Opinione scritta da Lalyra
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Dolce e delicato, da leggere di notte, prima di do
Partire, allontanarsi da tutto ciò che sta troppo stretto ad un ragazzo di vent'anni o poco più. Lasciarsi alle spalle la perdita della madre, la nascita di una bambina venuta al poco dopo una brevissima notte d'amore, un fratello autistico ed un padre anziano.
Lobbi, il protagonista del romanzo, decide di ricominciare, di far germogliare la varietà di rosa a cui è affezionato, eredità della madre, in un altro luogo, un monastero lontano da casa.
Qui, prenderanno vita non solo le rose ma anche numerose riflessioni sulla sua esistenza, sul legame con il suo corpo e le attrazioni, fisiche e non, con l'altro sesso, impacciate e alle prime armi.
Lobbi scoprirà che i sentimenti, come le rose, necessitano di cura e attenzione costante: scoprirà che per diventare padre bastano pochi attimi, ma per esserlo bisogna intessere un legame, dar nutrimento e sostegno.
Ne sarà consapevole passando del tempo con la sua piccola Flora Sol, dalla quale si è allontanato per cercare se stesso, per sciogliere quei nodi in cui si è ritrovato, immerso in quell'intricato groviglio si situazioni e circostanze ben più grandi di lui.
Indubbiamente è un romanzo che fa riflettere, sulla paternità (interessante la scelta dell'autrice di soffermarsi sulla figura maschile), sulla ricerca di sè, su ciò che nella vita è essenziale e da cui spesso sembra più facile scappare che affrontare a muso duro, per paura di non esserne all'altezza, per incertezza o per inesperienza, per una serie di costrutti mentali che poi si scoprono essere superflui e che crollano come un castello di carte di fronte all'autenticità dei sentimenti, quelli veri, quando si ha la fortuna di incontrarli sul proprio cammino.
Un romanzo dolce, delicato, da leggere e assaporare nella sua disarmante limpidezza, merito anche della scrittura dell'autrice, asciutta, essenziale, senza tanti fronzoli. Aspetto da apprezzare quando poi in realtà sono le esperienze a raccontare più che le parole arzigogolate e fin troppo ricercate.
Personalmente, chissà perchè poi, forse per la grande e profonda intimità che ho provato per questa narrazione, ho letto l'intero libro soltanto la sera, alla luce soffusa della lampada sul comodino, prima di andare a dormire. Consiglio di fare lo stesso, risulterà una piacevole compagnia.
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un viaggio nel tempo come balsamo per chi resta
Presa dal passaparola molto vivace e le numerosi recensioni, ho deciso di leggere questo romanzo in cui grazie ad una caffetteria speciale e al caffè che qui viene servito è possibile compiere viaggi nel tempo, andare nel passato o nel futuro.
L'idea di fondo, questa possibilità di andare avanti o indietro nel tempo per poter dire quello che non si è detto, per poter provare emozioni tenute nascoste, devo dire che è carina, ma ho trovato che il tutto si sia svolto in maniera un po' "piatta".
Cioè viste le premesse, mi aspettavo qualcosa di più. In particolare, da amante della letteratura giapponese e della cultura del Sol Levante, da un autore giapponese credevo di riuscire a trovare quella finezza psicologica nelle descrizione delle situazioni e dei personaggi che invece purtroppo non ho trovato.
Come dicevo, l'idea di fondo attorno alla quale ruota tutto il romanzo, declinato nel racconto di quattro esperienze differenti vissute da coppie di personaggi che danno anche il nome ai relativi capitoli, è molto interessante. Allo stesso modo, anche le regole che questa curiosa e rinomata caffetteria ha definito per i viaggi nel tempo sono molto intriganti, inducono alla riflessione sul fatto che viaggiare nel tempo non significa poter cambiare il corso degli avvenimenti, ma corrisponde soltanto ad un dolce balsamo per lenire il dolore di chi sopravvive ai cambiamenti nati dallo stesso scorrere del tempo e dalle relazioni umane.
Una storia leggera, carina, ma tolti alcuni passaggi, che a me sono sembrati quasi inseriti a posteriori nella narrazione per arricchirla un po', una storia che non rimane troppo impressa nella mente del lettore.
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L'incompletezza dell'esistenza
Questo romanzo è stato per lungo tempo sui ripiani della mia libreria, nonostante la voglia di leggerlo e la storia di Alice e Mattia mi abbia sempre incuriosita.
In questi giorni era arrivato evidentemente il momento "giusto" per leggerlo, e l'ho capito con un semplice segnale a conferma di ciò, perchè l'ho letteralmente divorato in due giorni.
