Opinione scritta da Federic4
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La bambina iceberg
E’ sempre bene dimostrare grande rispetto nel giudicare e/o analizzare i testi altrui, soprattutto quando si tratta di autobiografie, o per lo meno questo è quello che credo io. Fin dalle prime pagine ci viene raccontato il clima agghiacciante nel quale nacque e, in parte, crebbe la nostra protagonista: non solo perché a Trieste era solita soffiare la Bora, che si insinuava tra gli stipeti di una dimora già fragile di suo, ma anche perché la bambina-iceberg nella sua casa non conobbe altro che ghiaccio. Chiaro, che ti acceca, blocca, irrigidisce, lascia scivolare. L’ autrice ci riporta un’attenta descrizione dei pensieri e degli stati d’animo da lei vissuti, riconosce di aver avuto un’infanzia piuttosto infelice ma che, ci rivela in conclusione, “è stato proprio grazie a quella zavorra che ho potuto diventare quella che sono”.
Fare un vero e proprio sunto di questo libro sarebbe come privarlo della sua essenza perché, trattandosi di una biografia, racchiude in sé una sequenza di eventi ed emozioni che trovo abbiano un senso e (centrino il bersaglio) disposte così come sono disposte nel libro, di conseguenza smontarlo mi parrebbe incoerente.
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Le vitali paure
Alexandra e Ned Ludd sono sposati e hanno un figlio: lei è un’attrice la cui carriera sembra percorrere la strada del successo, lavora a Londra e possiede insieme al marito un cottage in una piccola cittadina. Lui, critico d’arte, viene trovato morto nel suo cottage durante la notte, da un’amica di Alexandra, nonché vicina di casa.
Ciò che rende interessante la storia è che non finisce mai di stupire, ma insieme porta con se una quantità d’angoscia stranamente piacevole. Alexandra non è la protagonista di un giallo, ma ciò che verrà a sapere della morte del marito non fa altro che insospettirla di più. Le poche persone di cui si fidava si rivelano poco affidabili, le poche certezze crollano, come anche la sua considerazione verso chiunque. Le peggiori paure che incombono dopo la morte di una persona che si ha amata, ma che effettivamente, come ci tiene a puntualizzare spesso Alexandra, è morta, non esiste più.
E lei lo amava. E lei credeva a tante, tutte le cose.
Ciò che la donna affronta nel romanzo non è strettamente una “presa di coscienza” della morte del marito, e quindi il senso di smarrimento, quella sensazione di perdita, di destabilizzazione, ma anche tutto ciò di cui una donna soffre in società come la nostra, senza andare troppo lontano e senza parlar di fantascienza, per intenderci.
Consiglio questa lettura perché le peggiori paure esistono e lasciano grosse cicatrici. Probabilmente in questo libro non troverete delle risposte, piuttosto capirete che avere paura è lecito, a volte vitale.
(Inoltre volevo aggiungere una piccola opinione riguardo allo stile narrativo: ironico, preciso, a volte crudo ma che lascia ragionare. L'ho apprezzato molto e questo credo mi spingerà a leggere altri suoi libri).
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Dannate parole
Il libro racconta la storia di una diciassettenne dall'infanzia scombussolata, cresciuta in una situazione famigliare disdicevole: i suoi genitori sono divorziati e per questo motivo vive in casa della madre, che non si dimostra molto presente, così come il padre, un importante avvocato, il più bravo della città, maestro della retorica e campione indiscusso di arringhe. La ragazza, Megan, è da qualche mese in cura da uno psicologo che a parer suo non è molto efficiente e perciò ha poca fiducia che un percorso con lui possa essere proficuo.
Un giorno (il libro incomincia proprio con questo scenario) ad accoglierla per la solita seduta non è il suo psicologo bensì un uomo un po’ più giovane, dall'aria rassicurante e persuadente, che si presenta dichiarandosi un sostituto momentaneo. Qui Megan affronta tutto il rancore e la rabbia accumulata, il nuovo terapeuta allora la obbliga a mettere per iscritto quello che prova: il risultato finale è la stesura di due lettere rivolte ai genitori, i principali artefici di tutta quella rabbia; loro stessi ne scopriranno l'esistenza poco dopo aver realizzato la scomparsa della loro figlia.
Ho apprezzato come l'autore abbia voluto esaltare nella morale l'importanza e la valenza delle parole, le quali sono tutto ciò che ha permesso il susseguirsi della vicenda, e anche la conclusione.
Di primo impatto l’impressione che ho avuto non è stata molto positiva: l’ autore usa spesso dei “gerghi giovanili” per sottolineare il fatto che stesse parlando una diciassettenne, ed è una scelta stilistica rispettabile. Quando però diventa troppo evidente, troppo falsa, troppo superficiale, insomma quando è troppo si percepisce e non fa piacere. Forse la prendo un po’ troppo sul personale,dato che mi avvicino molto all'età di Megan, ma è davvero un sassolino che dovevo togliermi dalla scarpa. Il risvolto positivo della storia è a parer mio la scoperta da parte della famiglia di Megan (e di Megan stessa) di un affetto reciproco silenzioso e lento, ma anche rivelatore.
