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ofranca Opinione inserita da ofranca    06 Dicembre, 2019
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I sogni, la fantasia per ripare la realtà

" Maud prepara i sogni, perché quando il buio è troppo grande per farcela, e troppe cose si sono rotte in troppi modi perché si possano riparare, Maud non sa davvero che arma usare se non i sogni.
Quindi fa così. Un giorno alla volta, un sogno alla volta. Si può pensare che sia giusto e si può pensare che sia sbagliato. E di sicuro si ha ragione in entrambi i casi. Perché la vita è sia complicata che semplice.
Per questo esistono i biscotti."
Ho scelto questa frase per introdurre il libro. Una frase che può sembrare incomprensibile, ma che secondo me rappresenta l'essenza del romanzo: una splendida esperienza di lettura dai toni magici, fiabeschi ma anche molto terreni.
Parlare di questo libro è davvero difficile perché dentro di me appena ho chiuso l'ultima pagina sono esplosi due sentimenti contrastanti: la tristezza di sentirmi orfana di una lettura meravigliosa, la gioia per aver avuto la fortuna di incontrare questo scrittore e questo libro che si legge tutto di un fiato e le 400 pagine scorrono veloci veloci senza lasciare mai spazio per un pausa.

La voce narrante è quella di Elsa la bambina di quasi otto anni che si ritrova ad affrontare la morte della nonna, una nonna speciale, diversa così come lo è Elsa.
La diversità e non solo visto che di temi nel romanzo ce ne sono tantissimi, è il tema preponderante del romanzo. La diversità è sinonimo di speciale.

La diversità di Elsa che in quanto tale viene perseguitata dai bambini della scuola che lei chiama "Intelligentoni".
"Non c'è niente di male a essere una bambina diversa, la nonna diceva che solo le persone diverse cambiano il mondo!"
"Elsa invece è diversa. E se i superpoteri fossero una cosa normale ce li avrebbero tutti."

La diversità della nonna:
"La nonna ha settantasette anni .... Dicono che la nonna sia pazza, ma in realtà è un genio. E' soltanto un pò fuori di testa. Faceva il medico, ha vinto dei premi ... Andava nei posti peggiori del mondo nel momento in cui tutti gli altri scappavano, salvava vite umane e si batteva contro il male in ogni angolo del pianeta. Come fanno i supereroi. "

"La nonna di Elsa viveva ad una velocità diversa dagli altri. Funzionava in modo diverso. Nel mondo reale nell'ordine, lei era il caos. Ma quando il mondo reale crolla, quanto tutto diventa caos, a volte le persone come la nonna possono essere le uniche che funzionano. Era il suo superpotere."

"Tutti i bambini di sette anni si meritano dei supereroi. E' così e basta. E chi non la pensa così è fuori di testa.
La nonna di Elsa lo dice sempre."

La diversità degli inquilini del palazzo di Elsa, ognuno con il suo superpotere, che potremmo riassumere per noi intelligentoni: ognuno con le sue qualità.
Con la morte della nonna e per volontà unilaterale della nonna Elsa si trova, senza deciderlo, a seguire una caccia al tesoro.

Elsa deve consegnare delle lettere ad ogni inquilino dello stabile, in ogni lettera la nonna appunto saluta e chiede scusa.
Le scuse della nonna sono legate al suo vissuto e mano mano Elsa scoprirà le diverse storie reali, intrecciate tra loro di ogni inquilino. Una serie di scoperte che permetteranno ad Elsa di ridipingere il quadro della vita della nonna prima della sua nascita e che non la lasceranno indifferente.
Il lettore accompagna Elsa in questo viaggio, mano mano tenendole la mano, standole dietro, osservando con i suoi occhi, ascoltando con le sue orecchie, rimanendo incollato alle pagine.

