Opinione scritta da Stefano89
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il coraggio e la passione
L’abbiamo conosciuta nei libri di scuola per i suoi traguardi professionali e per i meriti in campo scientifico. La sua autobiografia restituisce l’affresco di una persona caparbia, innamorata della scienza ma poco incline a svelare il suo lato umano. Sara Rattaro completa questo quadro aggiungendo pennellate di colore e dando profondità e spessore al ritratto di una donna meravigliosa e appassionata. Il romanzo racconta in prima persona, attraverso la voce della stessa Marie Curie, le tappe fondamentali di un’esistenza memorabile. L’evento cruciale, cui tutti gli altri si ricollegano, è la morte del marito Pierre Curie: un incidente che di per se non ha nulla di eccezionale ma che ha il potere di stravolgere il corso di una vita intera. In fondo si sa che “il dolore fa male e quando entra nell'equazione il risultato è imprevedibile”. Le parole di Sara Rattaro dipingono la disperazione della scienziata e danno consistenza alla sua sofferenza rendendola autentica e tangibile. Possiamo sentire anche noi quel pianto da animale ferito riecheggiare nelle stanza segrete del suo cuore, un verso terrificante che assume i colori e le sfumature della solitudine e dello smarrimento di chi ha perso il proprio punto di riferimento. Pierre era tutto: compagno di vita, amante e marito passionale, collega di lavoro, amico e confidente. Ma nonostante lo strazio della perdita questa donna straordinaria riesce a riprendere in mano le redini della sua vita privata e professionale. Da questo momento la voce narrante ci riporta indietro nel tempo e, per usare le sue stesse parole, il passato “si ripresenta come un film” ai nostri occhi. Tutto inizia in una Polonia occupata dai russi dove alle donne non è permesso di studiare. È qui che la passione per la scienza fiorisce e si alimenta, grazie anche agli incoraggiamenti di un padre che, nonostante i pericoli e divieti, consente alle figlie di proseguire gli studi. Ogni capitolo ripercorre un periodo specifico della sua vita: dagli anni della giovinezza, caratterizzati da una cocente delusione d’amore che sarà poi la spinta per trasferirsi a Parigi, all'incontro con suo marito; dalla vita coniugale sempre accompagnata da una intensa attività di ricerca in laboratorio, al periodo successivo alla morte di Pierre, quando l’intera esistenza perde ogni sfumatura e colore; dalla riscoperta dell’amore, che la coglie in maniera del tutto imprevista e quasi dolorosa, alla battaglia per ricevere quel riconoscimento che nessun altro (uomo o donna che sia ) ha raggiunto e che più di chiunque altro merita: il secondo Premio Nobel. Screditata dai colleghi per la sua “condotta immorale”, sminuita dalla stampa per aver intrapreso una relazione clandestina con un uomo sposato, con il “cuore frantumato in mille schegge”, non si da per vinta e va avanti per la sua strada con la determinazione di chi sente ardere dentro di se il fuoco del cambiamento. Né da ragazza, né da moglie e madre, è disposta a patteggiare con una società che vorrebbe ingabbiare il suo genio tra le mura domestiche. Caparbia e coraggiosa non teme di dire la sua ed è disposta a tutto pur di seguire le proprie idee e vedere riconosciuti i meriti di scienziata e i diritti di donna.
Lo stile è fluido e la scrittura è essenziale e anche nei momento in cui viene dato spazio a descrizioni più tecniche o a nozioni scientifiche, l’attenzione resta alta perché queste piccole digressioni offrono la misura della passione che ha nutrito la sua anima.
La capacità di Marie Curie di sfidare i pregiudizi e di combattere i moralismi in una società che riconosce al cervello femminile solo l’abilità di sedurre e accondiscendere, accende delle tematiche purtroppo attuali e concrete. La situazione femminile continua sempre, distanza di anni, a far parlare di se come “una tartaruga che non riesce a uscire suo letargo”. Attraverso la voce di questa donna prodigiosa Sara Rattaro ci ricorda che le difficoltà sono tante ma ciò che rende autentica e speciale un’esistenza è la volontà di trasformare ogni sfida in un’opportunità. Con parole limpide e misurate ci regala una Marie Curie non più scienziata ma donna, una persona per la quale provare empatia e simpatia, un modello attraverso il quale ritrovare la libertà di scoprire chi vogliamo essere. Uomini o donne non fa differenza, tutti possiamo indossare il nostro coraggio e trasformarci in Marie Curie.