La narrazione scorre veloce, si fa davvero leggere con facilità, ed i capitoli, spesso alternati nella trattazione delle vicende dei due protagonisti, rendono molto bene il punto di vista di entrambi, in particolare nelle vicende che li riguardano, quelle in cui i due destini si sono intrecciati.
Si tratta di un romanzo che affronta molti temi, primo fra tutti, come si evince dal titolo, quello della solitudine. Una solitudine amara, figlia dell'incomprensione, delle parole non dette, delle emozioni non pienamente espresse, che ha come cardine i due protagonisti ma attorno ai quali si scoprono numerose relazioni che fanno da satellite ai loro sentimenti senza mai approfondire gli abissi che nascondono e portano con sè. Una solitudine che provano questi due adolescenti diventati adulti vivendosi accanto, sfiorandosi, ma senza mai davvero toccarsi, e che in alcuni tratti sembrano condividere, immaginando se stessi come le uniche anime in grado di comprendersi davvero e per questo sentendosi uniti in questo legame, unico e indissolubile.
Una frase molto bella del romanzo che cito di seguito riassume tutto ciò: "Se lui si fosse spostato, lei l'avrebbe percepito in qualche modo. Perchè lei e Mattia erano uniti da un filo elastico e invisibile, sepolto sotto un mucchio di cose di poca importanza, un filo che poteva esistere soltanto fra due come loro: due che avevano riconosciuto la propria solitudine l'uno nell'altra".
Ma non solo solitudine: è un romanzo che parla di perdita, di bullismo, di relazione con il proprio corpo che sfocia nell'anoressia e nell'autolesionismo, di relazioni genitori-figli, con le loro incomprensioni e quella cecità da parte degli adulti di fronte ai silenzi dei figli.
Questo altro tema in particolare fa da sfondo all'intero romanzo, perchè la vera solitudine Alice e Mattia la provano nell'inesistenza del legame con i loro genitori, presenti-assenti, nell'incapacità di comunicare e comprendersi vicendevolmente, aspetto che si ripercuote in moltissimi frangenti della loro esistenza.
Nel complesso, per certi versi ho apprezzato la trama e la capacità dell'autore di rendere con chiarezza le emozioni provate, ma non credo mi abbia convinto del tutto, forse perchè mi aspettavo qualcosa di più da questo romanzo di cui si è parlato e scritto molto.
Potrei dire che non mi ha emozionato molto, mi ha lasciato un po' di domande su questioni e temi che invece avrei preferito fossero approfondite un po' di più, in particolare nel finale, e che invece trovo siano stati un po' abbandonati tra le pagine prima di concludersi.
Forse perchè da inguaribile romantica mi sarei aspettata un finale diverso, ma mi sento comunque di consigliarne la lettura perchè è una piacevole lettura, sicuramente non leggera ma apprezzabile da chi crede nella forza dei legami, quelli unici e indissolubili, quelli che crescono con te, che restano nonostante i mutamenti della vita, quelli che sanno salvare, prima di tutto da se stessi.
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Per quanto riguarda la trama, anche a chi ha letto e apprezzato Un giorno di David Nicholls.
Sospensione
Devo dire che mi risulta difficile provare a recensire questo romanzo. Adoro Murakami, conosciuto ormai quasi 10 anni con il suo best seller Norwegian Wood, adoro la sua prosa, la sua grandissima capacità di introdurre il lettore in mondi onirici e paralleli, indubbiamente complessi, con mille sfaccettature spesso non immediatamente recepibili o comprensibili. E spesso è proprio questo che mi fa innamorare dei suoi romanzi.
Con questo, non è scattata la scintilla, cioè credo di non averlo trovato all'altezza degli altri suoi romanzi, forse perchè si tratta di una delle sue prime opere, o forse perchè ho trovato che mancasse qualcosa a tenere insieme l'inizio della narrazione con il proseguire delle vicende.
Ho trovato in ogni caso molto interessante e in linea con la scrittura di Murakami la trama, la scelta di narrare le vicende di un giovane pubblicitario dalla vita ordinaria, appena separatosi dalla moglie, a cui viene chiesto di ritrovare una pecora molto particolare immortalata in una fotografia che lui ha scelto di usare per una newsletter di un cliente.
Da qui si dipanano una serie di scelte che il protagonista dovrà affrontare, in un tempo relativamente limitato, scelte e non scelte che comportano delle scoperte, alcune volte dolorose, che dall'esterno, da qualcosa di così lontano da lui, come la ricerca di una pecora nelle lande sperdute dell'Hokkaido, si riversano nella sua interiorità, nei suoi legami, quelli nuovi e quelli legati al passato.