E Backman ci regala una storia ed una fiaba, perchè ogni personaggio nella realtà è identificato con un personaggio del mondo fantastico e fiabesco, anzi dei mondi fiabeschi (ben sette) che la nonna ha raccontato ad Elsa nel corso della sua infanzia attraverso il loro linguaggio segreto.
Backman è magistrale nel passare da un piano all'altro: dalla fiaba alla realtà e viceversa:
" Elsa non sa se questo significhi che la nonna ha preso tutte le sue storie dal mondo reale e le ha ambientate a Miamas oppure se le storie di Miamas sono diventate così vere che le creature sono arrivare fino nel mondo reale..."
" Elsa si ricorda che la nonna diceva sempre che "le fiabe migliori non sono mai del tutto vere e mai del tutto inventare" Era questo che intendeva dicendo che sfidano la realtà. Per la nonna non esisteva niente che fosse al cento per cento l'uno e l'altro. Le fiabe erano del tutto reali e al tempo stesso del tutto irreali."

La scelta della nonna di raccontare ad Elsa una fiaba, tante fiabe, un mondo di fiabe come metafora del mondo reale nasce dal fatto che la realtà supera di gran lunga la fantasia e le storture della realtà vissute dalla nonna medico possono essere raccontate ad una bambina solo attraverso le fiabe e forse anche la nonna riusciva a superare il dolore e la sofferenza della realtà sublimandola con le fiabe per poter continuare ad aiutare le persone nel mondo e non soccombere al dolore ed alla perdita:
"Il più grande potere della morte non è far morire le persone, ma far desiderare a quelle che rimangono di smettere di vivere."
Ad un certo punto infatti Backman scrive:
"E' troppa realtà per una bambina di quasi otto anni. Troppa quasi per chiunque di quasi qualunque età".
Elsa è un personaggio fantastico.
La nonna è un personaggio fantastico ma all'inizio non lo avevo compreso perchè le bizzarre trovate della nonna mi lasciavano interdetta, sospesa, da brava intelligentona non riuscivo a dare un senso a tutti gli "eccessi" della nonna.
Ma Backman ce lo dice subito, lo spiega con grande chiarezza, nelle primissime pagine del libro:
"La nonna è una di quelle persone che ci si porta in guerra."
"La nonna è al suo fianco. Le impedisce di chiedere scusa. Le impedisce di prendersi la colpa. La nonna non dice mai ad Elsa di fregarsene ..."

E mi chiedevo: come può una nonna portare la nipote, anzi spingere la nipote in guerra con quei coetanei che la perseguitano, sarebbe meglio far finta di niente.

Poi leggendo il libro ho compreso, ho capito: la nonna è un personaggio fantastico, lei difende la nipota ma soprattutto la diversità.
E' la diversità che ci rende unici, speciali, supereroi, persone che possono fare la differenza e se tale diversità viene perseguitata non è possibile stare zitti e subire o peggio fare finta di niente.
E la nonna non lo fa mai: "I classici della nonna erano sempre per Elsa"
Tutte quelle che noi intelligentoni definiamo "bizzarre trovate" sono fatte dalla nonna con un unico scopo fronteggiare chiunque o qualunque cosa possa distruggere la diversità, la diversità che ci rende unici. Ad ognuno il suo superpotere che deve essere difeso, custodito, valorizzato, utilizzato.

" E' davvero impossibile essere furibondi con qualcuno che è pronto a diventare un terrorista per la propria nipote"

Elsa ad un certo punto riconosce che gli "intelligentoni" ce l'hanno tanto con lei probabilmente perché lei li affronta e non si sottomette, lei protegge la sua diversità e questo lo ha imparato con la nonna.
Del resto la stessa nonna ha dovuto combattere con chi voleva farla fermare, arretrare, smettere di utilizzare il suo superpotere, quello di saper salvare vite umane nel caos e nel buio più profondo. Ed è proprio la mamma di Elsa che le dice:
"La gente non avrebbe mai detto che tuo nonno era un cattivo papà se fosse stato lui a girare il mondo per salare vite invece che tua nonna..."

