Opinione scritta da Lety123

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Lety123 Opinione inserita da Lety123    13 Settembre, 2023
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sogni vissuti all'ombra del vento

“Una storia di libri maledetti, l’uomo che li ha scritti, un misterioso personaggio uscito dalle pagine di un romanzo per poterlo bruciare, un tradimento e un’amicizia perduta. È una storia d’amore, di odio e di sogni vissuti all’ombra del vento.”
Partecipe della tetralogia del Cimitero di Libri Dimenticati, “L’ombra del vento” è l’artefice della fama del noto autore spagnolo del novecento Carlos Ruiz Zafon. Lui, attraverso questo romanzo, tocca la storia di una Barcellona nebbiosa sfiancata dalla Guerra Civile, senza però mai rubare la scena ai misteri che ruotano intorno al giovane Daniel Sempere e al suo destino ricco di polvere del passato. Questo misto, quasi contrasto, di mondi e realtà rende il romanzo continuamente innovativo, mantenendo alta l’attenzione del lettore. In altre parole è una costante oscillazione tra il romanzo gotico, la commedia sentimentale e il genere fantasy-horror ma in realtà segue sempre la linea del thriller, diventando continuamente più avvincente. Questo perché per esempio il lettore non può non provare quella leggera morsa allo stomaco per lo spavento durante la lettura: è ricco di colpi di scena improvvisi, momenti di suspense, voci spettrali nel buio, volti sfregiati e demoni interiori.
Devo ammettere però che questa opera rapisce fin da subito: la storia nasce dall’aver scelto un romanzo e questo pian piano diventa sempre più reale come se il romanzo nascesse dalla potenza di un libro che crea un mondo intorno a sé. Questa consapevolezza non può che colpire in particolari gli amanti della lettura che si sentono partecipi nella narrazione dopo sole poche pagine. Eppure dopo non molto perde l’imput genere, presentandosi in maniera statica, molto dettagliato e si concentra per lo più sulla presentazione dei personaggi. La caratterizzazione profonda di questi ha reso così famoso l’autore e l’opera in sé: Zafon non tralascia nessuno, ma pian piano acquisiscono sempre più particolarità e dinamicità; da figure essenziali della storia, diventano dei compagni, degli amici, degli amori. Figure enigmatiche, profonde e divertenti: dall’irresistibile e profondo Fermin Romero da Torres, allo spaventoso ispettore Javier Fumero, fino all’incomprensibile Julian Carax. Sfortunatamente le figure femminile sono meno efficaci poiché a dispetto delle apparenze, partecipano alla storia solo in funzione delle figure maschili, rendendo questo romanzo poco innovativo da questo punto di vista. Compresi e immaginati perfetti i personaggi Zafon ci riporta nel mondo di misteri, segreti e continue scoperte, non lasciando neppure il tempo di riprendere il fiato prima della fine.
Una delle cose più curiose del romanzo è lo stile narrativo usato dall’autore: la sua storia è un intreccio tra altre due, quelle di Daniel e Carax le quali si intrecciano e sovrappongo, in modo che ad un certo punto il primo diventa il doppio del secondo. Tra loro c’è un forte legame dovuto da simili esperienze di vita ma anche da mente e desideri complementari.
È un romanzo che colpisce, attira, diventa un compagno di vita ma anche un maestro: insegna molti valori, esperienze e forse apre anche la mente verso nuove idee ed orizzonti. Un insegnamento particolare che ho colto è dovuto da Daniel il quale, nonostante i propri problemi e la giovane età non si è mai perso d’animo e con molta insistenza è riuscito a giungere al finale di questo romanzo.
“-scrivi-
-Appena arrivo ti scriverò-
-No, non a me. Scrivi dei libri. Scrivili per me. Per Penelope. E conserva i tuoi sogni. Non puoi sapere quando ne avrai bisogno-
-Sempre-“

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Lety123 Opinione inserita da Lety123    06 Settembre, 2023
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Lungo, penetrante, forte, indimenticabile

Emily Bronte (1818-1848) scrisse questo libro tra il 1845 e il 1846 e la sua vita ricca di traumi e morti l’hanno portata alla stesura di questo testo oggi definibile come uno tra i più importanti della letteratura inglese. Wuthering Height è il suo miglior capolavoro che però venne pubblicato sotto lo pseudonimo maschile di Ellis Bell nel 1847. Il titolo prende ispirazione da Wuthering Heights – luogo in cui si svolgono le vicende narrate – cioè quelle terre poste sulla sommità di un colle dove spira il vento e la pioggia è perennemente presente tanto da creare un’atmosfera spettrale sommato all’arrivo di un trovatello inquietante dal passato oscuro ci autorizzano a considerare questo testo un romanzo gotico.
Una seconda edizione postuma fu curata da sua sorella Charlotte e così i critici per svariato tempo le attribuirono tale capolavoro, solo successivamente hanno compreso la vera autrice.
Cime tempestose può sembrare apparentemente un testo romantico ma è tutt’altro: è il romanzo di un amore mancato, di un'ossessione distruttiva, di una vendetta esemplare.
Ma è proprio la forza trascinante di una passione mai vissuta a fare di questo libro un capolavoro, un concentrato di sentimenti fortissimi, benché sempre negativi...portatori di cattiveria, violenza e follia. In poche parole penso di aver descritto questo libro così ricco di emozioni.
La trama l’ho trovato particolarmente affascinante, in alcuni punti leggermente lenta ma riprendeva il giusto ritmo proseguendo con la lettura: non si può dar niente per scontato, qui ogni personaggio ha sempre un secondo fine inimmaginabile che si può comprendere solo dopo diverso tempo e solo se il personaggio ne parla apertamente. L’amore tra Cathrine e Heatchliff è lungo, pesante ma evidentemente profondo, ti accompagna dall’inizio fino alla fine.
La caratteristica però che mi ha affascinato in particolare è stata la tipologia di scrittura con un’alternanza tra un lessico alto, con la presenza di termini non più in uso ma comunque comprensibili, e un lessico basso, colloquiale presente tra i personaggi meno acculturati come Hareton.
La storia è molto curiosa per un particolare: è totalmente narrata da Ellen Dean, la domestica cresciuta con i padroni e poi vissuta a servizio di tutti i successori. Questa donna dall’inizio si è occupata del racconto della loro vita all’apparente protagonista, il signor Lockwood, che, stranamente, era sempre presente nei momenti più importanti della vicenda ma il suo occhi analitico ha reso la storia affascinante e realistica nonostante io non abbia dubitato diverse volte riguardo alla veridicità della narrazione non potevo avere maggiori testimoni. Il fatto che mi stia chiedendo ciò nonostante sia consapevole che tutta la trama è solo il frutto della fantasia di Emily Bronte fa comprendere quanto mi sia sentita presa in causa dalla narrazione.
Un’altra caratteristica curiosa che ho notato è stata proprio la figura di Wuthering Height che mi è sembrato una cosiddetta “doccia delle trasformazioni” poiché ogni volta che un qualsivoglia personaggio entrava da quella porta una parte della propria gentilezza scompariva, come un magnete per le emozioni felici, ciò ovviamente solo quando la casa era di proprietà di Heatcliff; questa magia, infatti, si concluse alla sua morte dove la stessa scrittrice sembrò rivedere la gioia con l’amore tra Cathrine e Hareton. Inoltre la costante presenza del maltempo comportava nella nascita di inquietudine, con la ovvia aggiunta della trama inquietante in sé.
L’analisi approfondita di ogni singolo personaggio crea curiosità ed interesse al lettore così sentendosi partecipe quanto il signor Lockwood.
Un libro ricco di tensione, amore,inquietudine, rabbia, solitudine, amicizia e morte, indimenticabile.
“ Lo amo perché lui è me, più di quanto lo sia io. Le nostre anime sono uguali. Io sono Heathcliff.”

