparato per il lavoro notturno, emetteva un ‘chiùu’ di prova per assicurarsi che la sua voce fosse in forma, e poi con ali morbide spiccava il volo per vagare intorno alla casa silenzioso come un fiocco di cenere e atterrava sulla mia spalla. Per un poco restava là, mordicchiandomi l’orecchio, poi si dava un’altra scrollata, metteva da parte il sentimento e diventava pratico. Volava sul davanzale ed emetteva un altro ‘chiùu’ interrogativo, fissandomi con i suoi occhi color miele. Questo era il segnale che voleva le persiane aperte.”
Per gli amanti degli animali.
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Ascesa e decadenza di una famiglia.
“I Buddenbrook” è ambientato a Lubecca e narra la storia di una facoltosa famiglia di commercianti durante mezzo secolo; nella scena iniziale, tre generazioni sono riunite nella nuova casa della Mengstasse, ampia e signorile, adatta al loro nuovo tenore di vita dovuto al prosperare degli affari.
Così conosciamo il vecchio Johann B. con “la sua faccia rotonda, bonaria, rosata, alla quale con la migliore volontà non riusciva a dare un’espressione maligna, incorniciata dai capelli bianchi come la neve.” Il figlio con il suo fanatismo religioso, la nuora Elisabeth, con “la sua figura estremamente elegante” e i nipoti: la piccola Tony, vivace e simpatica; Thomas dalla figura estremamente elegante come sua madre e serio e laborioso come suo padre e suo nonno; infine Christian, dal naso adunco, bravissimo a imitare le persone; diventerà la pecora nera della famiglia e sposerà una prostituta che lo rovinerà completamente.
L’autore è bravissimo a caratterizzare i personaggi:
“Elisabeth, nata Kroger, rideva alla maniera del Kroger, incominciando con uno scoppiettio delle labbra e premendo il mento sul petto. La caratteristica di quel volto dal naso un po’ troppo lungo e dalla bocca minuta era che tra il labbro inferiore e il mento non c’era nessun incavo. Come al solito, due o tre braccialetti d’oro le tintinnavano ai polsi.”
“Tony possedeva il bel dono di sapersi adattare ad ogni situazione con abilità, disinvoltura e un vivo gusto per le novità. Si compiacque ben presto della sua parte di vittima incolpevole, si vestì di nero e portò i bei capelli biondo cenere pettinati lisci come da fanciulla.” Incantevole con il labbro superiore leggermente sporgente, è orgogliosa di appartenere ad una famiglia così abbiente da cui non riuscirà mai ad allontanarsi.
“Hagenstrom aveva sposato una donna dai capelli scuri straordinariamente folti che portava alle orecchie i più grossi brillanti della città.” Questo signore è il concorrente principale della famiglia nell’attività commerciale ed è il primo corteggiatore di Tony.
“Hanno saliva in carrozza con il padre, e nei salotti sedeva muto al suo fianco, osservandone quietamente il contegno disinvolto, pieno di tatto, e così ben graduato e variato. Al tenente colonnello che, al momento del commiato, asseriva di apprezzare l’alto onore di quella visita, lo vedeva stringere un attimo le spalle con amabile sgomento; in un altro luogo accogliere serio e tranquillo un’analoga dichiarazione, mentre in un terzo se ne scherniva ribattendo con un complimento ironicamente esagerato … “.
Bellissime le descrizione degli stati d’animo di Thomas quando, arrivato all’apice del successo, non riesce più a gestire la situazione: gli affari vanno male, la moglie non lo ama, il figlio lo delude, la salute comincia ad abbandonarlo e i suoi nervi cedono. Moltiplica le cure del suo aspetto in modo maniacale per nascondere questo sgretolamento interiore che lo sta annientando. Ma la sua intelligenza lo avvicina alla Verità e, come leggeremo più tardi nei libri della filosofa Roberta De Monticelli, si trova di fronte all’enorme e incredibile felicità che l’uomo prova avvicinandosi all’infinito e a Dio:
“Ed ecco, improvvisamente fu come se le tenebre si lacerassero davanti ai suoi occhi, come se la parete vellutata della notte si squarciasse rivelando un’immensa, sterminata, eterna vastità di luce. “Io vivrò.” Disse Thomas Buddenbrook quasi a voce alta. Che cos’era la morte? La risposta non gli fu data con poche e presuntuose parole: egli la sentì, possedendola nel profondo di sé. La morte era una felicità così grande che solo nei momenti di grazia come quello la si poteva misurare. Era il ritorno da uno sviamento indicibilmente penoso, la correzione di un gravissimo errore. Fine, disfacimento? Che cosa si dissolve? Null’altro che questo corpo … questa personalità e individualità, questo goffo, caparbio, grossolano, detestabile impedimento a essere qualcosa di diverso e di migliore.”
