Opinione scritta da Andre Avezzano

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Avventura
 
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Andre Avezzano Opinione inserita da Andre Avezzano    09 Marzo, 2025
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Di solito è il contrario.

Il libro, che racconta romanzandola la vera storia della scomparsa della spedizione Franklin in cerca del famoso Passaggio a Nord Ovest, ha il pregio di avere originato la scrittura di una delle più belle serie TV degli ultimi anni, la omonima The Terror. Avendo visto la serie ed avendone apprezzato la bellezza visiva, l'eccellente scrittura e il magnifico lavoro dietro la costruzione e l'evoluzione dei personaggi, mi aspettavo che il libro da cui é tratta permettesse di esplorare ancora più a fondo il carattere, i lati nascosti e le dinamiche dietro i personaggi che la serie avesse soltanto lasciato intendere. Purtroppo leggendo il romanzo ci si rende subito conto di come molti degli eventi e delle dinamiche che rendevano unici i personaggi principali, come il Capitano Fitzjames, il Dottor Goodsir ed il Signor Blanky soprattutto, mancano del tutto o non vengono affatto esplorarate se non ad un livello molto superficiale. Questo é un enorme problema, quando riusciamo a capire e ad avvicinarci maggiormente a un personaggio di cui vediamo solo le interazioni nella serie piuttosto che quando ci viene raccontato in prima persona nel romanzo. Anche nel caso del protagonista, il Capitano Crozier, benché ci siano dei punti di svolta, si ha l'impressione che non venga realmente cambiato, limitandosi ad una maggiore "forza di volontà" e all'adattarsi ai cambiamenti, fino a accettare placidamente la morte del suo equipaggio, che aveva giurato di proteggere, addirittura alleandosi con chi ne ha causato la distruzione. Sembra quasi che l'autore tenesse talmente tanto all'immagine che aveva dato del personaggio da volerla mantenere tale a dispetto dei cambiamenti che avrebbero dovuto influenzarlo. Il personaggio di Cornelius Hickey poi, antagonista principale, é estremamente monocromatico e completamente vago, non regge il confronto con la controparte scritta magistralmente per la serie, limitandosi ad essere il cattivo infingardo per natura. Ci sono pur sempre nel libro diverse scene ben congegnate e avvincenti, che hanno dato origine ai plot points della serie, ma in generale i punti di svolta e di approfondimento, i gesti di eroismo o di vigliaccheria, quei momenti che ci fanno capire a fondo il carattere ed avvicinarci al personaggio, non reggono il confronto e sono sostituiti da stancanti pagine di ricordi personali che spesso fungono da spiegazione forzata, da dialoghi e soliloqui che hanno l'unico scopo di introdurre (ancora...) particolari irrilevanti, e da lunghissime e sconnesse descrizioni, come l'enumerazione continua di elementi naturali, di minuziosi dettagli tecnici presi da altri libri, e del ripasso di eventi già avvenuti, tanto che ci sono almeno due interi capitoli separati dedicati al riassunto delle vittime, con tanto di grado nella gerarchia e circostanze della morte. "A volte il ghiaccio era cosí e a volte era cosà, a volte camminavano cosí e a volte camminavano cosà". Tutte queste continue divagazioni stancano e danno l'impressione di essere soltanto sterili riempitivi per allungare il brodo.
Un altro grosso problema, su cui purtroppo non riesco a passare sopra, é la pesante iper caratterizzazione dei personaggi, su cui non c'è molto da dire: Tutte le volte che un autore cerca di rendere i suoi personaggi delle maschere, tipo il gigante fortissimo ma tonto che parla frignando, il dandy dalla blesa pronuncia inglese, l'esquimese ridanciano col nome buffo o il marinaio sboccato dal linguaggio colorito, magari nel tentativo di fare ridere, non si accorge che sta menomando i suoi personaggi, sta irrimediabilmente distruggendo tutta la credibilità ottenuta e li sta rendendo delle macchinette. Sono i personaggi sinceri e reali che strappano un sorriso, non le mascherate. Allo stesso modo, quando un autore vuole inserire per forza un omaggio ad un altra opera letteraria, dovrebbe almeno cercare di farlo in maniera sottile o convincente, e non sperare che i lettori si bevano che un gruppo di marinai e ufficiali inglesi avrebbero ricreato alla perfezione l'ambientazione di una storia di E.A. Poe. per una festa. Tanto valeva che subito dopo comparisse pure la lucentezza di the Shining... ops.
Per finire si posso dire di aver trovato comunque dei punti positivi leggendolo, e che in sostanza il romanzo prende un suo percorso e bene o male arriva in quello che si é proposto, tracciando, se non un arco narrativo, almeno una linea del personaggio di Crozier che comunque arriva a compimento, anche se troppo spesso appesantita con le visioni, gli incubi, le sorelle Fox che non c'entrano niente, e dando alla fine un senso di chiusura e di compimento. Sicuramente avrebbe beneficiato di una migliore pianificazione.