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Lety123 Opinione inserita da Lety123    06 Settembre, 2023
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Romanzo eterno e in anticipo rispetto ai tempi

Honoré de Balzac, autore di “Eugenia Grandet”, è stato il principale maestro del romanzo realista del XIX secolo. Come scrittore prolifico, ha elaborato “La Commedia umana”, ovvero un ciclo di numerosi romanzi e racconti per descrivere la società francese di quel secolo. Le sue opere furono di grande rilievo sia per gli storici successivi sia come ispirazione per scrittori a lui quasi contemporanei. Questa forma di narrazione è stata definita “la più grande costruzione letteraria di tutta la storia dell’umanità”.
La Comédie humaine comprende 137 opere in totale e si dice che descriva l’umanità nella sua vera essenza, priva di consolazioni o incantesimi. Inoltre la precisione dei termini, la compostezza delle frasi, il linguaggio particolarmente ricercato mostra quanto fosse ambizioso tale progetto e la nostra odierna lettura ne dimostra l’efficacia. Questa modalità di scrittura è particolarmente evidente anche nel libro “Eugenia Grandet”, il quale fa parte del sopracitato ciclo di romanzi: qui l’autore descrive la società francese e poi si focalizza abilmente su uno dei personaggi più interessanti della letteratura: Félix Grandet. Tale personaggio viene descritto nei minimi particolari, sottolineandone gli aspetti positivi, come il suo intelletto e le sue capacità finanziarie, e gli aspetti negativi, ovvero l’avarizia di cui è il simbolo. In questa modo il lettore cerca di capire papà Grandet a tutto tondo, non riuscendo più a definirlo categoricamente nero o bianco, ma è una sfumatura del grigio in continua mutazione durante la narrazione.
Dall’altro lato della storia troviamo Eugenie Grandet che incarna le virtù cardinali; la fortezza e la prudenza, oltre che l’amore e la purezza dei sentimenti. Lei è l’antitesi del padre e perciò si può notare che tale romanzo rappresenta un sapiente chiasmo tra i due, rispettivamente vizi e virtù.
Questo personaggio femminile, da cui il romanzo trae il titolo, viene concepito come protagonista solo alla fine del romanzo poiché il narratore tende a soffermarsi sul padre tralasciando delicatamente la figlia, o almeno così sembra apparentemente: in realtà attraverso numerosi interventi e riflessione la psiche di Eugenie viene analizzata e studiata rendendola successivamente il nucleo del racconto.
Lei, donna rinchiusa nell’avarizia del padre, è come una principessa chiusa nella sua torre e nel momento in cui incontra il primo sentimento forte della sua vita, ci sprofonda, conducendola alla sua fioritura o forse alla sua rovina. Nonostante ciò lei non è solo un personaggio protagonista ma un puro e reale esempio della donna del diciannovesimo secolo, e del suo modo di vivere; questo è uno dei tanti motivi che fa notare una certa somiglianza tra “Eugenie Grandet” e “Madame Bovary” romanzo di Gustave Flaubert.
“Non è forse nobile destino della donna quello d’essere più toccata dalle pompe della miseria che dagli splendori della fortuna? Come mai il sentimento paterno aveva potuto spegnersi in fondo al cuore di suo padre? Di quale delitto Carlo era colpevole? Domande misteriose!”
In altre parole la forza di questo romanzo non è certo nella trama, alquanto priva di avvenimenti, ma nelle descrizioni precise e raffinate, tanto dell’ambiente quanto dei caratteri umani, diventano uno dei primi romanzi a trattare anticipatamente l’“Io” interiore. Ciò che sicuramente rimane impresso nella nostra mente da lettori è una riflessione sulla vita, e i suoi comportamenti, e sulla famiglia.