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sotto un cielo di rami e foglie
Sulle pendici dell’Etna esiste un posto incantato, un’oasi verde dove è custodito l’albero più famoso e maestoso d’Italia: il Castagno dei cento cavalli, monumento arboreo plurimillenario di inestimabile valore naturalistico e storico. In quel “tempio naturale” sotto “un soffitto di rami intrecciati e foglie” viene ritrovato il corpo di una donna, strozzata e mutilata con una brutalità spaventosa. La scena del crimine è a dir poco agghiacciante e l’indagine si prospetta da subito ardua, soprattutto per la totale assenza di informazioni sulla vittima: nessuna traccia che possa aiutare a identificarla. E’ nuda e priva di documenti. Il suo passato è oscuro e nebuloso quasi quanto il presente: neanche l’ombra di legami familiari, amicizie o conoscenze di sorta, che possano portare luce nel buio di una esistenza apparentemente anonima. In paese la chiamano “Boscaiola” e dai pochi che, accidentalmente, hanno incrociato la sua strada viene descritta come solitaria, schiva, e silenziosa. Insomma: pochi indizi e troppi misteri. Ormai dovremmo saperlo... quando c’è di mezzo il vicequestore Vanina Guarrasi “non c’è caso in cui la morta non si trovi in qualche posto strano”. I delitti più rognosi… nei posti più inaspettati! “Pare che se li va a cercare con il lanternino” osservano i suoi stessi colleghi! Vanina, caparbia e testarda come solo lei sa essere, non si lascia intimorire. Al contrario.. un caso per le mani è sempre un toccasana, soprattutto quando ansie e cattivi pensieri sono pronti ad “attenderla al varco di una notte insonne” e gettarsi a capofitto nell'indagine è l’unico modo per anestetizzarli. Con l’aiuto della sua fidata squadra riuscirà a sciogliere tutti i nodi di questa matassa (e noi su questo non avevamo il minimo dubbio!) che più aggrovigliata non potrebbe essere e che sembra sfidare ogni logica.
La vicenda è ben architettata e accende l’interesse del lettore riuscendo a mantenerlo vivo sino all'ultima pagina e garantendo suspense, tensioni e colpi di scena degni di un perfetto giallo. Agli eventi incalzanti propri dell’indagine si frappongono le avventure private dei vari personaggi, tutti ben delineati e talmente vivi e concreti da diventare per noi lettori, veri e propri amici e compagni di viaggio che dispiacerà lasciar andare alla fine. Ritornano le pene d’amore del dottor Adriano Calì; le tresche amorose dell’ispettore Spanò diventato amante della sua ex moglie ufficialmente ancora compagna dell’uomo per cui a suo tempo lo lasciò (insomma un bel pasticcio!); i tormenti e le disavventure di Costanza che manda all'aria il suo matrimonio e che in queste pagine trova finalmente si ritaglia uno spazio accanto alla sorellastra; le gelosie e i comportamenti sospetti e preoccupanti di Angelina la moglie del commissario in pensione Biagio Patanè. Sarà proprio l’intervento di quest’ultimo a dare una svolta decisiva al caso. Grazie al suo contributo, metodi di indagine tradizionali e “mavarie”moderne diventano tra loro complementari e creano un giusto equilibrio tra recente e antico: le capacità investigative di questa squadra non possono che uscirne rafforzate. Un modo, forse neanche troppo velato, di rimarcare l’importanza dell’esperienza e della saggezza, e di valorizzare il vissuto e la memoria storica di cui Patanè si fa orgogliosamente portavoce. C’è poi l’ispettore Marta Bonazzoli con le sue diete vegane e le sue abitudini salutiste diametralmente opposte a quelle di Vanina e l’ingombrante e impacciato sovrintendente Domenico Nunnari che strapperà qualche sorriso e più di una risata. Ciascuno di loro impreziosisce questa trama, già di per se ricca di colori e sfumature. Le loro avventure riescono a trasformare la vicenda principale della Boscaiola in un contorno, lasciando spazio, al momento opportuno, a sentimenti ed emozioni nei quali possiamo specchiarci.