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Sicuramente ai patiti di The Shining. Gli amanti della serie ne resteranno delusi.
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Romanzi storici
 
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Andre Avezzano Opinione inserita da Andre Avezzano    14 Novembre, 2024
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Direi piuttosto Scolosseum

ATTENZIONE: leggeri spoiler che comunque non influiscono sulla lettura del libro

Mai un libro era riuscito a ingannarmi in modo simile. L'autore si propone di romanzare la storia della costruzione dell'Anfiteatro Flavio seguendo le vicende di due uomini realmente esistiti, Verus e Priscus, gladiatori che combatterono nei giochi inaugurali del Colosseo nell'anno 80 d.C. come narrato dal poeta Marziale.

L'inizio parte bene, un po' banale, ma tutto sommato godibile, uno dei tanti emuli del successo di Scarrow. Ma con un dettaglio di quel "nomen omen" dato al protagonista che avrebbe dovuto mettermi in guardia su quello che stava per arrivare. I problemi iniziano all'incirca ad un terzo del libro, con, ed esattamente come, la Peste (che nella realtà era più probabilmente febbre tifoide e non Peste bubbonica): si nota l'insistenza delle descrizioni gratuitamente grafiche, una pornografia verbale del sordido che inizia a farsi prepotente a discapito della narrazione (e della verosimiglianza, quando descrive una latrina che mai un romano avrebbe tollerato esistere, men che meno in una scuola gladiatoria).
Inoltre diventa sempre più pesante lo stile di scrittura, con continui tentativi di frasi ad effetto, di chiose salomoniche e di frasi fatte degne del peggiore filmaccio noir poliziesco. Frasi tipo: "la lupa(Roma) dormiva dopo il pasto di sangue, benvenuto a Roma, bastardo!", vengono ripetute alla nausea, siamo a metà libro e praticamente ogni paragrafo finisce in questo modo.

Poi il "colpo di genio" dell'autore, inserire un triangolo amoroso forzato all'inverosimile in quello che poteva benissimo essere la storia di due uomini, e che anzi avrebbe beneficiato dell'essere unicamente incentrato sui due personaggi storici romanzati, simili e contrapposti, fratelli e tuttavia costretti a lottare fino alla morte, senza dover per forza inserire il solito love interest per cui il protagonista si strugge, non ricambiato, nel suo amore impossibile, fino a quando ovviamente non salverà la damigella in pericolo dai cattivi che vogliono abusare di lei.

Siamo al culmine del libro, l'originalità ha ormai abbandonato la scena da un pezzo, e fra l'uso sempre più pesante e palloso di aggettivi inutili e forzati per descrivere ogni cosa, come: "...l'elmo disegnò un arco saccente (un arco saccente?!?) nell'aria...", l'autore spinge al massimo sulla caratterizzazione molto sottilmente inculcata a martellate dei due personaggi: Verus, il toro scatenato, guerriero di fuoco, contro Priscus, il texano dagli occhi di ghiaccio, fino a descrivere minuziosamente come le armature dei due ricalchino il loro stereotipo. Non manca poi la descrizione fantasiosa dei giochi inaugurali del Colosseo, con assurdità incomprensibili (coccodrilli ammaestrati, ippopotami che nuotano sul dorso in figure improponibili e vele gonfiate dal vento che soffia dentro lo spazio chiuso del Colosseo) e descrizioni cruente e crude.
Quello che é importante é che questo libro ha anche un finale, e ovviamente il finale é il più scontato possibile, in cui la pietà e la forza dell'amore smuovono il cuore peccaminoso della giovane patrizia viziata, e in cui i due amici, dopo aver tentato senza esitazione di ammazzarsi con ogni mezzo, anche inverosimile (ridicolo inserire pugni di ferro e coltelli nello stivale in un combattimento fra gladiatori, che avevano arbitri e regole ferree), come nel più classico film di Hollywood, ritrovano la loro profonda unione, per poi sparire nelle trame della Storia.

Concludendo si può dire che senza dubbio gli elementi più pesanti di questo libro siano lo stile, troppo pesante, ridondante nella ricerca della frase ad effetto, pedantemente infarcito di allegorie, e troppo gratuitamente scabroso, tanto che a tratti sembra quasi l'autore ne trovi godimento, e davvero penso che di più sordido ci sia soltanto J.N. Schifano nelle sue Cronache Napoletane, e ho detto tutto.
Appare inoltre chiaro che per quanto l'autore si sia evidentemente documentato sugli avvenimenti e sui dettagli storici, non é riuscito a comprenderli a pieno, mostrando spesso una comprensione sommaria, o abbia preferito reinterpretarli, piegandoli alla narrazione invece di incentrare la narrazione su di essi, una mancanza che risalta agli occhi del lettore, soprattutto a quelli del lettore di romanzi storici.
Ma il suo maggior peccato a mio parere é quello di non aver saputo sfruttare neppure l'unica felice intuizione avuta, il complesso rapporto fra i due protagonisti, che poteva reggere da solo la trama del libro, e con maggiore rilevanza di un banale triangolo amoroso. Ma d'altronde, se l'autore stesso nei ringraziamenti parla della sua come di una "fantasia Hollywoodiana"...

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Consigliato a chi ha letto...
Consigliato se non altro agli amanti dello splatter, i lettori di MC Cullough o anche di Scarrow rimarranno delusi.
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