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standupeight Opinione inserita da standupeight    30 Marzo, 2020
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Il cuore e le sue (incomprensibili) morali

Verso la Austen ho sempre nutrito una caterva di pregiudizi. Questo romanzo, ahimè, li ha confermati – quasi – tutti.
Pubblicato per la prima volta nel 1811, racconta le traversie della nobile famiglia Dashwood, originaria del Sussex, in Inghilterra. Alla morte del padre, le tre sorelle e la madre si vedono privare dell'eredità (spettante al fratellastro John e alla sua detestabilissima moglie, Fanny Ferrars), costrette ad abbandonare Norland Park e a rifugiarsi in un piccolo cottage nel Devonshire, tra le colline.
Elinor è la sorella maggiore; è anche la più razionale, dotata di acume e di una perspicace intelligenza che fanno di lei la "consigliera" della madre, frenandone gli impulsi. Marianne è più simile alla genitrice - romantica e passionale – portata a vivere all'estremo ogni sentimento, senza moderazione. Margaret, la minore, ha un ruolo insignificante, tanto da chiedersi il perché sia stata inserita nella narrazione, dato che nell'arco della storia farà timidamente capolino solo due o tre volte.
Punto nevralgico del romanzo sono le pene d'amore delle sorelle Dashwood.
Il raziocinio di Elinor vacilla e si piega di fronte a Edward Ferrars, fratello minore della cognata; in seguito, con grande sgomento della protagonista (e del lettore) si scopre essere promesso a un'altra signorina, Lucy, classica arrampicatrice sociale la cui perfidia è genetica. Benché la Austen si ostini a definirlo come "un giovane timido ma intelligente, dal cuore aperto e affettuoso", Edward altri non è che un rammollito, succube di una madre dispotica e per questo incapace di compiere una scelta decisa tra le due donne – salvo nell'ultimo capitolo, giusto per imbastire uno stucchevole lieto fine. A pagare le conseguenze della sua ignavia è naturalmente Elinor, condannata a soffrire in religioso silenzio per tutto il romanzo.
La vena ingenuamente romantica di Marianne è invece scalfita dal giovane Willoughby, seducente e consumato corteggiatore, il quale, dopo pochissimi mesi di frequentazione, la illude su un possibile matrimonio. Peccato che, a un passo dal concretizzarlo, si professerà vincolato a un'altra donna (ricca e, per questo motivo, assai più appetibile), notizia giunta alla destinataria tramite lettera. Umiliata da quello che credeva fosse il Grande Amore, Marianne dà sfogo al suo dispiacere torturando il povero lettore con pietose scene isteriche ed elucubrazioni mentali. Purtroppo, anche per Willoughby ci sarà una sorta di "riscatto" finale, nel quale l'autrice gli condona tutte le malefatte attraverso una confessione strappalacrime che Elinor, vera martire della faccenda, è costretta a sorbirsi all'insaputa della sorella, lasciandosi intenerire.
L'unico in grado di suscitarmi simpatia, dotato di quel po' di dignità che agli altri personaggi manca, è il Colonnello Brandon, sinceramente innamorato di Marianne fin dalle prime pagine, e da lei scansato con la medesima intensità (fatta eccezione quando, rinsavita dal delirium, accetterà di sposarlo).

Conoscendo la fama della scrittrice, mi aspettavo di meglio. Potrei elogiarne la penna, arguta e deliziosamente ironica, ma non di certo la fantasìa, tantomeno i personaggi che la popolano, frivoli e noiosi (salvo rare eccezioni). Se l'intento era quello di restituire al mondo l'immagine di due donne forti e indipendenti, capaci di svincolarsi dal ruolo georgiano di "angeli del focolare" poiché libere di manifestare le proprie inclinazioni, allora lo ritengo un totale fallimento. Altro non sono che due povere anime sottomesse ai capricci del grande Dio Maschio che, con una sorta di masochismo intrinseco, perdonano e (cosa ancor più terrificante) giustificano.