In questa combriccola, divertente e originale, si distingue poi la vera eroina, Vanina. Tenace e intuitiva, deve ancora imparare a dividersi tra un lavoro che ama e svolge con rara e ammirabile passione, e una vita privata tumultuosa. Amante delle Gauloises, appassionata dei film italiani d’autore, divoratrice di cioccolata e buona forchetta, nasconde, dietro una corazza impenetrabile, le fragilità di un passato che non si dimentica: il dolore per la morte del padre (ucciso da clan mafiosi davanti ai suoi occhi) e il tormentato amore per il magistrato Paolo Malfitano (amore che ha cercato di combattere a lungo ma con scarsi risultati). Vorremmo poterla accompagnare a quei pranzi luculliani alla trattoria di Nino o essere coinvolti anche noi in una di quelle serate a base di film e buon cibo. Dettagli, passioni e piccolezze che in apparenza possono sembrare irrilevanti ,ma sui quali la scrittrice ritorna spesso, perché proprio tra le pieghe di queste abitudini quotidiane si nasconde l’autenticità di un personaggio che ad oggi è tra i più interessanti del giallo italiano.
Emerge nel racconto un amore viscerale per la terra siciliana, per le sue tradizioni (soprattutto quelle culinarie a cui viene dato grande rilievo) e per i suoi panorami selvaggi e incontaminati. Le descrizioni vivide trasportano il lettore in posti unici e spettacolari, cui l’Etna fa sempre da sfondo. Ma non solo.. la scrittrice conferisce un senso di magia, incanto e, oserei direi, sacralità, a un luogo che si è fatto testimone involontario di un delitto cruento e brutale. Con la sua imponenza il Castagno diventa, non solo elemento scenografico, ma personaggio a tutti gli effetti: simbolo del mistero (del delitto) e memoria di un passato mistico e incantato.
Le espressioni dialettali sono frequenti ma non intralciano la godibilità del romanzo, al contrario, rafforzano lo stile e aiutano il lettore a sentirsi parte di questa grande famiglia allargata.
Il castagno dei cento cavalli è un bellissimo romanzo che definirei imperdibile. Porta inequivocabilmente la firma Cristina Cassar Scalia, nel suo stile incalzante, essenziale e rapido. La trama inizialmente sembra procedere lentamente per dare spazio alle vicende personali dei vari soggetti coinvolti ma accelera drasticamente sul finale con un carico aggiuntivo di suspense. La tensione narrativa nelle ultime pagine cresce parecchio e renderà difficile chiudere il libro e dedicarsi ad altro fino a quando il colpevole non verrà assicurato alla giustizia.
Sorellanza, amore filiale, amicizia, senso di protezione, dolore, ansia, complicità.. tutti sentimenti tangibili che si intrecciano come i rami secolari di quell'albero che, dalle pendici dell’Etna, dirige e manovra i fili di una storia che toglie il fiato.
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il prezzo della libertà
Rosetta ha lo sguardo fiero di chi non vuole piegarsi ad angherie e soprusi. Nel suo paese la considerano una poco di buono perché è bella, indipendente e rifiuta di “sposarsi e figliare”. Coraggiosa e determinata si oppone con le sue sole forze alla prepotenza di chi vorrebbe portarle via ciò che le spetta di diritto: la terra che ha ereditato da suo nonno.
Raechel vive in un villaggio della Russia dove alle donne è proibito leggere. Quel cespuglio di ricci scuri e crespi che le incorniciano il viso nascondono due occhi vispi disposti a tutto pur di realizzare il suo sogno: diventare una libraia.
Rocco porta sulle spalle la colpa di essere stato cresciuto da un uomo d’onore. Il suo destino è già scritto. La strada tracciata per lui ha un’unica direzione, quella della totale obbedienza al suo “benefattore”, Don Mimì. Ma nelle sue vene scorre il sangue della ribellione. In un paese come il suo, la libertà di poter scegliere quale guerra combattere non è un diritto da difendere ma un privilegio da conquistare.