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Lety123 Opinione inserita da Lety123    07 Luglio, 2023
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Emma deve essere u esempio

“Madame Bovary” è uno dei romanzi più importanti di Gustave Flaubert del 1856; lui è considerato il maestro del realismo nella letteratura francese però è diventato ufficialmente immortale solo grazie a questo testo. Inizialmente “Madame Bovary” fu pubblicata a puntate su un giornale francese di quegli anni, solo diversi anni dopo queste furono raccolte e unite nel famoso romanzo di nostra conoscenza.
Con Gustave Flaubert parliamo di realismo poiché possiamo definire i suoi testi una vera denuncia della società: le descrizioni sono dettagliate e lunghe, forse tediose. Inizialmente non è chiaro il motivo di tali numerosi particolari, forse per inoltrarci in quegli anni così diversi dalla nostra quotidianità. In parte, tutto ciò può far comprendere quanto noi donne del ventesimo secolo possiamo definirci fortunate in contrapposizione alla figura di Emma, donna del 1800: loro avevano pochi diritti, metaforicamente erano dei canarini in gabbia. Spesso, infatti, il narratore sottolinea il grandioso intelletto della protagonista eppure essendo donna non le viene data alcuna possibilità di sfruttare il suo potenziale e credo che questo sia una parte fondamentale del dolore di Emma.
Un’altra caratteristica che dimostra il realismo di Flaubert è lo stile da lui stesso utilizzato: è ineccepibile formato da dialoghi e rapporti difficoltosi; ci sono numerosi personaggi simbolo come il farmacista, la tipica pettegola delle piccole città di campagna, e tanto altro. Questo romanzo è definibile una critica ad una società borghese troppo sicura di sé dove come protagonista, si può vedere una donna sola con le proprie debolezze nell’oceano maschilista di potere, denaro e tradizioni, in altre parole abbandonata a se stessa ed al proprio inascoltato grido di dolore.
Questo racconto è un perenne susseguirsi di analisi e descrizioni dei diversi e molteplici personaggi che lo caratterizzano senza mai tralasciare la protagonista Emma, oppure Madame Bovary dopo il matrimonio con Charles. Però Gustave Flaubert non si limita a questo ma amplia la narrazione caratterizzandola di storie d’amore: inizialmente un amore effimero e superficiale, poi uno probabilmente sincero e reale, nato dall’unione di piccoli gesti forse insignificanti o forse ssenziali, ma impossibile da soddisfare e alla fine un ultima forma d’amore vissuta come una via di fuga, un bisogno di cedere a desideri nascosti e repressi. Nonostante questo suo continuo sperimentare non troverà mai ciò che pretende ovvero un amore romantico e travolgente tipico dei romanzi rosa che tanto amava leggere. Lei cerca un sentimento idealizzato e non reale, un uomo che le faccia vivere una serie di avventure, una persona appassionata della vita e motivata nel fare nuove esperienze, Emma non si arrende e lo cerca per tutta la durata del libro.
Tutti guardando questo personaggio, superficialmente vedono “Una giovane donna vestita di lana azzurra guarnita di tre volants” ma in realtà è l’insieme enorme di pensieri, opinioni, dolori e gioie che Flaubert cerca di trasmetterci continuamente; giunti ormai alla fine ci sentiamo come Emma, continuamente alla ricerca di qualcosa. Inoltre io credo che questo testo sia molto istruttivo, infatti lo scrittore rappresenta continuamente la bellezza del mondo come gli animali, le persone, i paesaggi in contrapposizione con i pensieri e i sentimenti di Emma; forse per sottolineare che la felicità e la spensieratezza sono lì, sotto il nostro naso, ma lei non riesce a vederle mentre sprona noi a cercarle continuamente poiché la vita non è tristezza e apatia come la signora Bovary tende sempre più frequentemente a credere.
La narrazione ruota intorno al rapporto contrastante tra Charles Bovary e sua moglie, Emma: sono molto diversificati in desideri, piaceri e modalità di pensiero, lui è “ felice e senza pensiero al mondo e il suo universo finisce all’orlo della sottana di lei” mentre la Signora soffre per l’attesa felicità e non riesce ad accettare la sua vita, la propria condizione sociale e il proprio matrimonio e ciò l’ha portata alla distruzione. Eppure io ho notato una flebile unione tra i due, c’è qualcosa che li unisce e da nessuno conosciuto: non è amore, è qualcosa di più forte ma non definibile propriamente positivo. Concludo questa riflessione sul tema che credo sia fondamentale per la storia, ovvero l’amore: ciò che Emma non ha mai capito è che l’amore è anche quotidianità, conoscersi, andare d’accordo e imparare a capire e comprendere l’altro con i propri pregi e difetti e amarli entrambi. Il principe azzurro che tanto cerca non esiste.
La continua battaglia tra reale e ideale giunge all’apice dopo una serie di azioni ed eventi come un urgano per poi ricadere in un enorme oblio, la morte. Emma deve essere un esempio per noi, un esempio di una ricerca di un ideale di felicità, ciò che non esiste.

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Lety123 Opinione inserita da Lety123    09 Settembre, 2021
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Holden come un adolescente di oggi

