Opinione scritta da cristiano75
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Assoluta lentezza
Mc Carthy in questo romanzo, che fa parte della trilogia del Confine, segue le avventure di un giovane caballeros e della sua vana ambizione di addomesticare una lupa.
Lo scrittore ama nei suoi romanzi porre come protagonisti, prima di tutto uomini (non ho mai letto un suo romanzo dove la protagonista fosse una donna) e poi come Dostoevskij mette in luce i diseredati, i reietti, i vinti dalla vita che hanno esistenze al limite tra la società e la legge.
Filo conduttore della sua scrittura è la lentezza con cui avvolge i romanzi. In questo poi sembra proprio che non si abbia mai fine nella lettura ed ho fatto uno sforzo enorme a portarlo a compimento. Non c'è una trama ben precisa, con un classico antefatto, lo sviluppo della storia e una conclusione.
E' un eterno vagare senza meta di questo adolescente tra terre aspre e imbrattate di sangue e dolore.
Diventa un barbone a cavallo, un diseredato, un senza storia che come in ogni tomo di Cormac non ha come destino la salvezza, ma bensì la dannazione degli uomini.
La Natura selvaggia affascina e scandisce il tempo del vagabondare. Oltre il confine è solo una linea retta tracciata dagli uomini su una lingua di terra, una demarcazione geografica, un andare al di là di un posto nella speranza di una rinascita, che spesse volte è solo un chimerica illusine.
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- sì
- no
Illegibile per me
Se avessi potuto, avrei messo zero a ogni voto.
Di questo autore ho letto il bellissimo "Ma gli androidi sognano pecore elettriche" da cui è stato tratto uno dei più grandiosi capolavori della storia del cinema, con le struggenti composizioni di quel genio che fu Vangelis.
Poi leggendo varie recensioni in giro, mi sono fatto prendere dalla curiosità su questo Ubik e mi sono preso la nuova versione con una copertina molto bella di cartone in stile retro.
Iniziando a leggere la premessa mi sono cominciati a venire dei dubbi, in quando si parla dell' LSD e come questa sostanza tanti decenni fa aiutasse gli artisti a tirare fuori il meglio di se nel creare arte, ma allo stesso tempo li lasciasse in uno stato diciamo così psichedelico arruffato.....
Per esempio avevo letto altrove che nella scena finale dell'immenso "Odissea nello Spazio" di Kubrik tutte le visioni di flash colorote dell'astronauta, fossero state il risultato dell'utilizzo di sostanze del regista prima di filmare le sequenze.
Ubik è un libro incomprensibile, perchè l'autore da per scontato che noi sappiamo cosa siano dei termini da lui inventati e che sono solamente nella sua mente.
Quindi il lettore leggerà delle sequenze di frasi apparentemente senza senso che dovrebbero avere un significato compiuto nella narrazione.
E come quando andate a una collezione di arte contemporanea e magari all'angolo di un sala museale trovate un secchio di vernice e dentro il pupazzo di plastica di un oca macchiata....uno si chiede e mo sta cosa cos'è?? che ci vuol dire l'autore?? allora andate a leggere la didascalia e trovate scritto: "passaggio del tempo con sacrificio animale-naturale".....lo rileggete e non capite nuovamente.....vabbè passate oltre, magari l'opera appresso sarà più facilmente recepibile.
Purtroppo con Ubik la cosa non funziona, tralasciate alcune parti incomprensibili di un paragrafo pensando che magari leggendo avanti ne uscirà fuori un significato che ci è sfuggito e invece no, la cosa diventa ancora più oscura, confusa, contorta.
Una serie di idee, immagini, termini, uso di verbi, aggettivi, salti di tempo, donne conturbanti, gente che mette i soldi dentro a un armadio per farlo aprire, persona che parlano con gente morta che sta ancora morendo di più....il morto non morto che dopo muore.....l'amico del morto che torna in vita e vuole sfogarsi perchè si sente solo, la ragazzetta bella e conturbante, Ubik che può essere un oggetto di utilizzo quotidiano come una delle più grandi scoperte dell'umanità. La Luna che a sto punto l'autore decide di chiamare confidenzialmente Luna. La moglie morta, congelata, scongelata e poi nuovamente ricongelata, ma prima di ciò il protagonista gli chiede come migliorare le finanza dell'azienda anche se lei fluttua in una non morte che presto diventerà morte, poichè ogni volta che viene svegliata le forse si dissolvono.....boh
Poi arriva un'altra ragazza, che entra dentro casa di uno e vuol farsi la doccia. Questo le dice, si vieni quando ti pare.....
Sono arrivato alla fine del libro facendo sforzi enormi per non abbandonare il tutto e mi sono chiesto: "ma che ho letto? e quindi?? ma non mi potevo prendere un hamburgher con una Guinness al pub irlandese, invece che spendere sti soldi per sto accrocchio??"
Poi magari io non lo ho capito, però sono dell'idea che come in un pasticcio di carne, più cose ci ficchi dentro e più diventa una matassa immangiabile invece di deliziare il palato.
Poi ripeto è un opinione mia, tanti ci leggeranno un capolavoro, lo apprezzeranno, bene per loro, per me va oltre la mia comprensione attuale e forse futura.
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Crepuscolare
Cavalli Selvaggi fa parte della "Trilogia della Frontiera" insieme ad altri due libri.
La vicenda è ambientata al confine tra Stati Uniti e Messico, con libero uso della lingua spagnola, non tradotta per rendere più avvincente e aderente alla realtà il romanzo.
Per chi parla decentemente l'idioma iberico è anche piacevole imbattersi in questi termini stranieri, per chi non conosce tale lingua può risultare antipatico.
Mc Charty è un autore che adora narrare le vicende di reietti e dimenticati, che si aggirano in lande desolate o comunque in terre dure e spietate.
In questo romanzo, che a mio avviso è minore, rispetto ai suo capolavori come Non è un paese per vecchi, l'azione è incentrata su due ragazzi vagabondi, che cercano in ogni maniera di sopravvivere alla spietatezza della povertà e dell'animo umano.
Il crepuscolo è l'immagine ricorrente che avvolge l'azione avvolge il pensiero dei protagonisti, la loro azione il loro incedere tra lande desolate e paesaggi spettrali.
Nessuno vuole nessuno, ognuno e nemico del suo prossimo. La dove si erge uno spiraglio di salvezza nel impossibile amore fra due giovani, arriva subito la scure del dolore a separarli.
La vita non vale nulla, la si baratta per un cassa di birra, i cavalli sono piegati al volere dell'uomo sono sfiniti nel percorrere terre immense e senza confine.
L'autore conosce bene fino a che punto si annidi la tenebra nel cuore di chi sopravvive alla violenza e alla corruzione dei costumi.
E' un libro che per come si sviluppa sin dall'inizio fa intuire che il cammino dei protagonisti sarà segnato dalle privazioni, dal freddo, dalle albe implacabile, dalla natura insensibile alle disperazioni umane.
Un pellegrinaggio lungo un confine invisibile che segna il passaggio dalla spensieratezza giovanile al dramma dell'età adulta. Non adatto ai malinconici e ai sognatori.
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Resto perplesso
Faccio una premessa, ho conosciuto Steinback negli ultimi due, tre anni.
Dopo aver esaurito tutti i classici russi, tedeschi e francesi, ho girato il mio sguardo verso la letteratura americana ed ho appunto scoperto questo autore e uno più contemporaneo come Mc Charty.
Di Steinback ho letto diversi tomi e posso dire che Furore e La Valle dell'Eden sono stati veramente una grande sorpresa e non esagero nel dire che Furore lo posso accostare per grandiosità a certi classici come Dostoevskij o Zola. Un vero capolavoro mondiale, come la stessa Valle dell'Eden, anche se un pelino minore rispetto al primo.
Dopo aver affrontato questi due libri dalla mole impressionante ed averli letteralmente divorati in poche settimane, sono passato alle letture "minori" di Stainback:
Uomini e topi
L'inverno del nostro scontento
La luna e tramontata....
ebbene sono rimasto basito e perplesso nel constatare che non solo sono scritti minori, ma sembrano proprio partoriti da un autore diverso rispetto ai due capolavori sopracitati.
Saranno forse le traduzioni, forse questi sono racconti più brevi, ma cè una caduta di qualità di scrittura, di trama, di analisi psicologica dei personaggi, quasi sconvolgente....si passa dallo scrivere capolavori immortali a dei raccontini semplici semplici che sembrano non avere ne capo ne coda.
Come se un Tolstoj scrivesse Guerra e Pace e poi passasse a scrivere un racconto per riviste rosa.
Questo "la luna è tramontata" è lentissimo, piatto, monotono, con personaggi assurdi, vicende fuori da ogni logica, senza un finale certo, banale nel descrivere la lotta tra conquistati e conquistatori, che sembrano tutti galleggiare in un unico calderone di riflessioni strampalate e campate tanto per dare qualche pagina in più al racconto.
Forse sarebbe stato meglio compiere un percorso di lettura inverso:
partire dalle opere minori e poi elevarsi a quelle maggiori.....forse
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Ubi Sunt
Grandioso affresco sull'esistenza umana.
La Fortezza incastrata su vette invalicabili, un deserto inquietante di fronte all'ultimo avamposto dimenticato. Un nemico invisibile, presente ossessivamente nella mente del protagonista e dei suoi compari di sventura.
La solitudine in mezzo alla moltitudine, la Natura avversa e ignara del destino degli uomini.
Il trascorrere del tempo inesorabile.
Arriverà la gloria per il Drogo Tenente? se lo chiede il protagonista mentre attende che le ombre che attraversano la valle sterminata e che forse da un momento si trasformeranno nel nemico tanto agognato.
Ho ravvisato elementi similari con "viaggio al termine della notte" di Celine e " il cappotto" di Gogol.
Da una parte il rifiuto totale dell'accettazione della legge marziale, la legge del Dio Marte, e dall'altra l'arrivo dell'agognato regalo del mantello per ripararsi dalle intemperie, che però sarà anche il primo passo di sventura del protagonista, che non appena lo indossa, orgoglioso e fiero sente subito dei sinistri presagi profondersi nella mente.
E' giusto immolarsi per il proprio lavoro?? per rivendicare un ideale?? perchè nel momento del bisogno i più si allontanano?? (e qui ci sono elementi espliciti alla grandiosa "la morte di Ivan Ilic" del Tostoj).
La gioventù come bene più prezioso che non andrebbe barattata con nulla se non con la propria ricerca profonda di felicità.
Il Drogo è li che attende sul bastione, scruta l'orizzonte, osserva il proprio voluto esilio, ha inseguito la felicità ha trovato tanta amarezza. Ma poi sorride al destino, il finale è ineluttabile.
IL Trionfo di Bacco e Arianna - Il Magnifico Lorenzo"
Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza
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Minore
La vetta narrativa di Stainbeck è Furore. Poi un gradino sotto cè La Valle dell'Eden.
A questi due capolavori l'autore crea una serie di romanzi "minori", anche in lunghezza che a mio parere non riescono a replicare la grandezza delle due opere sopracitate.
Questo libro, l'ultimo del premio Nobel, parte in maniera molto incisiva, ma piano piano si spegne e diventa un mattone non facile da portare avanti.
La storia è quella di un commesso di norcineria, che frustrato da un occupazione che odia e da una famiglia che pretende sempre di più decide di farsi carnefice ed adeguarsi alla logica malata della società capitalista e borghese che ha nel successo e nell'accumulo di oggetti e ricchezze il fine ultimo per dare un senso all'esistenza.
Purtroppo la narrazione è molto incerta, procede a tentoni, salti temporali, personaggi che arrivano e in un attimo spariscono, situazioni che si alternano, spesso senza un filo logico, fra di loro.
La figura della moglie, dipinta come una bellissima e sensuale compagna, che sembra adorare il protagonista ma che in verità, aspira al meglio, a comprare vestiti migliori per i propri figli a volere andare in vacanza a non volersi preoccupare per il futuro economico.
Manca l'introspezione psicologia dei personaggi, come invece avveniva in maniera grandiosa in Furore.
Le vicende sono piatte, sembra che le cose accadano così come trasportate dalle acque del fiume su percorsi tracciati.
C'è il gretto capoccia italiano, ignorante e rozzo, che vuol far ritorno in Europa.
C'è il disgraziato alcolizzato che affoga il proprio odio e rancore in bottiglie da quattro soldi.
C'è un affarista, idiota, che pensa di avere l'idea che gli farà fare soldi a coprirci la distanza da qui a Giove e con la quale spilla denaro a malcapitati e ignoranti investitori.
E poi c'è lui, la vittima del sistema, il borghese decaduto, che da padrone è diventato schiavo, che non riesce a vedere la miseria umana che ha intorno, si fa travolgere dalla grettezza e dalla ignavia di questo microcosmo di una squallida e dimentica cittadina statunitense sperduta chissà dove, una periferia del mondo dove si cova rancore, sopraffazione e miseria sociale.
Il malcontento cresce nell'anima, prolifera, mette radici e piano piano si fa tangibile, reale, supera le reticenze morali, abbatte le certezze che si sono create in una vita e quando dilaga diviene disperazione e poi azione.
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I dimenticati
Non sono libri facili da digerire quelli di questo Grande della letteratura Mondiale.
La sua profonda conoscenza del degrado sociale ed umano americano, mi ricorda da lontano, i grandi scrittori russi di cento anni fa, che erano i chirurghi dell'anima sociale moscovita, san pietroburghese e delle lande desolate siberiane.
Chi ama Steinbeck, sicuramente troverà molti punti in comune con la scrittura di Mc Charty.
Anche in questo romanzo lo scrittore narra di personaggi rassegnati, dimenticati, reietti che compiono gesti limite e ne pagano a caro prezzo le conseguenze.
La Natura è spietata, cupa, indifferente ai drammi degli uomini.
Egli descrive perfettamente quello che i protagonisti provano esposti ai rigori dell'inverno, all'attraversare enormi distanze senza riparo alcuno.
I protagonisti sono un giovane sbandato e sua sorella la vera vittima del racconto che vaga inebetita, lacera ed affamata per terre senza speranza.
Lo scrittore ha una capacità assoluta e magnifica di descrivere il paesaggio, quasi a renderlo palpabile. Ci si immerge completamente nella lettura, ha momenti lirici, con una scrittura che non da fiato, non ha momenti di stasi o noia, assorbe completamente il lettore e lo proietta verso i confini della miseria umana. Gli pone davanti una scelta, abbandonare la lettura e conservare un poco di speranza oppure proseguire verso la discesa nel buio dell'animo umano.
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Figlio di Dio
Un "tranquillo" motel di periferia
Da questo romanzo è stato tratto uno dei più grandi e famosi capolavori della storia del cinema.
Film cult, che ho sempre rivisto con estremo interesse, con la scena della doccia, che è una della più famose mai girate.
Il Maestro Alfred Hitchcock prese idea del suo film più famoso, da questo libro di Bloch (autore tra l'altro anche di "Jack lo squartatore", anche quello libro di successo da cui sono state tratte innumerevoli opere cinematografiche e teatrali".
La vicenda si svolge quasi tutta intorno a un tetro e dimenticato motel di periferia, taglio fuori con il suo folle proprietario, dal mondo, a causa della costruzione di una superstrada.
Solitudine, impotenza, sdoppiamento di personalità, amori impossibili, miseria umana e sociale, emarginazioni sociali, paura, odio.....sono tanti i sogni che si infrangono in quelle sinistre stanze.
Il libro di certo lo si gusta di più se non si è visto il film. Ma comunque approfondisce maggiormente la vicenda rispetto alla pellicola, introducendo elementi nuovi per comprendere la contorta psiche dell'assassino.
C'è però a mio avviso una grandissima discrepanza tra la versione su carta e quella su celluloide!
