Opinione scritta da Dalia B.
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la malinconia di un amore finito
(la recensione potrebbe contenere alcuni spoiler)
Il ritratto di una nostalgia viva e dolce, la poesia di un romanzo breve e intenso come un ricordo di gioventù, che può riaffiorare inaspettatamente e accompagnarci, o tormentarci, per tutta la vita.
Quello che Tobino ci presenta in questo libro è un amore nato durante la guerra in Libia, durante un travaglio che non da' pace e sembra non finire, ma che preserva in sé la speranza di un futuro diverso.
Lui, giovane soldato italiano origini modeste, che ha combattuto del deserto della Marmarica e non sogna altro che tornare nella sua Italia, dove poter finalmente esercitare la professione di medico.
Lei, crocerossina sua connazionale, apparentemente rinunciata ad ogni passione a causa di un'educazione troppo severa, è sfuggita dalla sua monotona vita di contessina, ha bisogno di guardare in faccia la morte per sentirsi viva.
Ma una volta tornati a casa, la fiamma di quell'amore che li ha colti all'improvviso riuscirà a resistere?
E il loro sentimento sarà più forte delle convenzioni sociali, che non vogliono vedere due ceti così diversi mescolarsi? La risposta di Tobino sembra pessimista, ma ci aiuta ad accettare come esperienze necessarie della vita anche quegli amori i quali, da che sono nati, erano già destinati a finire.
Una storia semplice, come probabilmente ce ne sono tante, incredibilmente sconfortante, ma vera e (oserei dire) commovente.
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Uno dei grandi capolavori di Eco
CONTIENE SPOILER
Nell'Italia degli anni '70 i tre protagonisti dell'opera, ricevuto l'incarico di scrivere una raccolta di libri sull'ermetismo dal titolo "Iside svelata", iniziano quasi per scherzo a tessere le trame di un Piano secolare, scucendo e ricucendo la Storia in modo sregolato e irriverente e finendo per pagarne le conseguenze.
Alla fine coloro che si consideravano adepti di questo piano fittizio sono così determinati a scoprire il segreto che esso nasconde e che è stato rincorso per millenni, quel segreto grande e sensazionale, da illudersi che ne esista davvero uno. Jacopo Belbo, indiscutibilmente il personaggio principale del romanzo, viene ucciso dalle sue stesse mani, dalla sua immaginazione a cui ha dato briglia sciolta e che non ha saputo domare, e il risvolto è terrificante.
Chiudi il libro e ti restano alcune domande: ci siamo davvero affannati invano per conoscere il significato occulto della nostra esistenza, tanto da condurci da soli alla rovina? Esiste davvero qualcosa di più grande che non riusciamo a comprendere, o ci illudiamo soltanto che esista, per consolarci della banalità della nostra vita? Ha senso rincorrere l'infinito o dovremmo concentrarci sul concreto?
Un libro che va letto.
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Stereotipi a non finire
POTREBBE CONTENERE DEGLI SPOILER
Ho letto questo libro soltanto adesso perché mi è stato consigliato e, nonostante inizialmente mi stesse piacendo, mi aspettavo qualcosa di decisamente migliore.
Come si suol dire c'è davvero tanta, troppa carne al fuoco.
Iniziamo la lettura in modo tutto sommato scorrevole seguendo le vicende di due amiche, Anna e Francesca, ragazzine tredicenni che vivono nelle grandi case popolari di una Piombino fatiscente, dove regnano sovrane la droga, la disoccupazione, la criminalità e l'abbandono scolastico, dove restare incinte da adolescenti è la normalità e i bambini fanno la pipì sulle scale. Gli avvenimenti si svolgono nella povera e malfamata via Stalingrado, dove abitano la maggior parte degli operai della vicina acciaieria Lucchini, e le protagoniste vivono una vita normale per due ragazze della loro età, vanno al mare con gli amici, iniziano a scoprire il proprio corpo e la sfera sessuale e sognano un futuro migliore.
A poco a poco una delle due, Francesca, inizia a sviluppare nei confronti della compagna un sentimento che va oltre l'amicizia, e ciò inizialmente ci stupisce e ci fa interessare alla storia, ma il tutto viene troncato brutalmente dallo svolgersi degli avvenimenti. Anna inizialmente pare ricambiare i sentimenti dell'amica, ma ecco che la sua crescita personale viene tagliata davanti ai nostri occhi quando si fidanza con Mattia, letteralmente uno a caso, avvenimento che tra l'altro lede irreparabilmente il rapporto tra le due protagoniste tanto che, da migliori amiche per sempre, arrivano a non parlarsi per più di un anno.