Con questo non voglio alludere al finale né in maniera negativa né nel lieto fine, perché di principio non si riferisce mai la conclusione di una storia senza viverla, soprattutto quanto si parla dei gialli. E’ un libro che sento di consigliare nonostante il mio giudizio sia piuttosto altalenante. Come ho già detto, la trama è geniale, la forma un po’ meno, ma nel complesso non è stata una sgradevole lettura. Quindi se lo avete per mano, o in qualche modo vi trovate a leggerlo, non fermatevi alle perplessità che le prime pagine vi potrebbero regalare, piuttosto concedetegli la possibilità di essere compreso, oltre la forma, che a volte inganna.
Ah, le dannate parole.
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Una caramella piccante
Ciò di cui stiamo parlando è semplicemente (si fa per dire) la storia di una famiglia che ad un certo punto della sua esistenza avrà una missione, quella di accogliere un bambino speciale. Così i genitori di Giacomo, Chiara e Alice annunciano l’arrivo del loro futuro fratellino, Giovanni.
In quel momento Giacomo, il fratello maggiore, esplode di gioia, finalmente un fratellino (per giunta speciale) con il quale giocare a fare la lotta! Ma questa gioia non fu una costante, infatti il nucleo del libro è in realtà incentrato sulla difficoltà che Giacomo provò, in un preciso periodo della sua vita, ad “accettare” Giovanni.
Mamma Katia e papà Davide sono molto comprensivi nei confronti di Gio così come in quelli degli altri figli; si impegnano ad inserirlo in una famiglia priva di pregiudizi e piena di amore e serenità -e direi che ci riescono alla grande-.
Quando Giacomo Mazzariol scrisse il libro aveva soli 19 anni perciò, come prevedibile, lo stile presente è giovanile, molto sincero e dritto al punto, ma senza risultare banale.
Bello, realistico, toccante, con una morale degna di un libro. Ciò che particolarmente mi è piaciuto è stato provare le stesse emozioni che Giacomo descriveva, come fossi io la sorella di Gio. Devo ammettere che questo libro colpisce dritto dritto il mio punto debole: storie come questa, spesso stereotipate, e scoprire poi le piccole realtà,che sicuramente racchiudono in se' aspetti negativi ma anche momenti di pura felicità.
Bello, no? Potersi ricredere e mettersi in discussione. E’ bello trovare delle risposte concrete, veritiere, a delle domande che possono sembrare ingenue, ma dalle quali possono nascere oceani di luoghi comuni.
Mi ha fatto commuovere l’amore che trabocca in questa storia, ma anche la rabbia di Giacomo, i pregiudizi del suo compagno di classe, le preoccupazioni di Katia e Davide, e la felicità di Gio nel rincorrere suoi amati dinosauri.
“è un paradosso, una caramella piccante”
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Come un cane ti può salvare la vita
Gli argomenti che questo libro tocca sono fondamentalmente due: il rapporto cane-essere umano e l’automobilismo. E’ proprio il cane di nome Enzo (il protagonista principale) a raccontare della vita sua, di quella del padrone e della sua famiglia, dell'intesa che si stabilisce con ognuno di essi e degli accadimenti che si susseguono nella loro vita.
La sua opinione è spesso ricorrente e viene argomentata con concetti ben chiari e studiati: infatti, una delle caratteristiche del nostro Enzo è la sua sorprendente intelligenza: più volte dichiara la sofferenza nel non potersi esprimere con gli umani in parole in quanto cane e quindi in difetto di “lingua piccola e agile”.
Danny, il padrone, è appassionato di automobilismo e nel corso della vicenda avrà modo di trasformare il dilettevole all'utile. E’ molto abile a correre in pista soprattutto nei giorni piovosi, ed è per questo che viene giudicato il migliore. Dovrà affrontare diversi ostacoli e lottare per ciò che ama. E’ sposato con Eve, la quale susciterà una progressiva considerazione in Enzo; è una donna solare e comprensiva e sarà di fondamentale importanza per mettere alla prova la forza e l’amore di Danny.
Devo dire che questa volta stavo per cedere nel “giudicare dalla copertina”. Ciò che intendo è che l’immagine ritratta nella fodera del libro, ovvero la foto del cane Enzo, accostata al titolo “L’arte di correre sotto la pioggia” mi ha lasciato un iniziale senso di qualcosa, che non so bene spiegare cosa, ma di sicuro ben distante dal concetto di curioso. Insomma, stavo per cadere nel più classico dei tranelli e quasi me ne vergogno, ma per fortuna ho agito diversamente e devo dire che alla fine della lettura non sono rimasta con l’amaro in bocca.
Inizialmente ero spaventata dal fatto che il narratore fosse un cane e stavo quasi per temere che fosse un libro per l’infanzia, e anche qui mi sono dovuta ricredere. Sì, ecco come posso descriverlo in una parola: inaspettato (nel senso buono, per intenderci). Questo libro di speciale ha la capacità di sorprendere, di informare e commuovere, un mix che funziona e lascia il segno.
Mi sento di consigliarlo alla gente della mia età così come a quella di età più avanzata perché non si è mai troppo giovani e nemmeno troppo anziani per incontrare le emozioni e gli ideali che questo libro stimola.
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