Opinione scritta da leogaro
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L'odissea dei Joad
Steinbeck prese spunto da articoli di giornale del 1936 che parlavano di centinaia di migliaia di migranti che, abbandonato il Midwest, raggiungevano la California: le loro fattorie, non più redditizie dopo che le tempeste di polvere ne avevano gravemente eroso il suolo, erano state espropriate dalle banche. La storia si divide in tre parti, come il biblico Esodo: prima la siccità vista come la schiavitù, poi il viaggio, infine la lotta per stabilirsi nei nuovi luoghi.
Oklahoma, Stati Uniti, 1936 circa. Le piogge primaverili accelerano la crescita del grano ma, con la successiva siccità e il forte vento, la terra diventa così arida da sollevare polvere ad ogni movimento. Finita la polverosa siccità, il grano è totalmente rovinato. Tom Joad, rilasciato dopo aver scontato 4 anni di carcere per omicidio colposo, sta tornando a casa quando incontra l’ex predicatore Casy, col quale attraversa terre desolate dall'aridità, intuendo l’incombente miseria. Dopo anni di scarsi guadagni, i proprietari terrieri, costretti dalle banche, sfrattano i braccianti dalle loro terre, sostituendoli con più efficienti trattori. Dopo aver letto un volantino in cui si cercano braccianti in California prospettando buoni guadagni, la famiglia decide di abbandonare l'Oklahoma per tentare la fortuna all'Ovest.
A bordo di uno scassato autocarro, comprato da commercianti speculatori, inizia un viaggio verso la California attraverso la Route 66. A partire sono tre generazioni di Joad: oltre ai nonni, ci sono Pa’ e Ma’, il bizzarro primogenito Noah, poi Tom, l’esuberante Al, la giovane Rosasharn incinta e il marito Connie, i piccoli Ruthie e Winfield. Con loro, anche lo zio John e il meditativo Casy. I guasti al camion sono marginali, ma i pochi pezzi di ricambio necessari vengono pagati cari ai rivenditori, che speculano sui prezzi. Durante il lungo ed estenuante viaggio, i Joad incontrano altre famiglie di emigranti tra cui i Wilson, con cui scatta reciproca solidarietà. Una notte, Nonno si sente male e muore ma, non avendo soldi per il funerale, i Joad decidono di seppellirlo sul posto. Proseguendo il viaggio, si incontrano migranti che tornano dalla California, descrivendo la miseria e il clima ostile che hanno trovato lì. I Joad e i Wilson arrivano in Arizona e si accampano vicino ad un ruscello, dove conoscono altri emigranti che ritornano ad Est perché non hanno trovato lavoro. Noah decide di non proseguire il viaggio e fermarsi a vivere di espedienti lì vicino al fiume. Inizia la disgregazione familiare, che Ma’ argina con veemenza. Durante la traversata del deserto, muore anche la Nonna.
Giunti infine in California, la felicità dura poco. La terra è tanta e fertile, ma i braccianti vivono stipati in baraccopoli e con bassi salari per l’eccesso di uomini disposti a lavorare sottopagati. I Joad finiscono in un accampamento di disperati, da cui Connie fugge. La gente dell’Ovest è in fermento: teme l’invasione dei disperati, ritenuti ladri e sobillatori: una notte, i Joad fanno appena in tempo a scappare mentre il campo viene attaccato e dato alle fiamme. Va meglio nel campo governativo di Weedpatch, autogestito da un comitato di migranti: il clima è solidale, le regole vengono rispettate da tutti, ma la polizia osteggia questo campo, ritenuto esempio di vita comunista: così, provoca i migranti di continuo, per indurli ad andarsene. Tom trova lavoro come spalatore, ma il suo salario non basta. Così, i Joad si spostano alla fattoria Hooper per raccogliere pesche: appena arrivati, vedono dei braccianti in sciopero per l’improvviso ribasso delle paghe. Una sera la polizia interviene per disperdere gli scioperanti: gli eventi precipitano, i Joad sono costretti a separarsi e le loro vite prenderanno una piega imprevista.
Nel libro, l'odissea dei Joad è un affresco memorabile del sogno americano, i personaggi sono ben caratterizzati, i temi trattati sono molteplici e rendono uno spaccato realistico, a volte impietoso, della realtà, in una lettura sempre piacevole. E, dopotutto, s'intravede sempre il sole, in fondo al tunnel. Un capolavoro.
Moltissime le possibili citazioni: “Non si può essere proprietari se non si è indifferenti” – “La banca è più degli uomini. È il mostro. Gli uomini la creano, ma non possono controllarla” – “Come sapremo di essere noi senza il nostro passato?” – “Terribile è il tempo in cui l’uomo non voglia soffrire e morire per un’idea” – “Se gli serve un milione di acri per sentirsi ricco, gli serve perché è molto povero dentro. E se è povero dentro, nessun milione da acri può farlo sentire ricco” – “Quando sei giovane, tutto quello che ti capita se ne sta per conto suo… poi un giorno si cambia, una morte è un pezzo di tutte le morti, una nascita è un pezzo di tutte le nascite… allora le cose non stanno più da sole. E un male non fa più tanto male, perché non è più un male che se ne sta da solo” – “Il confine tra fame e rabbia è un confine sottile” – “Gli uomini la vita la portano dentro la testa … noi donne, la vita ce la portiamo sulle braccia” – “Quando stai male o nei ne guai, va dalla povera gente. Soltanto loro ti danno una mano” – “C’era un tempo che avevamo la terra. Era la cosa che ci teneva insieme” – “Per l’uomo la vita è fatta a salti: se nasce tuo figlio e muore tuo padre, è un salto; per una donna è tutto come un fiume, che ogni tanto c’è un mulinello, una secca, ma l’acqua continua a scorrere.”
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La ragazza della guerra accanto
Il romanzo è ambientato nella Val d’Elsa toscana; inizia poco dopo la fine della II guerra mondiale e si conclude nei primi anni Cinquanta.
Mara Castellucci è una ragazza sedicenne che vive a Monteguidi col padre, scansafatiche comunista, l’austera madre e il fratellino Vinicio. L’altro fratello, Sante, è rimasto ucciso dai tedeschi nei feroci combattimenti della Resistenza. I giorni passano, tra il lavoro nei campi e le scaramucce con gli spasimanti del luogo.
Un giorno, i Castellucci ricevono la visita di un ragazzo, Arturo Cappellini, detto Bube, venuto apposta a Monteguidi per conoscerli: Bube è stato un partigiano che ha combattuto insieme a Sante durante la Resistenza, guadagnandosi il soprannome di Vendicatore. Dal primo incontro con Mara, tra i due giovani nasce subito una simpatia; lusingata dall'interesse del ragazzo, Mara inizia a scambiarsi lettere con lui.
Un giorno, Bube comunica a Mara di voler cercare riparo presso la propria famiglia a Volterra perché accusato di un delitto. Era accaduto che, mentre si trovava a San Donato con i compagni Ivan e Umberto, un prete aveva impedito loro di entrare in chiesa: secondo i ragazzi, il motivo della discriminazione era la loro appartenenza al partito comunista. I giovani avevano protestato e il maresciallo dei carabinieri era intervenuto, insieme al figlio, a sostegno del prete. Bube e gli amici avevano cercato inutilmente di far valere le loro ragioni e, spinti dall'ira, avevano aggredito il sacerdote. Così, il maresciallo aveva reagito sparando ad Umberto, uccidendolo; per vendicare l'amico, Ivan aveva ucciso il maresciallo, mentre Bube ne aveva rincorso e assassinato il figlio.