La storia sarebbe stata coinvolgente se improvvisamente non avessero iniziato a sovrapporsi mille avvenimenti, che dovrebbero avere l'acciaio come filo conduttore ma finiscono per risultare stralci buttati al vento e decisamente inconcludenti.
Il secondo grande problema di questo libro, però, sono gli stereotipi: sono ovunque! Ogni singolo personaggio è un'accozzaglia di luoghi comuni, abbiamo il bello, la brutta e sfigata, le belle e inarrivabili (le nostre due protagoniste, appunto), il padre violento...
. Non vi faccio ulteriori spoiler, sappiate solo che la storia finisce per perdersi nei suoi stessi meandri e quando la concluderete vi lascerà con una spiacevole sensazione di amaro in bocca.
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1200 pagine che finiscono troppo in fretta
CONTIENE ALCUNI SPOILER
Uno dei romanzi più popolari e forse più riusciti dell'autore, che si affaccia sul mondo dell'infanzia, dell'adolescenza e dell'età adulta senza ricorrere troppo spesso allo stereotipo.
Sicuramente un libro che ha molto da narrare e che si prende le sue pagine per farlo, ma ogni arco narrativo e ogni sottotrama si intrecciano in modo talmente scorrevole che, pur pensandoci e ripensandoci, non "taglierei" nemmeno una singola pagina per snellire il tutto.
Parla di amicizia in modo quasi commovente, parla dell'amore infantile con un realismo oserei dire brutale, che sfocia poi in una malinconia grandissima, parla delle paure radicate che sembrano insormontabili, parla persino della graduale digressione nella follia del bullo che tormenta i ragazzini protagonisti.
È un horror, sì, ma è anche molto di più. È il racconto dei traumi dell'infanzia che si stanziano nell'inconscio umano (nel senso più Freudiano del termine) e che tornano a bussare alla porta nell'età adulta, e l'uccisione del mostro è proprio la sconfitta di queste paure radicate, quasi una catarsi finale.
La creatura antagonista che incontriamo in questo libro, e che non possiamo neanche definire "clown" perché si tratta di un essere informe, o di cui se non altro la vera forma resta un mistero, ci è presentata come profondamente disumana, aliena, oscura e sfuggente, forse onnipotente.
Invece ad un tratto la scopriamo quasi umana, poiché prova un sentimento sconvolgente di terrore nello scoprirsi vulnerabile, nello scoprire in modo quasi repentino che nell'universo sono presenti forze superiori ad essa, che la potrebbero contrastare. Per un attimo, si parla davvero di poche pagine, vediamo il mostro provare paura.
Verso la fine King, forse resosi conto di aver creato un essere troppo potente, vira su una narrazione quasi "fantascientifica", poiché appunto scopriamo che questo mostro proviene dal cosmo ed è stato generato dalla forza senza superiori dell'Altro. Segue una scena che ha tutte le caratteristiche di un sogno, un viaggio extracorporeo, e che è in un certo senso confusionaria, nella quale vediamo il protagonista avere un dialogo con la Tartaruga che ha generato la galassia di cui lui stesso fa parte. Forse stride un po' con il resto della storia, che sembrava improntata su un altro tipo di soprannaturale, ma in ogni caso è ben narrata e inoltre contiene lampanti riferimenti ad altre opere dell'autore, cosa che apprezzo sempre molto.
Nel finale, e con questo intendo proprio l'ultima pagina, troviamo il protagonista, Bill Denbrough, che (spoiler) si risveglia da un sogno con accanto sua moglie e, sarò stupida io, non ho capito quanto effettivamente della narrazione fatta in precedenza fosse stato un sogno e quanto no. Dunque la moglie (Audra, se non sbaglio) non si è mai risvegliata dallo stato catatonico? Probabilmente si voleva intendere questo.
Nonostante questa domanda che mi è rimasta, in realtà molto insignificante, il finale mi è piaciuto, forse non si poteva scrivere un epilogo più adatto a questa storia. Molto triste il fatto che i protagonisti siano destinati a dimenticare di nuovo, ma mostra come i traumi infantili vengono alla fine lasciati alle spalle, per incominciare una vita nuova. Concludo con una citazione che è un po' il cuore del libro, pur trovandosi alla fine:
"Non è forse vero che anche loro, tutti e sette, hanno trascorso la gran parte della più terrificate e lunga estate della loro vita ridendo come matti? Si ride perché ciò che è spaventoso e ignoto è anche ciò che è ridicolo. Si ride come un bambino piccolo talvolta ride e piange contemporaneamente quando gli si avvicina un clown goffo e dinoccolato e sa che dovrebbe essere buffo... ma è anche sconosciuto, pieno del potere eterno dell'ignoto".
(libro consigliato a tutti, io ho 17 anni ma è adatto a qualsiasi età, forse dai 14 anni in su)
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