Sospensione perchè come in molti altri romanzi dell'autore è questa la richiesta che viene fatta al lettore: sospendere ogni riflessione "ordinaria" per potersi immergere in un universo parallelo, fatto di intrecci e risposte a domande lasciate sullo sfondo, che però inesorabilmente tornano, ad un certo punto, e con le quali è necessario fare i conti per poter andare avanti, crescere, evolvere, ma soprattutto osservare la vita da una prospettiva differente.
Per questo, come sempre, ringrazio l'introspettiva ma così limpida prosa di Murakami: ogni volta che leggo un suo romanzo, dopo un'iniziale interdizione, mi rendo conto di non essere quella di prima.
Per chi è in procinto di leggerlo, consiglierei di farlo ma, come è successo a me, di non rimanere delusi se lo si percepisce un po' al di sotto delle aspettative che si potrebbero avere leggendo questo autore, se già conosciuto, perchè anche questo è Murakami, e per apprezzare a pieno un autore credo che prima o poi bisognerebbe riuscire a leggere quanto più possibile dei suoi romanzi.
Per chi non ha mai letto nulla, consiglierei di iniziare da altri libri dell'autore, per esempio L'uccello che girava le viti del mondo o Kafka sulla spiaggia, per poi approdare in un secondo momento a questa sua opera.
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Un affresco delle convenzioni della Ney York di fi
Per me, una piacevolissima scoperta. Ecco che cosa è stato per me questo romanzo, che ammetto, non senza un briciolo di vergogna, di aver scoperto solo pochi mesi fa, quando ho deciso di acquistare l'edizione inserita nelle uscite di "Storie senza tempo". Non avevo mai letto nulla di questa autrice e credo proprio che dovrò rimediare. Ho apprezzato molto lo stile della sua prosa, a tratti ironica ma capace di esplorare in profondità le emozioni provate nelle diverse fasi del racconto dai protagonisti.
Primo fra tutti, Newland Archer, giovane avvocato della borghesia newyorkese, in procinto di sposarsi con May Walland, giovane donna anche lei appartenente allo stesso contesto.
La sua vita si può definire superficialmente soddisfacente, tra inviti a balli e ricevimenti nelle lussuose ville borghesi della città, tra serate a teatro e riflessioni nei salotti sulla politica e la cultura.
Sotto sotto però Archer sa di provare un po' di insofferenza verso le convenzioni della società in cui vive, verso le richieste e i precetti da seguire perché quelle sono le aspettative, un'insofferenza che dimostra nei suoi comportamenti, talvolta "fuori luogo", lui stesso consapevole delle sue dimenticanze.
Questo scintillio di insoddisfazione, talvolta espresso, talvolta taciuto, divampa in maniera definitiva quando incontra Ellen Olenska, cugina della futura moglie May, di ritorno dall'Europa e dalla fine di un matrimonio a cui ha scelto di mettere fine.
Ellen, al contrario di May, che sembra non saper far altro che conoscere alla perfezione come si vive in società, sempre così prevedibile, composta, conformista alle regole imposte, rappresenta l'indipendenza, la volontà e la concretezza di compiere scelte controcorrente, spesso non comprese e anzi considerate non rispettabili da parte della società.
Forse è stato proprio questo ad attrarre lo spirito di Archer, l'aver trovato in Ellen la via d'uscita da quel mondo di convenzioni e aspettative che la società impone: Ellen rappresenta il coraggio di andare contro, il saper dire di no, pur essendo donna e sola, ad un matrimonio nel quale si sente in gabbia, insoddisfatta e ingannata.
La loro relazione sarà sempre un avvicinarsi senza mai aversi, un essere vicini ma sempre irraggiungibili, sarà un tendersi senza mai poter stare realmente insieme, perchè entrambi sono consapevoli non essere come le altre coppie, non potranno mai essere come le altre coppie, come la stessa Ellen chiede ad Archer.
L'innocenza che Archer pensa di attribuire a May, presunta inconsapevole di ciò che i due amanti provano, chiusa nella sua bolla di false cortesie e buona educazione, in realtà scoprirà ben presto esserne il protagonista, attore e spettatore di ciò che accade intorno a lui, chiedendosi spesso quale sia il suo ruolo in questo scambio di scene come sul palco, illuso e disilluso tanto da ritrovarsi con un pugno di sabbia tra le dita.
Questo romanzo è in grado di tenere incollati alle pagine, le vicende narrate è vero che non sono eccessive e nemmeno così numerose, come spesso accade nei classici in cui sono le descrizioni dei luoghi e le narrazioni dei sentimenti ad avere il primo piano, ma lo stile dell'autrice rende molto piacevole seguire le vicende di questo spaccato di società newyorkese.