Tre storie che nascono in punti geografici differenti e si sfiorano su una nave diretta a Buenos Aires: sulla stiva bagagli di sogni e speranze, valigie di promesse e illusioni, bauli di aspettative e desideri.
Tre vite in apparenza molto diverse eppure accomunate dalla stesa voglia di ritagliarsi il proprio spazio nel mondo e disegnare un futuro con nuovi colori.
Tre destini che inevitabilmente dovranno convergere, intrecciarsi e mescolarsi in una Buenos Aires che agli inizi del Novecento è tutt'altro che materna, accogliente e benevole.
Ad attenderli c’è una realtà fatta di soprusi e sopraffazione. Ancora una volta è la logica del più forte a dettare legge e a pagare pegno sono le donne e i bambini. Quel carico di speranza, che viaggiava sulla stiva della nave, si è perso nel blu di un oceano senza confini. Inizia così un’avventura che sintetizzare nello spazio di poche righe sarebbe impossibile. Corse a perdifiato, travestimenti originali, traffici loschi e complotti illeciti. Seguendo le loro prodezze e fronteggiando gli imprevisti che si presentano sulla loro strada, l’attenzione del lettore resta accesa dall'inizio sino alla fine. E’ un’avventura in cui realtà e finzione travalicano i rispettivi confini: nelle pieghe di questo intreccio magico risiede l’incanto di una vicenda che sa emozionare e toccare il cuore. C’è da sorridere per i modi impensabili in cui Rocco riesce a tirarsi fuori dai guai; c’è da commuoversi per la dolcezza di quel sentimento che scalda il cuore di Rosetta quando ritrova il suo amore; c’è da riflettere quando il registro cambia, e a occupare la scena sono la miseria e l’oppressione.
La condizione della donna, concepita come un oggetto, violata e usata come merce di scambio, diventa centrale e la paura e la sottomissione sono palpabili. I temi della schiavitù e del libero arbitrio sono affrontati con grande cura e meritano davvero la nostra attenzione perché sebbene si parli di una Buenos Aires che appartiene al passato, leggendo queste pagine si ha la sensazione che queste tematiche per quanto brutali e scomode, siano purtroppo ancora attuali, resistenti e concrete.
La capacità di dare spazio anche a temi crudi e abietti della realtà è merito di una scrittura autentica e trasparente che sa andare dritta al bersaglio. Luca di Fulvio non si perde in giri di parole, qualunque sia il sentimento che deve arrivare al lettore. Anche quando la violenza e la sopraffazione tiranneggiano e esigono il loro spazio, lo scrittore non si tira indietro, nulla nasconde e nulla addolcisce e questo ci trasporta inevitabilmente dentro il racconto, a fare il tifo per i personaggi, a sperare per la loro sopravvivenza, a esultare per i loro successi e.. talvolta anche ad arrabbiarci per questa realtà che sa essere spietata.
Il racconto è scritto in terza persona con punti di vista alternati, si ha quasi l’impressione di assistere a una sceneggiatura in più atti e grazie allo stile incalzante e avventuroso si fa difficoltà a interrompere la lettura. Ogni vicenda richiama inevitabilmente la successiva, ogni capitolo che si conclude è un invito ad iniziare il successivo. Nonostante le 630 pagine la lettura è scorrevole e la narrazione procede spedita. I personaggi sono descritti con dovizia di particolari; le loro personalità curate nei minimi dettagli. Al viaggio fisico che li ha portati in una terra straniera si accompagna un cammino di crescita interiore e di cambiamento: i ragazzi pieni illusioni che incontriamo nelle prime pagine diventano alla fine del racconto adulti responsabili e consapevoli. La sensazione sarà quella di averli visti in carne e ossa percorre i vicoli del barrio e destreggiarsi tra le urla e richiami del porto, in una città che ferisce, a volte tradisce ma non si dimentica.
Un romanzo febbrile, intenso, indimenticabile. Una storia di ingiustizie e prepotenze ma anche di riscatto e speranza che ci mette davanti a un quesito antico ma sempre attuale: qual è il prezzo che siamo disposti a pagare per essere anche noi figli della libertà?