Nonostante l’opposizione della madre di lei, Mara e Bube intraprendono così il viaggio verso Volterra. La prima tappa è Colle Val d’Elsa; lì, Bube rivede casualmente un prete di Volterra, tale Ciolfi, a suo tempo tacciato di pedofilia. Nel pomeriggio, i due salgono sull’autobus per Volterra; lì trovano anche il prete Ciolfi e una donna, che inizia a inveire contro il sacerdote, accusandolo d’aver collaborato coi nazisti durante la guerra. Appena riconosciuto Bube, la donna lo sprona a picchiare il prete, ma il ragazzo cerca di tergiversare. Giunti a Volterra, Bube conduce il prete verso il carcere per farlo costituire ma, aizzato dalla folla, viene praticamente costretto a picchiarlo per tener fede al suo nome di Vendicatore.
Giunto a casa dai familiari, Bube viene avvertito dal compagno Lidori che rischia di essere arrestato per il delitto di San Donato. Stare nascosti in famiglia non è affatto sicuro, cosicché Lidori accompagna Bube e Mara in un capanno di campagna, dove i due innamorati passano alcuni giorni insieme. L’indomani, una macchina passa a prendere Bube per portarlo precipitosamente in Francia, mentre Mara ritorna a Monteguidi.
Nel frattempo, qualcosa in lei è cambiato: non è più la ragazza spensierata di prima, è angosciata per la mancanza di notizie su Bube e le rimane indifferente tutto quello che la circonda. Anche in casa il clima non è sereno: il padre è preso soltanto dalle attività del partito comunista, mentre la madre la rimprovera continuamente per essersi fidanzata con un poco di buono. L’infelicità della ragazza cresce, così pure l’insofferenza alla quotidianità di Monteguidi. Finita l'estate, Mara decide di andare a lavorare come domestica presso una famiglia di Poggibonsi. Qui, la ragazza stringe amicizia con una compaesana, Ines, che le presenta Stefano, un ragazzo serio e un po' timido che lavora nelle vetrerie. Mara resta inizialmente fredda, ma lentamente comincia ad apprezzare la sua garbata compagnia, soprattutto perché, da più di un anno, non ha notizie di Bube. La ragazza scivola così gradualmente in un dilemma: da un lato sa di aver dato la sua parola a Bube, ma dall'altro sente crescere l’amore per Stefano, un uomo serio e sincero che potrebbe darle la felicità e il benessere.
In Francia, il governo decreta l’espulsione dei rifugiati politici: Bube, costretto al rimpatrio, viene arrestato alla frontiera e condotto a Firenze. A questo punto, per Bube e Mara è giunto il momento di guardarsi occhi negli occhi, capire se è possibile, e in che modo, un futuro per loro. Mara, soprattutto, sarà chiamata a compiere una scelta che potrebbe rivelarsi decisiva, seppur così giovane, per l'intera sua vita.
Libro intenso, in cui Cassola descrive la storia con vivide immagini, nel solco di quel Neorealismo che tanti capolavori ha regalato alla nostra letteratura. La lettura è piacevole, la trama meritoria, molteplici i temi affrontati, dal lavoro alla questione sociale, dalla guerra all'amore, dalla vendetta alla giustizia.
Due citazioni: “Ogni causa esige i suoi caduti” - “E’ cattiva la gente che non ha provato il dolore. Perché quando si prova il dolore, non si può più voler male a nessuno”
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Il deserto dell'anima
--- Il testo contiene spoiler ---
Il romanzo è ambientato in un paese immaginario. Il sottotenente Giovanni Drogo, divenuto ufficiale, viene assegnato come prima nomina alla Fortezza Bastiani, ultimo remoto avamposto ai confini settentrionali del Regno. Essa domina una desolata pianura chiamata “deserto dei Tartari”, un tempo teatro di rovinose incursioni nemiche ma che, da innumerevoli anni, non ha più portato alcuna minaccia. La Fortezza, svuotata ormai della sua importanza strategica, è rimasta solo una costruzione arroccata su una solitaria montagna, di cui molti ignorano finanche l'esistenza.
Dopo un viaggio a cavallo di più giorni, Drogo ha una cattiva impressione della fortezza. Confida all'aiutante maggiore Matti di voler chiedere l'avvicinamento alla capitale, e questi gli consiglia di attendere la visita medica periodica tra quattro mesi, dopo la quale potrà farlo trasferire per motivi sanitari. Drogo acconsente e in questo periodo subisce inconsciamente il fascino degli immensi spazi desertici che si aprono a nord. La vita alla Fortezza Bastiani è retta dalle norme ferree di disciplina militare e esercita sui soldati una sorta di malia che impedisce loro di lasciarla. I militari sono sorretti da un'unica speranza: vedere apparire all'orizzonte, contro le aspettative di tutti, i Tartari, combatterli e diventare eroi: l'unica via per restituire alla Fortezza la sua importanza, dimostrare il proprio valore e dare un senso agli anni buttati via qui al confine.
Il giorno della visita medica che dovrebbe sancire la sua inabilità per il servizio alla Fortezza, Drogo la vede improvvisamente trasformata; davanti ai suoi occhi si espande a dismisura con camminamenti, spalti e mura; il paesaggio del nord gli appare bellissimo. Così, rinuncia al trasferimento e si lascia affascinare dalle pigre abitudini che scandiscono il tempo alla Fortezza, dalla speranza di una futura gloria come quei commilitoni precedentemente catturati dalla situazione.
Un giorno, un soldato uscito per recuperare un cavallo rientra senza conoscere la parola d’ordine e viene abbattuto dalla sentinella, come è imposto dalle regole del servizio. Qualche tempo dopo, si vedono lunghe colonne di uomini armati in avvicinamento da settentrione attraverso la pianura deserta. La Fortezza è in fermento, i soldati sognano battaglia e gloria… ma non sono i Tartari, ma soldati del Regno confinante che vengono a definire i confini.
Dopo quattro anni, Drogo torna a casa in licenza, ma avverte un senso di estraneità e smarrimento nel ritornare al suo vecchio mondo, ad affetti a cui scopre di non saper più parlare. Maria, sorella d’un suo amico, gli sembra indifferente; eppure basterebbe una sola parola di Drogo perché lei rinunciasse a un viaggio in Olanda e rimanesse con lui. Si reca da un Generale per ottenere il trasferimento, come permesso dopo quattro anni in Fortezza, ma il superiore rivela che l’organico della piazzaforte sarà drasticamente ridotto e molti suoi colleghi hanno presentato domanda prima di lui, senza dirgli nulla.
Drogo ritorna alla Fortezza e ai suoi ritmi immutabili. Ora la guarnigione è appena sufficiente. Il collega tenente Simeoni crede di avvistare del movimento a nord: si scopre che il Regno del Nord sta costruendo una strada verso le montagne di confine, ma occorreranno quindici anni di lavori nel deserto per arrivare nei paraggi della Fortezza. Nel frattempo, tutti si abituano a considerarlo un lavoro di ingegneria civile.
Nell'attesa della "grande occasione", si consuma la vita dei soldati di guarnigione; su di loro trascorrono, inavvertiti, i mesi, gli anni. Drogo vedrà alcuni dei suoi compagni morire, altri lasciare la Fortezza ancora giovani o ormai vecchi.
---inizio spoiler ---
Dopo trent’anni di servizio è Maggiore e vice-comandante della Fortezza. Una malattia al fegato lo corrode fino a costringerlo a letto, quando improvvisamente scoppia la guerra contro il regno del Nord, che fa affluire truppe e artiglierie. Mentre arrivano i rinforzi alla Fortezza, il nuovo comandante Simeoni fa evacuare Drogo, malato, per far spazio ai nuovi ufficiali. La morte lo coglierà solo, in un'anonima stanza di una locanda di città, dove Drogo capirà quale fosse la vera occasione per provare il suo valore: affrontare la Morte con dignità, "mangiato dal male, esiliato tra ignota gente".
--- fine spoiler ---
Un libro mediamente scorrevole, abbastanza piacevole ma che non è certo una lettura d'evasione. Un testo che fa riflettere, che è profondo e suscita importanti interrogativi sul senso della vita, sulle priorità, sulle occasioni mancate, quelle lasciate, quelle cercate.... In fin dei conti, quanto vale l'attesa? Cosa si è disposti a sacrificare per l'Occasione con la O maiuscola? Un libro intenso, che nonostante la lentezza di vari capitoli (a volte eccessiva, ma legata alle necessità di questa trama), induce a pensare: e lo fa dandoti un bel pugno nello stomaco.