La nonna ha dovuto lottare anche con il proprio senso di colpa per aver dovuto lasciare la sua unica figlia, la mamma di Elsa, per intraprendere i lunghi viaggi nel mondo nella sofferenza, nella morte perchè lei è un medico e ha il dovere di andare dove la sofferrenza chiama.
La nonna e la mamma di Elsa, madre e figlia, due essere così vicini e nello stesso tempo così diversi nel modo di vivere. Una figlia organizzata, pragmatica, terrena, una madre che sa dare il meglio di sè solo nel caos e che vive apparentemente in modo caotico e quasi fantastico.
Ecco quindi che la caccia al tesoro di Elsa diventa anche il modo con cui la nonna chiederà scusa alla sua unica figlia ed Elsa lo capisce quasi da subito:

"Dobbiamo consegnare tute le scuse della nonna per la mia mamma. Perché spero che le ultime scuse siano per lei."


Una storia piena di sorprese, in continuo divenire dove la fantasia e la realtà si intrecciano, dove il mondo fiabesco ed il mondo terreno si alternano continuamente, dove compaiono tanti e diversi personaggi, una storia unica, speciale, fantastica, da leggere.
Spero che anche voi possiate scoprire Elsa e la nonna ed amarle, come ho fatto io.
Spero che possiate incontrare la bellezza delle parole di Backman il cui superpotere è saper regalare al lettore un'esperienza di lettura unica.

E chiuso proprio con le sue di parole:

" Perchè per certi versi si può ben dire che tutto quello che capita alle persone di questa fiaba una volta che è finita è molto complicato, ma per altri versi si può dire che non lo è affatto. Perché la vita è molto complicata e molto semplice allo stesso tempo. Per questo esistono gli stati di Facebook"

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ofranca Opinione inserita da ofranca    06 Dicembre, 2019
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Tanti racconti per una storia: Sofia

"Aveva addosso una felpa nera, pantaloni della tuta neri, i capelli rasati da un lato solo e l'orecchio sinistro bucherellato da una scarica di anellini d'argento. Era sottopeso di almeno dieci chili, con le vene che le incidevano il dorso della mano."

Cognetti articola la narrazione in racconti che potrebbero essere letti in modo casuale, ma è solo leggendoli tutti che si può ricostruire il puzzle del personaggio di Sofia e del mondo che ruota intorno a lei.

Ho fatto un po' di fatica a seguire l'evoluzione temporale della vita di Sofia perché le storie non sono organizzate in base al susseguirsi del tempo. Ogni capitolo è dedicato ad un personaggio che per un motivo parentale o lavorativo o sentimentale entra nella vita di Sofia e la racconta fornendoci un affresco di questa vita, caotico e scollegato.
Sofia non si racconta, sono gli altri a parlare di lei: "tutti sapevano che Sofia era stata un maschiaccio: la conoscevano dai racconti dei loro fratelli maggiori"
Del resto lei non parla mai troppo, non mangia, non saluta, non chiude i rapporti, non ha una fissa dimora, l'unico posto dove si rilassa è nella vasca da bagno: "da quando sei senza fissa dimora, la vasca da bagno è l'unico luogo in cui, dovunque ti trovi, puoi chiudere gli occhi e sentirti a casa" e per un motivo ben preciso.

La vita di Sofia è proprio come i racconti: apparentemente scollegata, un divenire continuo che anche nel finale non si conclude, lasciando aperte mille possibilità.
Solo il primo racconto "Una storia di pirati" e l'ultimo "Brooklyn Sailor Blues" ci parlano di Sofia rispettivamente da bambina e da adulta.

Non ho particolarmente amato Sofia, per questa sua continua disconnessione con la vita, o forse per l'intermittenza con cui ci viene offerta la sua storia. Diversamente ho apprezzato gli altri personaggi attraverso cui Cognetti descrive anche le vicende politico economiche e sociali dell'Italia degli anni 80 e 90.
C'è il papà Roberto, un uomo borghese che nasce e cresce, lavorativamente parlando, nella fabbrica dell'Alfa Romeo, che vede i lustri e la fine della casa automobilistica, che sarà assente nella vita della figlia: "parla di tuo padre. Scrisse che lei suo padre non lo conosceva, perciò non era in grado di svolgere il compito, ma se andava bene lo stesso le sarebbe piaciuto parlare del suo cane" ma che comunque saprà essere più presente della madre, Rossana.
A lei è dedicato il penultimo racconto "Le cose da salvare".
Durante la lettura ho a lungo atteso la sua storia. Questa madre che "faceva fatica a dormire. Durante il giorno era irritata ed irascibile. Passava il pomeriggio a letto e non dipingeva da mesi. Cominciò a vedere dei dottori, così in poco tempo l'umore di Rossana diventò il problema di Rossana e poi la malattia di Rossana."
Una madre fortemente depressa che minaccia, continuamente, di andare via. Prepara le valigie e poi le disfa, le prepara e poi le disfa Sofia, le prepara e poi rimane lì in quella casa borghese, con un sogno nel cassetto.