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ascoltare la pioggia
A Pizzofalcone è arrivata la pioggia. In un martedì di novembre come tanti. Inesorabile. Spietata. Implacabile.
E’ pioggia per il vicequestore Luigi Palma, che annega in un mare di solitudine, costretto a vivere il suo amore nell'ombra. Come un ladro e un criminale.
E’ pioggia per l’ispettore Giuseppe Lojacono, sommerso dalla disperazione che allega gli occhi di sua figlia.
E’ pioggia per l’assistente capo Francesco Romano, braccato da un nuovo demone: l’amore che “arriva e butta tutto all'aria come la rabbia”.
E’ pioggia per la vicesovrintendente Ottavia Calabrese che, rinchiusa nella sua gabbia familiare, affoga in un mare di sogni e di sensi di colpa.
E’ pioggia per l’agente assistente Alex Di Nardo, che si trova a remare contro corrente per salvare gli affetti e la famiglia.
E’ pioggia per un’intera città, straziata da un delitto incomprensibile: l’avvocato penalista Leonida Brancato, ribattezzato “re del cavillo”- ormai in pensione per la gioia dei suoi avversari - è stato strangolato nel suo appartamento. L’assassino si è accanito su quel vecchio corpo malandato con una crudeltà che parla di rancore e vendetta. E’ un caso che scotta perché l’importanza del defunto richiama da subito l’interesse delle alte sfere, che vorrebbero affidare l’indagine a personale più qualificato affidabile, con conseguente capitolazione di quella squadra di reietti “cacciati dalle varie strutture per un sacco di ottimi motivi” e che il commissariato di Pizzofalcone ha riunito sotto un unico tetto. Nonostante le malelingue che li reputano inadeguati, i Bastardi proseguono per la loro strada con determinazione e caparbietà, riuscendo, non solo a mettere insiemi i pezzi del puzzle, ma anche ad incastrarli alla perfezione.
La vicenda è accattivante e ben costruita. La risoluzione del caso cattura l’attenzione immediatamente e invita a divorare ogni pagina, con la smania di guardare in faccia il colpevole quanto prima. Se ogni giallo che si rispetti esige un finale imprevisto e imprevedibile allora il romanzo non deluderà nessuno. Tuttavia, a far sospirare il lettore e a tenerlo con il fiato sospeso, sono soprattutto le vicende private di questa squadra sgangherata e fuori dalle righe. Ormai il team si è trasformato in una vera e propria famiglia, legata non da vincoli di sangue e lignaggio, ma da rispetto e fiducia reciproci. Lo stile limpido, pulito e fluido rende la lettura ancora più apprezzabile, unitamente alla scelta di raccontare le motivazioni di un delitto, apparentemente incomprensibile, tramite la voce dello stesso assassino: attraverso questo fiume di parole è più semplice accettare che spesso, oltre i confini del male, si nasconde un cuore che sanguina.
Come pioggia travolgente, poesia e musica impregnano ogni pagina del romanzo, conferendo alla scrittura di Maurizio de Giovanni una connotazione magica e originale. Con grande sensibilità e sorprendente audacia riesce a trasformare una perturbazione climatica, incessante e devastante, nella vera protagonista della storia. Prepotente ed egocentrica, influenza ogni decisione e sommerge tutti i sensi. La vista: è una pioggia fatta di luce. Il tatto: è una pioggia che accarezza la pelle. L’udito: è una pioggia che con il suo stillicidio segna il tempo della vita e della morte. Si insinua nelle pieghe dell’anima rimestando con cieca furia, rancori, turbamenti, paure e rimpianti che si pensava fossero annegati per sempre. Diventa colonna sonora di un delitto e poesia della vita privata, non solo dei protagonisti, ma anche di ogni lettore che, di fronte a questa pagine di dilagante realtà, non ha altra scelta se non quella di lasciarci portare alla deriva, perché la pioggia si sa.. non lascia scampo, martella, incalza ma alla fine se si ha la forza di ascoltarla e di accoglierla può regalare attimi di speranza, conforto e redenzione.