La scena, che dicevo prima, della doccia.....mi ha colpito molto, come lo scrittore e il regista abbiano dato una importanza sensibilmente diversa a questo passaggio fondamentale della storia.
Per non spoilerare preferisco non dire nulla di più, ma ritengo che il grande Alfred Hitchcock
abbia colto nel segno e approfondito maggiormente il delirio che ammanta l'opera.
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Capolavoro a metà
Non avevo conoscenza di questo romanzo, fin quando ho letto recensioni un po ovunque che ne esaltavano il contenuto e la forza espressiva.
A mio parere la prima metà del libro è effettivamente di una grande potenza ed espressività narrativa.
Si procede a strappi, con momenti di profonda scrittura ad altri astratti e non facilmente comprensibili. Come se lo scrittore volesse portare il lettore nella sua disperazione e poi all'improvviso abbia il desiderio di rendergli difficoltoso saper leggere nel suo pensiero.
La parte relativa alla guerra è cupa e disperata, cinica e tremendamente veritiera.
Non ci sono eroi, ma esseri disperati immersi nel frullatore umano creato dalla sete di potere di potenti e alti in grado.
Il racconto quando si trasferisce in Africa, assomiglia molto al "Cuore di Tenebra" di Conrad, con una terra ostile, spietata e un sole implacabile che porta alla follia.
A NY si evince la denuncia sociale di Celine nei confronti dell'uomo merce umana, fantasma nella immensa città, dove il destino delle persone è completamente insignificante per il prossimo.
Dove si fa un passo sul marciapiedi e si viene travolti dalla moltitudine che cancella le individualità e spietatamente crea un flusso ininterrotto di uomo-merce, buono solo per consumare, produrre e poi crepare (possibilmente con qualche denaro in tasca, poichè sennò il destino sarà atroce).
Nella seconda parte, il nostro eroe, torna in una Parigi completamente indifferente ai suoi eroi che hanno dato vita e ragione nel confitto.
Le classi sociali alte vivono la propria esistenza nel centro scintillante della ville lumiere, mentre una sterminata, puzzolente, pezzente, ignorante, incattivata popolazione trascorre vite torbide, meschine, disperate e sull'orlo della follia in zone periferiche, dove il protagonista, ora medico cerca di tirare avanti sopportando la tirannia di chi sfrutta le sue conoscenze e non vuol pagarlo.
Ecco in questa parte finale che si palesa la debolezza del racconto. Come se l'autore cercasse di allungare un po il brodo, aumentare il volume del romanzo, introducendo personaggi piatti, apatici, che danno la sensazione classica di chi non sappia come portare a termine la propria opera e inserisca pagine su pagine in cerca dell'ispirazione finale.
Comunque è un libro che crea disagio, che toglie speranza, vivo, vero, che contiene verità assolute, che palesa la vita con tutte le sue bassezze, illusioni, meschinità e che non da speranza riguardo un progresso morale, bensì esalta la bruttura umana, farcita dalla miseria, la disperazione e la voglia di primeggiare sul prossimo giusto per appagare la propria meschinità e cattiveria.
Un viaggio alla fine della notte, che sembra non avere termine se no, nella morte.
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Volare verso l'orizzonte
Ho letto l'edizione con i disegni, molto efficaci, semplici e commoventi.
La storia di un gabbiano che sfida il destino e i suoi compagni e si libera alto nelle volte del cielo, rischiando di precipitare in mare inghiottito dai fluttui.
Un Icaro che per sfidare gli Dei, vola troppo in alto e rischia di bruciarsi cotto dal Sole, ma lo spirito di libertà albeggia nei cuori degli impavidi, e quindi anche il gabbiano protagonista del romanzo, sfida i suoi simili più anziani e saggi e con un ultimo sforzo vola solitario verso il destino.
Sono i classici libri, di poche ma dense pagine, senza troppi preamboli e sofismi. Si viene proiettati nella storia breve e intensa, e in questa edizione illustrata attraverso le immagini, spesso sgranata si ha come la sensazione di essere immersi in quel volo verso l'ignoto.
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Insomma
Letto diverso tempo fa, l'ho trovato abbastanza palloso e poco incisivo.
E' un opera che ha avuto innumerevoli rappresentazioni teatrali e cinematografiche, tra le quali ricordo con sommo dispiacere quelle del Maestro Dario Argento, che andai a vedere secoli fa al cinema Cola di Rienzo a Roma. Purtroppo un film sfortunato che sancì definitivamente il declino del re dell'horror all'italiana.
La storia è interessante, ambientata in un teatro dove si aggira questa figura spettrale che veglia sui destini degli attori e degli spettatori.
Purtroppo avendo preso una edizione ultra economica, ne sono rimasto scottato, visto che la traduzione lasciava molto a desiderare e quindi portare avanti la lettura è stato alquanto difficoltoso e pieno di tempi morti, dovuti alla metabolizzazione del testo di certo non fluido e piacevole.
Parigi è la protagonista oscura del testo, spettrale e cupa, ove si annida il male, la lussuria e la cupidigia.
La morte aleggia un po ovunque, lo spettro si fa beffe delle persone, delle loro paure.
Un ombra si aggira tetra e minacciosa fra cunicoli dimenticati, assiste alle Opere e osserva la prossima vittima.
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Il ragazzo
Per me è un Ni!! questo romanzo.
In lande desolate, arse dal sole e sventrate da piogge torrenziali, errano senza meta un gruppo di semi-uomini, marchiati dalla vita, dalla miseria e dalla sofferenza che non hanno pietà alcuna per ogni forma di vita, animale, umana che incontrano.
L'autore come è nel suo stile non risparmia un linguaggio crudo, ossessivo, spietato.
Fin qui tutto bene, si fa per dire....
Quello che non mi ha convinto è la ripetitività spesso anche abbastanza tediosa, di questo vagare senza meta di questi uomini-belve, che mi ha dato come l'idea che il romanziere non avesse in mente dove parare.
Con lo scorrere delle pagine ho avvertito la sensazione che a una buona idea germinale non abbia fatto seguito poi un buono sviluppo.
Le scene si ripetono, le crudeltà anche, il vagare senza sosta altrettanto, gli omicidi sempre fini a se stessi.....dove vogliono andare questi disperati?? a cosa serve errare per terre ostili, selvagge, senza leggi, senza cibo, acqua e speranza??
Protagonista è il Ragazzo, finito nel vortice della violenza che ha costellato la sua esistenza. Da dove viene, nessuno lo sa. Si aggrega a questi scellerati, che si odiano tutti fra di loro, che si farebbero la pelle anche solo per una pinta di birra in qualche saloon.....leggendo questo grande scrittore USA, per l'uomo non vi è speranza e la Natura non ha pietà del nostro destino ed è l'unica che può renderci schiavi.
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Anche lui è un figlio di Dio
E' un periodo che sto scoprendo la letteratura statunitense, in special modo, leggendo ed apprezzando due grandi autori come Steinback e Mc Charty, entrambi purtroppo deceduti.
Sono molti i punti in comune che legano questi due scrittori, soprattutto per quanto riguarda lo studio minuzioso delle realtà sociali più difficili, che si celano dietro i lustrini del grande sogno americano o quello che ormai ne rimane.
In questo romanzo l'autore mette come protagonista una figura quasi demoniaca che erra per le montagne in cerca di giovani donne da uccidere e poi violare. Un necrofilo, di cui non si sa nulla sul suo vissuto, sulla sua infanzia e su come sia finito a barboneggiare e poi uccidere come un barbaro di altri tempi.
Abbandonato a se stesso, con uno Stato sociale praticamente assente, che non da speranza a chi si ritrova senza più nulla, qui si torna proprio allo stato della Pietra, dell'uomo primitivo che sopravviveva nelle grotte e si nutriva di sterpaglie, radici, piccoli roditori.
La follia cieca che prende al protagonista avrà dure ripercussioni su una cittadina, fin quando l'altrettanto spietato sceriffo con i suoi assistenti decidono che è arrivato il momento di porre fine a tutta quella sofferenza, atrocità e violenza.
Le descrizioni di ciò che accade sono vive, crude, riempiono la mente. La natura è ostile all'uomo come sempre, soprattutto attraverso un freddo implacabile che l'autore ha il merito di trasmettere al lettore in tutta la sua potenza.
Per stomaci forti, per chi ha deciso di scavare sotto alla superficie e ha trovato un cimitero di ossa senza nomi.
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Leggermente deluso
Dopo essermi divorato Furore, mi sono buttato a capo fitto su quest'altro tomo gigante con aspettative molto alte.
Purtroppo sono rimaste parzialmente deluse.
Replicare la grandiosità di un capolavoro assoluto come Furore naturalmente sarebbe stata impresa vana, a meno che uno non sia Zola, Hugo, Dostoevskij, Tolstoj che hanno praticamente creato solo opere immortali.
Essendo un grande amante del cinema di qualità, ed avendo visto diverse volte il film omonimo con il compianto James Dean, ero ancora più convinto di stare per affrontare una grande lettura.
Purtroppo l'autore in questo libro infinito, vuole raccontare delle epopee che coinvolgono una famiglia di braccianti, che attraverso lustri, drammi, perdite finanziarie hanno il destino segnato verso il dolore, la perdita e la solitudine.
In questo romanzo c'è una figura grandiosa, cattiva, ostile, demoniaca, implacabile che ha il nome di Cathy Ames, uno di quei personaggi geniali per cui sarebbe valsa la pena, scrivere un romanzo tutto per lei.
Alcune notti, per la spietatezza di come viene descritta ho trovato difficoltà a prendere sonno e mi sono venuti incubi.
Questa Cathy, dalle fattezze angeliche a mio avviso aveva talmente tanto preso lo scrittore, che per non far calare il sipario e l'attenzione sugli altri personaggi, ho come avuto la sensazione che ad un certo punto dell'opera l'abbia come abbandonata o comunque ridimensionata, suscitando in me non poco disappunto, visto le figure che gli ruotano attorno sono delle marionette in confronto alla profondità psicologica che lo scrittore arriva a toccare non appena torna a scrivere di questo angelo e demone che si cela nella fattezze di questa prima ragazzina, poi donna e infine persona anziana.
Dal momento che ho notato questo passaggio da un personaggio perfettamente incastrato nella storia e una serie di macchiette, uomini, figli, vicini di casa, guardiani, giudici, purtroppo ho ravvisato una caduta verticale di tutta la storia e dell'interesse nel proseguire la lettura, che essendo io testardo porto sempre comunque a termine.
Però vi assicuro che quando qui e li durante le più di 700 pagine compare la figura di Chaty allora si che ci si trova immersi totalmente negli avvenimenti, scorrono i brividi lungo il corpo e si esce sconvolti, fino a che punto possa spingersi il male dell'essere "umano" sia nel pensiero che nell'azione.
Ripeto, per me se Steinbeck avesse scritto un libro, tutto dedicato a questa Chaty, ne sarebbe uscito fuori qualcosa di memorabile e impagabile.
Anche lo stesso regista del film relega questa figura di donna-demone a un ruolo secondario, come se avesse avuto timore di offuscare la stella nascente di Dean, che purtroppo, per così poco tempo a illuminato la Hollywood delle Stars.
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Lo Scannatoio di Zola
Chiamatela umanità
L'esodo, successivo alla Grande Depressione, che colpì le campagne degli Stati Uniti e che fece emigrare decine di migliaia di disperati verso l'Ovest, nella speranza vana, di trovare lavoro e cibo.
Un libro durissimo, con descrizioni feroci della fame e della disperazione di bambini, donne, anziani, uomini comuni.
C'è un film tratto dal romanzo.
E' un bel mattone, cui bisogna approcciarsi con cautela, poichè tocca temi molto spinosi, di natura etica e religiosa.
L'uomo come strumento di produzione e consumo. Le nascite di esseri, già segnati nel destino, che sarà drammatico.
La follia generata dalla privazione, la fame, la mancanza di speranza: emblematica la scena durissima, di un disperato che preferisce lasciarsi al suo destino, perdendosi tra i Canyon del Colorado, in solitudine, piuttosto che proseguire questo viaggio senza speranza verso una terra ostile, violenta, marchiata dalla brutalità delle autorità e degli uomini.
Il povero che giudica e flagella il suo simile.
Il ricco che perde la cognizione della realtà e accumula quantità spropositate di terre lasciandole marcire piuttosto che cederle a questi miserabili accampati affamati e furenti sulle strade arse dal sole.
Bambini che si lottano un mestolo di zuppa, che sopravvivono nutrendosi di radici e frugando nelle immondizie.
Corpi scavati dalla pellagra.
Denutrizione, denti che marciscono, parti in mezzo alle discariche.
Si muore su un materasso marcio, appoggiato in terra. Non si hanno i soldi neanche per una croce e si seppellisce il corpo sotto a un ponte.
Le macchine che sostituiscono l'uomo al lavoro. Le nascite incontrollate nelle classi sociali più povere. L'ignoranza in cui viene tenuta la maggior parte della popolazione.
La sovrappopolazione per creare una nuova forma di schiavismo, legato alla mancanza di lavoro e di cibo per tutti.
Libro che tocca temi attualissimi, universali e che lascia con l'amaro in bocca, pensando a come questa società si sia edificata senza morale alcuna, sfruttando gli oppressi, arricchendo degli eletti e gettando al macero ogni parvenza di moralità e di umanità.
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Il non far nulla
Svevo in questa opera, ha per certi versi, uno stile realista.
Ossia vuole analizzare dal di dentro le dinamiche delle generazioni giovani del suo tempo, alle prese con una crisi esistenziale e di valori, causate da un "dolce far nulla" che si traduce in comportamenti vili, tradimenti, noia e ozio quotidiano.
In questo romanzo il protagonista e perdutamente innamorato di una ragazza troppo bella e disinibita per lui, che gli farà perdere completamente la retta via e lo porterà a contribuire a una tragedia che segnerà immancabilmente le vite dei personaggi rappresentati.
Lo stile di scrittura è asciutto, implacabile, sottilmente psicologico e la scena si svolge per le vie di Trieste sul fare della fine del 1800.
Sono tutti personaggi negativi, tranne la sorella repressa del protagonista, che viene tratteggiata dall'autore come una vittima sacrificale dell'incapacità altrui di mettersi nei panni del prossimo e superare i propri egoismi e desideri.
In sociologia usavamo dire la solita frase "empatia" spesso abusata, ma che in questo contesto ha si una ragione di essere nominata.
Il romanzo l'ho scoperto per caso, nel vagare per Roma centro, in una libreria che spesso mette in vendita libri ormai fuori catalogo, a prezzi irrisori, ma che mi ha permesso nel tempo di trovare dei veri e propri tesori di testi, che ormai sono rari e introvabili.
In questo caso ero stato colpito dalla copertina del testo, che illustrava una scena del film, che negli anni 60 fu girato dal libro e che vede come protagonista, una giovane e meravigliosa Claudia Cardinale. Simbolo di bellezza e bravura, ormai introvabili nelle attrici odierne. E quindi vedendo questa foto stupenda tratta da una scena del film, con un primo piano appunto della Cardinale ho provveduto immediatamente a comprarlo e poco dopo a leggerlo.
Successivamente ho visto pure il film, del grande Bolognini, che riesce a ricreare perfettamente le scene descritte dallo Svevo, nonchè gli stati d'animo dei protagonisti.
Film puliti, senza volgarità alcuna, girati quasi con stile teatrale che per la bravura degli attori, del regista e del direttore della fotografia, sono vere opere d'arte, di un cinema italiano grandioso che ormai è molto è sepolto sotterrato da ignobili pellicole, fictions, programmi televisivi da pattumiera e da pseudo attori attirci e registi senza decenza alcuna.