Alcune citazioni: “L’ora miracolosa che almeno una volta tocca a ciascuno: per questa eventualità vaga, uomini fatti consumavano la parte migliore della vita” - “A un certo punto, istintivamente, ci si volta indietro e si vede che un cancello è stato sprangato alle spalle nostre, chiudendo la via del ritorno… si capisce che il tempo passa e che la strada un giorno dovrà pur finire” - “Così una pagina lentamente si volta, aggiungendosi alle altre già finite, per ora è solamente uno strato sottile, quelle che rimangono sono un mucchio inesauribile. Ma è pur sempre un’altra pagina consumata, una porzione di vita” - “Gli uomini, per quanto possano volersi bene, rimangono sempre lontani…se uno soffre, il dolore è completamente suo: questo provoca la solitudine della vita” .
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La rosa che non appassisce mai
Novembre 1327, Italia settentrionale. Papa Giovanni XXII, insediato a Avignone, è in lotta con l’Imperatore Ludovico che è invece sostenuto dai francescani, desiderosi d’una Chiesa più austera. Frate Guglielmo e Adso, suo allievo, si recano in un monastero benedettino, sede d’un incontro tra francescani e delegati papali.
- 1° giorno. L’abate Abbone comunica a Guglielmo la recente morte del miniatore Adelmo, precipitato da una rupe, e lo prega di indagare sull’accaduto. Guglielmo visita il monastero e l’Edificio, una costruzione con una ricca biblioteca, intricato labirinto svelato solo al bibliotecario e al suo aiuto. L’atmosfera è tesa: dei monaci insinuano sulla condotta dei compagni, altri credono vicino l'Anticristo. Si conoscono alcuni monaci: il medico erborista Severino, l’estremista Ubertino, l’ambiguo Berengario, il severo Malachia e Venanzio, un traduttore dal greco che difende le ironiche miniature del defunto Adelmo contro gli attacchi dell’austero Jorge, convinto che ridere sia opera demoniaca che distoglie il popolo dal timor di Dio. Venanzio insinua vi siano stati strani rapporti tra Adelmo, Bencio e Berengario, che arrossisce.
- 2° giorno. Si scopre il cadavere di Venanzio a bagno nel sangue dei maiali. Bencio e Berengario vengono interrogati: Berengario dice d’aver visto Adelmo, la notte prima, aggirarsi sconvolto nel cimitero, farneticando d’essere condannato all’inferno; Bencio rivela che Berengario era innamorato di Adelmo, cui avrebbe rivelato un segreto in cambio di favori sessuali. Guglielmo fruga nel tavolo di Venanzio, trova degli appunti con frasi in codice e ipotizza che egli avesse appreso i segreti della biblioteca da Adelmo. Di notte, Guglielmo e Adso entrano in biblioteca: trovano versetti apocalittici sui muri, erbe allucinogene e specchi deformanti, e escono a fatica.
- 3° giorno. Guglielmo decifra il brano in cui Venanzio parla del “finis Africae”, una stanza della biblioteca contenente libri pericolosi per la cristianità, celandone la posizione e l’entrata dietro un enigma. Adso disegna un’approssimativa piantina della biblioteca. Ubertino racconta ad Adso la storia dell’eretico Fra’ Dolcino, sostenitore della libertà sessuale, e insinua che Remigio ne sia stato un seguace. Adso torna in biblioteca per perfezionare la piantina e incontra una ragazza con cui conosce i piaceri della carne; al risveglio, sconvolto, si confessa con Guglielmo. Alle piscine dell’ospedale si trova il cadavere di Berengario, annegato.
- 4° giorno. Severino e Guglielmo esaminano i corpi di Berengario e Venanzio, entrambi con lingua e polpastrelli neri, forse dovuti a un veleno. Messo alle strette, Remigio confessa d’intrattenersi con la ragazza in cambio di cibo. Con l’arrivo dei delegati, tra cui l’inquisitore Bernardo Gui, il congresso inizia. In biblioteca, Guglielmo capisce che le iniziali dei versetti sui muri indicano la provenienza geografica dei libri e trova il settore africano, ma non l’ingresso del “finis Africae”.
- 5° giorno. Gui scopre la ragazza col monaco Salvatore, che accusa Remigio di commercio sessuale. Severino trova uno strano libro nel suo ospedale e ne parla a Guglielmo in chiesa. Poco dopo, l’erborista viene trovato morto, con Remigio intento a frugare negli scaffali, da cui il libro misterioso è sparito. Interrogato, Remigio confessa il suo passato dolciniano, di cui stava eliminando le prove da delle lettere lì conservate. Gui condanna Remigio, Salvatore e la ragazza per eresia e omicidio.
- 6° giorno. Finito il congresso, Gui torna ad Avignone. Malachia stramazza al suolo in chiesa, con dita e lingua nere. Guglielmo nota che tale morte ha accomunato chiunque conoscesse il greco e deduce si tratti d’un libro avvelenato scritto in greco; finalmente, decifra l’enigma di Venanzio e, di notte, torna con Adso in biblioteca.
- 7° giorno. I due accedono al “finis Africae”, dove finalmente tutto si rivela al lettore. Nella lotta tra il Bene e il Male giunta ormai al capolinea, sembra che le stesse fiamme dell'Infermo vogliano inghiottire l'Abbazia, immobile teatro di vendette, invidie, gelosie e inconfessabili peccati.
Un libro che è capolavoro assoluto, scritto con stile acuto, tagliente, alternando vari registri narrativi e sovrapponendo diversi piani di approfondimento, permettendo allo stesso lettore di leggere la storia seguendo differenti chiavi di lettura. Alcuni capitoli si dilungano un po', ma nel complesso la lettura è piacevole.
Molte anche le frasi memorabili: “Tale è la forza del vero che, come il bene, è diffusivo di sé”- “Se mai fossi saggio, lo sarei perché so essere severo” – “Se un pastore falla, deve essere isolato dagli altri pastori, ma guai se le pecore cominciassero a diffidare dei pastori” – “Non tutte le verità sono per tutte le orecchie” – “Mancò il coraggio di inquisire sulle debolezze dei malvagi perché scoprii che sono le stesse dei santi” – “Quando i veri nemici sono troppo forti, bisogna pur scegliere dei nemici più deboli” – “Nulla effonde più coraggio al pauroso della paura altrui” – “La logica poteva servire molto, a condizione di entrarci dentro e poi uscirne” – “O ribellarsi o tradire: è data poca scelta a noi semplici” – “Non rispose, ma il suo silenzio era abbastanza eloquente” – “Temi coloro disposti a morire per la verità, perché di solito fanno morire moltissimo con loro, prima di loro, al posto loro.”
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Un pilastro della letteratura
Inghilterra, 1123: alla morte di re Enrico I, dopo il misterioso naufragio del figlio Guglielmo, unica discendente è la figlia Matilde, non riconosciuta dalla nobiltà che, insieme alla Chiesa, sostiene il nipote Stefano come erede al trono. A Kingsbridge viene impiccato un cantastorie francese; tra la folla, una donna maledice tre uomini.
- 1135 ca. Nella guerra Stefano-Matilde, il costruttore Tom cerca lavoro con la moglie Agnes, incinta, e i due figli Alfred e Martha. Incontrano Ellen, col figlio Jack, che vivono nella foresta. Agnes muore dando alla luce Jonathan e Tom, affranto, lo abbandona nella foresta, dove sarà salvato da un frate e portato in un convento. Pentitosi, Tom torna a cercare il bimbo e rincontra Ellen; i due formano un'unica famiglia e trovano lavoro a Kingsbridge, dove il priore Philip ha deciso di ristrutturare la cattedrale che Jack ha bruciato di nascosto. Tom scopre che Jonathan vive presso i frati. Le gelosie di Alfred per Jack portano alla separazione tra Tom ed Ellen.