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Una pantera...in gabbia
Ginevra 2 luglio 2022. Un gruppo di agenti della polizia è in agguato all'esterno di una prestigiosa gioielleria del centro: sanno che di lì a poco due uomini dovranno rapinarla e il loro compito è quello di incastrarli e consegnarli alla giustizia. Chi ha fatto la soffiata e chi sono i due ladri misteriosi? Per spiegarcelo Joel Dicker ci trascina immediatamente alle porte di una lussuosa villa dalle pareti di vetro, immersa nella foresta e abitata dall'invidiabile famiglia Braun: Arpad, Sophie e i loro bambini. Ricchi, belli e innamorati, conducono quella che, senza troppi giri di parole, potrebbe definirsi una vita da sogno in una casa da sogno. Poco distante da questa scintillante perfezione si staglia la dimora dei coniugi Liegean, un’abitazione più modesta e decisamente male inserita nel contesto delle eleganti case che la circondano, tanto da meritarsi il poco lusinghiero appellativo di “obbrobrio”. Karine e Greg, trasferiti di recente, si illudono di aver lasciato il passato nel precedente quartiere e di poter riscrivere la loro storia tra quelle mura, edificate a un passo dall'ambita elite della città. Eppure qualcosa sembra non andare. La loro quotidianità, scandita dai ripetitivi impegni lavorativi e familiari, disturba parecchio se confrontata con la dorata perfezione della famiglia Braun, con la quale, nonostante i diversi tenori di vita, stringono subito amicizia.
Come si amalgamano queste esistenze tanto diverse tra loro? Qual è il sentimento che fa da collante nei loro reciproci rapporti?
Non ci sono ancora abbastanza elementi per rispondere e allora l’autore ci fa scavare ancora più in profondità affondando gli artigli in un passato più remoto. Ecco che ci troviamo circa quindici anni prima a percorrere le strade si Saint Tropez a bordo di una Aston Martin rubata, che sfreccia a grande velocità sull'asfalto finendo poi la sua corsa sulle rocce. Il conducente è un ragazzo per bene che risponde al nome di Arpad Braun destinato ad una brillante carriera nel settore della finanza. Accusato di furto viene subito condotto in carcere ma con quell'ambiente losco ha ben poco a che fare. Tra le sbarre una nuova conoscenza (Fauve, tenete a mente questo nome!) cambierà le sorti di tutta la sua esistenza (nel bene o nel male non è dato saperlo al momento!).
A partire da questo episodio Joel Dicker ripercorre i trascorsi di ciascuno dei personaggi, srotolando una matassa di eventi che inesorabilmente riconduce a quel fatidico 2 luglio, giorno della rapina ed evento cruciale di tutta narrazione.
Non si poteva trovare un modo più esplicito per svelare le connessioni tra un passato e un presente che di continuo si intrecciano e si mescolano! La trama è ben sviluppata e molto accattivante. Gli avvenimenti raccontati da un narratore esterno onnisciente, sono credibili se valutati singolarmente tuttavia centrifugati nelle pagine del libro rischiano di sfiorare i confini dell’assurdo e di risultare nel complesso poco credibili. Troppi segreti da tacere, troppe bugie da nascondere. L’effetto sarebbe stato buono anche con una storia un po’ meno articolata e leggermente più realistica. In ogni caso se l’obiettivo era affascinare e coinvolgere il lettore direi che il romanzo riesce bene nell'intento. In compagnia di Joel Dicker non ci si annoia proprio! La suspense non manca, e il ritmo è incalzante tanto che nonostante le 440 pagine si fa difficoltà a staccare gli occhi dal testo e ad abbandonare la lettura. C’è chi, a malincuore, sostiene che il libro si discosti parecchio dai precedenti ed effettivamente non si ritrovano le accurate descrizioni psicologiche che ci hanno fatto amare Marcus Gold in “La verità sul caso Harry Quebert”: che la diversità sia ricercata e che lo scrittore abbia voluto segnare un confine con i suoi precedenti successi letterari è cosa evidente. A mio avviso il cambiamento è piacevole e apprezzabile, ma in ogni caso lo stile rimane inconfondibile: l’alternanza di piani temporali e i rimandi a un passato che si rivela lentamente non intralciano la godibilità di una trama dal finale imprevedibile. Più che leggere un libro si ha la sensazione di guardare un film poliziesco. Ossessioni, bugie, perversioni, delusioni si nascondono tra le righe tanto che il lettore sarà portato a dubitare persino della credibilità della stessa voce narrante. Nessuno è ciò che sembra e l’animale selvaggio, da cui il romanzo prende il titolo, diventa una metafora ben cucita su ciascuno dei personaggi. Addomesticare la pantera che cresce dentro di se equivale a indossare una maschera che nasconde agli altri la propria natura. Il messaggio è inequivocabile: alla fine il cucciolo richiamato dal ruggito della libertà ritorna predatore e quegli impulsi ferini, se ingabbiati in una esistenza patinata ma pur sempre ingannevole, finiscono in breve per ridurla in brandelli.