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Un anno per leggerlo tutto
Monumentale!! Qui siamo davanti a un testo che fa impallidire pure "Guerra e Pace" di Tolstoj
1400 pagine che trasudano sangue e disperazione. Immaginate cosa significhi leggere un testo gravido di morte, violenza, suicidi, disperazione, follia.
L'Arcipelago del titolo è quell'enorme mondo dimenticato in cui venivano spediti negli angoli più remoti di questo enorme. sconfinato e meraviglioso paese che è la Russia.
Arcipelago perchè si creavano come isole (tipo Filippine), ma su terra ferma dove milioni e milioni di deportati andavano incontro a una pessima fine.
L'autore vuole dare voce a questi reietti, picari, dimenticati che per un motivo o un altro erano destinati a finire i loro giorni attraverso le pene più atroci, che andavano dalla tortura, il congelamento, la follia, il suicidio, l'oblio della storia.
Ho trovato veramente difficile, da portare a termine la lettura, praticamente ci ho messo 14 mesi, con qualche pausa per leggere altri libri ed alleviare il senso di disagio che mi ha provocato leggere certe atrocità.
Venti anni fa avevo fatto un primo viaggio in Russia, che dopo Moska, mi aveva portato nell'estremo sud del Paese: ad Astrakan.
Avevo preso un treno (con l'allora mia meravigliosa fidanzata russa), che dalla stazione centrale della Capitale, in 30 ore mi aveva condotto appunto sul Mar Caspio.
Ricordo queste sconfinate lande desolate che si perdevano all'orizzonte e che vedevo dal finestrino....era la "Stieph".....la Steppa.....l'orizzonte e in la oltre la propria immaginazione e leggendo questo libro che spesso parla della Steppa innevata dove venivano condotti i prigionieri, spesso con viaggi di giorni e giorni ammassati come bestie, senza avere neanche in "bugliolo" per i bisogni, con donne, fanciulli, delinquenti di ogni risma, persone innocenti viaggiavano attaccati e lerci senza riuscire neanche a sedersi in terra per la quantità di esseri umani in spazi angusti all'interno di questi carri merci. E allora mi è venuto in mente quel mio viaggio, fatto in assoluta comodità e mi ha assalito un malessere immaginando invece queste perdute anime che affrontavano questi viaggi atroci, che li avrebbero portati a chi fosse sopravvissuto verso delle destinazioni disperse nel nulla dove avrebbero dovuto lavorare fino alla fine delle loro forze e dei loro gironi....
L'autore scrive migliaia e migliaia di nomi, date, avvenimenti, luoghi, come se volesse riscattare tutte queste vite distrutte.
Ci sono centinaia e centinaia di aneddoti, brevi e lunghe storie rievocate, ma una su tutte mi ha colpito per la sua semplicità e follia.
Dispersi nella Tundra più estrema, si era completamente isolato un villaggio (parliamo delle terre estreme del Nord del mondo, delle terre dell'aurora boreale, dove le temperature difficilmente superano lo 0....o meglio gli abitanti di questo remoto villaggio avendo saputa delle deportazioni che accadevano in tutto il Paese aveva appunto deciso di "sparire" isolarsi in uno degli angoli più remoti ed inaccessibili di questo sconfinato paese transcontinentale.
Vivevano tipo selvaggi, senza luce, gas, comunicazioni ma in loro certi che non sarebbero stati scoperti e quindi imprigionati e deportati chissà dove....il caso volle, che un aviatore durante un volo di prova, sorvolasse questa Tundra e osservando in basso vide queste capanne, questo villaggio dimenticato e tornando alla base fece rapporto ai suoi superiori.....ebbene la Macchina Infernale del Regime Sovietico si mise in moto e in mezzo a mille difficoltà in pochi mesi l'esercitò raggiunse il villaggio e fece deportare questi tutti gli abitanti con le scuse più disparate.....
Il cuore di tenebra dell'uomo vince sempre.
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Pessimo, piatto, senza un filo logico.
Quello che mi ha meravigliato di più è scoprire che questo libro è stato scritto dopo "Lo Straniero" che è del 1942, mentre questo romanzo, a mio avviso pessimo, è del 1943.
Come se l'autore invece di migliorare ed affinare la sua scrittura, sia all'improvviso precipitato in una crisi creativa che gli ha fatto appunto scrivere un opera a mio avviso insulsa e su alcuni punti senza senso alcuno.
Ritengo "Lo Straniero" un capolavoro "minore" della letteratura del '900, un piccolo volume, denso, estraniante, altamente psicologico, cupo, passionale e delirante.
Quindi quando in libreria, mi sono trovato tra le mani questo testo "La peste" ho pensato, sbagliando, che forse avrei potuto godere di un'altra intensa lettura dello scrittore di francese.
Ed invece è stato un calvario portare avanti la lettura, con descrizioni di bubboni, ratti, personaggi insulsi che appaiono e scompaiono all'improvviso. Una scrittura che procede a tentoni, come se l'autore non sapesse dove andare a parare, che pesci (o sorci) prendere.
Il classico libro che non ha una chiave di lettura, improvvisato, senza un filo logico che lega gli avvenimenti e con un finale messo li per caso, per porre fine all'agonia del lettore.
"Lo straniero" è considerato il vero capolavoro di questo autore, gli altri suoi testi non mi sembra abbiano avuto uguali fortune. E questo "La Peste" secondo me, dimostra, che dopo aver scritto un grande romanzo di esordio, questo scrittore si sia perso, forse sopraffatto dalla fama improvvisa o dai guadagni che gli sono arrivati.
Avete mai sentito un album o una canzone meravigliosa, folgorante, di un compositore e poi a distanza di anni, vi siete dimenticati della sua esistenza.....e poi riascoltando quel pezzo che tanto vi era piaciuto vi chiedete: "ma che fine aveva fatto?", poi cercate la sua discografia e scoprite che negli anni ha continuato a scrivere musica, testi, canzoni che non li fanno passare neanche alla radio una misera volta....per me la parabola di Camus appunto è stata come la candela che brucia da entrambe le parti, arde con più luce ma alla fine si consuma prima.
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La caduta del Sogno americano
Mi sono avvicinato a questo testo, dopo aver visto la trasposizione cinematografica, con la bellissima e bravissima Jennifer Connelly (attrice che i più cinefili ricorderanno leggiadra ragazzina protagonista nel capolavoro di Sergio Leone "C'era una volta in America", in "Phenomena" di Dario Argento e nel grandissimo e allucinato film sui tossici di New York "Requiem for a Dream).
Il titolo è molto affascinante perchè porta in se il dramma che si consumerà nel corso della vicenda.
Il protagonista è questo "Svedese" essere perfetto come quelli delle sue latitudini (alto, prestante, biondo, intelligente, coraggioso) che per una serie di vicende si ritroverà proiettato in un inquietante ricerca della figlia, autrice di un terribile gesto.
Lo scrittore sfrutta un soggetto già visto in molte occasioni e cioè il marcio che si annida dietro la facciata perbenista dell'America puritana, che si rispecchia in quelle bellissime ville a schiera con i giardini tutti curati, i cagnolini, le grandi auto parcheggiate nei vialetti. Ma cosa si cela in quelle case? quali sono i veri sentimenti che albeggiano nei loro abitanti?
Lo Svedese è l'emblema di una perfezione imperfetta, del doppio inganno che si cela laddove ci sembra di scorgere una vita perfetta: il primo inganno è ai nostri occhi, non sappiamo veramente mai chi abbiamo di fronte e il secondo inganno si cela dietro la bellezza che tanto fascinosa ci sembra, ma che nasconde delle zone d'ombra imperscrutabili.
Lo Svedese si apparecchia minuziosamente la propria esistenza, sposando un aspirante Miss America (nel film interpretato appunto dalla mora Connelly dagli occhi verdi ci tira su una bella famigliola classica americana, con i mazzolini di fiore posizionati sulle finestrelle della camera da letto e con il revolver nascosto in cantina.
Il destino del biondo Svedese a un tratto prende strade del tutto inesplorate a causa della figlia che decide che è giunto il momento di far crollare tutto il castello di ipocrisie su cui si erge la sua esistenza e quella della famiglia.
Il pretesto è come sempre la Guerra del Vietnam (soggetto usato ed abusato come quello della Seconda Guerra Mondiale).
Purtroppo il libro intervalla dei momenti molto interessanti, come quando il protagonista va a cercare la figlia tra le fogne sociale della grande città a momenti di terribile noia con descrizioni minuziose e fuori luogo di personaggi ed eventi che poco hanno a che fare con il nocciolo del racconto.
E' come se lo scrittore non sappia più in certi casi che pesci prendere e quindi allunga il brodo con aneddoti e soggetti che appaiono all'improvviso e poi spariscono senza possibilità di ritorno.
Se volte avete un vero e grandioso manifesto della vita americana e della sua ipocrisia e violenza non perdetevi il meraviglioso film con il grande Kevin Spacey "American Beauty", che ha nella scena finale uno dei momenti più struggenti di tutta la pellicola:
"Potrei essere piuttosto incazzato per quello che mi è successo, ma è difficile restare arrabbiati quando c'è tanta bellezza nel mondo. A volte è come se la vedessi tutta insieme ed è troppa. Il cuore mi si riempie come un palloncino che sta per scoppiare. E poi mi ricordo di rilassarmi, e smetto di cercare di tenermela stretta. E dopo scorre attraverso me come pioggia, e io non posso provare altro che gratitudine, per ogni singolo momento della mia stupida, piccola, vita. Non avete la minima idea di cosa sto parlando, ne sono sicuro, ma non preoccupatevi: un giorno l'avrete!"
Mi sembra di rivedere lo Svedese piegato su se stesso e sconfitto, che prima dell'inesorabile finale, riesce ad afferrare l'ultimo spicchio di gioia con cui dare un senso a una vita da sconfitto.
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Lasciate ogni speranza o voi che leggete
Cosa sia successo sulla terra non è dato da sapersi. Sappiamo solo che un padre e suo figlio vagano per lande desertiche popolate da ex-uomini oramai cannibali, tornati al tempo delle scimmie antropomorfe e che fame e disperazione regnano laddove una volta c'era speranza e sole.
Ogni pagina del libro è intriso di così tanta disperazione e mancanza di speranza che il vagare di questi due scheletrici derelitti alla ricerca del mare è una lenta inesorabile agonia non solo per i protagonisti, ma anche per chi si pone a leggere l'opera.
Penso sia stato uno dei libri più cupi, nefasti, opprimenti che abbia mai letto.
Lo posso solo collocare al pari di "ultimo giorno di un condannato a morte" di Hugo.....solo che in Hugo essendo Egli uno dei più grandi scrittori della storia, non solo c'è la storia che angoscia dalla prima all'ultima pagina, ma c'è anche l'introspezione psicologia del protagonista talmente profonda e allucinante che ci si trova anche il lettore a vivere questo ultimo giorno prima del patibolo.
In Mc Carthy, sicuramente un ottimo autore moderno, manca però tutta la parte psicologica che ti permette di "fraternizzare" con i protagonisti.
Prima di leggere il libro, avevo visto il film da cui è tratto con il grandissimo Viggo Mortensen "The Road" del 2009, una gran bella pellicola, che riprende fedelmente le pagine del libro, con una maggiore ricerca degli aspetti psicologici dei protagonisti, che non sono solo due anime perse in un mondo infernale, ma sono anche descritti accuratamente dal punto di vista cognitivo e comportamentale.
Comunque avendo letto anche altre opere di questo autore, credo che sia una di quelle persone a cui piacere scavare sotto la superfice apparente delle cose, andare alla ricerca delle nefandezze peggiori che possano partorire gli esseri umani, scavare nella disperazione e nella miseria degli esclusi ed emarginati.
Me lo immagino, vagare tra le strade di New York o di qualche sperduta cittadina del Minnesota, ammantata di neve e squarciata dal vento, a cercare tra case diroccate, periferie imputridite i soggetti per i suoi romanzi, poi illuminarli con la sua penna, fanne i protagonisti di una qualche storia e darli in pasto ai lettori di tutto il mondo......perchè non dobbiamo mai dimenticare che sotto il lato scintillante della società si nasconde il cuore di tenebra dell'uomo.
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Memorie dal Sottosuolo Dostoevskij
Tra le miserie e gli splendori parigini
Uno Zola "minore". Un "assomoir" in tono più dismesso.
Questo è il romanzo di Philippe.
La tematica è quella romantico-drammatica che hanno spesso acceso le menti dei grandi scrittori russi e francesi tra l'Ottocento e il Novecento.
Una ragazza affamata che vende le sue grazie, dapprima con spensieratezza, poi sprofonda nella miseria morale e fisica. Un gruppo di papponi che senza indugio vendono il corpo delle donne a viscidi disgraziati appostati nei vicoli sudici dell'allora Montparnasse.
E poi la figura del giovane illuso e innamorato che sogna di salvare questa povera anima.
E bravo lo scrittore a descrivere le miserie sociali e umane in cui scorrazzano i protagonisti di questa infima vicenda.
Grandiosa è la descrizione della topaia in cui la ragazza e il suo salvatore debbono sopravvivere.
In poche righe l'artista dipinge la stanza in cui debbono vivere una dura vita queste anime perse.
Dalle finestre luride si intravede una Parigi, lontana chilometri dalla città scintillante che siamo usualmente portati ad immaginare.
La pioggerella del mattino, mischiata a una sottile nebbia sembra penetrare nell'anima dei protagonisti, con una nuova alba carica di sventure e dolore.
La grande città impersonale è indifferente alle sventure dei suoi abitanti, impegnati solamente a sopravvivere.
Sono gli albori della società industrializzata, che manda a braccetto desideri e miserie per soddisfare i propri bisogni spesso fittizi.
La vera protagonista del romanzo è appunto "La ville lumière" che vede all'orizzonte affermarsi quel momento storico irripetibile che fu la "Belle E'poque" crocevia di un rinnovamento culturale, sociale, artistico e urbano che farà storia in tutto il mondo e che sarà un modello di bellezza, innovazione e di ricchezza.
Purtroppo l'avvento della Prima Guerra Mondiale porrà per sempre fine a questa epoca irripetibile che portò a un miglioramento delle condizioni di vita e un velo di ottimismo vero il futuro.
Leggendo questo libro, si ha però la sensazione che per ottenere questo benessere, questa vita di agiatezza, questo rinnovamento culturale, ci siano dei sacrifici immensi da fare, barattando una volta il proprio corpo, un'altra volta la propria morale, un altra volta vendendo i proprio vestiti i mobili di casa.
Insomma Philippe lancia un'accusa contro la corruzione dei costumi e della morale in favore di uno stile di vita che sembra essere ammantato da una sinistra luce che sbrilluccica nella orgiastica notte parigina e che nascondo una zona d'ombra che non da scampo a chi cerca freneticamente di stare appresso a mode e lussi. I debiti, la fame, la rovina incombe, come il primo colpo di cannone che da li a poco squarcerà l'Europa e la soffocherà in un mare di sangue.
„Così Berthe Méténier diventò una prostituta e Maurice uno sfruttatore. Sciocco non era, e poi viveva a Parigi, una città dove il piacere è come un latrato di un cane che ti sta addosso. Molto semplicemente, dapprima era andato a lavorare, poi aveva capito che la fatica e il dolore si addicono agli stupidi. Diventò un magnaccia perché la società in cui viveva, piena di rischi e di potenti, decide da sé le vocazioni. Chi ha i soldi vuole donne, e occorre ovviamente che i magnaccia gliele procurino.“
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I nati vecchi
Credo che se un giovane di oggi, adolescente in particolare, si mettesse a leggere questo libro, ne uscirebbe sconvolto.