Un affresco ricco che porta a numerose riflessioni sulla posizione della donna in quel preciso spaccato sociale, storico e culturale, in cui è emerge la volontà dell'autrice di delineare nella creazione del personaggio di Ellen una figura anticonformista, che pur non senza sofferenze sceglie di non scendere a compromessi pur di avere salva la propria libertà.
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...è parte di noi
Sarà che sono innamorata dell'oriente in tutte le sue forme, sarà che da qualche anno a questa parte ho iniziato ad avvicinarmi un po' di più all'affascinante cultura giapponese leggendo libri e guardando anime, sarà che era scritto da qualche parte che dovessi leggere questo romanzo in questo particolare momento dell'anno.
Queste e un insieme di tante altre cose mi fanno dire con certezza che questo libro rientri a pieno titolo tra i più emozionanti e profondi libri letti negli ultimi mesi.
E credo che la motivazione principale si trovi in una sua caratteristica: la semplicità.
Con semplicità, infatti, l'autrice è riuscita a donare episodi di vita a partire da un luogo che realmente esiste, il giardino Bell Gardia e la cabina con il telefono del vento. Un luogo raggiunto ogni anno da moltissime persone, un luogo in cui poter finalmente dire quel che non si è riuscito a dire a chi se n'è andato troppo presto. Un luogo che ha ridato la parola a chi parola non ne aveva più, o semplicemente le aveva ricacciate con forza dentro di sè per paura di soffrire donandole al vento, per paura che non arrivassero ai destinatari.
Accanto alla semplicità, anche la delicatezza è un tratto che accompagna la narrazione, un aspetto per nulla scontato tra le pagine di un romanzo, ancor più un romanzo che tratta questo tema, ed è un aspetto che ho apprezzato, perchè non è mai caduto nella sdolcinatezza o in eccessivi giri di parole.
Conoscevo già da tempo la storia della cabina del vento, e il suo significativo ruolo, ma questo romanzo, letteralmente divorato in poco più di qualche ora, mi ha fatto ancor più riflettere sull'importanza delle parole ma anche dei silenzi, nella relazione con chi ci ha lasciato.
é un romanzo che racconta il lutto sotto molteplici aspetti: i ruoli che cambiano, i gesti che si spezzano, la quotidianità che inevitabilmente subisce cambiamenti. Narra la perdita in senso ampio, quello strappo che tutti in qualche modo abbiamo provato, non solo interiore ma anche nelle relazioni interpersonali.
Ma descrive ancora meglio la rinascita, ciò che lentamente affiora dopo, con difficoltà e fatica, con i propri tempi e modalità, tutto quello che è necessario per chi resta per ritornare alla vita. Narra tutto il percorso di elaborazione del lutto, dove sono proprio le relazioni ad essere necessarie, per ricostruire a partire da ciò che se n'è andato.
Attraverso la descrizione del personaggio di Yui, l'autrice ha reso con delicatezza un elemento fondamentale in questo percorso, le paure che si accompagnano a questo desiderio di ricominciare, il timore di dimenticare, di paragonare il qui ed ora con ciò che è stato ma che non tornerà, la paura di assumere un nuovo ruolo, quello di madre, un ruolo che in verità non ha mai abbandonato, anche dopo che lo tsunami del marzo del 2011 le ha portato sua figlia.
Ho trovato anche bellissimo il tratto in cui le relazioni vengono paragonate al donare una parte di sè agli altri, il sottolineare quanto siano importanti per poter andare avanti nella vita, pagine che difficilmente dimenticherò.
Lo consiglio perchè se letto con la lente giusta, con la disposizione d'animo pronta ad accogliere ciò che questo libro ha da donare, può essere un regalo molto prezioso che facciamo a noi stessi e al nostro legame con chi non c'è più ma che ci accompagna, che resta al nostro fianco ogni giorno.
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Le esilaranti avventure di Paasilinna
Ogni volta che leggo un romanzo di Paasilinna, autore conosciuto con il più noto "Piccoli suicidi tra amici", sento proprio di essere presa per mano e condotta in vere e proprie avventure esilaranti, avvolte dai tratti tipici degli scenari nordici, popolati da personaggi originali e strambi.
In questo romanzo Paaslinna ci porta nella Lapponia finlandese, nella Palude delle Renne, sede di un'azienda di agricoltura biologica e dove si sospetta che avvengano azioni non del tutto lecite.