Un libro appassionante, bellissimo.
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Poesia brasiliana
Tormentato e ironico: questo è Mario Quintana, un poeta brasiliano. In questo libro, dipinge un mondo che sembra il frutto degli errori di un apprendista stregone che trasforma la realtà provocando indifferenza e solitudine, anziché purificarla e migliorarla. Il risultato è un’umanità meschina, schiava dei suoi desideri, che rimane vincolata alla sfera materiale senza riuscire a proiettarsi verso l’infinito:
“Oh, prendiamo le barche dalle nuvole!
Gonfiamo le vele di venti!
Lanciamo nello spazio, sempre più in alto,
La rete delle stelle …
Ma dalla terra sale un pesante odore di capelli ...
Un lungo, ansimante fremito nei palmeti, intorno ...
La notte nera, lentamente,
Stringe il mondo tra le ginocchia.”
Secondo il poeta, l’uomo teme il nuovo, il diverso, il confronto con la propria interiorità; e quindi rifiuta la poesia che scalfisce le sue certezze:
“La poesia è un sasso nell’abisso,
l’eco della poesia scompagina i profili:
Per il bene delle acque e delle anime
Assassiniamo il poeta.”
Mario Quintana ha l’umorismo e la passionalità propria degli autori sudamericani, come Garcia Marquez e Isabel Allende; come loro, mostra abissi e verità con uno stile musicale e armonioso che si coglie leggendo la versione originale delle sue poesie presente nel testo a fronte.
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Conoscere Londra con Virginia Woolf.
L’autrice, in queste pagine, ci prende per mano e ci mostra la sua amata Londra, invitandoci ad ascoltare la voce di ogni luogo e ad osservare ogni particolare per ricostruirne la storia e comprenderne l’essenza. Così vediamo il porto, pieno di navi “quelle grandi e quelle piccole, quelle malconce e quelle magnifiche che, venendo dal silenzio, dal pericolo, dalla solitudine, ci passano davanti e arrivano finalmente a casa, al porto.” Poi lo sguardo scivola sui magazzini sporchi e squallidi, sulle fabbriche, insomma sulla triste realtà della periferia cittadina. Ma man mano che ci avviciniamo a Londra, il paesaggio comincia a cambiare; incontriamo una casa di pietra circondata da un campo e da alberi, una chiesa, una locanda che “emana a tutt’oggi una strana aria di dissipazione e vizi e piaceri.”
Proseguiamo fino a Oxford Street che non è certamente la via più elegante della città, ma di sicuro la più vivace; qui infatti “ci sono troppi affari, troppi saldi e tutto luccica e scintilla … Autobus, furgoni, macchine, carretti scorrono via come i frammenti di un puzzle che non si compone mai.” Ma le righe più belle riguardano la fragilità dei palazzi costruiti non per durare, come in passato quando si identificava il prestigio con la solidità materiale, ma per essere demoliti e ricostruiti con facilità, come vorremmo esserlo noi stessi. Insieme a Virginia Woolf, ascoltiamo la voce della via, composta dal rumore del traffico e dalle tante voci delle persone, dal venditore di tartarughe, alla modesta casalinga alla prostituta. "Questa strada sgargiante, vivace, volgare ci ricorda che la vita è una lotta; che ogni costruzione è caduca; che ogni esibizione vanità. Dal che possiamo concludere che è vano persino cercare di arrivare a una qualunque conclusione in Oxford Street."