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standupeight Opinione inserita da standupeight    24 Febbraio, 2020
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Seduco ergo sum

Chi è Undine Spragg? L'eroina negativa del romanzo, l'archetipo di un sistema che la Wharton definisce "mostruosamente perfetto": quello dei "self made men" o, per dirla senza inglesismi, nuovi ricchi. Sono esseri volgari, ambiziosi e senza scrupoli, riuniti in una nuova classe sociale che, negli anni successivi la Guerra Civile, darà il via a una rapida ascesa, scontrandosi con gli antichi dettami dell'aristocrazia newyorkese.
Il contesto storico non è dei più semplici, specie per una donna, che può essere comprata in quanto "merce di scambio". Vendersi per sposarsi è infatti l'unico mezzo con il quale può dirsi socialmente accettata, ed è proprio questa usanza del paese a trasformarla in un "ornamento accessorio" nella vita di un uomo.
Ribellandosi al sistema, Mrs. Spragg cerca di sfruttare "l'usanza" a suo vantaggio, non rifuggendola, bensì adeguandosi alle sue tortuose correnti.
Le attività principali della ragazza sono sperperare compulsivamente grandi somme di denaro – elargitole dai genitori e, successivamente, dai mariti – e cercare di migliorare la propria posizione in società. Per raggiungere il suo scopo, si abbatte come un uragano su tutto ciò che ne ostacola il cammino, insensibile al dolore che provoca. E non le riesce certo difficile - grazie al fascino e alla bellezza - attirando più pretendenti possibili che, come pesci, cascano nell'intrico delle sue reti. Fondamentalmente incapace di amare a causa di un ego ipertrofico, dietro modi leziosi nasconde un'anima nera, sprezzante del contatto umano di cui considera solo l'utilità. Non crea infatti amicizie, ma alleanze, dimostrando spregiudicatezza e opportunismo. Si sposerà tre volte, e tutt'e tre si riveleranno dei fallimenti. La prima unione con Ralph Marvell, rampollo dell'alta società, verrà segnata dalla nascita del piccolo Paul – verso cui Undine avverte un feroce fastidio, giudicandolo un "ulteriore fardello"(cit.) o un animaletto da esibire durante i ricevimenti; più tardi, dal suicidio dello stesso Ralph, incapace di contrastare le efferatezze e le spese sconsiderate della moglie, incarnando così il simbolo dell'aristocrazia sconfitta dagli invasori arricchiti. Anche il matrimonio successivo con il conte francese Raymond de Chelles si rivelerà un disastro: resistendo stoicamente al fascino della sirena-sposa, ne comprime la forza dirompente obbligandola a sottomettersi ai voleri del proprio mondo – un'esistenza ligia e senza lussi, confinata in una provincia di campagna angosciosamente lontana dalle accattivanti luci di Parigi. Tra i due si combatterà una guerra fredda lunga diversi mesi, portandoli inesorabilmente a una separazione consensuale. L'ultima "preda" sarà Elmer Moffatt, il suo amore giovanile che aleggia come una presenza premonitrice per tutto il romanzo, non smettendo di tirare a sé quel filo indissolubile che lo lega alla protagonista sin dall'adolescenza. Undine (ri)trova in lui il suo doppio perfetto: abbiente, ambizioso e calcolatore, il Re delle Ferrovie è un altro candidato – l'unico, perfetto candidato - con cui sancire l'ennesima unione, evento che concluderà "lietamente" il romanzo. Tuttavia, si ha come l'impressione che la cronica insoddisfazione di Undine prima o poi tornerà a galla, tendendola spasmodicamente verso altri lidi, altre mete irraggiungibili – e per questo motivo, desiderabili.
Lo stile è intenso, estremamente ricco di particolari ma non per questo ridondante. Sebbene abbia disprezzato la protagonista dalla prima all'ultima pagina, non nego di essere stata affascinata – addirittura avvinta, in alcuni passaggi - dalla sua grande capacità di seduzione e manipolazione (lo psichiatra Jung l'avrebbe definita "un'isterica") senza la quale andrebbe in mille pezzi. Di fatto, dietro questa mascherata s'intuisce una personalità fragilissima, dilaniata da manie di persecuzione e vittimismo con cui cerca di giustificare le proprie mancanze: «...le cose sarebbero potute andare diversamente se solo la gente "cattiva" non si fosse impicciata». La sua condotta esecrabile è mitigata dall'accento volutamente satirico con cui è descritta l'intera vicenda, riducendone l'ascendente seduttivo a una mera caricatura.
Malgrado la sofferenza e i mezzi (leciti e non) con cui l'ha provocata, Mrs. Spragg abbandona la scena del romanzo con estrema disinvoltura. E la vittoria in pugno.

