Opinione scritta da Andre

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Andre Opinione inserita da Andre    30 Novembre, 2020
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Inquietante ma con classe

Edito nel 1962 e pubblicato per la prima volta in Italia solo nel 1990 (con il titolo “Così dolce, così innocente”), “Abbiamo sempre vissuto nel castello” è uno dei più noti romanzi di Shirley Jackson, nonché il suo ultimo lavoro finito.


Ambientato in un tranquillo villaggio, “Abbiamo sempre vissuto nel castello” racconta la vita realmente tranquilla di Mary “Merricat” Katherine Blackwood, della sorella Constance e dell’anziano zio Julian. Il tempo sembra scorrere sereno e tranquillo tra il lavoro nell’orto ed i manicaretti sapientemente preparati da Constance, se non fosse per un unico “piccolo” neo che corrode l’atmosfera della famiglia Blackwood: tutti gli altri membri della famiglia sono morti avvelenati, durante un pranzo, sei anni prima.


Una vita vissuta in maniera difficoltosa ha contribuito positivamente sulla scrittura di Shirley Jackson. Maltrattata continuamente dalla madre e tradita costantemente dal marito, Shirley Jackson ha saputo comunque far tesoro della sua dote di scrittrice. L’aria che si respira in questo psycho-thriller mi ricorda un po’ quella del film “Serial Mom” (in italiano: “La signora Ammazzatutti”) e delle vicende della protagonista, la superba Kathleen Turner.

“Abbiamo sempre vissuto nel castello” è un romanzo sottile, che grazie al minuzioso metodo della Jackson riesce a suscitare emozioni scompigliate e torbide pur mantenendo toni pacati e quindi ancor più disturbanti.

Così come per “La signora Ammazzatutti”, insospettabile killer protetta dalle mura domestiche nel suo ruolo di madre premurosa e vicina dolce e disponibile, così per le sorelle Blackwood la casa diventa un riparo dal mondo esterno, da quegli abitanti del villaggio che costantemente le giudica responsabili dell’omicidio di –sic- tutta la famiglia.

Con l’arrivo del cugino Charles, però, persino la casa diventa un luogo vulnerabile e pericoloso. Entrato nella vita delle cugine e dello zio, Charles metterà a repentaglio la sicurezza delle sorelle fino ad un tragico epilogo.
“A Shirley Jackson, che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce”: questa è la dedica di uno dei più grandi fan della Jackson, ossia Stephen King (dedica apparsa ne “L’incendiaria”). Ed è proprio così.

Shirley Jackson riesce ad inquietare senza sporcare il pavimento, riesce a suscitare turbamenti grazie ad una quiete insita nelle sue parole e nelle sue ambientazioni.

Un romanzo che consiglio a tutti.

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Andre Opinione inserita da Andre    04 Novembre, 2020
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John Niven non al suo meglio

Il clima elettorale che si respira in questi giorni negli States capita a fagiolo: ambientato negli Stati Uniti del prossimo 2026, "La lista degli stronzi" è l'ultimo romanzo di John Niven.

Frank Brill ha una sessantina d'anni ed una diagnosi nefasta: morirà di cancro. Ma prima di finire i propri giorni consumato dalla malattia, ha intenzione di compiere una vera e propria strage itinerante. Il protocollo è chiaro: ucciderà le 5 persone che più di tutte gli hanno rovinato la vita. Tra queste, l'ex presidente Donald Trump (che ora ha lasciato il posto alla figlia Ivanka Trump).

Con questo nuovo libro, "La lista degli stronzi", John Niven si cimenta per la prima volta nella scrittura di un thriller fantapolitico ambientato in un futuro distopico non così lontano da noi. Niven, che prima di diventare scrittore ha lavorato nel settore della musica, affronta tutt'altro argomento in questo nuovo romanzo.
Abituati come siamo ai suoi lavori rigorosamente ironici spolverati da un pizzico amaro e pungente (vedi: "Invidia il prossimo tuo"), rimaniamo qui sostanzialmente spiazzati dal cambio di tono.

La narrazione è sempre fluida, il libro scorre bene ma, come dire, non riesce a convincere fino in fondo. Il ritmo scorre veloce, fin troppo, e spesso e volentieri Niven toglie al lettore la possibilità di approfondire importanti e molteplici aspetti interessanti del protagonista, Frank Brill, che ha perso moglie e figli in tragici eventi dal retrogusto tipicamente americano (NO SPOILER).
John Niven forza eccessivamente la mano sull'aspetto più critico della società e delle politiche americane. Nel 2026 l'aborto sarà illegale, sarà obbligatorio avere una pistola, i princìpi morali collettivi verranno soppiantati da quelli economici individuali e in sintesi: non sarà un bel futuro. Ma il nostro autore arranca, tende la mano ai sentimenti ma si perde in fretta.

E' spietato ma non abbastanza. Lascia le situazioni a metà. Tralascia persino quella componente umoristica da lui tanto osannata e proclamata nelle sue opere.
Questo libro mi ha lasciato un pò di amaro in bocca. I presupposti per un titolo potente c'erano tutti, ma è un peccato che l'esperimento non sia riuscito. Di Niven ho apprezzato sicuramente il tentativo, ma in tutta onestà lo preferisco quando fa tornare Gesù Cristo sulla terra (vedi alla voce: "A volte ritorno"). Un libro comunque da leggere, che i fan di Niven come me complessivamente apprezzeranno, ma che non supera di molto la sufficienza.