Qui è stato inviato Jalmari Jyllanketo, ispettore capo dei servizi segreti finlandesi, sotto la copertura di un ispettore bio interessato alle attività biologiche e al controllo dei loro parametri ma di cui in realtà sa poco o niente.
Senza aggiungere troppo per lasciare il piacere di leggere questo romanzo, il soggiorno dell'ispettore bio Jyllanketo presso la Palude sarà caratterizzato da situazioni divertenti e avventure nei territori incontaminati del nord e nelle viscere della terra, tra l'inizio di una nuova storia d'amore e quotidiane scoperte che accompagneranno l'ispettore.
Scoperte legate agli imperativi morali ed etico-sociali di altri personaggi cardine della storia, aspetto che fa di questo romanzo oltra ad un'ottima lettura per evadere, grazie alla peculiare ironia e penna dello scrittore finlandese, anche un'occasione per fermarsi a riflettere su temi alti, come la detenzione e le pene inflitte a chi è autore di reato.
A cui si aggiunge una riflessione nella riflessione nelle ultime pagine, con la visione di Sanna, la figlia della proprietaria della Palude delle Renne, Ilona Karmeskallio. Chi avrà ragione?
Un romanzo interessante e originale, da leggere se ci si vuole distaccare un po' dalle letture più convenzionali.
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Chi è davvero cieco?
Ad essere sincera, ho provato un forte sentimento di amore-odio per questo romanzo, iniziato a leggere in estate e finito in questi giorni, in pieno secondo lockdown.
Indubbiamente il periodo che ci troviamo a vivere in questo momento ha orientato la scelta di leggerlo ma anche l'opinione che ne ho.
L'opinione sicuramente è anche influenzata dallo stile del romanzo, uno stile originale e sicuramente unico.
Lo stile di Saramago è così, o ti piace da morire o ti spiazza, uno stile senza punteggiature, senza distinzioni tra dialoghi e il resto del testo, un flusso continuo di pensieri, racconti, riflessioni ad alta voce.
Ma è sicuramente funzionale al rendere al meglio il contenuto, la storia, una narrazione così intensa da essere talvolta molto cruda.
Ma al tempo stesso una narrazione che, quasi in contrasto con il titolo del romanzo, ti spinge con la potenza di tutte le sue parole ad aprirti gli occhi.
Aprire gli occhi di fronte alla cecità che dilaga nel romanzo, un'epidemia improvvisa che lascia attoniti di fronte a qualcosa che non si conosce, e che spaventa, in cui vedo un forte parallelismo con la situazione attuale. E sin dalle prime righe della narrazione instilla nel lettore una riflessione su chi sia davvero il cieco. Un pensiero che accompagna la lettura fino alle ultime righe, in cui si trova una frase emblematica: "Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che pur vedendo, non vedono".
Una riflessione che spinge a chiedersi: sono davvero ciechi coloro che fingono di non vedere e invece vedono? O sono davvero ciechi coloro che davvero non sono ciechi ma nonostante questo fingono di vedere?
Figura cardine di questa riflessione è la moglie del medico, di cui si segue costantemente l'eterna guerra interiore che la porta ad essere combattuta, come unica vedente, tra il continuare a fingere di essere cieca e salvaguardare questo suo segreto per poter guidare i ciechi, e liberarsi di un fardello enorme, urlando a tutti di non essere cieca, dire che lei ci vede, ma esponendo ad un rischio altissimo, esponendosi alla mercè di chi ha perso la vista.
Un altro tema centrale è sicuramente il contrasto tra coloro che fanno della solidarietà e dell'unione la loro forza per la sopravvivenza, arrivando anche a sacrificare parte di sè per il bene del gruppo, e coloro invece che con i mezzi più beceri e violenti cercano di raggiungere una supremazia facendo leva sui bisogni primari degli altri ciechi, senza il minimo scrupolo se non quello di infliggere quanta più sofferenza fisica e morale sull'altro.
Significativo è sicuramente il fatto che questo aspetto emerga anche in una circostanza come quella in cui si trovano i ciechi, colti da un'epidemia che ha colpito tutti, senza distinzioni di classe, genere, età.
Significativo è quindi sicuramente il fatto che questo aspetto emerga anche in una circostanza come quella in cui si trovano i ciechi, colti da un'epidemia che ha colpito tutti, senza distinzioni di classe, genere, età.
Un romanzo che sicuramente non lascia indifferenti, e che forse ci cambia, ci spinge ad essere un po' meno ciechi e indifferenti di fronte a quello che come persone, cittadini, osserviamo tutti i giorni, spronandoci a non voltarci dall'altra parte o a chiudere gli occhi.
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