A questo punto, la nostra guida ci porta a visitare le dimore dei grandi personaggi; entriamo in quella dei Carlyle, che ci racconterà più di quanto raccontano le biografie dei suoi proprietari. Infatti, quando entriamo in cucina, ci rendiamo subito conto che non avevano l’acqua corrente; nel seminterrato, c’è ancora il pozzo dal quale la domestica doveva pompare a mano l’acqua, riempire i secchi, salire le scale e portarla nelle varie stanze per pulirle. “La vecchia casa imponente … doveva essere stata un campo di battaglia dove lei e la padrona di casa combattevano quotidianamente contro la sporcizia e il freddo”. Qui, la voce della casa è il fruscio dello straccio sul pavimento e il rumore dell’acqua che veniva pompata. Così, come la scrittrice D. Du Maurier, ricostruisce la personalità dei proprietari sulla base di dettagli e oggetti che gli erano appartenuti. “Come si vede nel ritratto, la signora Carlyle sedeva con il suo bel vestito di seta nella sedia accanto al fuoco scoppiettante e intorno a lei tutto appariva decoroso e solido; ma a quale prezzo l’aveva conquistato! Le sue guance sono scavate, nei suoi occhi si mescolano amarezza e sofferenza. Ecco l’effetto di una pompa nel seminterrato.”
La visita non può prescindere dalle abbazie e dalle cattedrali londinesi; cominciamo da St. Paul che domina la città. Quello che subito colpisce è la sua immensità; come in ogni dimora, anche qui si sente la voce del luogo, pacificata, serena. “E’ qui che si ritirano per l’ultimo riposo i grandi statisti e i grandi condottieri, avvolti in tutto il loro splendore, per ricevere la gratitudine e il plauso dei loro concittadini.” Non è così l’abbazia di Westminster “stretta e puntuta, stremata, animata, inquieta.” Si ha l’impressione che sia in corso un conclave cui partecipano tutti i personaggi qui sepolti – re, regine, duchi e poeti illustri - con la fronte aggrottata e ben decisi a recitare ancora il ruolo che avevano in vita. Persino le statue distese sembrano attente, come se da un momento all’altro potessero alzarsi. “Gli unici posti tranquilli sono i vecchi cimiteri che sono divenuti giardini e parchi d’infanzia. Qui i morti dormono in pace, e non provano nulla ... di buon grado hanno rinunciato ai loro umani diritti di avere nomi distinti o virtù particolari."
La Camera dei Comuni è esattamente come ci si aspetta che sia un edificio pubblico: brutto, con le finestre decorate da brutti stemmi nobiliari, il pavimento attraversato da guide di moquette rossa, gente che entra e esce di continuo. Virginia Woolf ci descrive una riunione di ministri cui ha assistito per caso. Questi signori “ricordano uno stormo di passeri che schiamazzano, pigolano e si disputano un seme o un verme…Irriverenti, ordinari, il naso camuso, le guance rosse, gentiluomini di campagna, avvocati, uomini d’affari – le loro qualità primarie, le loro enormi virtù consistono certamente nel fatto che non si potrebbe trovare un gruppo di esseri umani più normali, comuni, rispettabili, almeno all’apparenza.” Ascoltando l’intervento del Ministro degli Esteri, chiaro e conciso, però, si rende conto che questi uomini pratici e ordinari sono responsabili dell’ordine e del destino della nazione; l’effetto delle loro delibere condiziona la vita quotidiana dei cittadini sia presente che futura a dispetto dell’informalità del convegno.
La nostra guida ha riservato la parte più piacevole alla fine della passeggiata: ci presenta una vera cockney, cioè una tipica signora londinese e, con la sua penna arguta ed elegante, ne dipinge la personalità conservatrice, con tutte le sfaccettature e i dettagli utili a tratteggiarne il profilo.
È un libro molto breve che va letto e riletto per cogliere ed apprezzare le descrizioni e la sorridente ironia dell’autrice.