Immaginate la nostra epoca dove ormai tutti sono perennemente collegati a TikTok, Facebook, Instragram e altri social vari, all'improvviso vengono a scoprire che nello scorso secolo, gli adolescenti e i giovani si incontravano nei salotti di casa e parlassero di poesia, storia, del Manzoni e che come passatempo più alternativo era quello di fare partite a tennis, con gonne ascellari di flanella e nel frattempo il pubblico si intratteneva a leggere di politica o a parlare di letteratura.....è passato un secolo, sembra siano passati mille anni.
Il libro e un continuo miscuglio di situazioni e ricordi storici, che confluiranno poi con l'avvento del Fascismo e la distruzione dell'Europa.
Mentre incombe questa spada di Damocle, il protagonista goffamente si innamora di una altezzosa ricca borghese che gli farà patire le pene dell'inferno per concedergli un bacio o di tenerle la mano.
Purtroppo il libro ha dei momenti veramente mesti e noiosi, l'autore continua imperterrito a mescolare, spesso in maniera confusa e scialba, le avventure di questi ricchi ragazzi appartenenti all'aristocrazia ebraica di Ferrara agli avvenimenti storici che stanno accadendo e che porteranno al disastro della guerra.
Spesso ci sono dei salti temporali, tipici di coloro che scrivono un testo, lo lasciano fermo per un certo periodo e poi vi rimettono mano senza prima aver riletto quello che hanno scritto, creando quindi confusione e scarsa logica nel dimenarsi del racconto e degli avvenimenti.
Oggi certo in una società dove i rapporti sono estremamente "liquidi" e dove ci si incontra e perde definitivamente nell'arco di una giornata, colpisce apprendere che appunto nel '900 le amicizie e gli amori erano un qualcosa di estremamente speciale, dove un bacio era visto come un atto di estrema spudoratezza sessuale e dove gli amici si incontravano, ci si passeggiava insieme, si discuteva dell'amore e della politica, si scrivevano le cartoline quando si viaggiava e c'erano le carrozze ad aspettarti fuori dalle stazioni con i treni a vapore.....più che il secolo scorso sembra la preistoria dell'essere umano.
Ne è stato tratto un film, vincitore di un Oscar, del grande e compianto Vittorio de Sica. La gestazione della pellicola è stata un calvario per gli attriti tra lo scrittore e il regista, che voleva spingere sull'acceleratore per rendere la storia più fluida e sensuale e richiamare maggior pubblico in sala....alla fine lo scrittore esasperato decise che il buon Vittorio doveva occultare il suo nome dai titoli di testa e di coda......insomma che vi leggete il libro non potete perdervi il film!!
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lungo il fiume, scorre la miseria
Un libro lento e infinito. Dove l'autore tratteggia nella maniera più spietata possibile la miseria umana e le aberrazioni del sistema economico, dove un enorme fetta di popolazione viene lasciata marcire ai margini del mondo, corrosi dalla fame e dalla disperazione di non avere un domani.
Classico esempio di testo che potrebbe non avere mai una fine. Una serie di tragiche avventure di questo reietto che si è costruito una baracca (lo schifo, come adora chiamarlo l'autore) sui margini di un fiume e vede scorrere tutte le desolazioni umane e nel mentre pesca spaventosi pesce gatto che poi rivende ad altri sconfitti come lui, in un tragico balletto di privazioni e violenze in cui i protagonisti sembrano quasi sempre sull'orlo della follia, dettata dallo squallore della non-vita che conducono.
Purtroppo il libro in molte pagine diventa terribilmente lento e spezzettato, come se chi scrivesse ci abbia messo le mani in periodi diversi e con idee che si sono poi accavallate fra di loro, rendendo la storia frammentaria e spesso inconcludente.
La parte migliore è quando il nostro eroe, mentre sta trascorrendo la giornata attanagliato dal freddo, nella sua baracca di lamiera galleggiante, sull'orlo del precipizio, vede transitare davanti a se un altro schifo (baracca-barca) con all'interno una intera famiglia, composta da tre giovani angioletti, una madre panzuta, un figlio mezzo demente e un padre padrone che puzza di miseria fin dentro alle mutande lise che porta. Qui Mc Carthy lascia gli indugi e con stile alla Dostoevskij, decide di disegnare nel miglior modo possibile la psicologia dei vari personaggi che galleggiano sperduti sulle limacciose acque del fiume. Ne viene fuori un racconto meraviglioso, dove affamati come cani randagi si riempiono la pancia di pezzi di maiale, fagioli, focacce e caffè......e poi vanno in chiesa tutti vestiti uguale come fossero carta da parati e vengono schifati dal parroco e dai piccoli borghesi con la croce in mano.
E' realismo russo nudo e crudo, che l'autore mirabilmente imprime nell'opera.
Ricordate il breve meraviglioso libro del genio russo "memorie dal sottosuolo" ambientato in una tetra e nebbiosa San Pietroburgo, ecco provate a proiettare questa pietra miliare della letteratura mondiale, tra le sconfinate lande americane, dove i vagabondi si corrodono sono un cielo spietato arso da un sole implacabile e le donne partoriscono in mezzo alla immondizia figli già morti, che poi il protagonista vede galleggiare con pezzi di pelle che si staccano sulle acque di questo fiume che sembra trasportare ogni miseria umana, ecco l'autore Yankee come un chirurgo dell'anima penetra nella psiche turbolenta e deviata dei vari protagonisti del romanzo, la analizza in ogni singolo dettaglio, la porta allo scoperto e con infallibile meticolosità la getta in faccia al lettore, come a dirgli: volevi la cruda realtà, eccotela servita con un un bel piatto di fave e un buon Chianti.
P:S. c'è un altro racconto mirabile, di un altro genio assoluto russo che risponde al nome di Gorki: "Ex Uomini" tratto da un libro di difficile reperibilità che è "Konovalov" in cui il genio scrittore in poche pagine riesce a descrivere la mostruosa vita dei miserabili alcolizzati russi che oramai persa definitivamente ogni traccia di umanità (appunto sono EX Uomini) si ritrovano tutti insieme a bere alcool di infima qualità e all'apparenza si danno pacche sulle spalle e si sussurrano all'orecchio frasi amichevoli, ma come ci suggerisce lo stesso autore, non aspettano altro che scannarsi fra di loro.....il Mc Carthy usa lo stesso stratagemma, dice ma non svela, ci racconta che alla fine c'è comunanza di intenti fra questi miserabili che si fiutano e si odia fin dentro alle viscere, come se la miseria fosse un morbo ostile che si trasmette senza ritegno e da cui se ne può uscire solo esalando l'ultimo respiro.
Pallida mors aequo pulsat pede pauperum tabernas regumque turres (Orazio) -la pallida morte bussa con lo stesso piede ai tuguri dei poveri e alle torri dei re-
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Ex Uomini - Gorkij
Cosa in realtà contenevano quelle bare?
Lo scorso anno rinchiuso, come tutti in casa, lessi l'altro libro di questa autrice: preghiera per Chernobyl e che ho preferito di gran lunga a questo, che si concentra sulla guerra dimenticata tra esercito russo e quello afgano.
L'autrice come da suo stile, lascia la narrazione alle voci dei protagonisti coinvolti nella storia. E come sempre da grande risalto alle figure delle "madri" che in maniera più o meno atroce vengono a conoscenza che il loro figlio non c'è più, maciullato dall'ingranaggio perverso della guerra.
Sono talmente fatti a pezzi e sfigurati che li riportano indietro in queste casse di zinco. Non permettono loro neanche di vederne le spoglie, sono chiusi ermeticamente nella bara.
Però a leggere tra le righe dei vari racconti, ci si chiede effettivamente se quelle casse contengano ciò che restava dei corpi delle vittime di guerra, oppure se al loro interno vi fosse altro: droga, armi, terra, altri tipi di materiali contrabbandati, se fossero vuote, se contenessero i corpi di qualcun altro.
Quindi al danno la beffa: magari intere famiglie che vanno per anni a piangere il proprio figlio morto al cimitero e piangono su una cassa vuota (svuotata) o una cassa che contiene un corpo di un altra persona.
Tutto è incentrato sull'inganno: il primo inganno, quello germinale, è dei Mass Media (telegiornali, propaganda politica, propaganda militare) che convincono questi giovanissimi (parliamo di una fascia di età dai 18 ai 25) che bisogna servire la patria e che in Afghanistan andranno per perpetuare la pace e portare migliori condizioni di vita alle popolazioni locali. Le stesse famiglie cascano in pieno nell'inganno della propaganda. Si fanno convincere dalle figure in giacca e cravatta dei giornalisti che in tv parlano che bisogna servire la patria per un ideale più alto.
Si capisce che fanno leva sulle fasce più esposte della società: poveri, ignoranti, creduloni, gente limitata culturalmente e umanamente.
Gente del popolo, cresciuti tra privazioni e fame. La guerra potrebbe essere il loro riscatto. Guadagnare qualche rublo, magari porre le basi per un isba in campagna o comprare un auto al proprio genitore.
Un eldorado si apre ai loro occhi, finiranno invece alla fine per farsi saltare le dita delle mani o spararsi alle ginocchia per farsi rimpatriare e scappare da quel mattatoio.
Per quelli che invece proprio non c'è la fanno si fanno direttamente saltare in aria il cervello in caserma o magari prima di una incursione. O almeno è quello che raccontano i superiori ai loro familiari, Vai a capire se è una bugia, se è la verità. Cosa è veramente successo in quel carnaio, in quel deserto a migliaia e migliaia di Km lontano da casa, dove anche i sassi ti sono nemici.
Tutti ingannano tutti, bugie, menzogne su menzogne. Nessuno dice la verità. Tutti mentono.
I superiori mentono alle reclute per spingerle al massacro, i figli mentono alle madri per non farle preoccupare. La patria mente ai cittadini per far convincere ai loro figli ad andare in battaglia, i politici mentono agli elettori sulle vere finalità dell'intervento militare. Non si sa chi mente di più e chi ormai è talmente assuefatto alle proprie menzogne dal ritenerle comunque vere.
Poi ci sono le donne, le infermiere, le concubine. Lavano il sangue che scorre senza fine tra le corsie degli ospedali da campo. Soddisfano le voglie degli ufficiali, entrano nel grande minestrone di follia e odio che ammanta tutta la campagna russa in quei territori riarsi dal sole. Finiscono pure loro per odiare ed odiarsi.
Per riassumere il libro, basta vedere una meravigliosa pellicola, con il buon e bel Tom Cruise. Era un ragazzino allora. "Nato il 4 Luglio" che gli fruttò pure una candidatura all'Oscar.
Anche nella pellicola, i genitori erano così orgogliosi che questo loro bel figliolo andasse in guerra a servire la patria.....tornerà completamente devastato sia nel fisico nella mente.
La cosa più beffarda è che tutti quelli che all'inizio spingevano perchè facessero il loro dovere di soldati, poi quando cominciavano a tornare aerei su aerei carichi di cadaveri e storpi, allora all'improvviso l'opinione di tutti è che quella guerra fosse veramente una cosa sporca e che chiunque vi partecipasse fosse un assassino o un lavativo in cerca di guadagno facile.
Tutta la storia dell'uomo è scritta col sangue, non vi è un epoca che non si sia macchiata di guerre e massacri. Sin dagli albori delle prime civiltà e più si è andato avanti e più queste guerre sono diventate sempre più atroci e devastanti a causa dalle armi sempre più raffinate e performanti. Uno di questi soldati scampati al massacro dice che spesso i cadaveri li riportavano in "un secchio".....secchi e secchi di carne e ossa maciullate, mentre in patria la gente continuava a gozzovigliare e sbeffeggiare i connazionali che arrancavano con la lingua penzoloni tra le arse terre afgane, sotto 50 gradi di sole, con un nemico invisibile sempre pronto a farti saltare in aria.
Una delle scene più macabre, è quello di una bambina afgana, che vaga spettrale sul campo di battaglia, con una manina che penzola dal braccio e che sembra volersi staccare. (quando intervenivano gli eserciti, radevano al suolo interi villaggi, donne bambini compresi). E' sola non ha più neanche le lacrime per piangere ed un soldato russo nel vederla prova ad avvicinarla per aiutarla, e questa innocente comincia a scalciare e dare morsi, e al soldato sconvolto pare che quella manina senza vita si stia per staccare dal corpo.....
Spesso mettevano i mutilati tutti nello stesso reparto, senza gambe, braccia, parti di viso. Un lazzaretto infernale dal quale non volevano uscire, perchè sapevano che li in guerra erano accettati, ma una volta tornati a casa sarebbero stati vittima della stigma sociale e della repulsione de concittadini.
E poi ci sono gli ustionati, bruciati vivi, con la pelle che si stacca a pezzi, pieni di piaghe e con ancora un briciolo di vita nelle vene e che morivano tra atroci sofferenze.
Più che un libro, un biglietto di sola andata nell'orrore.
"Non è mai esistita una buona guerra né una cattiva pace". Benjamin Franklin
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Esistenzialismo Yankee, ma non ci siamo
Mi aspettavo di meglio da questo autore, avendone sentito parlare da un diversa gente e vedendo nelle librerie i suoi testi sempre in bella vista, con queste nuove edizioni scintillanti e accattivanti.
Purtroppo il testo si è rivelato una mezza delusione per il sottoscritto.
Già dalle prime pagine si comprende come questa storia, di due emarginati sia un racconto che possa durare da 20 pagine a 2000. Non accade nulla e accade di tutto, in poche righe e pochi giorni si compie il destino di questi sconfitti e si chiude il racconto.
Gli americani, hanno sempre cercato di pulire la loro coscienza attraverso l'arte. Dipinti, scrittura, celluloide.
Hanno una capacità innata di rappresentare tutte le miserie umane di un popolo nomade, geniale, spietato e visionario.
Nelle grandi metropoli, come nelle pianure sconfinate e nei deserti vivono orde di banditi e fuorilegge, di senza fissa dimora e di prostitute. Malati di mente lasciati a marcire dentro qualche granaio o contadini che arano terreni senza fine sotto un sole implacabile.
Provano gusto a descrivere le loro miserie e le profonde ingiustizie e iniquità che serpeggiano per questa società dove si passa dalla scintillio della Down Town neworkese dove gli appartamenti costano decine di milioni di dollari alle catapecchie infestate da topi e parassiti delle realtà suburbane e dei ghetti ai margini delle metropoli.
In questo lavoro di Steinbeck l'attenzione si concentra su un lampo di vita, deprimente e misera di una fattoria ai margini del mondo, dove il tempo trascorre fra violenza, privazioni e desideri sopiti.
Il sottile equilibrio che lega questi braccianti abbandonati a un ingrato destino, non è messo in pericolo dall'arrivo dei due protagonisti del romanzo, che in realtà non sono amici, ma stanno insieme solo per non compiere il loro tragico cammino in solitaria. La vera protagonista del romanzo è invece una creatura femminile che con la sua bellezza e la sua falsa innocenza avvampa le anime di questi uomini-topi, li porta al delirio sessuale e fa riaccendere in loro la fiamma del desiderio che sarebbe stato meglio fosse rimasta sopita nei loro cuori affranti dalla fatica e dalla privazione.
La miccia è accesa, pronta ad esplodere. La donna ne è consapevole, ma la sua piatta e monotona esistenza la spinge a provocare una serie di eventi che segneranno ineluttabilmente il suo destino e quello di tutti coloro che ne vengono fatalmente in contatto.
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Il lato oscuro dell'uomo
Un libro che è un pugno nello stomaco. Catturati nelle grinfie di Oskar cui diletto principale e intrufolarsi tra le cosce di donne compiacenti e curiose. Non ho apprezzato la scrittura di Grass, spesso mi è parso che vagasse nel buio delle proprie idee. Un mattone di una pesantezza difficilmente sormontabile, pagine piene di episodi, cambi di tempi, digressioni, una scrittura graffiante speso incomprensibile, onirica. Allucinata, come gli occhi del protagonista, sensuale ed erotomane.