- 1136 ca. Durante la guerra civile, la famiglia Hamleigh cattura il conte Bartholomew di Shiring, fedele all'imperatrice Matilde, e lo consegna a re Stefano, proponendosi come nuovi conti. Il feroce William Hamleigh, furente per il rifiuto di Aliena, figlia di Bartholomew, la violenta sotto gli occhi di Richard. I ragazzi fuggono e ritrovano il padre morente, il quale li fa giurare di reimpossessarsi del titolo e della contea. I due si stabiliscono a Kingsbridge: Aliena diviene commerciante di lana e compra l'armamento per fare di Richard uno scudiero. Tom convince Philip ad edificare una nuova cattedrale: tornato con Ellen, egli dirigerà le maestranze.
- 1140 ca. La guerra civile è in stasi; con l'esercito del re ci sono William Hamleigh e Richard. Quando il padre di William muore, egli torna al castello di Shiring e inizia un controllo brutale sulla contea per spremere i contadini. Aliena, ricca e ancora nubile, frequenta Jack e se ne innamora. In battaglia, re Stefano viene sconfitto e arrestato; poco dopo, è fatto prigioniero Robert di Gloucester, braccio destro di Matilde: lo scambio tra i due prigionieri determina un nuovo stallo bellico.
- 1145 ca. Per invidia, William incendia Kingsbridge. Tom muore e Philip nomina Alfred nuovo mastro muratore. Aliena, che nell’incendio ha perso casa, lana e denaro, riceve la proposta di matrimonio di Alfred: ormai povera, deve accettare per poter finanziare il fratello nella riconquista della contea di Shiring. Jack scopre che Aliena è innamorata di lui: si amano, poi fugge disperato ed Ellen maledice Alfred, predicendogli sterilità. Aliena si scopre incinta di Jack e, spaventata, tace. Re Stefano nomina William conte di Shiring. Improvvisamente, il nuovo soffitto della cattedrale di Kingsbridge crolla: Aliena partorisce sotto le macerie. Alfred scaccia Aliena accusandola di tradimento e lei va a cercare Jack in Francia. Durante i suoi viaggi, Jack riceve una statua di cristallo d’una Vergine Piangente e apprende le tecniche costruttive gotiche. Riunitisi, Jack e Aliena tornano a Kingsbridge, dove nasce la leggenda della miracolosa Vergine di Kingsbridge, che attira in città folle di pellegrini: la cittadina rifiorisce e Philip accetta Jack come nuovo mastro costruttore, ma non potrà vivere con Aliena finché non otterrà l'annullamento del matrimonio.
- 1150 ca. La carestia colpisce Shiring, malgovernata da William, sposo e carnefice dell’ingenua Elizabeth. Molti contadini affamati si sono dati al brigantaggio, guidati da Richard. Aliena e Jack hanno avuto due figli, ma devono ancora vivere separati. Le rendite del priorato sono scarse e i lavori sulle cattedrale si fermano. Enrico, figlio di Matilde, si accorda con re Stefano: egli sarà re a vita, poi Enrico ne sarà il successore. La notizia sgomenta Richard: riconosciuto conte da Enrico, non potrà riprendere la contea finché regnerà Stefano. Organizza dunque un complotto contro William, con la complicità di Elizabeth, per reimpadronirsi del castello di Shiring. Alfred, disoccupato, aggredisce la moglie Aliena, ma Richard lo uccide per difenderla. William Hamleigh ottiene da re Stefano il permesso di arrestare il conte Richard che, per evitare il carcere, parte per una Crociata in Terrasanta e affida il feudo ad Aliena; ormai vedova, ella può finalmente regolarizzare l’unione con Jack.
- 1170 ca. Kingsbridge è una città fiorente. La storia si avvia all'epilogo, con un nuovo ruolo per Jonathan, la lotta tra Re Enrico II e l'arcivescovo di Canterbury, il nuovo complotto in cui è coinvolto Waleran.... tutto si rivela, con chiarezza, chiudendo il cerchio all'estasiato lettore.
Il libro, a mio avviso, capolavoro di Follett. Avvincente, con trama articolata in vari filoni principali e alcune sotto-storie che si intrecciano con le altre: ci fa immergere molto bene nel cruento Medioevo inglese (con qualche tecnicismo di troppo, forse, a livello architettonico), dando l'idea complessiva di una storia di grande respiro, un futuro "classico" della letteratura del tardo Nocevento. I personaggi sono ben caratterizzati, si amano tutti, sia i "buoni" che i "cattivi", la loro psicologia è ben delineata; alcune scene di violenza o di sesso sono forse un po' troppo spinte ma, visto il contesto storico, ci può stare. Molto piacevole la lettura, impreziosita da diversi colpi di scena, che non stanca mai nonostante il tomo sia davvero voluminoso.
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Vita in provetta
Il primo libro "vero", letto da ragazzo, che mi ha fatto innamorare della lettura. Trama avvincente, personaggi in cui è facile immedesimarsi, storia che scorre veloce e con chiarezza narrativa. Jeannie, brillante e affascinante scienziata, scopre durante le sue ricerche due gemelli identici nati da madri diverse: iniziando a indagare, si troverà immersa sempre più in un intrigo di alto livello che coinvolge le alte sfere del potere. Lo stile di Follett è, come spesso accade, coinvolgente, la tematica trattata è attualissima e analizza in varie sfaccettature il contrasto tra scienza, etica e progresso (o regresso?). Nonostante il finale sia abbastanza scontato, la lettura risulta piacevole.
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Esperienza immersiva nella violenza
Il romanzo è ambientato durante la seconda guerra mondiale, tra Roma e alcuni paesi della Ciociaria. Cesira, di origini ciociare, è rimasta vedova dopo un matrimonio infelice e gestisce un negozio nella capitale; vendendo al mercato nero, la donna riesce a tirare avanti insieme alla figlia Rosetta.
Settembre 1943: costretta dalla carestia e dai bombardamenti, Cesira lascia Roma per rifugiarsi a Vallecorsa, suo paese natale. Ma il viaggio si interrompe a Fondi: le rotaie sono state bombardate e il treno è bloccato. Ospitate dall’ambigua Concetta in una modesta casa di contadini, sono costrette a fuggire per l’eccesivo interesse di due giovani fascisti per Rosetta. Cesira chiede aiuto ad un negoziante suo conoscente, Tommasino Festa, che le conduce nel villaggio montano di Sant'Eufemia, dove vivono alcune famiglie di sfollati di Fondi. Tra essi, le donne conoscono l’idealista Michele. Con l’arrivo delle piogge autunnali, l'avanzata alleata si blocca e il fronte si stabilizza a sud di Sant'Eufemia: cominciano i bombardamenti su Fondi e gli sfollati passano dalla speranza alla disperazione. I tedeschi attuano feroci rastrellamenti di giovani: per sfuggirgli, Michele scappa in montagna, per tornare solo a sera a Sant'Eufemia, Cesira e Rosetta lo accompagnano. A Natale, giungono a Sant'Eufemia due inglesi: per paura delle rappresaglie tedesche, solo Rosetta si fa avanti per accoglierli e sfamarli.
Gennaio 1944: gli Alleati sbarcano ad Anzio, ma vengono presto bloccati: il tempo scorre lento, tra la quotidiana monotonia e i timori dei bombardamenti. Solo in primavera l’avanzata riprende: giungono così a Sant'Eufemia alcuni tedeschi fuggitivi, che prendono Michele come guida per risalire verso nord. Cesira e Rosetta lasciano Sant'Eufemia e scendono a Fondi, ove trovano solo una gran confusione: soldati angloamericani, sfollati, contadini… Saputo del trattamento di favore per chi ha aiutato gli Inglesi, Rosetta racconta l'episodio del Natale, ottenendo così un passaggio a Vallecorsa. Ma la gioia durerà poco, poiché le due donne giungono in un paese deserto, alla mercé dei soldati di passaggio. La violenza che incontrano non è solo quella dello stupro: l’esperienza della guerra muterà profondamente i comportamenti delle due, incrinando i loro rapporti, precipitandoli in una profonda incomunicabilità. Dopo ulteriori disavventure, quando infine giungeranno a rivedere all'orizzonte la cupola di S.Pietro, dalle lacrime sgorgherà la speranza del ritorno alla vita, dopo il logorio morale e materiale della guerra.