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Andre Opinione inserita da Andre    29 Ottobre, 2020
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Sugo rosso alla giapponese

Titolo abbastanza fuorviante quello italiano, Le Quattro Casalinghe di Tokyo (trad. Lydia Origlia). Tutto è infatti, fuorché un simpatico racconto di casalinghe. Natsuo Kirino pubblica il romanzo nel 1997, ma in Italia arriva soltanto nel 2003, e scuote fin da subito anche gli animi più calmi e tranquilli.

Quattro donne impegnate nella quotidianità più "classica" del termine, che condividono lo stesso puzzolente posto di lavoro: operaie a una catena di montaggio di "colazioni". Qui fin da subito riusciamo a carpire la genialità dell'autrice che riesce, complice minuziose ma non pesanti descrizioni, a farci annusare addirittura il puzzo fetido e marcio della fabbrica.

Masako, la "Maestra", separata in casa e con un figlio nullafacente.

Kuniko, la vanitosa e ingenua.

Yoshie, la stressata super-lavoratrice divisa tra occupazione, figli e suocera invalida.

Yayoi, moglie succube di un alcolizzato giocatore d'azzardo, che una sera si ritrova - in un disperato gesto d'ira - a soffocare il marito che poco prima aveva perso tutto al gioco.

Yayoi, all'inizio in preda al panico, affida successivamente alle tre colleghe il compito di disfarsi del cadavere. Masako, la fredda esecutrice, dirige i lavori sapientemente e senza mai perdere lucidità: quel corpo andrà fatto a pezzi e poi gettato in diversi punti della città. Fino a qui, tutto bene, fino a che cioè una di loro non commette un'unica, imperdonabile svista. Qualcuno che non ha nulla da perdere si mette sulle tracce dell'omicida, ma la strada si complica, e la cravatta si stringe inesorabilmente per le nostre quattro feroci eroine. Un tragico finale, purtroppo, sarà ad aspettarle.

Natsuo Kirino è veloce, spedita nella scrittura, e il suo rapporto con le protagoniste è palesemente "bipolare": si passa dal considerarle eroine - appunto - di una società moderna opprimente e maleodorante al reputarle spietate assassine prive di cuore alcuno.

La visione predominante è quella omerica, dell'uomo vittima dei propri impulsi primordiali ma mai irrazionale e sempre freddo e lucido. La moneta sonante, gli yen, sono quella macrocategoria che tutto domina, tutto comanda: e dove l'euklèia - la buona reputazione - viene alla fine meno, vince su tutti la timè - l'onore e l'impegno della parola data, anche se si tratta di efferato omicidio e anche se si andrà incontro a una sorte inesorabile.

Sicuramente uno dei volumi Japan-oriented più influenti degli ultimi anni, un thriller che rimarrà attuale ancora per molto, molto tempo.Un libro che vi farà deglutire amaramente, una lettura piena, col Giappone però sempre nel cuore.

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Andre Opinione inserita da Andre    28 Ottobre, 2020
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Senza tempo

Un giovane studente (senza nome) parte alla volta della penisola di Izu per una sorta di viaggio spirituale, quando incontra durante il tragitto un gruppo di giovani attori erranti. Decide spontaneamente di seguirli, essendo lui senza una meta precisa nè uno scopo ed essendo particolarmente affascinato dal loro stile di vita. Lo studente comincia fin da subito a provare una certa attrazione verso la giovanissima danzatrice Kaoru: ma come finirà?

Yasunari Kawabata è un autore importantissimo del panorama della letteratura giapponese. Decine di scritti, racconti, romanzi, saggi dedicati prevalentemente all’essere umano in quanto mutevole e fuggiasco, fragile ed incerto. Scritto nel 1926 e divenuto uno dei pilastri fondamentali dell’autore, questo “La Danzatrice di Izu” – un breve racconto – altro non è che un elogio alla bellezza nel suo concetto di purezza, corredato di tutte le sfaccettature più complesse dell’animo umano.

Il nostro protagonista, che in molti hanno paragonato ad un giovane Kawabata, vive un momento particolare della propria vita: l’incertezza del vivere. Parte così alla volta della penisola di Izu, e proprio questo lo porterà a vivere un’esperienza veloce e toccante allo stesso tempo. L’incontro con un gruppo di attori (prevalentemente donne ed un solo uomo, Eikichi) lo affascinerà: il viaggio itinerante, gli spettacoli, il pubblico, le soste.

Il turbamento iniziale lascia spazio ad un focolaio amoroso: il nostro protagonista infatti comincerà ad avere occhi solo per Kaoru, la giovane danzatrice ed addetta al tamburo. I giorni passano ed il focolaio aumenta, quando all’improvviso, complice un bagno in acqua, il Nostro si renderà conto che la giovane Kaoru è davvero molto giovane. Anzi, giovanissima. Superato lo sconforto, sconfinato poi in un sollievo quasi inspiegabile, arriverà però il giorno della separazione tra i due. E l’età smetterà di incidere, tutto smetterà di avere un senso. Era amore vero.
Come un maestro d’orchestra, qui Kawabata tocca armoniosamente molti aspetti della giovane età: la passione, i turbamenti amorosi, le delusioni e l’accettazione della sconfitta. Un libro delicato e forte allo stesso tempo, assolutamente da non perdere.
L’edizione Adelphi ci regala a fine romanzo anche un saggio, “Esistenza e scoperta della bellezza”, dove Kawabata ci racconta il vero senso della bellezza in tutte le sue forme.
Imperdibile!

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Osamu Dazai
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