Le vicende di questo bambino uomo, spesso ambigue ed amorali.
Il tamburo come strumento per comunicare al tetro mondo che lo circonda, tutta la sua rabbia per essere rimasto intrappolato in un corpo che si ostina a non crescere.
Sullo sfondo le macerie di una nazione rasa al suolo dalla sua stessa pazzia di conquista. Non c'è redenzione per la Germania nazista, non c'è fine a una trama fatta di orrore e massacri che hanno insanguinato la storia dell'umanità fino alle sue radici.
La buia realtà impregnata di violenza e morte che circonda il protagonista è intuibile dalla scrittura oscura e macchinosa dello scrittore polacco; non si percepisce mai un lieto fine agli avvenimenti, bensì monta la follia e l'odio del protagonista verso la realtà tutta, da cui è scacciato e additato come pazzo e idiota.
Il nano gobbo sprofonda sotto il peso della sua deformità, chiaro rimando al popolo tedesco che non è riuscito a risollevarsi per tanti decenni, se non abbattendo a pugni e picconate un muro che ne aveva per sempre diviso il destino.
Dal racconto ne è stato tratto un film, del 1979, a mio avviso un piccolo capolavoro che riesce almeno in parte a far entrare lo spettatore nella mente disturbata e disturbante del protagonista e il suo incedere verso la solitudine e la follia.
Peccato per il finale
Uno dei più bei film degli anni 90 è sicuramente "La leggenda del re pescatore" con un duo meraviglioso e commovente come Jeff Bridge e il compianto Robin Williams, una pellicola che sin dal primo minuti fa dimenticare tutte le aberrazioni e bestialità del cinico mondo occidentale, impregnato fino al midollo sulla ricerca del successo e dell'accumulo del danaro. Una poesia visiva in cui questi due reietti decidono di darsi in pasto alla megalopoli di NY e di cercare tra le puzzolenti e ciniche avenue cittadine un riscatto a una vita di sofferenze e solitudini.
Con sommo stupore, essendo io un patito di cinema e libri, qualche tempo fa, ozieggiando in una biblioteca capitolina, mi sono trovato fra le mani questo testo di cui non avevo la minima conoscenza.
E con somma contentezza ho capito che era il testo da cui era stata tratta la pellicola.
Un breve racconto, molto denso, che a differenza del film è ambientato tra i bassi fondi di Parigi e non nella sfavillante mitica NYc.
Debbo confessare che nella prima parte il racconto procede in un crescendo di bellezza e fluidità di scrittura che fanno delle avventure del vagabondo protagonista, una carrellata di avvenimenti e situazioni molto interessanti e strampalate che catturano in sommo grado l'attenzione del lettore, ma ad iniziare dalla secondo metà della storia, si comincia a percepire una certa stanchezza di idee dello scrittore con una ripetitività delle scene descritte che sfiorano la noia e che fanno inevitabilmente calare la qualità della scrittura e conseguentemente la bellezza dell'idea germinale dell'opera.
E questa inesorabile bulimia di idee va appunto a collassare in un evitabilissimo finale , che da proprio l'idea di come appunto il buon Roth non sappia che pesci prendere per concludere la storia.
Il classico caso di quando uno si siede in una sala cinematografica o apre un libro e piano piano inesorabilmente comincia a farsi strada nella testa dello spettatore e del lettore, il pensiero che all'ottima idea iniziale dell'opera non possa purtroppo far seguito una degna chiusura della stessa.
Resta comunque una gradevole lettura, che però è un passo indietro rispetto alla genialità del film che invece, a mio avviso, cattura l'attenzione del pubblico dalla prima all'ultima inquadratura.
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Insomma, aspettative deluse.
Ogni anno c'è un autore che va di moda e spesso per mia opinione, ne rimango deluso. Nel 2020 ho letto spesso recensioni entusiastiche su questo Cormac McCarthy ed essendo un grande patito di cinema ed avendo apprezzato il film dei fratelli Coen (Non è un paese per vecchi) con uno strepitoso Javier Barden, decido di comprarmi, fortunatamente in offerta, il libro da cui è tratto il film.
Ebbene grande delusione.
Di certo, vedere prima il film e poi leggere il libro non è stata una grande genialata, da parte mia, ma debbo dire che stranamente il film è fatto meglio del libro, laddove Voi mi insegnate che di solito (salvo capolavori della cinematografia mondiale, tipo Odissea nello Spazio o Blade Runner, per esempio), la versione cartacea di un opera è sempre meglio di quella su celluloide.
Del libro non mi sono piaciuti: il fatto che non vi sia la minima descrizione psicologica di nessun personaggio. Entrano in scena, tendenzialmente muoiono crivellati da proiettili e non viene fatta descrizione alcuna del loro stato psicologico o del loro trascorso di vita.
Le descrizioni dei paesaggi sono spesso ripetitive e piatte, come il deserto in cui ha luogo la scena.
Mi sembra che l'autore voglia calcare la mano su queste situazioni sanguinolente, laddove poi le interrompe o tronca senza far capire bene, chi ha ucciso chi e come si è evoluta la situazione dopo l'accaduto.
Faccio un esempio: il nostro eroe, inseguito da tutto il cartello Messicano, ferito getta una valigetta piena di milioni al di la di un ponte, dove scorre un fiume e la valigetta sparisce......ora ditemi voi, se uno che sta rischiando la pelle per quei soldi li lancia al di la di un ponte vicino ai margini di un fiume.....e come se io, avessi appuntamento a cena con Angelina Jolie e mi presentassi senza essermi fatto la doccia, in scarpe da ginnastica, con la barba di 3 giorni e la portassi a mangiare al Mc Donald offrendole il Mc Menu con una Coca Cola senza bollicine......insomma c'è un limite alla deficienza umana.....
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E poi tutto finisce
Me lo immagino il vecchio buon Ernest, che al crepuscolo della vita osserva l'ennesimo tramonto infocato sul mare e con occhi sognanti ripensa alla sua avventurosa, significativa, unica esistenza e non senza rimorso vorrebbe avere un ultima opportunità di solcare le acque alla ricerca di un quello scampolo di felicità prima che il buio ponga fine al suo cammino.
E nel personaggio di Santiago si riversano tutti i sogni di questo scrittore che segnò indelebilmente un epoca e la storia della letteratura mondiale.
La lotta senza possibilità dell'anziano, disperato, solo pescatore contro la natura è l'emblema della vita di questo artista che con la sua poetica ha provato ha sfidare il Tempo, a lottare per un sogno che era quello di trasmettere le proprie sensazioni, la propria voglia di avventura il suo inarrestabile desiderio di ergersi oltre la superfice delle cose. Il suo profondo amore per l'esistenza, le donne, la sensualità, il mondo da scoprire e scoperchiare.
Santiago osserva il mare calmo, ne scruta le increspature delle acque. Ogni ombra, ogni riflesso che lambiscono i fragili bordi della sua misera imbarcazione, spersa nell'immenso Oceano, sono per il nostro eroe gioia e diletto, paura e presagio di morte. Un continuo infinito balletto, un puntino sospeso sopra gli abissi. Ogni movimento può essergli fatale, ma assapora la libertà che solo la natura ci può donare, i silenzi i colori dell'immenso creato. E quando finalmente il grande pesce abbocca e con ferocia da Leviatano decide di non soccombere al pescatore, ma di trascinarlo nelle acque che hanno il colore del cielo, il protagonista decide che quella preda deve essere portata a terra, come ultimo trofeo, come prova che in lui c'è ancora un briciolo di vita, forza, speranza.
La natura alla fine avrà inesorabilmente la meglio sul vecchio uomo.
Egli tornerà sulla terra ferma, nessuno si accorgerà di lui, ormai è inutile agli uomini, è un derelitto. Ma un ragazzino con la sua innocenza cercherà di confortarlo nel momento dell'abbandono delle forze.
Ed ecco che Ernest allora con l'inseparabile sigaro volge lo sguardo al mare, ripensa a quanto unica possa essere ogni singola esistenza, ne immagina il lato romantico, poetico, irripetibile. E nella lotta del protagonista del romanzo, contro le forze inarrestabili della Natura, ripensa alla più grande sfida che ogni essere conduce, da quando viene al mondo: vivere/sopravvivere.
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L'ultimo avamposto degli uomini
Il Genio della letteratura mondiale, si diverte a scavare con cura e meticolosità la personalità disturbata e disturbante, di un essere che semplicemente ha deciso di non accettare la società per quella che è nella sua superficialità e meschinità e con noncuranza si rifugia in un sottosuolo di pensieri ed azioni, con la speranza di isolarsi per sempre da una vita tediosa ed impossibile da sopportare.
Una delle maggiori capacità di questo immenso scrittore è proprio quella di riuscire a sezionare l'animo dei protagonisti dei suoi meravigliosi racconti o romanzi. Portare allo scoperto cosa si cela dietro le azioni dei vari personaggi che popolano la sua immensa opera.
E' un libro minore questo, della sua produzione, ma non in un senso negativo, ma solo per il fatto che davanti non avrete dei tomi infiniti come i "i Fratelli Karamazov" o "i Demoni", bensì un opera abbastanza breve, ma grandiosamente densa.
Forse uno dei più accurati viaggi introspettivi nella psiche di un uomo che vive una vita parallela alla società, dove non ci è possibilità di lieto fine.
Un essere tormentato dal fatto, che ha preso consapevolezza dell'immane distanza che vi è fra i suoi ideali di bellezza e la cupa, ingorda realtà che lo circonda, popolata da ex-uomini (termine meraviglioso che mi permetto di rubare a un racconto di un altro illuminato scrittore della Santa Madre Russia dell'800, Maksim Gor'kij) che vivono o meglio sopravvivono cercando di arrecarsi più male possibile, sognando sempre una vita migliore, che desiderano sopraffare il prossimo per il proprio tornaconto personale e che in definitiva fin quando non torneranno alla terra, si arrabattano come possono per dare un senso alla miserevole esistenza che conducono.
Il protagonista decide che è arrivato al segno, che così non è proprio il caso di continuare a campare. Lancia la sua sfida alla società, ben consapevole che ne uscirà schiacciato.
Il libro si divide in due parti, strettamente legate fra loro.
Sono gli albori della concezione nichilista della realtà, dove tutto è permesso, poichè nulla ha un senso. E' tutto così ridicolo che allora ognuno di noi è libero di operare come meglio crede.
Vengono negati i concetti e i principi religiosi e politici, poichè essendo concepiti dagli uomini, hanno in se già il germe del loro fallimento, della loro ipocrisia, della loro meschinità.
Le persone sono viste come appunto degli ex uomini, che per il loro tornaconto, la vanagloria, la superbia sono capaciti di ogni cosa. La storia si scrive sul sangue dei vinti e il nostro protagonista decide di vendere cara la pelle, di non abbassare la testa davanti alla stupidità, l'ignoranza, l'avarizia umana della gente. Cerca un po di poesia, di speranza nel tedio quotidiano che lo circonda e quando alla fine capisce che non c'è rimedio, sprofonda nella sua coscienza, si chiude in se stesso, scava nel sottofondo finendo per auto seppellirsi e con sommo godimento si porta a braccetto il lettore che ha avuto la compiacenza di seguirlo in questo sprofondare negli inferi della mente e del corpo.
E' un picaro, un ossesso, un sognatore, osserva le stelle rinchiuso nelle gelide mura domestiche.
E poi come ultimo gesto disperato, come il naufrago che agonizzante sta per essere risucchiato dalle acque melmose cerca un oggetto che non esiste a cui aggrapparsi, decide di innamorarsi di una ragazza di vita anch'essa ai margini, ma egli sa che questo suo ultimo folle gesto non è che l'infamante estremo atto di una vita errabonda, viziosa, corrotta dal germe della follia.
Il sottosuolo è l'ultimo avamposto ove riparare, cercare pace. Difendere quell'ultimo sotto strato di libertà con tutte le proprie forze per ribadire a se stesso di essere, a proprio modo, ancora vivo.
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Il sosia
La Fatica di sopravvivere
Altro capitolo della serie del "I Rougon-Macquart" questo tomo ha dalla sua la denuncia delle infami condizioni umane e lavorative in cui debbono vivere i minatori e le loro famiglie, sospese in un mondo a parte, dimenticato da tutti, dove le giornate sono scandite dalle fatica, la fatica e ancora la fatica.
Fin quando morte non sopraggiunga per qualche complicazione polmonare o qualche malattia della pelle. O peggio ancora il crollo della miniera stessa. Sotterrati vivi.
Un inferno in terra, dove il buon Zola decide di farci sprofondare sin dai primi capitoli del libro.
I visi stravolti dalle immani fatiche di scavare e sprofondare nelle viscere della terra, laddove non giunge luce, dove gli occhi a stento riescono a rimanere aperti a causa dei miasmi del terreno e della polvere che si insinua mortifera nel corpo, che acceca, che rende la pelle nera come pece.
E poi la sofferenza di riemergere ancora vivi, come morti arrancare verso le misere abitazioni, talmente stanchi da non riuscire neanche a mangiare una ciotola di misera minestra e ancora sporchi mettersi a dormire in attesa che giunga l'alba e un altra giornata di fatica immane.
Insomma una lettura che toglie il fiato, che ci conduce, sempre con precisione certosina, di questo genio di autore francese, nella psiche e nel fisico dei personaggi descritti con maniacale precisone e chirurgica perfezione. In certi passaggi sembra di essere anche noi sprofondati in questo immane girone dantesco che erano (sono) le miniere.
Si spengono le luci della scintillante Parigi. E' finita l'illusione di una società più equa dove con il progresso industriale, ci sarebbero state meno disparità sociali. L'ideologia del potere si consuma attraverso il destino di migliaia e migliaia di sfortunati che hanno avuto la più grande sventura che possa capitare quando si nasce: essere atavicamente inesorabilmente poveri, con tutto quello che ne consegue.
E mentre nei cafè di Montmatre e di Montparnasse, mesdames et messieurs
sorseggiano seduti ai loro tavolini un buon thè o addentano un croissant alle mele baciati da un tenero sole primaverile, chiacchierando amabilmente sul tempo e sullo spettacolo che daranno all'Operà, a pochi chilometri dalla ville lumière, inghiottiti dalla terra, quasi ciechi migliaia di disperati si chiederanno se riusciranno a rivedere la luce del sole e intanto scavano e scavano ancora......la Democrazia che bella invenzione......
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Nanà
Veleggiamo sulle alte vette della letteratura mond
Grandioso libro denuncia.
La prima immagine della Santa Madre Russia: immense steppe, boschi, la Siberia, le città degli Zar, la bellezza sovrumana delle donne, l'Ermitage, il potere dell'Armata Rossa, le infinte lande, la grandezza dei pittori, l'immensità degli scrittori. Uno Stato scrigno di bellezza e grandezza.
Aleksandr Solženicyn è stato uno degli illuminati personaggi di questo sconfinato paese, voce talmente scomoda da essere esiliato e i suoi libri messi al bando. Proprio per questo la loro potenza una volta pubblicati è stata devastante per tutto un sistema che si reggeva su bugie e promesse di una felicità che avrebbero assaporato solo i morti.
In questo libro, con acume e freddezza, senza compiacimento racconta la tragica esistenza di un carcerato disperso insieme ad altre anime vagabonde in un gulag ai confini del mondo, dove il freddo implacabile porta alla pazzia. E' il giorno incubo che si sussegue ad altri giorni, la cui unica libertà sarà sottoterra o nel sogno.
Scorrendo le pagine si percepisce questo gelo infernale che si insinua sotto pelle al lettore, si intuisce l'aria satura di vento che sferza i volti, spacca la pelle, gela il sangue nelle vene.
Da quanto l'eroe del romanzo si desta all'alba e percepisce che davanti a luci vi sarà l'ennesima infinta giornata dove ci sarà solo sofferenza e desiderio di sprofondare in un abisso pur di sottrarsi a quella tortura infinita.