Stile asciutto e crudo, quello di Moravia, che usa un linguaggio diretto, decisamente poco aulico, per narrare vicende che, non dimentichiamolo, nascono da esperienze personali dell’autore stesso. La lettura è piuttosto snella, sebbene il ritmo non sia incalzante, anzi. Il romanzo, nel raccontare il susseguirsi degli eventi, prende un ritmo sonnolento che, gradualmente, scava nell’animo del lettore, lo costringe a riflettere, immedesimarsi. I personaggi sono ben delineati, impossibile non identificarsi nella fragile Rosetta, nella determinata Cesira o nell’idealista Michele… anche i personaggi “negativi”, come l’ambigua Concetta o il losco Clorindo, hanno un ruolo ben definito nel romanzo e la loro presenza è essenziale alla trama, come pure coerenti sono i loro comportamenti. La guerra è guerra, non c’è da scherzare; e Moravia ci scaraventa dentro, nelle giornate sonnolente d’attesa, nei quotidiani timori, nelle speranze vanificate, nell’universale dolore. E’ un libro che un po’ logora dentro, così come fa qualsiasi guerra. Perché la guerra non finisce con l’armistizio: i suoi strascichi, indelebilmente marchiati nell’animo dei superstiti, restano, come scorie radioattive impossibili da espellere. Un romanzo non sempre scorrevole, non certo una lettura d’evasione: è un classico da leggere, con la dovuta attenzione.
“Questo è certamente uno dei peggiori effetti della guerra: di rendere insensibili, di indurire il cuore, di ammazzare la pietà.”
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Delitto e castigo in Sardegna
La storia si svolge all’inizio del Novecento in un villaggio sardo, Galte. Qui vive quel che resta della nobile famiglia Pintor, ormai decaduta. Il servo Efix si prende cura delle tre sorelle rimaste, Ruth, Ester e Noemi, gestendo un piccolo podere appena sufficiente al loro sostentamento. Le tre dame abitano ormai in una casa cadente, in povertà. Le Pintor lo mandano a chiamare perché, dalla penisola, è giunta una lettera di Giacinto, figlio della quarta sorella, Lia. Nel racconto, Efix ricorda l’infanzia delle Pintor, sottomesse alle ferree regole del padre, Don Zame: prepotente e geloso dell'onore della famiglia, egli teneva le donne recluse in casa, dedite ai lavoro domestici nell’attesa di esser maritate a un buon partito. Ma Lia si ribellò a questa condizione e fuggì a Civitavecchia; l’indomani, Don Zame fu misteriosamente trovato morto fuori dal paese. Lia, ripudiata dalla famiglia, si sposò ed ebbe un figlio, Giacinto. Nella sua lettera, il giovane annuncia di essere rimasto orfano e, insoddisfatto del lavoro alla dogana, chiede di poter raggiungere le zie in Sardegna. Le sorelle sono in disaccordo sul da farsi. Efix, invece, spera che l’arrivo del ragazzo riaccenda la speranza della rinascita della famiglia: “Sperare sì, ma non fidarsi anche. Star vigili come le canne, che a ogni soffio di vento si battono l’una all’altra le foglie, come per avvertirsi del pericolo”.
Giacinto arriva nei giorni della Festa del Rimedio ed è accolto dalle zie con sentimenti alterni. Il bel ragazzo desta subito l’attenzione di Grixenda, giovane vicina di casa delle Pintor. Già dai primi giorni, Giacinto inizia a spendere: viene visto giocare a carte, offrire da bere… inoltre, fa una corte serrata a Grixenda, che s’innamora follemente. “Spendeva e non guadagnava: e anche il pozzo più profondo, ad attingervi troppo si secca”. Incuriositi dalla sua apparente ricchezza, il sindaco Don Predu e il Milese, un ricco mercante, lo accolgono nel loro circolo. Efix sospetta dei suoi vizi e gliene parla: Giacinto, allora, confessa d’esser stato licenziato dalla dogana per aver truffato un ufficiale e che, orfano e spaesato, voleva cercarsi un lavoro onesto a Nuoro. Efix gli crede e lo difende dalle accuse dell’intransigente Noemi, la cui durezza nasconde in realtà una forte infatuazione per il nipote. Ester e Ruth, invece, s’indebitano sempre più per amore del nipote. Nell’oziosa quotidianità, Giacinto, ancora disoccupato, svolge piccoli servizi per il Milese, ma continua a perdere soldi al gioco e ricorre ai prestiti di Kallina. Efix parla all’usuraia e scopre che Giacinto ha presentato due cambiali, contraffacendo le firme di Ester. In paese, Giacinto è sparito da ormai tre giorni quando Kallina protesta le cambiali: venutane al corrente, Ruth muore d’infarto. Efix parte in cerca di Giacinto; lo trova a Nuoro, dove vive coi pochi soldi guadagnati col Milese. Efix lo rimprovera per la condotta che sta portando le zie alla rovina, ma Giacinto lo zittisce rivelandogli di conoscere il suo terribile segreto.
Efix, in preda ai rimorsi che riemergono dal passato, torna a Galte dalle Pintor, desiderose che il giovane non si faccia più vedere. Per sfuggire all’usuraia Kallina, Ester e Noemi vendono il poderetto a Don Predu, che s’accolla tutti i loro debiti. Convinto che ciò preluda al matrimonio tra Predu e Noemi, Efix abbandona la casa, deciso a espiare, mendicando, quelle colpe che gravano sulla sua coscienza. “Cuore bisogna avere, null'altro”. Ma il matrimonio tarda ad arrivare, per la riottosità di Noemi che, forse, nasconde qualcosa. E proprio Giacinto, prendendosi le sue responsabilità, potrà indirizzare correttamente la sua vita e quella delle zie, fornendo indirettamente loro l’ultima àncora di salvezza. Efix, fino alla fine, vivrà stoicamente per compiere il suo proposito morale, unico modo per metter finalmente pace nella sua anima tormentata. “La vita passa e noi la lasciamo passare come l'acqua del fiume, e solo quando manca ci accorgiamo che manca.”
L’opera è gradevole sebbene la lettura risulti, talvolta, eccessivamente lenta. Il linguaggio è semplice, a volte essenziale, non sfoggia ricercatezze particolari e, anzi, ingloba alcuni termini dialettali. La Deledda è brava nell’immergere il lettore nella Sardegna d’inizio Novecento, in bilico tra le tradizioni del passato e le innovazioni che stentano a far breccia. Ci tuffiamo così in una Sardegna aspra, immota, caratterizzata da una vita modesta ma genuina, intrisa di temi universali: amore, invidia, lealtà, povertà. Grazia Deledda è attenta nel tratteggiare, con vivida forza narrativa, i caratteri morali e psicologici dei suoi personaggi, regalandoci un classico della letteratura.
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Elogio della decadenza
Il testo contiene spoiler.
’’Nunc et in hora mortis nostrae. Amen. La recita quotidiana del rosario era finita.” Questo l’incipit di un classico della letteratura italiana, reso ancor più celebre dalla trasposizione cinematografica con Claudia Cardinale.