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Il ritorno del passato
L’autrice narra la storia di una ragazza che lavora come dama di compagnia presso una ricca ed esuberante signora. Durante un soggiorno a Montecarlo, incontra un vedovo molto affascinante; lo sposa e va a vivere nella sua splendida tenuta in Inghilterra. Qui, però, tutto ricorda la moglie defunta, Rebecca, donna bellissima e raffinata, adorata da tutti per il suo carattere brioso: dai mobili che arredano le molteplici stanze della dimora, alla sua camera da letto dove gli armadi contengono ancora i suoi vestiti fino alle regole d gestione domestica da lei imposte che i domestici tuttora osservano. Raggruppando gli scarsi commenti che riesce a strappare alle persone che l'hanno conosciuta, la protagonista ricostruisce faticosamente la personalità di colei che l'ha preceduta. Ma poi si verifica un fatto che ribalta le sue convinzioni e la situazione in modo davvero inaspettato. L’autrice dipinge abilmente i personaggi e gli ambienti perché non si limita alla descrizione puramente fisica ma aggiunge una sottile analisi psicologica basata sull’osservazione dei dettagli. Ecco degli esempi:
“Era una curiosa calligrafia, tutta di sghembo. Una piccola macchia di inchiostro sfregiava l’immacolata pagina opposta, quasi che la mano che scriveva avesse scosso impaziente la penna per far scorrere meglio l’inchiostro. Cosicché sgorgando dal pennino un po’ più denso, quel “Rebecca” risaltava nero e marcato e l’alta R obliqua rimpiccioliva le altre lettere.“
“Questo era il salotto di una donna, leggiadro, fragile: la stanza di qualcuno che con amorosa cura aveva predisposto tutti i particolari, anche minimi, dell’arredo sicché ogni seggiola, ogni ninnolo, ogni vaso fosse in armonia con il resto e con la propria personalità … Strano, riflettei, che quell’ambiente tanto bello e ricco di colore avesse un che di professionale, di metodico … apersi un cassetto a caso; ed ecco di nuovo gli stessi caratteri su un quaderno di pelle il cui titolo “Ospiti a Manderley” segnalava, divisi per settimane, per mesi, gli ospiti che erano giunti e ripartiti, le camere che avevano occupato, le vivande che erano state loro servite.” .”
“Certo ero io la prima a portare l’impermeabile … colei che l’aveva portato era alta e snella, aveva le spalle più larghe delle mie; per me, infatti, era troppo largo e lungo e le maniche mi ricadevano oltre i polsi. Mancava anche qualche bottone. Ella dunque non si era curata di farli riattaccare. Se lo era buttato sulle spalle come una cappa, oppure lo portava così, aperto, le mani in tasca.”
Leggendo, si sente il disagio della protagonista, il suo desiderio di compiacere il marito, di gestire i rapporti con la terribile governante che aveva adorato Rebecca. Da questo libro è stato tratto il film omonimo diretto da Hitchcock e recitato da Ingrid Bergman; D. Du Maurier ha scritto anche la trama de "Gli uccelli" diretto dal regista citato.
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Tintoretto, l'anima e il corpo.
E' la biografia di Jacopo Robusti narrata in prima persona dall'autrice che si immedesima felicemente in questo personaggio geniale e vulcanico. La storia è ambientata nella Venezia della fine del '500 ed è centrata sul grande affetto del pittore per la figlia Marietta. Negli ultimi giorni di vita, egli ripercorre le tappe della sua esistenza rivolgendosi a Dio:
“Prima che tutto vada disperso come cenere, uno per uno ti nominerò tutti i miei peccati, e ti sorprenderai di quanti ne ho ammessi in me. Ma non sono quelli che immagini. Parlerò della vanità, dell’ambizione, dell’egoismo, della tentazione, della degradazione, del risentimento. Ma il mio peccato più grande è un altro.”
Ricorda la sua infanzia nella tintoria paterna dove è nata la sua passione per i colori (è noto come Tintoretto proprio perchè figlio di un tintore); il grande amore della sua vita, una prostituta con cui avrà la figlia adorata; il matrimonio con Faustina, giovane e innamorata, che gli darà figli e figlie e accoglierà in casa Marietta, la preferita di Iacopo, che le insegnerà l’arte della pittura e se la terrà sempre accanto.
Le parole sono appassionate così come i sentimenti del protagonista – affetto, emozione, risentimento, gratitudine. Così le sue riflessioni:
“Ditemi, quando il giorno del Giudizio riavremo in nostri corpi, riavremo la nostra giovinezza, la nostra bellezza, il nostro fuoco, o saremo condannati a indossare per l’eternità la nostra carogna sfigurata dal tempo? Se sarò salvato, il mio corpo godrà la stessa beatitudine della mia anima? Riavrò il mio sesso per l’eternità? Riavrò il piacere, e sarà per sempre? Nel ricongiungimento alla sorgente di tutte le cose, come potrei conoscere una perfetta felicità se non mi sarà dato integro il mio corpo?Il corpo, non la coscienza, mi ha regalato l’estasi e la certezza di fondermi nell’infinito. Mi avete insegnato che l’incarnazione – il farsi carne dello spirito – è il senso ultimo del cristianesimo e del suo eterno scandalo. Come si può dunque separare nell’eternità della resurrezione la carne dallo spirito?”
“Non ho avuto paura di morire – in fin dei conti, Signore, tu mi hai già ucciso – ma di qualcosa di più profondo e terribile, nascosto nelle profondità di me stesso, che tu conosci e io ignoro.”