E' il tempo del disincanto per tutto un sistema che si reggeva sul poco a molti e sul tanto a pochi. Strade, ferrovie, costruzioni, industrie, porti, disboscamenti tutti fatti sulla pelle di malcapitati spediti negli angoli più disabitati di questo stato transcontinentale arrivato a contare 24 fusi orari. Un paese che bacia l'Europa e si estende fino alle impervie coste sopra la Korea.
L'idea germinale a mio avviso l'autore l'ha avuta da un altro testo simbolo di bellezza e grandezza, scritto da quel immenso genio inarrivabile di Dostoevskij: Memorie da una casa dei morti. In cui rievoca il suo confinamento ai lavori forzati, quando la pena di morte che lo attendeva fino a sotto il patibolo era trasformata in confino (episodio che per molti storici, avrebbe causato la follia latente dell'immenso Dostoevskij).
“Possiedi solo ciò che puoi portare con te; conosci le lingue, conosci i paesi, conosci la gente. Lascia che la tua memoria sia la tua sacca da viaggio.” ALEKSANDR ISAEVIC SOLZHENITSYN
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Le anime Morte -Gogol-
La mia Scarlett
Un libro leggero e implacabilmente romantico.
Dopo aver visto il bellissimo film con la Divina Scarlett nella parte della servetta Griet non potevo esimermi dal leggermi il libro e per completare l'opera ho comprato pure la tela, di questa opera superba da appendere alla parete di casa.
La storia ruota intorno alla passione tra una giovanissima ragazza che va a servizio presso il noto poeta Olandese Veermer.
L'ambiente intorno a lei è popolata da figure meschine, grette, ricche ma aride di sentimenti e gentilezza.
La giovine invece sembra avere in se il gusto dell'arte, della bellezza, sente che ha l'unica l'occasione per elevarsi oltre il proprio rango stando vicino al famoso pittore.
Anche il Veermer sembra scorgere oltre alla bellezza nella ragazza, questo sguardo critico e acceso verso l'arte e difatti le permetterà di scoprire i segreti più nascosti della sua arte e poi un giorno scorgendola mentre sta pulendo le imposte della stanza dove dipinge, il sole bacia lo splendido volto della bionda giovane Griet e l'artista in quel momento matura l'idea di renderla il soggetto assoluto della sua nuova opera, una decisone che come si vedrà avrà ripercussioni nella storia dell'Arte con la creazione di una delle pitture iconiche della nostra epoca che è appunto: "La ragazza con l'orecchino di perla" conservata nel museo Mauritshuis dell'Aia.
Il romanzo non è solo interessante per le vicende di questa giovane fantesca ma anche perchè ci sono dettagli molto belli e raffinati su come venivano creati i colori che poi sarebbero andati a dar vita e colore alle tele, come si cercava un "punto luce" per dare interesse prospettico ad il soggetto raffigurato.
Per chi è amante della pittura molto bello da apprendere è il processo della "camera oscura" che permetteva agli artisti, con una tecnica, allora innovativa di riuscire a vedere ogni minimo dettaglio dell'opera che si stava creando.
L'arte è forse lo strumento più importante che abbiamo per sconfiggere il tempo, per vedere quei dettagli, quella bellezza che i grandi artisti hanno nei secoli, impresso sulle tele.
Non è solo porsi davanti a un opera e come aprire un forziere di bellezza e immergersi nei colori, nei tocchi leggeri di pennello, nel vivere le emozioni che una persona ha voluto imprimere per sempre su un quadro. Non servono parole davanti all'arte, come anche accade nel libro tra la ragazza e l'artista, si scambiavano un occhiata, un impercettibile segno della testa o un leggero sorriso e sapevano subito come modificare un dettaglio o come trasmettere un sentimento da imprimere sulla tela.
Come lo sguardo della modella doveva giungere agli occhi del pittore, come il sentimento che li univa doveva rimanere per sempre impresso sulla tela.
Le labbra socchiuse, lo sguardo ambiguo e sensuale, le guance leggermente arrossate, un leggero boccolo biondo che scende sulla fronte e poi quella perla, che richiama lo sguardo, da luce e profondità a tutta l'opera. Ecco un'opera d'arte nel senso più alto del termine. Potente, ipnotica, terribilmente reale, immortale.
Qualche anno fa ho avuto la fortuna di incontrare di persona la meravigliosa Scarlett Johansson.
Le ho scattato diverse foto, tra le quali una spicca per bellezza, in cui la Diva Divina sorride e firma un autografo. Uno sguardo angelico e allo stesso tempo provocante. Un mix irresistibile di bellezza e sensualità.
Se si guarda al film, incredibile è la rassomiglianza tra la meravigliosa ragazza raffigurata nell'opera e il volto perfetto di Scarlett, ma soprattutto per chi volesse vedere la pellicola o l'abbia già vista, se ci si sofferma sugli ultimi secondi prima della conclusione quando il regista stacca dal volto della divina per andare sul dettaglio della modella raffigurata nell'opera....due forme di arte che si immergono una dentro l'altra: pittura e cinematografia come si completassero perfettamente fra di loro.
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Super Uomo o Super Dio
Premessa: bisogna leggere un testo del genere, con nel molle è disturbante per diversi versi.
Vengono posti quesiti che hanno a che fare con l'uomo sin dagli albori dei tempi: cosa ci aspetta con la morte. Dio è morto? l'uomo attende un suo profeta, un Super Uomo, un Dio umano che porterà con il suo avvento la verità.
Sono teorie che enfatizzano il potere degli uomini e soprattutto possono essere state delle idee che hanno potuto contaminare certi movimenti totalitari che tanto dolore e distruzione hanno mietuto nella storia dell'umanità.
Il filosofo Nietzche è tra quelli più diretti e cupi che io abbia affrontato. Sicuramente il suo pensiero è tra quelli più negativi e privi di speranza che ci possano essere.
Egli riprende ed esalta il meraviglioso concetto di "nichilismo" tanto caro anche ad alcuni scrittori russi, come il Gigante Dostoevskij: se non ci sono regole giuste o sbagliate, allora tutto è permesso, tutto è possibile.
Per lui "Dio è morto" poichè in verità non c'è più nessuno a crederci vermante. Dissacra il Cattolicesimo, rinnega la sottomissione ad un essere superiore trascendente.
Il mito dell' Eterno Ritorno, con il Demone che striscia nel pensiero dei ognuno di noi e insinua il dubbio che ogni nostro dolore, perdita, disperazione è destinata a ritornare in questa mortale vita. Come l'Universo che affronta tempi ciclici, allora anche gli esseri umani saranno condannati a rivivere certi accadimenti della propria vita che pensavano fossero rimossi.
"Il tempo è in circolo". Per essere felici, bisognerebbe vivere questa vita così intensamente e liberamente da poi desiderare di riviverla e riviverla ancora. Ritornare al tempo presente, non deve essere dolore ma voglia di poter conoscere ogni cosa e attraverso la vera conoscenza liberarsi delle catene che ci ricurvano a una esistenza meschina e perfettamente uguale a quella di tanti altri.
Certi passaggi del libro, sono duri da digerire (almeno per il sottoscritto) soprattutto quando Zarathustra decide di professare il suo verbo agli stolti che incontra nel suo percorso. Le sue verità assolute sembra non possano ammettere replica. C'è un imperativo categorico in quello che egli dice. La verità non è fatta per renderci felici essa c'è per renderci consapevoli di quanto dolore e miseria regni in ogni animo umano.
Dimenticare se stessi, alzarsi all'albeggiare di un nuovo giorno e provare a lasciare una vita curva, piegata in se stessa, per affrontare questo nuovo tempo come se a svegliarsi si fosse destato un essere nuovo, quasi puro, dimentico del suo passato, propenso al suo futuro e soprattutto disposto ad abbandonare le proprie false certezze, per accarezzare una nuova vita seppur breve e dolorosa che possa essere, ma che almeno abbia come cammino quello di giungere alla verità, o almeno scorgerne un lembo, per capire finalmente o tentare di capire, ciascuno secondo propria coscienza ed intelletto, del perchè del passaggio per questa effimera e fugace esistenza.
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Un sogno
Quando ci si pone davanti a questo Gigante dell'umanità e come quando si è davanti a un opera del Caravaggio o di Michelangelo. Non si può che arricchirsi e credere che da qualche parte un Dio abbia dato la nascita a certi geni per spingere l'uomo verso la bellezza, la grandezza, dargli un segno del proprio genio.
E' come una melodia di Mozart, un opera di Beethoven, colpiscono dirette, invado tutto l'essere, trascinano verso la bellezza, il sublime. Si ha la sensazione che il tempo si arresti e che queste opere siano veramente immortali, attraversino secoli epoche popoli, ma il messaggio è sempre lo stesso: solo l'arte ci può salvare.
Le opere di questo immenso scrittore (a mio avviso il più grande insieme al buon Tolstoj) sia che brevi, sia che siano mattoni che incutono timore, hanno una caratteristica pazzesca: dalla prima riga della narrazione fino alla sua conclusione, portano il lettore nella mente dei personaggi, gli fanno sentire i luoghi in cui si svolgono le scene, come se le vivesse direttamente, ne avvertisse il senso delle cose, come se case, abitazioni, immense steppe si materializzino tra le mura della propria casa.
L'uomo fondamentalmente per Fedor è ridicolo. Ciò che fa è destinato al fallimento, alla sconfitta.
Questo perchè la realtà che lo circonda è pregna di violenza, sopraffazione, vanità, idiozia, povertà e laddove si materializza la ricchezza materiale essa è messa alla berlina dalla stoltezza del ricco, dalla sua sete di sottomettere il prossimo per puro gioco personale, per diletto.
Non si salva nessuno.
In questo breve racconto il protagonista è già dalle prima fredde, spietate pagine destinante a soccombere a se stesso e al proprio essere un essere ridicolo per se stesso e per gli altri.
Il suicidio come mezzo per spegnere l'incubo in cui è sprofondata la sua vita.
Ma poi quando tutto sembra volgere al peggio, scorgere un barlume di salvezza, rappresentato da un essere puro che forse potrà dare un nuovo significato a quello che rimane della sua vita.
C'è sempre una via di salvezza basta riuscire a scorgerla, anche se per gli esseri ridicoli spesso è impossibile intravedere un'aurora tra le tenebre.
Il testo è del 1877, ma sfido chiunque a dire che sentimenti, persone, pensieri, azioni, debolezze non siano le stesse dell'uomo moderno. Come se l'umanità abbia dei tratti unici e peculiari che attraversano i tempi e si ripresentano sempre senza confini di luoghi, culture, epoche. La grandezza di questo autore è proprio questa: l'analisi chirurgica della psiche umana.....precursore della psicanalisi e lo stesso Freud abbia elaborato le proprie maggiori teorie proprio dallo studio del Genio russo (come per esempio nel testo "Dostoevskij e il Parricidio").
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Delitto e castigo
Fratelli Karamazov
L'idiota
L'eterno Marito
I demoni
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Deludente
Forse è stata la traduzione che ho trovato, ma questo classico della fantascienza mi ha molto deluso e con difficoltà sono riuscito a concluderlo.
Laddove avevo trovato interessante e divertente nella sua tragicità, dello stesso autore "l'uomo invisibile", ma questa guerra tra alieni e umani l'ho trovata patetica quasi ridicola.
Sarà che queste figure di alieno che zompettano per i campi e sparano un "raggio fotonico verde" mi sono sembrate tipo i cartoni animati di Mazinga Zeta.
Con il nostro eroe che riesce per una serie di vicende al limite del miracoloso a farla franca, mentre intorno a lui regnano morte e distruzione.
Tant'è che anni fa proprio da questo racconto, hanno tratto un inguardabile film con il valoroso Tom Cruise e il suo sorriso che stende le donne, che è stato un flop al botteghino e viste le premesse del libro, questo non mi meraviglia affatto.
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Capolavoro donato all'Umanità
Faccio una premessa, per me "2001 Odissea nello Spazio" è il più grandioso, meraviglioso, immenso, indimenticabile capolavoro (insieme a "Full Metal Jacket") che quel genio assoluto di Kubrick ha donato per sempre all'umanità.
Ogni immagine è un quadro, un distillato di perfezione e arte spinta al suo livello più alto.
Come tutti i film di Kubrick sono tratti da dei libri, più o meno conosciuti.
In questo caso il regista, impressionato da un piccolo racconto "la Sentinella" di Clarke, contatta l'autore e gli propone partendo dall'idea germinale del suo racconto, di scrivere a due mani la sceneggiatura e quindi il libro da cui appunto sarà poi tratto questo meraviglioso e unico film di fantascienza.
Ne ho due versioni di questo libro, che ha la magia di far rivivere le immagini del film attraverso lo scorrere delle pagine....si è rapiti nello spazio infinito, partendo nel preludio dall'essere primordiale, il primate che popolava il pianeta milioni di anni or sono.
Tutto ruoto intorno a questo enorme misterioso "Monolite" capace di donare conoscenza ed evoluzione a chi ne entra in contatto.
Il Monolite trasmetterà un messaggio verso Jupiter ed è proprio li che l'uomo del futuro indirizzerà la sua ricerca per finalmente cercare di comprendere del perchè del nostro passaggio in questa vita.
La ricerca di una qualche forma di intelligenza talmente evoluta che non può essere compresa dalle nostre capacità umane, se non appunto attraverso questo gigantesco, scuro, privo di luminescenza che è il Monolite.
Si racconta che il regista, per poter elaborare le impressionanti, allucinate immagini finali della pellicola si sia messo sotto effetti di sostanze stupefacenti.
La grandiosità del libro è che riesce in maniera fedele e perfetta a riportare sulla carta stampata le sensazione visive ed alterate che l'astronauta, proiettato in uno spazio sconosciuto dove sembra non esserci tempo, spazio, limiti umani, rinascerà a nuova vita, passando però attraverso tutti gli stadi della propria esistenza.
Il finale del libro e del film è forse una delle cose più enigmatiche che mai si siano create, aperto a qualunque interpretazione, come ogni opera d'arte ha un significato in base anche all'animo con cui ci poniamo di fronte.
La cosa più grandiosa del libro è il perfetto connubio delle immagini con le musiche immortali di Strauss, il ballo dei pianeti e delle navicelle spaziali, i tempi terribilmente lenti e monotoni in cui si muovono animali, uomini, stelle.....nel libro di certo non possiamo percepire le note sublimi di Strauss, ma possiamo avvertire il soave balletto degli astronauti mentre fluttuano tra lo spazio infinito e l'immensità del creato.
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The Shning (King)
Lolita (Nabokov)
Arancia Meccanica (Burgess)
I quadri di Hopper, riportati sulle pagine dei lib
Prima di tutto, una riflessione.
Mi pare alquanto strano che in un sito così specializzato, come questo in recensioni dei libri, ci sia solamente l'intervento di un altro utente riguardo questo scrittrice americana, sconosciuta al grande pubblico.
Io non ne sapevo affatto l'esistenza fin quando, alla ricerca dei migliori film di Scarlett Jhoansonn, la divina di Hollywood, mi sono imbattuto in un piccolo gioiello di film indipendente "una canzone per Bobby Long" con il buon Travolta. Durante una scena la bionda bellissima, meravigliosa Scarlett ha tra le mani proprio un libro della Carson.....mi sono incuriosito e mi sono messo, non senza difficoltà alla ricerca di questo libro "il cuore è un cacciatore solitario", ormai non più in stampa e di fatti l'ho trovato a un prezzo di circa 5 volte maggiore a quello ufficiale, ma non me ne sono pentito e anzi ho comprato della stessa autrice questo "la ballata del caffè triste".