1860. La Sicilia è ancora sotto il Regno Borbonico e Garibaldi prepara la Spedizione dei Mille. Il nobile Principe Fabrizio Corbera è colto ed elegante, ma anche burbero, altero e spesso tormentato da pensieri funerei. E’ discendente della nobile famiglia Salina, il cui stemma è un gattopardo, e conduce un’agiata vita di possidente con la sua famiglia, di cui il prediletto è il nipote Tancredi Falconeri, segretamente innamorato della cugina Concetta, figlia di Fabrizio. Garibaldi sbarca in Sicilia: lo scapestrato Tancredi si schiera al suo fianco e diventa presto ufficiale dell’esercito. Fabrizio vive questi cambiamenti con l’amara consapevolezza dell’inevitabile declino del ceto cui appartiene; celeberrima l’affermazione: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. I fermenti di rivolta sono diffusi in tutta Palermo: molti nobili fuggono, ma non Fabrizio, rassicurato dal nipote. Proprio grazie all’intercessione di Tancredi presso i Garibaldini, Fabrizio e la sua famiglia possono trasferirsi alla residenza di Donnafugata per le vacanze estive. Parlando con l’amministratore, Salina viene a sapere che il sindaco Calogero Sedara, in rapida ascesa politica, sta diventando ricco quanto lui. Decide quindi di conoscerlo, invitandolo a cena. Egli si presenta con la giovane figlia Angelica, che colpisce tutti per la sua straordinaria bellezza. Durante la cena, Tancredi racconta le recenti imprese garibaldine, ma Concetta lo rimprovera aspramente per i particolari troppo cruenti. Il giovane, così, si concentra su Angelica, che non rimane insensibile al suo fascino: di nuovo, Concetta riprende più volte il cugino per gli espliciti apprezzamenti su Angelica, senza far trasparire la “cotta” che prova per lui. Pochi giorni dopo, Tancredi tornerà a combattere nell’esercito piemontese che punta verso Napoli. Da Caserta, dove stava combattendo per scacciare i Borboni, Tancredi scrive una lettera allo zio Fabrizio in cui gli rivela il crescente amore per Angelica, pregandolo di intercedere presso il padre Calogero Sedara per averla in moglie. Il Principe si convince che l'unione con l’emergente classe sociale borghese possa capovolgere il destino della sua nobiltà avviata ad estinguersi, donandole vigore nuovo: “Noi fummo i gattopardi, quelli che verranno sono gli sciacalletti e le iene. E tutti quanti, gattopardi sciacalletti e iene, continueremo a crederci il sale della Terra”. Così, Fabrizio presenta la proposta di Tancredi a Calogero: anch’egli, convintosi dei reciproci vantaggi, acconsente. Alla notizia, Concetta reagisce con malcelata rabbia, credendo il suo amore sacrificato dal padre per salvare il prestigio della casata Salina. L’organista Ciccio Tumeo confida a Fabrizio di aver votato “No” al plebiscito per l’annessione ai Savoia, mentre il sindaco Sedara aveva proclamato il risultato come plebiscitario al 100%, falsando i voti: in Fabrizio, si radica ancor più l’immagine della scaltrezza del nuovo ceto che sta sgomitando per il potere. Finalmente torna a casa Tancredi, finito nell’esercito regolare dei Savoia dopo lo scioglimento dei Garibaldini. Tancredi e Angelica si amano senza trascurare, entrambi, quanto sia proficua la loro unione per soddisfare le rispettive ambizioni politiche e sociali. Dall’incontro tra i Sedara e i Falconeri entrambi cambiano: i primi diventano più raffinati, i secondi acquistano caratteristiche di economicità, che però ne incrineranno la storica deferenza del popolo. Un giorno, da Torino arriva un delegato reale per chiedere al Principe Salina di diventare Senatore del Regno d’Italia. Visti i vecchi legami coi Borboni e privo della spinta innovatrice ora necessaria, Fabrizio rifiuta proponendo al suo posto Calogero Sedara, ritenuto più scaltro e adatto alla nuova situazione politica creatasi. Ad un importante ballo mondano palermitano, magnificamente trasposto nel film di Visconti, Fabrizio balla con Angelica e la presenta come promessa sposa del nipote Tancredi.
--- inizio spoiler ---
1910. Sia Fabrizio che Tancredi sono morti, Angelica frequenta l’alta società borghese. Concetta, sempre infelicemente nubile, è rimasta proprietaria di Villa Salina. Ma il prestigio della casata è sempre più rarefatto: dei fasti passati, rimangono ormai soltanto buoni rapporti con il Clero. Negli anni della vecchiaia, Concetta riceve la visita del senatore Tassoni, ex commilitone di Tancredi, il cui racconto la riappacifica con i suoi ultimi 50 anni di vita, in particolare col ricordo di tutti quelli che riteneva responsabili della sua infelicità. Nella riabilitazione di Fabrizio, Angelica e Tancredi, Concetta chiude un’esistenza di amari ricordi vivendo gli ultimi scampoli della sua vita in uno stato di completa apatia.
--- fine spoiler ---
Romanzo piacevole, scritto con uno stile ricercato, caratterizzato da una narrazione generalmente lenta e talvolta fluida, con cambi di ritmo in base alle diverse situazioni. La scrittura è attenta a fornire al lettore vivide immagini dei luoghi per una piena percezione del paesaggio, degli ambienti, degli odori, delle situazioni. Libro che non va letto in modo distratto, né con una certa approssimazione: è una lettura che merita attenzione, per assaporare le descrizioni, immergerci nel contesto, vivere le scene. Non una lettura per sotto l’ombrellone, a mio avviso, ma un libro per riflettere, anche alla luce dei temi universali (amore, delusione, scaltrezza, ideologie…) che in esso vengono trattati.
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Un debutto col botto
A Vigata, immaginario centro della Sicilia, è l’alba mentre Pino Catalano e Saro Montaperto, due netturbini, puliscono la malfamata zona della mànnara, abituale luogo di ritrovo di prostitute. Con sommo stupore, trovano in un’automobile il cadavere dell’ing. Luparello, uomo politico locale, e ne avvertono immediatamente il suo factotum, l’avv. Rizzo. Questi, che non appare sorpreso del macabro ritrovamento, li invita a chiamare la polizia che, nel luogo, ha nel commissario Salvo Montalbano il suo massimo esponente. Montaperto trova pure, lì vicino, una collana di notevole valore, che nasconde per rivenderla e ricavarne i soldi che gli permetteranno finalmente di curare il figlioletto malato.
Il clamore del ritrovamento è evidente: Luparello è un uomo conosciuto, capo locale di un partito influente, è stato ritrovato seminudo e il patologo, dott. Pasquano, ne conferma una morte naturale durante un atto sessuale: tutto lascia presumere sia avvenuto durante un rapporto con una prostituta. In seno al partito, il leader dell’opposizione, il dott. Cardamone, perorato fra l’altro dallo stesso Rizzo, viene eletto suo successore, non senza che ciò desti qualche sospetto.
Montalbano e il fido Fazio svolgono i primi rilievi e interrogatori. Alcune prostitute dicono di aver visto Luparello in compagnia di una donna alta e, sulle prime, i sospetti si concentrano su Ingrid Sjostrom, la nuora svedese del dott. Cardamone, abile meccanico e pilota, di carattere disinibito. Per di più, alla mànnara viene anche ritrovata una borsa di valore, con le iniziali I.S. stampate.
Tutto però appare poco chiaro a Montalbano, che si interroga più volte. Perché un politico di rango come Luparello avrebbe commesso la leggerezza di incontrare prostitute in un luogo così malfamato e noto, rischiando di venir visto e infangato? Perché Rizzo ha premuto per avvertire subito la polizia e ha sostenuto l’avversario di Luparello nel partito? E per quale ragione, a un certo punto, lo stesso Rizzo si fa vivo per ricercare la collana, dietro incarico del figlio di Cardamone? Tutti gli indizi sembrano convergere su Ingrid che confessa varie sue relazioni amorose, così scandalose da far tremare mezza Sicilia, ma nega fermamente d’aver mai avuto rapporti con Luparello.