L'altro personaggio ben caratterizzata è la zia di Sofia, Marta la sorella di Roberto, la cui vita ci viene racconta nel capitolo "Sofia si veste sempre di nero".
Marta che lotta contro il potere dei pochi, contro i licenziamenti, per i diritti della classe operaia, contro quel sistema dove il fratello Roberto, stava facendo carriera fino a diventare dirigente, uno di quegli uomini contro cui Marta lotta.
Marta non ha figli, non ha una famiglia ma è l'unica che sembra riuscire ad entrare in contatto con Sofia, Cognetti infatti ci dice parlando di Sofia che: "Marta era riuscita a fare breccia nella sua curiosità."

In questo complesso affresco umano e sociale cresce Sofia portando dentro la paura dell'abbandono e di restare sola. Cresce in una stanza con due letti, "perché al momento di comprare i mobili i suoi genitori progettavano un secondo figlio".
Cresce con una madre "sofferente, una sonnanbula che vagava per casa cercando di cogliere un senso che le sfuggiva. Aveva quest'unico sollievo quotidiano: verso sera riempiva la vasca d'acqua calda, versava sali profumati e chiamava Sofia per il bagno. Lì dentro chiacchieravano lavandosi a vicenda i capelli e la, schiena. "

l linguaggio e la costruzione della storia di Sofia sono affatto scontati.
Nel complesso ho apprezzato lo stile di Cognetti anche se dopo aver chiuso il libro non né sono rimasta particolarmente affezionata, del resto Sofia fa di tutto per non farsi amare.

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ofranca Opinione inserita da ofranca    02 Dicembre, 2019
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Una porta, una vita

"Emerenc non ha bisogno di una vita qualunque. Emerenc ha bisogno della sua vita. Quella che ormai non c'è più"

Devo subito dire che questa lettura mi ha coinvolto tenendomi attaccata alle pagine. Inizialmente ho fatto fatica perché la scrittrice usa pochissimi dialoghi, tutto quello che i personaggi si dicono viene spesso riassunto come se non si trattasse di un dialogo bensì di une descrizione. Lasciata la titubanza iniziale, che dura qualche pagina, si entra immediatamente in intimità con il libro e non si potrà fare a meno di leggere e leggere per scoprire la storia e dissipare l'alone di mistero che imbriglia il lettore già con la prima confessione della voce narrante:

"Nella mia fede non esiste la confessione individuale, noi riconosciamo di essere peccatori per bocca del pastore e di meritare il castigo perché abbiamo infranto in ogni modo possibile i comandamenti. E riceviamo il perdono senza che Dio esiga da noi spiegazioni o particolare. Io invece li fornirò"

La confessione non è altro che la ricostruzione del rapporto complesso tra le due protagoniste: la scrittrice ed Emerenc. Un rapporto fatto di attacchi e gentilezze, di incomprensioni, di attenzioni ed allontanamenti di amore mai espressamente dichiarato.
Io stessa ho provato sentimenti ambivalenti per l'una e per l'altra, in modo alternato e mai univoco.
Mi sono lambiccata il cervello per comprendere il perché di alcuni comportamenti da una parte e dall'altra senza trovare immediatamente risposte. Così mi sono disposta con l'animo in ascolto per cogliere ogni sfumatura che l'autrice ci offre nelle pagine in cui emerge con prepotenza e delicatezza, in un gioco dei contrari, la figura di Emerenc, l'anziana signora, provata dagli eventi, con un segreto da tenere ben nascosto.