Se amate i quadri del grande Hopper, dove il silenzio e le ambientazioni del profondo sud americano la fanno da padrone, allora con questa autrice starete sulla strada giusta per gustarvi delle letture che vi lasceranno sicuramente piacevoli ricordi.
Giovanissima la Carson si cimenta con un argomento molto a cuore, sia nell'industria americana cinematografica, che in quella della letteratura: le aride, assolate, desolate lande del sud degli Stati Uniti.
Luoghi dove il tempo pare sia sospeso e le persone oppresse da miseria, pregiudizio, ignoranza e da un sole implacabile trascorrono le loro giornate stravaccate su derelitte verande o in malfamati locali dove alcolismo, disperazione, odore di sudore represso rendono l'aria irrespirabile.
L'autrice è giovanissima eppure, mi da la netta sensazione di essere una perfetta conoscitrice dell'animo umano, soprattutto dell'animo di tutti coloro che per condizione sociale o per aspetto fisico sin da quando nascono hanno già il destino segnato verso un inevitabile fallimento. Non ci sono sogni ad allietare i derelitti, non c'è il lieto fine a rendere la lettura meno amara, ma quanta bellezza nello sfogliare le pagine e vedere materializzarsi davanti agli occhi le vite e le sofferenze di questi picari, di questi dimenticati, di tutti questi ultimi della vita, che vagano strusciando le logore scarpe attraverso i campi arsi dal sole, arrancano senza meta, si picchiano, copulano come bestie dove capita, si inginocchiano schiacciati dal peso di una vita fatta di sola fatica, mangiano la terra polverosa, fanno a cazzotti, si detestano, ma poi inevitabilmente si rialzano e continuano a pellegrinare da un locale ad un altro, continuano a stringere i pugni a tirare giù pinte su pinte di birra da quattro soldi.
Si logorano il vestito buono della domenica facendo a cazzotti in qualche balera, le donne si vendono a qualche animale di passaggio, i bambini polverosi, zozzi, frignanti hanno la rogna. Un quadro tragico, dove due sordi si sostengono a vicenda, un nano gobbo porta disperazione e morte al suo passaggio, una vecchia arcigna rende la vita di chi la avvicina impossibile, un delinquente passa il suo tempo ad arrotare il coltello a bazzicare le paludi.....non manca nulla, la grandiosità della disperazione e miseria umana, servita senza remore alcuna, senza dare mai la speranza al lettore che alla fine tutto si sistemerà.
Io preferisco così, adoro gli scrittori schietti, sinceri, che non hanno pietà per i loro personaggi, che li fanno affondare con tutti quelli che gli sono intorno. Sono letture dove la speranza si va a farsi benedire, già dalla prima pagina, un po come la mia speranza che un giorno aprirò la porta di casa mia e invece di vedere la vecchia vejarda che scarrella la frutta, mi ritrovo la meravigliosa, divina, inarrivabile Scareltt Jhoansson che mi chiede se le posso prestare un po di sale......
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Ricordo di Praga
Ho ancora il piccolo smilzo libro tra i miei ricordi di una vita.
Lo comprai durante il mio primo viaggio nella meravigliosa Praga, quando ancora era un città incantata, non devastata dal turismo di massa.
Ero giovane, con ancora degli amici, ed eravamo per i le stradine del "vicolo d'oro", un quartiere caratteristico che si arrampica ai margini del Castello della città e da cui si gode una vista senza eguali sulla romantica capitale della Repubblica Ceca.
A mio avviso è un opera minore, rispetto ai capolavori come America o il Castello e che documenta in maniera inequivocabile l'astio che queste controverso genio aveva nei confronti della figura parantela.
Egli si sentiva piccolo uomo, davanti alle vessazioni del padre. Erano altre epoche, dove l'autorità genitoriale aveva la meglio sui figli, non come ora dove un moccioso comanda in casa come fosse un dittatore.
Si sente l'oppressione dello scrittore nei confronti della figura paterna e la loro incapacità di comunicazione, il loro essere sempre vicini ma come universi distanti e destinati a mai conoscerci veramente.
Cè astio e rancore nelle parole dello scrittore, cè la disperazione classica del figlio di fronte ai propri genitori che sembrano aver dimenticato di essere stati giovani anche loro in epoche remote.
Ogni volta che mi trovo questo libro tra le mani e leggo le dediche di questi miei amici oramai inghiottiti dal tempo, mi assale una spietata malinconia per come eravamo giovani, belli e carichi di speranza. E ora mi chiedo....dove sono finiti i nostri sogni? dove è la nostra spensieratezza e soprattutto che fine ha fatto la nostra meravigliosa Praga, con le sua stradine medioevali, il suo ponte Carlo alla sera, quando ci fermavano lungo il suo parapetto e sognavamo amori lontani e impossibili. Tutto è stato ingoiato dal tempo, la nostra giovinezza è oramai un miraggio lontano, ma i sogni, quelli no, quelli sono rimasti gli stessi.
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Il Castello
Pessimo
Ho letto quasi tutti i libri di questo autore, poi li ho presi tutti e li ho regalati a una libreria vicino casa.
Mai compreso il perchè di tanta fama per uno scrittore a mio avviso ultra sopravvalutato e che scimmiotta i classici russi, senza riuscire neanche ad arrivare al lembo dei pantaloni della loro grandezza.
Questo libro, poi l'ho trovato veramente insulso, con il classico stereotipo che se la donna ama e non viene contraccambiata allora inevitabile è il suicidio o peggio ancora la follia, come nei drammoni shakespeariani.
Uno dei passaggi più ridicoli ed insopportabili della letture è quando il nostro autore si proietta in prima persona nel romanzo (una cosa mai letta in migliaia di libri divorati in una vita) e facendo il bello tra i belli ci racconta delle sue cenette a Parigi in compagnia di qualche ragazzetta di alto livello......come se a un povero sventurato lettore dei suoi romanzi interessa sapere il fascino dell'artista sull'immaginario femminile.
Insomma il tomo ha fatto la stessa fine di tutti gli altri di questo autore......regalato.
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Ama
L'opera più importante e rappresentata al Mondo, del grande genio inglese.
Mi ci sono avvicinato da giovane, guardando il film con il biondo Di Caprio e poi mi son comprato l'opera contenuta nei Capolavori di Einaudi.
L'amore è il tema, naturalmente, centrale. E come spesso accade nei puri amori è alla fine un viatico verso la disperazione e infine la morte.
L'opera non è, a mio avviso, quella più profonda e riuscita dell'autore, ma proprio questa sua diciamo "semplicità" di lettura l'ha resa immortale alle masse e anche a quelli che magari non hanno dimestichezza con la vera letteratura e quindi magari se leggessero "Otello" o "Amleto" (testi che ha mio avviso sono veramente ostici e che confesso in molte parti mi sono completamente incomprensibili) ne caverebbero più interrogativi che risposte.
Essendo la vicenda dei Montecchi e Capuleti ampiamente conosciuta per il globo è pure inutile stanne ad accennare lo svolgimento, abbastanza lineare e proprio per questo alla fine prevedibile, nel suo epilogo pieno di spine per i protagonisti.
L'amore è il fulcro della vicenda, esplode sin da subito come fiamma incontrollabile, che da una parte accende i cuori dei protagonisti e conseguentemente coinvolge le famiglie che vi sono intorno e poi lentamente e subdolamente va a consumare la loro linfa vitale, come una fiammella brucia la candela, fino al suo inevitabile spegnimento, come per tutte le cose che ardono al di là delle proprie capacità.
Per un giovane che si avvicina a questo tipo di opera naturalmente sentirà pulsare nel proprio cuore il desiderio di poter vivere almeno una volta nella propria vita, un così grandioso e unico sentimento, per chi invece è un poco più maturo, e magari quella fiamma lo ha già "bruciato" in passato è normale che leggendo il testo, ne provi un sentimento più disincantato, ripensando a quanto questo amore sia sublime da un lato e beffardo dall'altro.
"Ama, ama follemente, ama più che puoi e se ti dicono che è peccato ama il tuo peccato e sarai innocente." William Shakespeare"
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Vel’aninov vs Pietroburgo
Nei romanzi del grande genio russo, ciò che colpisce più spesso è come l'influsso della città si determini sui comportamenti dei personaggi che popolano i suoi scritti.
In questa opera "minore" il protagonista, un quarantenne annoiato e sull'orlo di una crisi di nervi e inevitabilmente soggiogato dalla calda, opprimente, polverosa, irrespirabile aria della regina delle città russe: la meravigliosa Pietroburgo.
E' un rapporto di amore e odio, quello che lo scrittore ha sempre narrato, nei confronti della città, che non gli ha dato i natali (in quanto era nato a Mosca), ma che è stata la sua città prediletta e in cui ha ambientato i maggiori suoi capolavori.
In questa Pietroburgo estiva, dove la maggior parte delle persone hanno lasciato per rifugiarsi nelle località estive in cerca di refrigerio, il nostro protagonista vive forse uno dei momenti più bui della propria esistenza.
L'abilità senza pari del grande romanziere russo è come sempre quello di proiettarci in maniera violenta nella psiche dei personaggi di cui narra. E così come per incanto anche noi ci ritroviamo catapultati in questa città arsa dal sole, dove non spira aria e dove sembra che ogni cosa sia sul baratro della follia, con il protagonista Vel’?aninov, che arrivato ai quaranta anni, all'improvviso si rende conto che sfuggita per sempre la gioventù, non gli resta altro da fare se non rimpiangere i bei tempi andati in cui ogni sogno sembrava a portata di mano e dove il futuro era pieno di possibili strade da prendere.
L'eterno marito del titolo è una presa in giro dell'autore che indica una persona nata libera solo all'apparenza, ma il cui unico destino, appunto, è quello di essere succube e parassita di un essere più forte e spietato: la moglie. Una persona che perde la propria individualità per farsi piegare dai voleri della propria compagna. Un reietto il cui unico obiettivo della vita è stato appunto quello di essere un eterno marito, nato per questo ruolo e condannato infine a perirne.
E' un atto di accusa rivolto verso una società immobile, patetica, fatta di convenzioni sociali, cinica fino allo sfinimento, vittima della burocrazia, del tedio, della noia, data o dall'agiatezza economica o semplicemente dalla consapevolezza che alla fine la gioia tanto bramata durante la propria esistenza, non era altro che un effimera chimera.
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Il tempo che fu
Trainspotting, sia nella versione cartacea, sia in quella del film, non possono che suscitarmi ricordi di gioventù.
Quando ancora adolescente, con mio fratello andammo al cinema all'Adriano di Roma, che in quel tempo non era ancora stato deturpato in multisala, ma era un meraviglioso teatro, con i palchetti nei piani superiori e lo schermo gigante per gustarsi ogni scena.
Fortemente colpito dal film (a mio avviso tra i migliori degli anni '90) mi comprai anche il libro.
Non sono un grande appassionato di Irvine Welsh, ma questa lettura è stata ancora migliore che vedere il film, dove per forza di cose molti dettagli debbono essere saltati e la psicologia dei personaggi viene rappresentata per somme linee.
Il libro, pur mantenendo sempre un tono non particolarmente drammatico (rispetto al tema trattato), ha la peculiarità di riuscire a descrivere un argomento sempre attuale e delicato come quello della dipendenza dalle sostanze, delle malattie collegate e infine della morte, con un tono abbastanza leggero, asciutto e spesse volte anche scherzoso nella sua immensa drammaticità.
Il racconto si svolge in una città di per se fredda e buia come Edimburgo. I giovani spesso disoccupati e sbandati trascorrono le giornate facendosi e commettendo reati minori per ottenere i soldi per le dosi.
Eppure sono passati 25 anni da quando si sono svolte le vicende del romanzo e del film, ma tante di quelle situazioni non sono affatto mutate. Certo nel lontano 1993 (anno di pubblicazione del libro) non vi era proprio idea di cosa fosse un cellulare, l'AIDS era allora il grande incubo che aleggiava sulla popolazione mondiale e per incontrarsi non ci si poteva collegare a un PC.
Però oggi come allora il tema delle tossicodipendenze, dell'alienazione nelle grandi città, della ricerca disperata di un senso alla propria esistenza e della voglia di autodistruzione, sono rimaste uguali con il mutare delle società.
Il "trainspotting" era un passatempo attraverso il quale, giovani nullafacenti, passavano le giornate a contare e osservare i treni di passaggio, in attesa della nuova dose o in attesa semplicemente che una nuova e tediosa giornata volgesse al termine.
Gli anni 80 e 90 sono spesso ricordati come il tempo del "buco" e questo libro e il relativo film, sono un monito e un viaggio storico sugli effetti del vizio sulle società di allora.
Mi ricordo molto bene, che si aveva paura di andare nei giardini pubblici, per la presenza in quantità enorme di siringhe abbandonate un po ovunque.
In quel tempo frequentavano il parchetto sotto a Castel Sant'Angelo, e quasi ovunque trovavamo siringhe abbandonate, tant'è che alla fine mia madre ci impedì di andarci a giocare.
Segno inequivocabile che la piaga della droga non era solo un problema di Sua Maestà, ma si era ormai diffusa ovunque.
Alcune pagine del libro sono di forte impatto, ci sono scene che fanno rivoltare le viscere, la realtà viene spiattellata in faccia al lettore senza tante cerimonie.
Per quelli che oggi hanno 20/30 anni, se vogliono avere un poco l'idea di come fossero gli anni '90 e di come si vivesse senza tanta tecnologia, credo che la visione del film e la lettura del libro possano essere tanto illuminanti, quanto istruttivi, soprattutto per chi magari voglia cedere o abbia ceduto al perverso fascino delle droghe. Una sorta di monito a non cadere nel tunnel funesto delle droghe.
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Un chirurgo dell'anima
Il genio Gogol aveva una grande passione: prendere per i fondelli, rendere zimbelli i pomposi personaggi che si aggiravano per le lande russe, che poi non sono altro che gli stessi personaggi che incontriamo quotidianamente in tutti i giorni della nostra vita (quarantena permettendo.....).
Difatti il grande scrittore russo, aveva l'abitudine, attraverso un meraviglioso gioco di parole, aggettivi e superlativi di mettere alla berlina i vari gradi sociali, per poi gettarli in un unico calderone fatto di falsità, meschinità, astuzie, povertà di animo. disperazioni, tutte celate dietro l'apparenza di un titolo di studio, di una posizione lavorativa o di uno stato di disoccupazione e povertà.
Non si salva nessuno. Il ricco come il povero, il bello come l'odioso, il furbo, come il fesso.
La grandiosità della letteratura russa è in questo immenso, inarrivabile talento di saper scavare nell'animo umano, di portare a nudo il vero "io" delle persone, il loro essere.
Gogol è un "chirurgo dell'anima", la indaga, la opera, la seziona e ne estrae il male, il morbo e lo getta in faccia al mondo, con ironia ma anche spietatezza.
Sotto la sua apparente comicità e leggiadria, se si legge tra le righe dei suoi romanzi o meglio ancora dei sui brevi racconti, ne escono fuori tutte le atrocità e le bassezze che ispirano l'agire umano.
Mors tua vita mea
Nei racconti di Pietroburgo, in queste brevi meravigliose, impareggiabili storie di vita quotidiana, siamo davanti a un compendio completo di sociologia e psicologia umana.
Basta leggere un pagina e sfogliarne un altra e si è catapultati in una realtà allucinata, di personaggi e ambienti dove tutto sembra talmente reale da poterlo avvertire nella propria stanza, accanto al proprio divano dove si sta leggendo.
Possono essere il nostro vicino di casa, il nostro sottoposto al lavoro, il nostro capo, il medico da cui andiamo per farci dare un'aspirina, può essere lo sconosciuto che incrociamo mentre andiamo a fare la fila al supermercato e chissà per quale motivo, lo giudichiamo o per come è vestito o magari (in questi tempi ancora più cupi) da che colore ha la mascherina che cela il suo volto......