J. D. Salinger, all'anagrafe Jerome David Salinger è stato uno scrittore statunitense.
È divenuto celebre per aver scritto “Il giovane Holden” , romanzo di formazione che ha riscosso un'enorme popolarità fin dalla sua pubblicazione, nel 1951, per poi divenire un classico della letteratura americana.
Una curiosità che ho letto alla fine di questo libro è sul titolo, il vero titolo in inglese non è “The young Holden” come dovrebbe essere con una traduzione letterale del nostro conosciuto “Il giovane Holden”, ma è “The catcher in the rye” che è intraducibile: deriva dalla famosa canzone scozzese di Robert Burns che il giovane Holden Caulfield sente cantare da un bambino per la strada. Però ogni parola di questo titolo ha più di un’unica traduzione e perciò esso evoca molte immagini nelle menti dei lettori, perciò hanno deciso di tradurre questo titolo con “Il giovane Holden”, personaggio ormai famoso e proverbiale negli Stati Uniti.
Inoltre, mi era sorta una domanda durante la lettura, la copertina del libro che ho preso in biblioteca è totalmente bianca con su scritto solo il titolo e l’autore. Inizialmente pensavo fosse un semplice caso ma quando sono andata a cercare il motivo per saziare la mia curiosità, ho scoperto una cosa molto interessante: Salinger desiderava che il libro venisse scelto per il contenuto e non per la copertina, per cui chiese all’editore che facesse uscire il libro con la copertina completamente bianca , ad eccezione del titolo e del suo nome. Infatti anche la copertina dell’edizione italiana Einaudi in mio possesso, è bianca e non riporta neanche la trama o la biografia dell’autore.
“Se davvero volete sentirne parlare, la prima cosa che vorrete sapere sarà dove sono nato, e che schifo di infanzia ho avuto, e cosa facevano e non facevano i miei genitori prima che nascessi, e altre stronzate alla David Copperfield, ma a me non va di entrare nei dettagli, se proprio volete la verità”. Questa è la semplice e pura introduzione del “Giovane Holden” di J.D.Salinger che come dice il titolo parla di Holden. Si può capire immediatamente come al narratore non si possa imporre niente, neppure come scrivere un libro.
Il protagonista è Holden Caulfield un giovane in piena fase adolescenziale in cui mette in dubbio tutto ciò che fino a questo momento era considerato di base e scontato. Specialmente si vede la differenza tra due tipi di ragazzi: ci sono quelli a cui non piace rischiare e preferiscono rimanere nascosti nella mentalità da “bambino” che si lascia guidare dal gregge e non mette in dubbio niente e nessuno per rimanere al sicuro, magari avendo paura delle cose incerte, un esempio sono: Akley o Stradlater. E poi c’è Holden, che rappresenta l’altro tipo di ragazzi: quelli che non hanno paura di rischiare, che provano divertimento nell’andare contro corrente tentando di risolvere i problemi che riscontrano o hanno riscontrato nella vita e ritrovare il mondo sicuro e tranquillo a cui erano abituati da bambini. Ovviamente queste sono solo supposizioni ideate da me durante la lettura del libro.
Inoltre mi ha veramente affascinato il carattere del narratore, così sicuro di sé ma allo stesso tempo insicuro. In particolare vorrei sottolineare vari capitoli centrali del romanzo, in cui Holden si trova solo, nel mondo degli adulti, aveva abbandonato tutto ciò che fino a quel momento era la sua vita: la scuola, anche se non molto amata, gli amici, a cui dopotutto si era affezionato anche se ci sono voluti molti giorni prima che anche lui lo ammettesse, la famiglia da cui voleva stare lontano per molti giorni per prendersi una pausa. Proprio in quei giorni lui ha sottolineato numerose volte la sensazione di sentirsi solo, senza nessuno a cui chiedere aiuto o a cui semplicemente aggrapparsi in caso di bisogno. Queste emozioni le provano tutti gli adolescenti chi più, come Caulfield, chi meno, come gli incontri nella Pencey, e noi ragazzi del XXI secolo non siamo un’eccezione, anzi se voglio essere del tutto sincera a causa di questo periodo di crisi in cui non abbiamo potuto far assolutamente niente di normale, queste sensazioni sono aumentate in modo vertiginoso. Nonostante sapessimo di poter contare sull’appoggio della famiglia non ne abbiamo usufruito perché non ci accorgevamo di avere questa opportunità perché ci sentivamo sempre incompresi come anche Holden, penso che sia questo il motivo per cui quando Pheobe gli chiese perché si era fatto cacciare anche dalla Pencey lui non volle spiegarle il motivo. Noi ragazzi abbiamo “sfogato” la nostra solitudine in vari modi, chi si è chiuso in se stesso in modo molto pericoloso, chi ha sofferto persino fisicamente queste ansie, il giovane protagonista non è da meno, anche lui come noi si è sfogato sull’alcol e sul fumo.
Mi è piaciuto molto questa storia, in particolare perché mi sono rispecchiata nel modo di pensare di Holden, anch’io sono una persona che mette tutto in discussione, non capendo immediatamente ciò che pensano gli adulti e a volte anche a me sembra che ovunque mi volti ci siano solo persone ipocrite, come piace ricordare frequentemente al narratore.
Il lessico del romanzo è molto colloquiale che si addice particolarmente a questo libro a causa del narratore che essendo adolescente parla quotidianamente con questo lessico e quindi ti senti quasi all’interno della mente di Holden Caulfield.

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"Jack Frusciante è uscito dal gruppo" che è molto simile a questa tipologia: con un protagonista adolescente che mette in discussione tutto e tutti.
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Lety123 Opinione inserita da Lety123    09 Settembre, 2021
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innovativo e creativo

“Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte” di Mark Haddon, pubblicato da Einaudi nel 2004: devo dire però che mi ero fatta un’idea abbastanza diversa rispetto a quello che mi sono trovata davanti. Sia nel titolo che in alcune recensioni che avevo precedentemente letto veniva più volte rimarcato il concetto di “giallo” … Ma del giallo questo romanzo ha veramente poco. Considerato l’incipit del libro sia su una macabra scoperta: il corpo di Wellington, il cane dei vicini, inchiodato al terreno con un forcone; mi aspettavo un libro intero di indagine per scoprire chi fosse l’assassino del povero cane barbone della signora Shear. È vero, i primi capitoli infatti trattavano di questo, ma non era la classica indagine da libro poliziesco con indizi e persone da interrogare, qui di diverso c’era il narratore: Christopher John Francis Boone. Lui è un ragazzo quindicenne affetto dalla sindrome di Asperger che la spiega nel suo modo, che mette alquanta curiosità: ci fa capire profondamente come un ragazzo autistico come lui in realtà sia un genio incredibile. Ci mostra la sua dedizione per la matematica, la sua curiosità per le materie scientifiche anche nella vita quotidiana.
Il romanzo è organizzato alternando sempre un capitolo di narrazione della vita del protagonista dopo la morte di Wellington e della sua avventura successiva, con curiosità del narratore e del libro, tipo con descrizioni che non era riuscito ad inserire nel capitolo narrativo. Anche grazie a queste curiosità si riesce a capire della sindrome di cui soffre: è un vero genio ma ha anche delle cose che per la sua vita sono essenziali e noi potremo giudicare strane. Per esempio “Io non racconto mai bugie. … Una bugia vuol dire raccontare che è successa una cosa e invece non è vero. Soltanto una cosa può avvenire in un determinato momento e in un determinato luogo. E ci sono un’infinità di cose che non sono successe in quel determinato momento e in quel determinato luogo” pagina 26 e ancora “Il signor Jeavons, lo psicologo della scuola, una volta mi chiese perché 4 auto rosse in fila all’altra indicavano una Bella Giornata, 3 auto rosse una Giornata Così Così, e 5 auto rosse una Giornata Straordinaria, mentre 4 auto gialle una Giornata Nera, ovvero una di quelle giornate in cui non parlo con nessuno e me ne sto seduto per conto mio a leggere, non tocco cibo e non affronto rischi.” Pagina 33. Sinceramente sono proprio queste curiosità che hanno reso il libro più interessante; è entusiasmante leggere di un avvenimento curioso già da sé, con un punto di vista così innovativo e creativo.
Un’altra caratteristica speciale di questo libro è che è pieno di problemi matematici introdotti nella narrazione normale. A me piace molto la matematica e perciò è stato molto bello ogni tanto fermare la lettura per provare a risolverli senza l’aiuto di Christopher, anche se con scarzi risultati.
Devo dire però che questo romanzo mi ha lasciato il segno, ho imparato com’è vedere il mondo da occhi diversi rispetto a quelli con qui si osserva di solito. È successa una cosa simile anche per i capitolo di Simone in Almost Blue: semplicemente affascinante.