Emerenc arriva nella grande casa, dove si sono da poco trasferiti la scrittrice ed il marito, per occuparsi di tutte le attività domestiche, oltre a svolgere il lavoro di portierato nel quartiere in cui vive.

La Szabó costruisce con le parole uno splendido ritratto di Emerenc e subito appare chiaro al lettore che questo personaggio è scomodo. Emerenc ci obbliga ad uscire dalla comodità del nostro pensiero per condurci verso un mondo apparentemente incomprensibile ma che si rivelerà fedele a sé stesso, integro ed incredibilmente semplice:

"Si prese cura di noi per oltre vent'anni, ma i primi cinque stabilì una distanza di sicurezza che non potevano oltrepassare"

"Il mondo di Emerenc ammetteva solo due categorie di uomini, chi maneggia la scopa e chi non lo fa, e da chi non scopa ci si può aspettare di tutto."

"Emerenc era nata Mefistofele, negava tutto."

"Emerenc, con la fronte perennemente coperta, con il viso liscio come la superficie di un lago, non aveva mai chiesto niente a nessuno, bastava sempre a sé stessa, così si era accollata i pesi degli altri senza mai dire quello che pesava a lei."

In questo quadro un ruolo importante hanno gli animali che offrono al lettore una faccia dell'amore di Emerenc. Un cane trovato dalla scrittrice e dal marito in un giorno di neve che Emerenc chiamerà Viola, nonostante sia un maschio. Viola viene salvata dalla scrittrice, vivrà con lei ma sarà in simbiosi con Emerenc che lo educherà a modo suo. Viola è spesso l'oggetto di discussione tra le due e motivo di gelosia da parte della scrittrice, per la devozione incondizionata di Viola ad Emerenc.
Ed i gatti ben otto che vivono con Emerenc, la loro salvatrice, custodendo il segreto.

Perché Emerenc ha un segreto: non apre a nessuno la porta della sua casa, lo farà solo alla scrittrice, per cui proverà un amore forte, viscerale paragonabile a quello tra una madre ed una figlia e questo amore sarà la causa dell'evento drammatico che le colpirà involontariamente.
Il modo di amarsi di entrambe è sempre inconciliabile, mai armonico, ognuna con il proprio bagaglio di vita troppo ingombrante per farle avvicinare, che le tiene emotivamente distanti.

L'apertura della porta sarà la dichiarazione d'amore e di totale fiducia di Emerenc e la dichiarazione d'amore della scrittrice che si fa aprire per salvare l'anziana donna, che decide di varcare quella soglia e di entrare nel mondo di Emerenc ma senza averlo prima compreso pienamente.
Questo gesto che sembra l'unico momento di incontro tra le due sarà anche il punto di non ritorno, una linea immaginaria che divide in due il libro e ci da la chiara portata della splendida scrittura della Szabó.
La porta è un simbolo carico di significati che conduce il lettore a diverse riflessioni.
La porta chiusa è il simbolo del limite che non deve essere oltrepassato per evitare di perdere definitivamente il rispetto per l'altro.
La porta chiusa preserva la vita, la forma di vita che Emerenc ha scelto per sè.
La porta aperta, chiusa è il simbolo delle scelte che ognuno fa, per sè, per l'altro e che inevitabilmente portano ad un cambiamento, anche se la portata del cambiamento non è chiaro finché non si sceglie e sarà per le protagoniste devastante, sarà una sconfitta.
La porta divelta è il simbolo del fallimento di tante azioni fatte in nome di quell'amore che dovrebbe essere protetto, custodito, rispettato con delicatezza e profonda comprensione e non violentato, usurpato, devastato.
L' assenza della porta è il simbolo del tradimento che viene perpetrato in nome dell'amore.

"Emerenc voleva abbandonare questo mondo dopo che le avevano distrutto l'intelaiatura che reggeva la sua esistenza e la leggenda aleggiante intorno al suo nome."

Scoprire questa autrice mi ha reso più ricca. Un libro unico ed imperdibile scritto in modo impeccabile, di cui consiglio caldamente la lettura.