In fin dei conti chi tradisce chi? Chi è buono e chi è cattivo? Di chi ci si può fidare in questa foresta fatta di carta e di parole? Questo è il dubbio che rimane tale sino all'ultima pagina.
Per scoprirlo dovrete affondare anche voi gli artigli in queste pagine.
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UN KILLER INSOLITO
E’ uno spettacolo insolito quello che va in scena al laboratorio dei costumi del Teatro di Roma. A sorprendere non è tanto la nuova edizione della Traviata (originale si, ma poco convincente!) quanto l’insieme di eventi che accompagnano la cena successiva. Tito Cannelli, il titolare della famosa maison di moda che ha curato gli abiti dell’opera lirica, si accascia al suolo e muore. Alla rappresentazione poteva forse mancare Manrico Spinori, Pubblico Ministero dai gusti raffinati e dall'intuito formidabile? Questa volta, suo malgrado, si ritrova addirittura spettatore diretto del dramma. Pare che il killer sia però piuttosto insolito: il de cuius è stato freddato dalla puntura di un calabrone (Vespa Mandarina) proveniente nientemeno che dal Giappone. Tra l’altro il bizzarro assassino è stato messo a tappeto in tempi record dalla mano spietata dello stesso PM. Caso chiuso dunque! Non esattamente! Il procuratore Generale, Gaspare Melchiorre, gli affida subito le indagini se non altro per mettere a tacere la stampa che già dopo poche ore è in pieno fermento. Potrebbe sembrare il caso più semplice e banale della storia, eppure il ritrovamento di due cadaveri, non costituisce di certo un incentivo all'archiviazione delle indagini, soprattutto perché i due malcapitati appartengono alla cerchia di conoscenze del defunto Cannelli. Possibile che si tratti di una tragica fatalità? A Manrico non resta altra scelta che andare avanti e lasciarsi condurre nel mondo eccentrico dell’alta moda, tra avvocati che vanno a braccetto con la criminalità organizzata, stilisti eccentrici, modelli arrivisti e acquirenti competitivi e pronti a tutto. Sarà accompagnato, anche questa volta, dalla sua squadra tutta al femminile e in particolare dall'ispettrice Deborah Cianchetti che, con i suoi metodi pratici e risolutivi, oltre a strappare più di un sorriso, sarà determinante nella risoluzione del caso. Ma a guidarlo nei meandri di questo universo sconosciuto sarà la misteriosa Vera Grant, direttrice del canale telematico Absolute Fashion. Intrigante, colta e affascinante riesce da subito a catturare la sua attenzione e chissà, magari, a ritagliarsi anche un posto di tutto rispetto nel suo cuore?
Insieme a loro sarete catapultati anche voi nel mondo luminoso della moda. Prestate attenzione a fronzoli e ornamenti dai colori sgargianti perché potreste restare abbagliati: guardando a luci spente troverete un microcosmo intriso di gelosia, corruzione e invidia. Come accompagnamento a una prosa essenziale ma decisa e incalzante ritroverete la solita musicalità che fa da sottofondo alle indagini del PM melomane. D'altronde si sa che l’opera e la vita quotidiana si scambiano spesso gli abiti di scena e difatti anche stavolta sarà un’opera lirica a fornire la chiave di lettura del delitto puntando i riflettori sulla vera protagonista, nascosta dietro le quinte: la vendetta, fredda lenta e spietata.