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standupeight Opinione inserita da standupeight    04 Febbraio, 2020
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Un viaggio meraviglioso

La storia ci accompagna dolcemente al “Meriggio d'Oro” di un tiepido 4 Maggio, giorno del compleanno di Alice (quella vera, figlia del grecista H. G. Liddell, amico di Carroll) a cui la vicenda è ispirata. La bimba si trova in un giardino bellissimo quando, spinta dalla curiosità, finisce dentro a una tana di coniglio apparentemente senza fine – lo stesso che vede sfrecciarsi davanti al naso, un istante prima di inseguirlo. Il Bianconiglio è l'elemento scatenante, la “trappola” utilizzata per catturare la ragazzina e strapparla alla realtà, attirandola in una dimensione onirica e misteriosa, quella del Paese delle Meraviglie. E' una terra stravagante, priva di ordine e di regole - come l'inconscio - un "nessundove" raggiungibile da una buca nel terreno o dalla superficie riflettente di uno specchio.
Alice è un personaggio fortemente deciso a restare bambino, a non varcare mai la soglia dell'età adulta – “rovinata” da divieti e imposizioni – ma che, al contempo, rivela una dote straordinaria: quella di reagire coraggiosamente alle prove di una landa bizzarra di cui ci sfugge la logica dato che, in essa, tutte le leggi sono sovvertite. Eppure, il Paese delle Meraviglie ne possiede molta, di logica, ed è ferrea.
Si ha come l'impressione che sia suddiviso in quadranti di un'enorme scacchiera, e che ci si possa spostare solo con le mosse corrette. Di fatto, interpretando un pedone, Alice muove i suoi passi rispettando le regole del suddetto gioco. Ogni quadrante è un “piccolo universo” che non sembra avere alcun tipo di contatto con gli altri vicini, popolati da pedine (Re e Regine, Alfieri e Cavalli, ma anche creature “di contorno” quali Pecore, Rane e Uova antropomorfe) concepite come esseri senzienti in grado di parlare e pensare in autonomia.
Durante l'avventura, Alice cambia forma e dimensione innumerevoli volte, ora mangiando un biscotto, ora bevendo da una bottiglia magica, ora addentando il turgido cappello di un fungo. Muta e matura progressivamente, appellandosi alla sua coscienza “parlante” nei momenti difficili. Non sempre, però, l'ascolta, e questo le causa una serie infinita di guai.
Nella seconda parte del racconto, “Attraverso lo Specchio”, sarà il fantomatico Micino del Cheshire a farle da guida, l'estro incarnato in sembianze a lei familiari e tanto amate (quelle “gattesche”, per l'appunto). L'immaginazione diventa una fedele compagna di viaggio, un viaggio che si concluderà con un brusco risveglio. Del mondo che l'ha voluta e resa protagonista rimarrà solo un confuso ricordo e la consapevolezza che, per scansare la banalità quotidiana, bisognerebbe sempre concedersi una “caduta” nella tana del Bianconiglio; soprattutto, da adulti, non bisognerebbe mai dimenticare come si faccia a entrarci.
Lo stile è scorrevole, fresco e ricco di metafore. Frequenti sono i giochi di parole dal doppio significato, i rompicapi e le poesie (es. l'emblematica “Il Tricheco e il Carpentiere”, proposta anche nella versione animata), scelte narrative che, assieme alla passione per gli scacchi e per le carte da gioco, rimandano alla mente matematica dell'autore. Indimenticabili le figure della Regina di Cuori – e la sua abitudine compulsiva di tagliar teste –, del Cappellaio Matto e del Brucaliffo, permaloso fumatore di Narghilè. Il libro è corredato da graziose immagini a china realizzate da Tenniel, che ha aperto la strada a una raffigurazione della bambina bionda arcinota ai disegnatori della Disney e a molti altri illustratori. Per concludere, credo sia uno dei testi più belli e sognanti che abbia mai letto, in grado di stimolare quella parte fanciulla, sovrastata dall'incombere della maturità, che ognuno di noi ha nascosto, ma che, in fondo, non si è mai sopita del tutto.

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