È una lettura impegnativa che risulta comunque avvincente grazie allo stile barocco e ai ragionamenti del protagonista.
Melania Mazzucco, torinese, ha vinto il Premio Strega con il romanzo "Vita".
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Anoressia e masochismo come espressioni del dolore
E' un libro molto bello perché descrive l'esperienza del dolore di due adolescenti senza commenti o descrizioni prosaiche. L'autore racconta due storie parallele: quella di una ragazzina menomata a causa di un incidente sciistico che diventa anoressica per punire il padre che l'aveva costretta a sciare quel giorno disgraziato; e quella di un bambino che abbandona la sorellina down nel parco e non se lo perdona; così diventa un adolescente introverso che si ferisce fisicamente per punirsi. Leggendo, si sprofonda in quel baratro che non conosce consolazione, in quel terribile stato d'animo in cui la vita perde ogni significato e diventa un incubo quotidiano, una sofferenza costante.
Utile per capire i disturbi della personalità.
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Donne e champagne
Avvince fin dalla prima riga e non tradisce fino alla fine. E' un po' contraddittorio secondo me quando descrive le squille d'alto bordo come donne di buoni sentimenti che lavorano per aiutare le loro famiglie bisognose; in realtà sono delinquenti comuni, pronte a vendere la droga e a rubare, almeno nella maggior parte dei casi. E quando mostra il protagonista come una persona retta, di solidi principi che non vengono scalfiti dall'ambiente violento e malfamato in cui vive. Comunque è appassionante.
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Miseria e dolore
Mi è piaciuto molto questo libro, breve ma incisivo scritto da Agota Kristof, autrice ungherese nata nel 1935 e sempre vissuta all’estero. In “Ieri”, racconta la vita di un emigrato fuggito da una situazione dolorosa e umiliante che cerca disperatamente di lasciarsi alle spalle. Spesso, rivede il bambino che è stato, con tutti i suoi sogni, ora infranti, e la sua compagna di infanzia, che ha amato ma anche odiato perchè accettata dal padre che lui non ha avuto.
Così l'autrice scrive:
“Ieri tutto era più bello
La musica tra gli alberi
Il vento nei miei capelli
E nelle tue mani tese
Il sole"
"Ieri ho vissuto un istante di felicità inattesa, immotivata. E' venuta verso di me attraverso la pioggia e la nebbia, sorrideva, fluttuava al di sopra degli alberi,mi danzava davanti, mi circondava. Io l'ho riconosciuta. Era la felicità di un tempo remoto quando io e il bambino eravamo tutt'uno."
"Credo che presto sarò guarito. Qualcosa si romperà in me o in qualche parte dello spazio. Partirò verso altezze sconosciute. Sulla terra non c'è che la mietitura, l'attesa insopportabile e l'inesprimibile silenzio."
“Vai là dove le persone sono felici perché non conoscono l’amore. La sera chiudono la loro porta a doppia mandata e aspettano pazientemente che la vita passi.” Dedicata a chi rifiuta coinvolgimenti emotivi per preservare l'equilibrio faticosamente conquistato.
"Perchè è diventando assolutamente niente che si può diventare uno scrittore." Forse l’autrice vuole dire che solo quando una persona sprofonda nel dolore e/o non ha stima di se stessa prova il bisogno di scrivere per rifugiarsi in un mondo diverso, più bello, in linea con le sue aspettative.
I temi sono il dolore e la guarigione cioè l’accettazione del passato ("Allora gli uomini del battello, gettando uno ultimo sguardo verso la terra, hanno preso sulle spalle i loro morti.") tematiche che ritroviamo nei film di Almodovar “Gli abbracci spezzati” e di Loach “Il mio amico Erich”.
Da leggere e rileggere per apprezzarne la poesia e la quieta analisi delle emozioni.
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Delitto al nord
L'autrice nordica è bravissima nel creare un clima di suspence e nel tratteggiare i personaggi con indulgenza e simpatia; ci coinvolge immediatamente raccontandoci di una bimba simpatica e molto piccola che segue un uomo down nella sua casa; poi di una ragazza bella, intelligente e sportiva che viene ritrovata sulla riva del lago senza vita. Sullo sfondo, c'è la famiglia della vittima dove una madre molto autoritaria si contrappone a un padre di buon carattere e a una sorella superficiale e passiva; non manca il vicino originale e innamorato della ragazza uccisa. C'è il commissario che vive solo con un cane che adora; soffre di malesseri, ma non si sottopone a una visita perchè ha paura della diagnosi. Riuscirà infine, grazie a un piccolo indizio cui si accenna fin dall'inizio, a individuare l'assassino e il motivo delo delitto. L'unica imperfezione è che la parte finale è troppo breve rispetto al resto della narrazione.