Le parole scorrono pagina dopo pagina, i personaggi sfilano sul palco edificato dalla penna di Giancarlo De Cataldo come fossero attori reali, intenti a recitare e cantare un trama ben congegnata che non esime da una attenta riflessione sulla dimensione umana e personale. Una conferma per gli appassionati del genere, una scoperta per i nuovi lettori.
Mettevi comodi lo spettacolo inizia!
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Curioso e divertente
Cosa potrebbe succedere se nel laghetto di una tenuta vitivinicola della Maremma venisse rinvenuto il motocarro Ape di un noto produttore di vino, tale Crisanti Olivieri Frangipane, proprietario della tenuta adiacente peraltro scomparso ben dieci anni fa? Potrebbe essere un caso che proprio il giorno della misteriosa sparizione entrambe le aziende fossero impegnate nei festeggiamenti per la vittoria di un importante riconoscimento (i Tre Bicchieri della rivista specializzata “Gambero Rosso”)? Chissà poi se è rilevante il fatto che proprietari e amministratori delle due tenute limitrofe fossero notoriamente in pessimi rapporti tra loro? Effettivamente a sentire le premesse, qualche motivo per storcere il naso ci sarebbe pure. Sinora pare che gli ingredienti per un buon giallo siano tutti presenti. Servirebbe a questo punto una buona dose di acume e un fiuto sopraffino, qualità che non mancano rispettivamente alle due protagoniste della vicenda: Corinna Stelea, sovrintendente di origini rumene, un metro e novanta di intuito sbirresco e Serena Martini, chimica casalinga, nonché moglie e madre a tempo pieno ed esperta sommelier. Tanto brusca e ruvida la prima quanto solare e impetuosa la seconda. Seppur con caratteri diametralmente opposti la loro sarà un’accoppiata vincente e insieme riusciranno a mettere a posto i pezzi di questo puzzle.
La trama di per se è abbastanza semplice e non voglio anticipare altro anche perché già dopo poche pagine si può intuire quale sarà lo sviluppo della vicenda. Tuttavia il libro a mio parere è davvero singolare. A renderlo speciale è sicuramente l’ambientazione. Le descrizioni sono talmente accurate che durante la lettura si ha l’impressione di veder sfilare davanti agli occhi gli indimenticabili paesaggi della Maremma. Oltre a questo viaggio così suggestivo nelle campagne toscane è particolarmente piacevole l’esplorazione del mondo dell’enologia: tra bottiglie, annate, temperature e processi produttivi, tappi e degustazioni c’è davvero da imparare, sia per chi qualche conoscenza già la possiede, sia per chi è assolutamente estraneo alla materia. Non mancano poi svariate digressioni (dalla famiglia al rapporto di coppia, dalla società alla vita lavorativa e più in generale alle difficoltà quotidiane) insaporite con un pizzico di ironia e sarcasmo che conferiscono un gusto unico alla scrittura e lasciano il lettore a metà strada tra il comico e il paradossale, indeciso se orientarsi verso la riflessione o lasciarsi andare alla risata. Si legge, si impara, si riflette e ci si diverte. Cosa affatto scontata direi! La sintonia tra narrazione e dialoghi rende il libro perfettamente equilibrato, sintomo di una capacità espositiva fuori dal comune. Originale anche la scelta di alternare capitoli esposti in prima persona femminile da Serena, a capitoli scritti in terza persona da un narratore maschile esterno che viene presentato come il senso del dovere di Corinna. Questa fusione dei punti di vista di genere è un altro elemento di forza che rende la lettura ancora più intrigante.
“La regina dei sentieri” si cela tra le pagine e gioca con i lettori, insegnando che ogni mappa disegnata intorno a noi è un labirinto, fatto di percorsi più o meno impervi e pericolosi, tra i quali si nasconde sicuramente la via che può renderci liberi: una libertà che, alla consapevolezza di se, unisce quella forza necessaria per raggiungere ogni meta. E’ il primo libro che leggo firmato a quattro mani da Marco Malvaldi e Samantha Bruzzone e sicuramente non sarà l’ultimo. Il consiglio che posso darvi è di fare altrettanto.
Sorseggiate ogni pagina come fareste con un buon vino!
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