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consiglio ance "Almost blue" di Carlo Lucarelli che, a chi è piaciuto il punto di vista affascinante di Christopher non può non piacere Simone (protagonista di Almost Blue)
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Lety123 Opinione inserita da Lety123    03 Agosto, 2021
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Sovrannaturale o storico?

“Il Castello d’Otranto” è definito il primo romanzo di genere gotico scritto da Horace Walpole di cui la prima edizione risale al 24 dicembre 1764 ma il libro di cui dispongo fu pubblicato nel 1999 da Superbur classici.
Walpol è stato uno scrittore inglese del 1700, non pubblicò molte opere ma solo alcuni romanzi tipo la tragedia “the Mysterious Mother” e alcuni libri di argomento storico e artistico - antiquario come “Aedes Walpolianae”. Famoso fu il suo vasto epistolario, ma in ogni caso la sua opera più famosa è “il castello d’Otranto”.
Mi avevano parlato di questo libro come se avesse l’obbiettivo primario di suscitare sorpresa e di stimolare l’attrazione verso il sovrannaturale ma leggendolo mi sono accorta che in verità raffigurava particolarmente la vita e i costumi dell’epoca feudale com’era veramente. Mostrando la poca importanza che davano in quel periodo alle donne, come venivano scambiate tra famiglie come se fossero oggetti, leggendo questi argomenti in un periodo di molta più libertà per esse ciò sembra quasi irreale, come una favola. Comunque non posso dire che non ci siano scene paranormali, ciò è innegabile, perché infatti Walpole usò questo tumulto di vicende messe in atto dalla macchina del sovrannaturale in cui dipinse la sua “denuncia” all’epoca antica. Analizzandolo in modo più generale: questa è una storia di amicizia, tra Matilda e Isabella che nonostante tutte le sventure continuarono a comportarsi come vere amiche, quasi sorelle. È una storia d’amore, con Teodoro che si trovava nei cuori di tutte le fanciulle che incontrava e anche nel momento della morte della sua amata mostrò il suo amore in modo così folle da far venir voglia di piangere con lui per placare il suo dolore. È una storia di mistero, con oggetti piuttosto strani, il finale sorprendente e le stranezze e i segreti di tutti i personaggi della storia.
Un’altra caratteristica del libro che mi ha affascinata è stato il personaggio di Manfredo: descritto costantemente come un tiranno odioso, che trattava in modo irrispettoso chiunque incontrasse, che sembrava non provasse sentimenti neppure per il ritrovo fra un padre e un figlio che non si vedevano da anni, finisce con un’unica scena che fece crollare questa sua facciata rendendolo fragile per un’unica volta: in quel caso mostrò i suoi veri sentimenti, il suo vero dolore, come solo un padre potrebbe fare.
Lo stile usato dallo scrittore è evidente che sia molto antico: sia perché utilizza parole di un lessico molto elevato sia perché molte di quest’ultime non sono neppure più usate oggi. I personaggi mi hanno colpito molto ed inoltre anche il loro modo di parlare quotidianamente con un lessico così alto mi ha fatta sentire parte di quell’epoca anche se solo per qualche giorno perciò anche se la storia non mi è sembrata molto scorrevole, l’autore ha compensato con i personaggi talmente interessanti da farmi appassionare alla vicenda.

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Lety123 Opinione inserita da Lety123    02 Agosto, 2021
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nuovo mondo