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La natura, fonte di energia e di gioia.
Ecco un libro diverso dagli altri, una prosa ricca e intensa che mescola poesie e riflessioni. L’autrice, la filosofa Roberta De Monticelli, si sofferma sull’intensità di quei rari momenti in cui il nostro io si sente vivo, cioè vicino alla Verità, all’Assoluto, ed è travolto da una felicità incontenibile. Accade davanti allo spettacolo della natura che da sempre si ripete ricaricandoci di quell’energia che è la fonte e l’origine di tutte le cose.
“Questa quieta meraviglia, per piccola che sia, è un attimo di quella specie di felicità che tutti i filosofi, compreso Tommaso d’Aquino, hanno dichiarato la più grande possibile per noi umani: la felicità contemplativa, l’allegria della mente.”
Questo è il vivo. E uno dei modi in cui si manifesta è la preghiera:
“Dicono del pregare vero che, a volte, lo stesso chiedere è ottenere. Così dice Santa Teresa d’Avila che certe volte una preghiera, anche quando è solo una domanda, diventa orazione di quiete. Per capire questo, pensa al Padre Nostro: dici ‘venga il Tuo regno ’ e questo regno improvvisamente è già lì, s’è posato sull’anima e la copre con le sue immense ali di riposo”. E' lo stesso concetto nel libro "The secret".
Così parla della necessità di risanare “questo Paese non più nostro”, che è l’Italia di oggi ma anche il nostro mondo spirituale originario da cui ci siamo allontanati “a causa del groviglio delle bassezze, dei torti e delle storture che lo hanno invaso…La buia scienza che ci insegnano vorrebbe che l’anima ce la curassimo a furia di calunnie …” Questo libretto vuole essere “un omaggio a quel paese dell’anima che ovunque minacciano i crolli e gli sbriciolamenti delle sue povere vecchie ossa, delle sue fragili bellezze: le sue mura merlate e i suoi grifoni, le sue piazze fiabesche e le torri sghembe, i suoi sogni di tufo e di alabastro, la dolcezza perduta dei suoi golfi. Per abbracciarlo e promettergli altra vita, altro tempo, altra storia.”
Tre sono le immagini attraverso le quali l’Uno si è fatto vivo: l’albero, la città e il deserto. L’albero che si slancia verso l’alto cercando l’assoluto e si allarga nel mondo.
“Uno – prima dei molti
oh, paese lucente
prima dei nomi, prima delle stelle
prima dei nostri muti fondamenti
illimitato vivo:
il nulla resta
d’un augurio infinito
nel buio della mente.
E un giorno è festa:
il seminato ascende
vivo per rami immensi
ombra folta dimora
agli uccelli del cielo.”
La città, il paese dell’io, dove l’autrice introduce il concetto di tempo che ne esalta l’antica bellezza ma mette in luce anche la decadenza e la paura della morte.
Infine il deserto che è lo Spirito Santo, simbolo di vita e di rinnovamento, di conoscenza.
Una lettura impegnativa, ma bellissima.
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Libri, tisane e fantasia.
Il protagonista è un libraio che trascorre la vita nel suo negozio, giorno e notte; è così affezionato ai suoi libri da picchiare un cliente che voleva acquistare l'ultima copia di un'opera. Conosce bene i frequentatori abituali, con tutte le loro manie e i loro punti deboli; e sa inquadrare subito quelli nuovi. Nella monotonia di questa vita scandita dal campanello del negozio e dalle tisane che assapora più volte al giorno, ritroviamo un'avventura infinita che scorre tra le pagine di questo libro inconsueto e divertente.
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Benvenuti al nord
L'autrice nordica è bravissima nel creare un clima di suspence e nel tratteggiare i personaggi con indulgenza e simpatia. Così il lettore si immedesima nel protagonista e, come lui, odia la madre alcolizzata, sciatta e spietata; come lui, ama il nonno e fugge con la moto rossa verso la libertà. E fino in fondo, spera che si riscatti e viva felice e contento ...
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Isabella e l'arte di regnare.