Come ha detto il genio assoluto della letteratura mondiale Feodor Dostoevsij: "siamo tutti usciti dal cappotto di Gogol" per citare appunto il racconto forse più famoso di questa raccolta dedicata a San Pietroburgo, la meravigliosa.
Il ventre fecondo di Santa Madre Russia.
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La fantasia che vince su tutto
Il titolo deriva dal fatto, che leggendo la biografia di questa scrittrice, sono venuto a conoscenza che avendo una salute alquanto cagionevole, la Austen aveva trascorso, gran parte della propria relativamente breve esistenza (tenendo conto di quel periodo in cui visse) per lo più all'interno delle mura domestiche o comunque con pochi e sporadici incontri "esterni" alla propria abitazione.
Quello che mi sorprende è appunto la capacità di inventiva di questa grande scrittrice, unita a una non disprezzabile ricerca delle trame psicologiche dei vari personaggi che caratterizzano i suoi romanzi, per lo più sentimentali e scarsamente storici.
E' un po come se la scrittura fosse stato per lei un modo per uscire dal proprio isolamento, viaggiare con l'immaginazione e attraverso i propri libri riuscire a entrare in contatto con tutto quel mondo che le era precluso.
Questo "Ragione e Sentimento" con "Orgoglio e Pregiudizio" sono forse le opere più mirabili.
In questo romanzo si intrecciano le vicende di due sorelle, giovani.
Il contrasto tra la ragione di Elinor e il sentimento di Marianne. Due figure che appunto contrapponendosi alla fine si attraggono e fanno gravitare intorno a loro le vite e i destini di diversi personaggi.
La ragazza dalla sua stanza attraverso fantasia e sentimento si creava tutto un mondo di personaggi, sentimenti, amori, lotte, morte.
Colpisce la fine e acuta descrizione della psicologia dei vari protagonisti dei suoi scritti.
Un prodigio di inventiva, sentimenti, passioni che andavano oltre le limitazioni fisiche e spaziali.
Cosa può renderci veramente liberi, se non la nostra immaginazione. Almeno a quella, per ora, ancora non sono riusciti a tarpare le ali.
In alto i cuori.
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Eppure non era romano
Con mia somma sorpresa, vengo a sapere che il Pasolini non era romano, bensì romagnolo.....
Eppure se c'è stato uno scrittore che abbia saputo descrivere in maniera fedele, appassionata, reale e profonda lo spirito e la vita della popolazione di Roma, quello è stato proprio il Pier Paolo Pasolini.
Per mia opinione, egli rappresenta insieme al Moravia (che però romano lo era fin dalla nascita) i due massimi rappresentanti della descrizione della romanità più pura, intesa come modo di vivere, di sopravvivere, di lottare e poi alla fine di cedere alla realtà.
Con una grande differenza: il Pasolini amava le classi povere, i giovani senza speranza di borgata, i reitti, i picari, le prostitute, i ragazzi di vita, i delinquenti dal "core bono", il Moravia, invece soffermava la sua attenzione sui quartieri bene, sui ragazzi di alta borghesia. Prati contro Portuense. Piazza di Spagna contro Ostia centro.
Se si vuol comprendere affondo l'animo di una Roma ormai sparita e dimenticata, superata dal progresso e oramai popolata da una generazione di fanciulli appiattiti dai social network e dagli smartphone, allora ci si deve "sporcare le mani" con questi due scrittori.
"Ragazzi di vita" ha uno stile tipico del Maestro Dostoevskij. La ricerca vana, del perdente, di una via di uscita di un attimo di felicità.
Come il genio russo, che amava visceralmente la meravigliosa e regale San Pietroburgo, il poeta emiliano era talmente affascinato da Roma e le sue borgate, da diventare quasi un fanatico della vita di questi miserabili giovanotti che vagavano senza meta per le strade polveroso e infangate della capitale, negli anni del dopo guerra, quando ancora il boom economico, non aveva fatto breccia nella povertà e disperazione dilagante.
Ci sono scene poetiche e spietate in questo romanzo di vita, come quando questi cenciosi "pischelletti" fanno irruzione in una baracca e la donna che serve loro il caffè si scusa per non avere zucchero ad addolcire la bevanda e il povero giovine le dice che è già tanto se possono gustarsi un caffè nero, servito e caldo.
Oppure i giochi disperati lungo i margini del "biondo" Tevere, che inghiotte da sempre vite e speranze di tanti disperati attratti dalle sue torbide acque per porre fine alla loro vita.
Un paio di sere fa, ho rivisto il capolavoro del regista Pasolini "Accattone".
Altra amarissima riflessione sulle iniquità della vita, che come diceva un mio professore: tutti noi siamo "condannati" o "esaltati" nel nascere da tre fattori determinanti: il contesto sociale ed economico della nostra famiglia, il nostro aspetto fisico e naturalmente lo stato di salute che ci viene dato.
Ecco leggendo Pasolini o vedendo i suoi film si intuisce come a certe condizioni di povertà e ignoranza "atavica" non vi sia possibilità di redenzione.
Leggere Pasolini e Moravia significa fare un viaggio a Roma, un viaggio senza comodità e senza speranza di avere un lieto fine.
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La disobbedienza di Moravia
Gli indifferenti di Moravia
L'umanità serva al potere
Un Genio assoluto.
Con ironia, garbo, acume e terribile verità. questo illuminato russo è riuscito a dipingere le fandezze di un popolo intero, che è poi lo specchio di una più vasta umanità che pare non avere confini ne limiti di tempo.
Infatti tra le caratteristiche peculiari dei grandi scrittori russi dell'ottocento e novecento c'era la incredibile peculiarità che i loro romanzi potevano essere riletti anche a distanza di decenni e epoche diverse, mantenendo sempre una caratteristica universale per quando riguarda l'agire umane, la motivazione che spinge le persone a vivere e stare al mondo.
Gran parte della psicanalisi deriva dallo studio degli scritti russi classici, tra cui Gogol, Cechov, Tolstoj, Dostoevskij, cioè gli illuminati che con la loro penna hanno lasciato capolavori immensi e imparegiabili.
Gogol diceva: ""Se si osserva attentamente e a lungo una storia buffa, essa diventa sempre più triste".
E' qui un idea del suo meraviglioso essere un artista della psiche umana, un gigante della ragione.
Egli usava l'ironia, sbeffeggiava l'ordine costituito, la burocrazia infernale che rendeva la vita dei cittadini (e rende ancora) un inferno fatto di scartoffie, carte, regole, reclami, denunce, leggi e perdite di tempo.
In una cittadina spersa nell'immensità del territorio Sovietico, sta per giungere un ispettore a controllare l'andamento delle cose pubbliche, la gente va nel panico, poichè nulla è come dovrebbe essere e per questo si decide di ingannare il nuovo venuto, che ahimè per uno scerzo del destino non è la persona che essi stanno aspettando con tanto timore.
Il potere piega le persone, le rende scaltre, serve, animali da riporto, le lega al collare e per uscirne senza danni sarebbero disposti a tutto.
Figure meschine, vuote, stralunate, con comportamenti al limite della decenza, asservite al potere, logorate dalla mancanza di fiducia verso chi governa e verso se stessi.
Ognuno arroccato a proteggere le proprie ricchezze e difendere il proprio status sociale, costi quel che costi.
Si compie il destino dell'uomo, della sua bramosia di potere, del suo desiderio di essere ricordato, della sua vana ricerca della felicità.
Nell'infernale vortice quotidiano fatto di desideri, frustrazioni, ripicche, cattiverie, pochi gesti d'amore spesse volte falsi e vuoti, gli uomini marchiano il proprio destino, castigano le proprie vite all'infelicità e alla sottomissione. Nulla è come sembra, tutto è destinato a marcire nel tempo.
Quando uno pensa di aver raggiunto la felicità, questa poco a poco si tramuta in tragedia, in scherzo del destino.
Leggere un romanzo russo è sempre stata per me un'esperienza illuminante, un passo verso la verità, buona o cattiva che essa sia.
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Il buon Johnny Depp ci aveva fatto la bocca
Si narra, che quando, quasi 10 anni fa, questo enorme romanzo, fece il suo debutto nel mondo, il grande attore americano e idolo di tante ragazzine e donne sparse per il globo, aveva avuto l'idea di farci un film, nel quale naturalmente avrebbe fatto la parte del protagonista che salva il globo tutto.
Poi a causa di insormontabili difficoltà economiche legate alle produzione, il bel Johnny aveva deciso di metterci una pietra sopra, mandando in frantumi i sogni e i desideri tante ragazze sparse per il pianeta terra.
Effettivamente il romanzo ha un suo fascino, un suo alone di mistero.
A me garbò molto, soprattutto per quanto riguarda la parte relativa all'India, poichè è si un racconto ma è anche per certi versi un trattato antropologico e sociale di come si vive in alcune relatà dimenticate delle megalopoli dell'est, abbandonante a un destino, che ahimè è quasi sempre privo di speranza.
La seconda parte del racconto, invece la trovo abbastanza stucchevole e che enfatizza in maniera anche un poco puerile le gesta del protagonista, che diviene una sorta di Rambo, al limite del Mission Impossible del sorriso che abbaglia, Tom Cruise.
Dopo averlo una volta letto, non ho mai più avuto fantasia di riprenderlo in mano, anche se a differenza di altri libri non l'ho regalato o messo al macero.
Ora con questo isolamento, che darebbe tedio anche a un monaco tibetano, ho deciso di rileggerlo e purtroppo la prima idea che mi ero fatto rimane la stessa: un buon libro, nel quale però alla fine lo scrittore tende troppo a compiacersi a esaltare il prode protagonista che mette nell'ombra tutti gli altri interpreti. Per questo sarebbe perfetto per una sceneggiatura di Hollywood, l'addove negli Studios sono i maestri assoluti nel rendere mito un bel paio di occhi e un sorriso che conquista!!
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Un pessimista, deificatore della natura
Forse la definizione migliore per questo ambiguo e per certi versi scrittore l'ho letta su un saggio a lui dedicato che pontificava: un ateo, un antireligioso, materialista, deificatore della natura, da parte di Emilio Servadio.
E' la prima volta che mi imbatto in questa parola "deificatore" della natura.
E' molto bella, illuminante per certi versi.
Soprattutto se rapportata appunto a queste "Opere" del Marchese de Sade, dove spicca in particolare la "Filosofia del Boudoir".
Non sono facilmente reperibili, le sue opere e leggendole si può avere una intuizione del perchè.
Come espresso nella recensione su Justine, più che colpirmi le varie perversioni e fantasie sessuali descritte dall'autore, in queste opere affascina e disturba la filosofia che vi è nei discorsi fra i vari libertini.
Dal suo nome, ho scoperto, deriva la parola "sadismo" e difatti negli scritti spesso si ricorre a questa praticati per favorite il piacere o (come meglio dice l'autore "l'estasi") fra i personaggi che si sollazzano in orgie di ogni tipo.
Per lo scrittore, non vi sono regole da rispettare se non quelle dell'istinto e se una persona deve appagare i propri desideri, non vi devono essere leggi che ne frenino la lussuria.
Essendo egli, appunto un pessimista, afferma che ogni singolo individuo è completamente inutile, sennò dannoso per la natura stessa e per questo se egli vive o meno non cambia nulla del corso degli eventi.
Portando allo stremo il suo pensiero, afferma che se tutta l'umanità sparisse in un giorno, per la Natura non cambierebbe assolutamente nulla, ma anzi si rinnoverebbe e prospererebbe anche meglio.
Per lui la stessa forma umana è dannosa per l'ordine naturale e l'appellarsi a un Dio o credere in una qualunque forma di divinità è una debolezza che viene inculcata nelle masse, dal potere religioso che deve perpetuarsi e sopravvivere nell'ozio facendo leva sulle paure dei più.
Va da se, che attraverso siffatti pensieri egli possa essere visto come un "nichilista" un ateo un libertino senza scrupoli.
Esprimere certi concetti è già forte di suo nella nostra epoca, figurarsi se rapportato al 1700 in cui egli visse. Difatti fu internato varie volte e i suoi scritti furono messi quasi al rogo e durante la prigionia egli scrisse la maggior parte delle sue opere.
Mi viene in mente una frase che ho sentito tempo fa: "la Natura è indifferente ai drammi dell'uomo".
Questo moto continuo, questo fluire del tempo, il tutto in divenire, l'impossibilità di recuperare il passato, di vedere il futuro. Dalla morte si genera una nuova vita. Tutto è mutevole, nulla rimane.
Quindi alla base di tutto vi è il Tempo e la Natura, come elementi completamente al di fuori del controllo dell'uomo che non è altro che un granello di polvere nell'immensità del creato.
Omnia fert aetas (Virgilio) -il tempo porta via tutte le cose-
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Juliette
I 2 uomini invisibili
Esistono due libri che hanno lo stesso titolo, ma appartengono a due autori differenti:
L'uomo invisibile di Ralph Waldo Ellison
L'uomo invisibile di Herbert George Wells
Il primo libro, ad opera di un afroamericano è ormai una rarità, non se ne trovano più copie in commercio e io il libro lo rimediai per pura fortuna anni fa su una bancarella in una piazza di Roma. Con mio profondo stupore non capisco come un'opera così importante non vengo più stampata, tant'è che se la cercate pure su internet è impossibile trovarne la versione tradotta in italiano....forse troverete una qualche remota versione americana.
In questa recensione, naturalmente, invece scriverò dell'opera universalmente conosciuta e ampiamente stampata in molteplici edizioni di Wells.
Entrambe le opere hanno un filo comune: il desiderio o meglio la necessità dell'uomo di scomparire alla vista degli altri per raggiungere i propri obiettivi.
Una ricerca vana, poichè alla fine il mondo ci scoverà, fosse pure che diventiamo completamente invisibili, e distruggerà i nostri sogni e desideri.
E' la prima opera di Wells che leggo e debbo diee, che mi è molto piaciuta, sia per la sottile ironia che pervade il romanzo, nel tipico humor inglese, sia per lo spietato tratteggio psicologico dei vari personaggi che fanno da protagonisti alle vicende del folle e geniale scienziato che riesce a porre in atto quello che molti di noi spesso sognerebbero di diventare: delle realtà invisibili, per vedere quanto potere possa generare una tale condizione fisica.
La vicenda scorre veloce e gli eventi precipitano quasi subito, ma la parte più bella è proprio leggere di come una massa di maldestri idioti, riescano attraverso varie peripezie a far fallire una delle più grandi scoperte che possa fare un uomo: appunto rendersi invisibile agli altri e mantenere la propria struttura fisica, quindi non essere un fantasma, ma un uomo in carne e ossa.....
La cosa che mi ha colpito è la disperazione di questa creatura, che praticamente da quando perde il suo naturale aspetto fisico, invece di guadagnarne potere e ricchezze, sarà invece come un animale braccato e senza scampo.
Molto curata e particolareggiata è la descrizione delle strade di Londra, come Oxford Street, o dei villaggi fuori città, popolati da una mandria di energumeni e fifoni che con la loro idiozia e paura renderanno la vicenda fin troppo drammatica e spietata.
Da questo romanzo sono stati tratti svariati adattamenti cinematografici e nel leggere le pagine tante volte mi sono messo ad immaginare cosa avrei fatto io se fossi stato nel protagonista.....come avrei sfruttato la sua invisibilità, che sensazione potrebbe darmi vedere gli altri senza essere visto, farsi burle del mondo, compiere azioni e rimanere impunito.....insomma uno si immagina chissà quale potere possa tare tale condizione e invece ci si deve ricredere leggendo le geniali pagine di questo scrittore, che ci spiega che questa invisibilità più che un modo per appagare i propri desideri diviene una condanna.....
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