Dai colloqui con la famiglia dell’ucciso, però, appare chiaro come l’ingegnere usasse da tempo una casetta sulla spiaggia vicino alla mànnara per incontri amorosi con persone di entrambi i sessi. In particolare, durante il colloquio con la vedova Luparello, Montalbano capisce come l’assassinio dell’ingegnere sia avvenuto altrove e sia stato poi artificiosamente costruito in modo tale che assuma una forma particolare, come quella dell'acqua in un contenitore, per far ricadere la responsabilità sulla bella svedese.
Libro d’esordio del personaggio di Salvo Montalbano, che già appare ben delineato caratterialmente e con quel microcosmo di personaggi secondari che lo accompagnano da sempre, sia nei libri che nella serie TV: ci sono la bella e talvolta scontrosa fidanzata Livia e il fedele Fazio, mentre solo sullo sfondo appaiono il vice sciupafemmine Augello e l’insolito centralinista Catarella. Lo stile di Camilleri è scorrevole, disimpegnato, con un sottile uso dell’ironia, ed è capace di rapire il lettore per trasportarlo nelle sue amate atmosfere siciliane. La trama si segue bene e, ragionando, si può giungere alla soluzione del giallo prima che l’autore spari il colpo di scena finale in un momento del tutto inatteso, sorprendendo il lettore. Ci sono diverse parole dialettali, comprensibili senza particolari problemi, che aggiungono quel gradevole tocco di sicilianità che è tratto distintivo dei racconti di Camilleri.
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Ironica saga del '900
La vicenda inizia col ‘900, prosegue attraversando la prima guerra mondiale, si snoda tortuosa tra il biennio rosso e l’avvento del fascismo, fino a seguirne l’apice e l’eclissi dopo il secondo conflitto mondiale. Ma non è un libro di storia: è una saga familiare, quella dei componenti della famiglia Peruzzi, che s’intreccia molte e molte volte con i fatti principali che ha vissuto l’Italia in oltre 50 anni di vita.
E’ il 1904 quando il nonno, capofamiglia, assiste ad un comizio del riformista Rossoni, salvandolo da un possibile linciaggio: i due finiranno insieme in carcere e diverranno amici. Quando, nel 1926, Mussolini impone la "quota 90" in politica agraria, i padroni Zorzi Vila si approfittano dei loro mezzadri Peruzzi per ridurli sul lastrico. Pericle e Temistocle vanno allora a raccomandarsi a Roma dal Rossoni, che nel frattempo ha aderito al fascismo: egli nulla può contro i nobili Zorzi Vila, però si muove affinchè i Peruzzi abbiano un podere di proprietà nelle Paludi Pontine, che il regime sta iniziando a bonificare. Così, dalla Pianura Padana, i Peruzzi (e con loro molti altri “cispadani”) devono trasferirsi nel Lazio, maledicendo in più occasioni gli Zorzi Vila. A guidare la famiglia nell’avventura nelle Paludi Pontine, il forte zio Pericle, con i vecchi genitori, le nuore e i fratelli al seguito: Adelchi, Temistocle, Treves… E tante donne, ognuna con un suo ruolo: l’altera ma affettuosa nonna, la generosa Santapace, la velenosa Bissola, la stravagante Armida. Dal podere 517, a sinistra del maestoso Canale Mussolini costruito per il deflusso delle acque verso il Tirreno, i Peruzzi iniziano una nuova vita in cui, ancora, la loro storia s’intreccia a doppio filo con quella del Belpaese. Nei primi periodi, difficili saranno i rapporti coi locali laziali “marocchini”, che non vedon certo di buon occhio i “cispadani” invasori: non mancano scontri e vendette reciproche, mentre il sudore della fronte permette ai Peruzzi di risollevarsi economicamente. La famiglia s’ingrandisce con nuove nascite e matrimoni misti integrandosi gradualmente nell’Agro Pontino nonostante la comica richiesta, fatta direttamente al Patriarca di Venezia, di un prete veneto che possa capire il loro dialetto. Non ci sarà guerra senza almeno un membro dei Peruzzi al fronte, tra il Corno d’Africa, la Spagna franchista, Stalingrado, El Alamein… ma anche quando la guerra, dopo l’8 settembre, passerà sul suolo italiano, i Peruzzi (e le donne dei Peruzzi, soprattutto!) non si sottrarranno di certo, sparando coi tedeschi sugli alleati “invasori” per difendere il loro podere ! Solo lo sbarco di Anzio, con la conseguente fuga sui monti Lepini, costringerà “marocchini” e “cispadani” a una forzata convivenza che, tra le comuni difficoltà, permetterà a tutti di superare le reciproche diffidenze.
Che dire della trama: pienamente verosimile, perché nonostante sia ampiamente e gradevolmente romanzata, non è affatto da escludere che a qualche famiglia in Agro Pontino sia successo qualcosa del genere (o, come dice l’autore, a più famiglie messe insieme sia accaduto quel che nel libro succede solo ai Peruzzi !). Alla fine, ma solo alla fine, l’autore rivela le circostanze della sua nascita nella grande famiglia Peruzzi, permettendo al lettore di ricollegare tutte le questioni lasciate in sospeso.
Stile piacevole e scorrevole, per certi versi sorprendente: dopo un inizio in sordina, la storia procede e prende corpo man mano che le pagine vanno avanti. C’è, ogni tanto, qualche inutile digressione o qualche (forzata) allusione alla realtà odierna, ma non troppo da annoiare o distrarre. Nella seconda parte del libro, poi, l’ironia la fa da padrone e più volte mi sono sorpreso a ridere su qualche pagina particolarmente ispirata. Il linguaggio è arricchito da comprensibili espressioni in dialetto veneto-ferrarese, che aggiungono ulteriore umorismo alla scena narrata. Oltretutto, Pennacchi ci offre anche un modo diverso di ripassare la storia, in un libro fatto con notevoli sforzi per ricostruire fedelmente alcune vicende storiche ed i relativi particolari.
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Massimo dell'incoerenza
Patterson è un autore famoso, che vende molto e ha altrettanti estimatori. Personalmente, ho preso questo libro proprio per la fama dell'autore... forse iniziandolo con aspettative troppo elevate, non so.
Comunque, la trama è quella di un fantasy moderno, un urban-fantasy, direbbero alcuni. E ci sta, che sia poco verosimile ci può stare: Max, Fang, Iggy, Nudge, Gasman e Angel sono ragazzini apparentemente normali, ma dotati di ali poichè risultato di esperimenti genetici fatti da scienziati che hanno combinato il loro DNA con quello degli uccelli. Li hanno cresciuti in gabbia in una struttura protetta poi, da lì, lo scienziato Jeb li ha fatti scappare facendoli da padre per un po', fino a scomparire anch'egli misteriosamente. Ora vivono da soli, ma perennemente braccati da feroci Eliminatori, ragazzi-lupo anch'essi frutto di esperimenti di laboratorio.
I nomi! Indecifrabili, nomi di maschi affibbiati a femmine e viceversa, ci ho messo 50 pagine a capire se Fang fosse un uomo o una donna. Poi che Iggy vola letteralmente alla cieca, Gasman (!) che rilascia delle orribili "puzzette"...insomma, c'è roba per caricature carnevalesche. Max (sembra un nome da maschio, ma è una femmina) ha solo 14 anni ma è leader del branco da quando Jeb li ha lasciati.
Della trama posso dire poco: i ragazzi-uccello sono attaccati dagli Eliminatori, che rapiscono Angel. Per salvarla, partono al contrattacco verso il laboratorio, con vari intermezzi di sub-storie parallele, riuscendo finalmente a liberarla con l'aiuto di alcune poiane (!)... Poi vengono improvvisamente colti dalla voglia di capire che fine abbiano fatto i loro genitori biologici (o se ne abbiano mai avuti) e partono per altre folli avventure nelle fogne della Grande Mela, guidati da una vocina interiore....insomma, un delirio di idiozie. E il "bello" è che, alla fine del libro, oltre metà dei misteri restano insoluti !!!