“Almost blue” è il primo romanzo di Carlo Lucarelli che ho avuto occasione di leggere: pubblicato il 2 maggio 1999 dalla casa editrice Einaudi – stile libero.
Carlo Lucarelli è uno scrittore, sceneggiatore e conduttore televisivo italiano anche se prima di questo libro non ne avevo mai sentito parlare.
Leggendo la vita e le opere di questo autore ho notato in particolare il suo amore verso i racconti polizieschi considerato che ha scritto molti libri ma, a parte alcuni romanzi, antologie e saggi, i restanti sono polizieschi divisi in base all’ispettore o il commissario principale per risolvere il delitto di cui tratta il libro.
Nel caso di “Almost blue” ci si trova davanti ad un libro della serie dell’ispettore Grazia Negro.
Finisco questa piccola biografia dell’autore aggiungendo che nel 2003, grazie ad “Almost blue”, ha vinto il premio Gold Dagger-Silver Dagger Award.
“Almost blue” trova al centro tre protagonisti: Grazia Negro o anche chiamata l’ispettore Negro, è il detective principale incaricato di cercare e intrappolare l’assassino: sembra che sia lei stessa l’artefice della teoria dell’esistenza di questo killer di soli studenti e inizialmente nessuno le voleva credere. Inoltre Lucarelli ci mostra anche la discriminazione delle donne in carriera di quel periodo: spesso le persone con cui parlava Grazia la consideravano una normale signora o giornalista e quando scoprivano che era l’ispettore rimanevano piuttosto sorpresi.
L’Iguana, soprannome inventato da Grazia, è l’assassino ed è molto particolare leggere un libro in cui ci sono capitoli dove si legge il punto di vista persino dell’obbiettivo del detective. Infatti questi capitoli sono molto confusi, in cui comprendi veramente poco del colpevole, capisci solo che è malato mentalmente mettendo anche a te, lettore, un senso piuttosto ampio di angoscia.
Simone, un ragazzo cieco a cui viene dedicato spesso un capitolo, quasi alternato fra quello dedicato all’ispettore e il suo. Si può considerare l’assistente del detective, un co-protagonista, ma ho trovato veramente interessante leggere senza vedere; Dopotutto, pensandoci, quando si leggono i libri normali ricchi di descrizioni dettagliate involontariamente tendi ad immaginarti l’ambiente e così ogni volta che giungi a leggere il libro, entri nel mondo che ti sei immaginato grazie a queste descrizioni. Con Simone l’ambiente lo vedevi solo con i colori “l’azzurro, per esempio, con quella zeta in mezzo è il colore dello zucchero, delle zebre e delle zanzare … e il giallo è il colore acuto di uno strillo” pagina 8, oppure “Voce rossa, grossa e piena. Bassa e grassa. Spessa. Voce viola, velata e fastidiosa, insistente come un po’ di febbre, poca, che vibra nelle ossa e non se ne va” pagina 129, mentre invece leggendo i capitoli di Grazia e dell’Iguana entri nel classico mondo della vita quotidiana di Bologna. Quando leggi i capitoli di Simone entri in un mondo buio, come se non ci fosse la luce, continuando a leggere si forma un ambiente piuttosto ambiguo, con oggetti e persone colorate, non bianco o nero ma rosso, rosa, giallo o verde: è come se per qualche minuto ti cambiasse il modo di guardarti intorno. Inoltre ciò non vale solo per gli oggetti ma anche per le persone “Aveva la pelle così trasparente che ci poteva passare attraverso con le dita, e i capelli blu” pagina 194. Sommando la piacevolezza di ognuno di questi personaggi, alla gioia di notare tre storie separate unirsi fra di loro, ci si trova davanti ad un vero amore verso la trama di questo libro: con questo intendo che è stato strabiliante il finale dove le tre persone che hai imparato a conoscere a fondo fino a quel momento, si uniscono in capitoli pieni di un confronto continuo fra loro.
In questo romanzo viene usato un lessico medio, adatto per tutti e ho trovato che si addicesse particolarmente a questo genere di romanzo: parlando di giovani ragazzi e ragazze ci si immagina anche che usino un dialetto adeguato alla loro categoria.
Grazie Lucarelli la lettura mi è sembrata anche piuttosto scorrevole e piacevole, rendendo un quasi comune romanzo poliziesco in un libro interessante e creativo che consiglierei volentieri.

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Lety123 Opinione inserita da Lety123    01 Luglio, 2021
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Pin che sorprende

Italo Calvino è stato uno scrittore italiano, intellettuale di grande impegno politico, civile e culturale, è stato uno dei narratori italiani più importanti del secondo Novecento. Ha scritto molte opere ma “il sentiero dei nidi di ragno” è stato il suo primo libro e successivamente ne sono venuti molti altri come: “il barone rampante”, “le città invisibili”, “se una notte di inverno un viaggiatore”…
“Il sentiero dei nidi di ragno” è stato pubblicato nel 1947 a soli 24 anni e scritto per partecipare al Premio Mondadori. "Ricordo che scrissi con grande lentezza e incertezza il primo capitolo, poi lo interruppi per alcuni mesi, poi decisi di finirlo e lo portai avanti tutto d'un fiato".
Lo scrisse motivato dalla fine di una guerra straziante che non ha risparmiato nessuno. Simbolo della necessità, talvolta una vera e propria smania, di raccontare e condividere qualcosa.
Tornando a parlare più specificamente del libro appena letto, questo fa parte della cosiddetta “letteratura della Resistenza” ovvero le opere che s’impegnano nella valutazione della lotta partigiana contro il fascismo. Infatti questo libro inizia parlando della situazione generica della popolazione durante la guerra e finisce con esperienze quasi “sul campo” del protagonista.
Il libro è scritto molto bene: con un registro medio quindi che tutti possono leggere e capire anche se in alcuni punti si nota il lessico diverso dai libri dei giorni nostri.
Il protagonista di “Il sentiero dei nidi di ragno” è Pin, un bambino, solo come etichetta però perché in realtà non è mai stato un bambino: non ha avuto un’infanzia non essendo cresciuto con la madre che morì poco dopo la sua nascita, il padre che era sempre in prigione e la sorella che anche da giovane non lo aveva mai curato molto e una volta cresciuta intraprese il lavoro di prostituta. Pin è cresciuto in mezzo agli adulti, imparò a parlare come loro e ad interessarsi agli argomenti a cui si interessavano loro (armi, donne, guerra …) ma nonostante ciò aveva anche lui alcune piccole abitudini da bambino: amava il sentiero dei nidi di ragno che lo incuriosiva molto, che era convinto la sua esistenza fosse un segreto per tutti a parte che per lui e dove poteva giocare come un vero bambino da solo. Sognava di avere degli amici ma era consapevole dell’impossibilità di questo a causa della troppa conoscenza su argomenti non adatti alla sua età, e perciò continuò a ridere e scherzare con gli adulti fino alla fine. E perché scegliere Pin, come protagonista di una storia adulta di sangue e sofferenza?
“Ogni volta che si è stati testimoni o attori di un’epoca storica, ci si sente presi da una responsabilità speciale. A me, questa responsabilità finiva per farmi sentire il tema della Resistenza come troppo impegnativo e solenne per le mie forze. E allora decisi che l’avrei affrontato non di petto ma di scorcio. Tutto doveva essere visto dagli occhi d’un bambino, in un ambiente di monelli e vagabondi. Inventai una storia che restasse in margine alla guerra partigiana, ai suoi eroismi e sacrifici, ma nello stesso tempo ne rendesse il colore, l’aspro sapore, il ritmo”.
Infatti è molto curioso vedere dagli occhi di un bambino gli adulti che lui giudica strani, quasi li odia, ma li vede come l’unico mondo di cui può far parte “I grandi sono una razza ambigua e traditrice, non hanno quella serietà terribile nei giochi propria dei ragazzi, pure hanno anch’essi i loro giochi, sempre più seri, un gioco dentro l’altro che non si riesce mai a capire qual è il gioco vero” (pagina 20).
In questa storia ci sono molti personaggi ma è molto bello il fatto che questi siano descritti in modo molto accurato: per esempio di ognuno sappiamo la sua storia, con varie curiosità successive e abitudini strane. Un esempio può essere il Dritto, Pelle, Cugino … Tutti sono stati fondamentali per l’evoluzione della trama e divertenti da leggere per il lettore perché dopotutto l’obbiettivo di Calvino è stato raggiunto perché in questo modo il paesaggio distruttivo, triste, di sofferenza della guerra viene assorbito in parte da Pin con le sue battute divertenti per tutti a parte che per l’obbiettivo di esse.
Finisco facendo un’ultima considerazione: ho notando riguardando i personaggi del libro che nessuno di questi si presenta o comunque viene chiamato con il suo vero nome ma tutti hanno dei soprannomi come Cugino, Lupo Rosso, la Nera di Carrugio Lungo, il Giraffa … Ciò rende tutto più divertente ma anche più misterioso.
Onestamente ero convinta non mi sarebbe piaciuto questo libro perché storico, tratta della guerra e quindi mi aspettavo una storia noiosa che doveva solo farci capire come si viveva a quel tempo, ed invece mi sono sorpresa interessata alla vita di Pin e di tutte le persone che incontrava. Non sono mai riuscita ad in personificarmi in Pin a causa del suo carattere da bambino piuttosto strano ma in ogni caso durante tutto il brano ho provato un forte affetto nei sui confronti.