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ofranca Opinione inserita da ofranca    02 Dicembre, 2019
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Una storia tutta da scoprire

"Sarai una farfalla bellissima, dolce e delicata. Il tuo volo sarà breve, ma intenso. Toccherai terra solo una volta, per generare la vita. Come fanno le farfalle. E soffrirai, quando dovrai lasciare la crisalide. Come facciamo tutti."

La storia scritta dalla Montemurro è ricca: piena di eventi; di segreti, che vengono svelati uno dopo l'altro fino alle ultime pagine; di figure femminili importanti ognuna con il suo vissuto ed il suo passato e tutte intrecciate tra loro.
La struttura del romanzo mi ha ricordato molto i libri di Cristina Caboni ("La custode del miele e delle api", "Il giardino dei fiori segreti"): all'inizio di ogni capitolo viene inserito il nome di una farfalla spiegandone i caratteri e lasciando un consiglio di vita per tutti. La cosa mi ha incuriosito e mi ha spinto a cercare le immagini di queste farfalle, così ben descritte in poche righe, e quando un libro mi incuriosisce ed apre le mie ricerche per me è sempre positivo.

La Montemurro, soprattutto dalla metà in poi, non lascia respiro al lettore che viene investito dalle confessioni dei personaggi permettendogli di ricostruire gli eventi. Eventi che sono ambientati in due periodi temporali diversi: il passato (dal 1943 in piena guerra fino al 1966) di Lucrezia madre di Margherita, Will, Alfonso,Yukari madre di Cho; il presente (2014) di Margherita e della figlia Anita nipote di Lucrezia, di Yoko, figlia di Cho, nipote di Yukari

Tutto parte nel 1943 durante la seconda guerra mondiale nella "Villa delle farfalle" dove ritroviamo Lucrezia, che vive nella villa, Will un ufficiale tedesco che ha la base militare nella villa e Yukari una bambina giapponese portata da Will nella villa dopo essere stata salvata da una tragedia familiare.
Questi tre personaggi così lontani per nascita, cultura e nazionalità si ritrovano nella villa nel periodo della guerra, le loro tre vite si intrecciano dando il via alla storia ed agli eventi che si ripercuotono, fino al presente, nella vita di Anita e nella vita di Yoko.
La villa ed il farfallario sono i due elementi presenti costantemente nel racconto: la villa accoglie, ascolta, custodisce tutti i segreti ed a volte sembra vivere di vita propria; il farfallario luogo della calma, della salvezza, della rigenerazione.
Ho trovato il tutto ben organizzato ed anche i personaggi ben caratterizzati.
Ho provato sentimenti alterni ed invertiti verso i personaggi femminili più antichi di Lucrezia e Yukari.
All'inizio ho provato tenerezza e ammirazione per la cura e l'attenzione, quasi materna, che Lucrezia mette nel custodire ed educare la giovane giapponese Yukari, mentre ho provato un risentimento forte verso il modo di comportarsi di Yukari.
Andando avanti con la storia ho provato l'inverso dei sentimenti: tenerezza e pena per Yukari, per come viene isolata, rifiutata da Lucrezia e quasi odio per Lucrezia.
Da spartiacque ai diversi comportamenti delle protagoniste un evento che segna entrambe e la loro relazione.

Il romanzo tiene sullo sfondo i temi della violenza e dell'amore nel periodo della seconda guerra mondiale, in primo piano rimangono le storie delle donne: tre generazioni di donne Angelica, Margherita, Anita e Yukari, Cho e Yoko.

La scrittura della Montemurro è leggera, scorre velocemente sotto gli occhi ed il libro si fa leggere da solo, complice la voglia di scoprire l'intreccio ed i segreti.
Mi è però mancato qualcosa, non so dire cosa, forse troppi eventi e misteri da svelare e nella fretta di leggere per rimettere a posto i tasselli mi è mancata l'attenzione.
Forse nel turbinio degli eventi l'autrice si è persa i dettagli, quelli che per me fanno la differenza di un testo dall'altro. Ma è un mio personale "punto di lettura".

E' un libro che comunque consiglierei a chi vuole immergersi in una storia come in un film.

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"La custode del miele e delle api"; " il giardino dei fiori segreti" di Cristina Caboni
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