Il libro descrive la vita di una delle più affascinanti figure femminili del Rinascimento, Beatrice D'Este, che ha regnato sul ducato di Mantova insieme al marito Francesco Sforza. Consapevole del suo ruolo, diplomatica, ambiziosa, colta e amante dell'arte: queste sono le caratteristiche salienti della protagonista che vive in un'epoca tempestosa in cui l'Italia è divisa in vari feudi, sempre in guerra tra loro e minacciati dalle invasioni straniere. In questa situazione difficile, si destreggia abilmente nelle attività di governo al punto da risvegliare i timori del marito, consapevole della sua personalità determinata e imperativa. E' molto gradevole la parte dedicata alla descrizione delle vesti sontuose con cui lei e il suo seguito si abbigliano per accogliere regnanti stranieri e stringere alleanze; le pagine che illustrano gli incontri con De Pole, un prete anglosassone in realtà mai esistito, che visita Isabella aggiornandola sui fatti politici; il ritorno di Ercole D'Este al castello di Ferrara dopo aver controllato le postazioni per la difesa del suo feudo.
Riporto alcuni brani:
"Mio padre aveva offerto al Moro mia sorella Beatrice; era un'estense anche lei, quella mia sorella brunetta, somigliante all'avo Ferrante d'Aragona, nelle gote pesanti e nella pelle olivastra, che portava due ciocche pendule ai lati del viso per rendere più affilato l'ovale. Beatrice, a Ferrara, era stata taciturna, attenta a osservarmi in ogni moto; e ancora mi meraviglio di avere assistito alla più straordinaria delle metamorfosi. Appena fu a Milano, appena sposa, si rivelò geniale nell'arte di conquistare il marito a forza di seduzioni incalzanti e recitate una per una".
"Mio padre, presso un bancone, aiutato dai suoi paggi, si toglie la corazza leggera, respira dal fondo del petto, getta da un lato i guantoni e allunga le gambe una dopo l'altra perché gli possano sfibbiare gli schinieri. Mia madre fa ancora l'atto di abbracciarlo e riversa su di lui parole commosse, incalzanti, appassionate. Ercole la guarda: il suo viso è benevolo, ma chiuso in una calma impenetrabile indifferenza. E' stanco, ecco. Lei non si avvede che è stanco e che non ha voglia di nulla; non sa che per nessuna ragione accoglierebbe l'invito a uscire da se stesso".
Lo stile ricco, ma al contempo musicale richiede la massima concentrazione per evitare di perdersi nello scorrere delle parole e di non apprezzare adeguatamente la trama. Con questo libro, uscito postumo, l'autrice vince il Premio Strega, ideato da lei e dal marito, un famoso critico letterario.
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L’eleganza del Riccio.
Ne “L’eleganza del Riccio”, l’autrice coinvolge gli stessi personaggi descritti in "Estasi culinarie" soffermandosi però sulla figura della portinaia che, come il riccio, ostenta gli aculei e nasconde un animo sensibile. Altro personaggio importante è una ragazzina che abita nel palazzo, intelligente, osservatrice e distaccata al punto di cogliere la superficialità dei famigliari e del loro mondo. È bellissima la sua descrizione della cerimonia di inizio dei giochi olimpici che segue alla televisione con il padre: tutti i giocatori eseguono meccanicamente una serie di movimenti seguendo il ritmo della musica; ma ce ne è uno che si distingue e si impone all’attenzione:
“Mentre i gesti degli altri andavano verso gli avversari e verso tutto lo stadio che li guardava, i gesti di questo giocatore rimanevano in lui, rimanevano concentrati su di sé e questo gli dava una presenza, un’intensità incredibili. La forza di un soldato non sta nell’energia che impiega per intimidire l’avversario inviando un mucchio di segnali, ma nella capacità di concentrare in sé la forza focalizzandosi su se stesso.”
Riporto altri brani:
“Non c’è niente di più duro e ingiusto della realtà umana: gli uomini vivono in un mondo dove sono le parole, non le azioni ad avere il potere, dove la massima competenza è il controllo del linguaggio. Siamo programmati solo per mangiare, dormire, riprodurci, difendere il territorio e quelli più tagliati per queste cose si fanno fregare dagli altri cioè da quelli che parlano bene ma non saprebbero difendere il proprio giardino, portare a casa un coniglio per la cena e procreare come si deve.”
Consigliato a chi ama lo stile accurato.
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