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Lety123 Opinione inserita da Lety123    12 Gennaio, 2021
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Dall'archivio magnetico del signor Alex D

“Jack Frusciante è uscito dal gruppo” è un romanzo dello scrittore italiano di 46 anni Enrico Brezzi che lo scrisse a soli 21 anni. Fu pubblicato nel 1994 dalla casa editrice Baldini e Castoldi.
Onestamente lo scrittore Enrico Brizzi non lo conoscevo e perciò mi ha fatto molto piacere leggere un suo libro, è sempre bello conoscere autori talentuosi nuovi; principalmente sono contenta di aver letto questo libro perché a mio parere è molto speciale. Vedendolo esteriormente nessuno penserebbe che possa essere un libro che spicca rispetto agli altri e sono piuttosto certa che non lo penserebbero neanche gli adulti leggendolo. Questo romanzo ha l’unico, e il solo scopo, di accompagnare gli adolescenti lungo il loro percorso. Questo io l’ho capito dal lessico utilizzato durante tutto il romanzo: usa termini che non si addicono ad un testo scritto ma questo non penso che fosse per ripicca contro altri libri scritti con registri elevati, bensì per cogliere la nostra attenzione. A volte succede di perdere la concentrazione durante una lettura a causa di termini troppo complessi di cui non si sa il significato e di cui si è perso interesse, questo romanzo fa l’opposto: nei momenti leggermente più vuoti, o semplicemente di riflessione del protagonista, ci richiama alla lettura con una semplice parola. All’inizio mi sembrava talmente esagerato da arrecarmi l’effetto opposto ma più mi addentravo all’interno della vicenda, più comprendevo il motivo di quella scelta di parole. Non cercava solo la nostra attenzione ma voleva farci capire che stavamo leggendo i pensieri scritti di un adolescente come noi, e non di un adulto che cercava di parlare del periodo che stavamo affrontando ma in modo così distaccato da farci pensare che ormai si sia dimenticato di come lui stesso l’ha affrontato. La scrittura di Brizzi è frizzante: non la potrei definire in altro modo.
Andando a parlare più specificamente della trama del libro, questa parla di Alex, chiamato quasi sempre con il termine “il vecchio Alex”, che è un adolescente ribelle. Durante tutto il testo ci racconta molte delle sue bravate che è abituato a fare insieme a piccoli gruppi di amici ribelli come lui. Tutto ciò che fa ha sempre uno scopo ed è quello di cercare di mostrare a tutti com’è realmente il mondo e cerca di togliere le maschere che secondo lui tutti hanno. Ci sono varie pagine in cui parla male dei compagni e compagne di classe e di scuola definendoli finti e con doppia faccia. Secondo lui tutti fingono di essere bravi per nascondere il loro lato vero e questo lo fa arrabbiare. Anche per questo motivo ha pochi amici e quelli che ha sono coloro che sono come lui e, chi più, chi meno, credono in quello che crede lui.

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Lety123 Opinione inserita da Lety123    09 Dicembre, 2020
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emozioni presenti solo nei libri

“Io Non Ho Paura” di Niccolò Ammaniti, pubblicato nel 2001 dalla casa editrice Einaudi, è un romanzo struggente ed emozionante :uno di quei romanzi che ti lasciano il segno, indimenticabile. Fa parte della narrativa Italiana ed è persino riuscito a diventare uno dei classici della letteratura in quasi dieci anni. È ambientato in un piccolo paese del sud dell’Italia, il protagonista, che racconta la storia in prima persona, è Michele Amitrano, un bambino di nove anni. La storia comincia parlando di un semplice gruppetto di amici: Salvatore, il cosiddetto “Teschio”, Barbara e la sorellina Maria. Loro erano abituati ad andare a fare spedizioni intorno alla cittadinella di Acqua Traverse ma non si sarebbero mai aspettati di scoprire un segreto così stravolgente da cambiare la vita e la concezione di essa di uno di loro, Michele. Se devo essere sincera a scoprire questo segreto fu solo lui ma, entrando nelle sue vesti, mi immagino quanto sia stato terrificante vivere da solo con questo peso sulle spalle. Durante la lettura, ma anche durante il resto della giornata quando i pensieri finivano verso altri orizzonti, mi sentivo quel bambino: tormentato dalla paura di essere scoperto, costantemente in dubbio se parlarne; mi immaginavo come dovesse vivere lui, a soli nove anni, con questa sensazione che gli attanagliava lo stomaco. Questo segreto era una vita, aveva sulle spalle la vita di un bambino della sua stessa età.
“-Le cose sono di chi le trova per primo- aveva detto il Teschio. Se era così, il bambino in fondo al buco era mio”. Devo dire che appena letta questa affermazione rimasi scioccata, infastidita dal fatto che, secondo me, un segreto a tal portata dovesse essere custodito da più persone ma, adesso, sono contenta di questa decisione.
Il romanzo ti porta a schierarti dalla parte di alcuni personaggi, facendoti domandare: di chi si deve aver realmente paura?, e inoltre, riesce a farti calare all’interno della storia vivendo momenti di tensione, di gioia e di rabbia insieme ai personaggi. Il finale mi ha lasciata molto smarrita, ricca di domande, però riflettendoci si può immaginare quanto accada dopo.
È scritto con un linguaggio crudo, senza sottointesi, con frasi brevi e semplici, che trasmettono immediatamente le emozioni. I pochi personaggi del racconto sono stati ben descritti e ciò mi è piaciuto molto perché grazie a questo abbiamo potuto giudicare noi stessi da che parte schierarci e sapere di chi dubitare. Devo dire che ormai mi ero affezionata ai personaggi, a tal punto da rattristarmi alla fine dell’ultima pagina.
Un’altra citazione molto bella è “-Piantala con questi mostri, Michele. I mostri non esistono. I fantasmi, i lupi mannari, le streghe sono fesserie inventate per mettere paura ai creduloni come te. Devi aver paura degli uomini, non dei mostri- , mi aveva detto papà un giorno che gli avevo chiesto se i mostri potevano respirare sott’acqua”, adesso, rileggendola e riflettendo dal punto di vista di una credulona come lui, penso di aver inteso i veri dubbi che voleva far sorgere l’autore, ovvero: se bisogna avere più paura dei mostri o degli uomini.
Per fare un breve accenno all’autobiografia dell’autore inizio dicendo che Ammaniti ha cinquantaquattro anni e nella sua carriera da scrittore ha vinto molteplici premi piuttosto importanti: per questo romanzo vinse il Premio Viareggio Narrativa. Non c’è molto da sapere su di lui, basta conoscere i molti romanzi che ha scritto, per esempio: Che la festa cominci, Anna, Io e te, ti prendo e Ti porto via, Come Dio comanda …
Finisco parlando anche del film dedicato a questo romanzo: non sono riuscita a vederlo ma ho sentito da fonti esterne che il finale è diverso e quindi ripeto la classica affermazione che tutti i lettori abitualmente dicono “è meglio il libro del film!”

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Lety123 Opinione inserita da Lety123    11 Novembre, 2020
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lessico molto speciale

“Lessico famigliare” è un romanzo autobiografico della nota scrittrice Natalia Ginzburg, pubblicato da Einaudi nel 1963.
Come introduzione la scrittrice esplicita subito che tratterà della realtà, di cose avvenute a lei in prima persona ma principalmente alla sua famiglia. Appena si legge ciò, può venir naturale pensare che tutto il libro sia basato sulla vita di Natalia ma appena chiusi il libro dopo aver letto l’ultima pagina, venni sorpresa nell’osservare che non trattava della sua vita nei minimi dettagli bensì di tutti gli altri personaggi: parla principalmente della sua famiglia . Ad esempio si incentra particolarmente sul padre e la madre perché più interessanti e inerenti al titolo della storia generale: il padre era molto scorbutico con tutti ma scorrendo con la lettura si riesce a vedere un animo gentile sotto il caratteraccio e la madre era molto affezionata alla sua famiglia e alle sue amiche, sia giovani sia della stessa generazione ma la cosa più importante è che erano entrambi ebrei e quindi antifascisti, ciò è essenziale per la storia. Ho detto inerenti al titolo generale della storia perché entrambi usavano parole molto uniche o che noi conosciamo ma loro le usavano con altri significati, ad esempio il padre sfruttava molto spesso l’espressione “negro” e “negrigure”, vista così può sembrare quasi una persona razzista ma, in realtà, entrambi avevano significati molto diversi e usati in contesti totalmente differenti dai nostri. Per spiegarmi meglio: “negro” era chi aveva modi goffi, impacciati e timidi, chi si vestiva in modo inappropriato, chi non sapeva andare in montagna, chi non sapeva le lingue straniere. Mentre “negrigure” era portare, nelle gite in montagna che amava tanto fare con la famiglia, scarpette da città; attaccar discorso, in treno o per strada, con un compagno di viaggio o con un passante; conversare dalla finestra con i vicini di casa; lamentarsi, nelle gite in montagna, per sete, stanchezza o sbucciature ai piedi …
La madre usava altri termini invece, ad esempio “Squinzie”: ragazze smorfiose e vestite di fronzoli.
Oltre a questi termini ovviamente ne usavano molti altri ma vi lascio la curiosità e voglia di scoprirli da soli.
Tornando a concentrarsi sullo stile del racconto, narra in ordine cronologico di alcuni avvenimenti maggiormente interessanti o divertenti sui genitori, i due fratelli e la sorella fino ai loro matrimoni che chiudono la storia. Si concentra maggiormente sugli eventi durante la seconda guerra mondiale perché sì, tutto il racconto è ambientato intorno a quel periodo.
Lei, insieme alla sua famiglia, abitavano a Torino per quasi tutto l’inizio e la vicenda, intorno alla fine narra dei vari luoghi dove abiteranno i fratelli.
La storia in sé è ricca di descrizioni e pochi dialoghi, a volte ci sono anche dei flashback della prima infanzia o anche di prima della sua nascita.
Questo romanzo è ricco di scene sia divertenti sia tristi. In modo generale posso affermare che il padre è il personaggio che mi ha fatto più ridere di tutti proprio per le parole strane e stravaganti che era abituato a usare in momenti non sempre opportuni.
Devo dire con tutta onestà che appena letto l’inizio e di cosa parlava mi spaventai un poco: avevo letto pochi libri autobiografici e quei pochi non mi erano neanche piaciuto ma questo, invece, mi sono sorpresa vogliosa di andare avanti per capire meglio i personaggi e per ridere o intristirmi con loro. Per me, se il lettore prova queste emozioni leggendo un libro, è una cosa molto positiva per lo scrittore il quale significa che ha fatto un bel lavoro di stesura rendendo il lettore appassionato alla storia.

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