Gli scontri con gli Eliminatori sono un campionario di violenza: nasi rotti, costole spezzate, fiotti di sangue, teste sbattute sui sassi...e non succede nulla: tutti si rialzano e continuano a combattere come prima! Capisco siano creature "fantastiche", ma siamo veramente al colmo. E che dire dello svolgersi della trama: il gruppo di ragazzi-uccello ha intuizioni brillanti e, mezza pagina dopo, compie ingenuità clamorose, irreali sotto ogni punto di vista. In alcuni punti, come quando vanno al bancomat o rubano un'auto, poi, si sfiora la tragicommedia, che arriva finalmente al momento delle ordinazioni nel ristorante a New York City !
Dalla metà del libro in poi non ho fatto altro che pensare..."quando arriverò alla fine?", ma non per il piacere di leggerlo, ma solo per poterlo riporre (nel dimenticatoio) il più presto possibile.
Mi spiace per Patterson, ma non leggero' altra roba sua. Avrà guadagnato miliardi, ma ha perso un lettore.
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Il riscatto dell'innocenza
La storia inizia nel 1830, in un paesino nelle campagne inglesi. Nell’ospizio parrocchiale gestito dal sig. Bumble, una donna partorisce un bimbo e muore; la vecchia Sally, che l’assiste nel parto, le ruba gli unici averi, un medaglione e un anello. Il neonato, chiamato Oliver Twist, cresce nell’orfanotrofio per poi tornare all’ospizio parrocchiale dove i bambini patiscono la fame: Oliver chiede razioni maggiori, ma è scambiato per un sobillatore, viene cacciato e offerto al becchino Sowerberry, come apprendista. Stanco delle continue vessazioni, soprattutto ad opera del perfido Noah Claypole, Oliver fugge a Londra in cerca di fortuna.
Giunto nella capitale stanco e affamato, Oliver incontra un ragazzino, Jack Dawkins detto Dodger, che lo introduce in un gruppo di ladruncoli capitanato dall’ebreo Fagin e dal violento Bill Sikes. Inizialmente ignaro, Oliver capisce presto d’esser finito in un brutto giro: Dawkins tenta di borseggiare Mr. Brownlow, un esponente della buona società londinese, che scambia Oliver per l’autore dello scippo. Mentre lo scaltro Dodger riesce a fuggire, Oliver viene arrestato ingiustamente: al processo, però, Lord Brownlow si convince dell’innocenza del ragazzo e si offre di ospitarlo in casa sua, nel tentativo di redimerlo.
Mr. Brownlow si dimostra benevolo con Oliver, che ricambia con sincero affetto. Inoltre, nota una strana somiglianza tra Oliver ed un ritratto appeso nel suo salotto. Un giorno, Brownlow manda Oliver a fare una commissione ma il ragazzo viene intercettato e rapito da Sikes e dalla sua compagna Nancy, che lo riportano sotto il giogo di Fagin. Facendo intendere d’aver molto da guadagnare da lui, l’ebreo si dedica all’addestramento di Oliver, cercando di farlo diventare un buon ladro. In quest’ottica, lo manda con Sikes a scassinare la casa di lusso della vecchia sig.ra Maylie. Però, il colpo non ha successo: la servitù si sveglia e spara ai malviventi, mettendo in fuga Sikes e ferendo gravemente Oliver ad un braccio. Dopo aver ascoltato le disavventure capitate al ragazzo, Mrs. Maylie e sua figlia adottiva Rose trattengono Oliver in casa loro, assicurandogli le migliori cure durante la lunga convalescenza.
Fagin vuole riavere con sé il ragazzo, per cui si fa aiutare da Monks, un giovane misteriosamente interessato a tenere Oliver al soldo dell’ebreo. Ma Nancy, buona di cuore, ha origliato le trame malvage di Fagin e Monks e, temendo che i due malfattori riescano a riprendersi nuovamente il ragazzino, cerca di contattare la sig.ra Maylie per informarla dei rischi corsi da Oliver. Monks, cercando di eliminare per sempre gli indizi che possano svelare la vera identità di Oliver, contatta il sig. Bumble. Nel frattempo, Lord Brownlow è disperato dal non avere più notizie di Oliver, così inizia autonomamente delle ricerche sulla vera genealogia del bambino.
Nancy origlia nuovamente i dialoghi di Fagin e Monks: capisce il loro comune interesse nel nascondere la vera identità di Oliver e scopre l’indirizzo di Mrs. Maylie. A rischio della sua stessa vita, Nancy prende subito contatti con Rose affinchè sia ristabilita la verità su Oliver.
Ma i molti criminali del romanzo non stanno certo a guardare: la trama inizia a scavare nel passato, disseppellendo vecchi amori, interessi economici, furti, gelosie, corruzione, tradimenti… Sullo sfondo di una Londra fascinosa e misteriosa, rientra in gioco anche Noah Claypole, assoldato da Fagin, e pian piano si scopre il profondo (e venale) interesse di Monks affinchè Oliver persegua la strada del crimine.
Un classico della letteratura, scritto da Dickens col suo usuale stile piacevole ed ispirato: ne esce una trama coinvolgente, piuttosto credibile, che mescola molti dei sentimenti che, da sempre, agitano l’animo umano, nel bene e nel male. Due piccoli appunti: un po’ forzate alcune situazioni in cui si ritrova Oliver, un po’ troppo netta la distinzione (che ritroviamo anche nell’aspetto fisico!) tra i cosiddetti “buoni” ed i “cattivi”. Un bel romanzo, comunque, di carattere sociale che denuncia la vita nell’Inghilterra Vittoriana, divisa ancora tra i lussi dei nobili e le infime condizioni di vita degli svantaggiati, e degli orfani in primis. Di alcuni personaggi viene anche tratteggiato un minuzioso e coerente profilo psicologico, che aiuta il lettore a comprendere alcune scelte fatte nello svolgersi della trama.
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Pura poesia in prosa
Un pilota di aerei, precipitato nel deserto del Sahara, sta cercando di riparare il guasto quando incontra un bambino che gli chiede di disegnargli una pecora. Stupito dalla richiesta, il pilota inizia a parlare col bambino.
Poco alla volta, emerge che il ragazzino è un Piccolo Principe proveniente dal minuscolo asteroide B612, in cui abita insieme ad una piccola e vanitosa rosa. In questo asteroide il terreno è infestato di semi di baobab: frequentemente spuntano piccole piantine che il Principe deve continuamente estirpare, per evitare che crescano troppo e invadano l’asteroide con le loro radici. Un giorno, dal terreno era spuntata una delicata piantina di rosa che, fin dall’inizio, aveva manifestato molta vanità ed un carattere scorbutico: il Piccolo Principe si era da subito preso cura di lei, proteggendola dal vento e dal freddo, ma soffrendo per via del suo brusco carattere, fino a decidere di partire e lasciarla sola. Così, ora il Piccolo Principe ha un disperato bisogno di una pecora, che divori gli arbusti di baobab prima che possano soffocare il suo pianeta: temendo, però, che la pecora possa mangiare la sua rosa, chiede al pilota di disegnare anche una museruola per l’animale!
Il Piccolo Principe racconta il viaggio nello spazio che lo ha portato fino alla Terra, compresi gli strani personaggi incontrati in ogni tappa. Sull’asteroide B625 viveva un vecchio re solitario che dava soltanto ordini ragionevoli, così da essere sempre ubbidito. Sul pianeta vicino, viveva un vanitoso che voleva sempre essere ammirato. Proseguendo nel viaggio, il Piccolo Principe aveva incontrato un ubriacone, che addirittura beveva per dimenticare la vergogna di bere! Poi un uomo d'affari, che passava i giorni a contare le stelle credendo fossero tutte sue. Sull’asteroide B628 c’era un lampionaio, che accendeva e spegneva il lampione del suo pianeta ogni minuto. Infine, sul pianeta B630, un geografo lavorava ad una cartina geografica senza avere alcuna idea di come fosse fatto il suo pianeta, poiché non disponeva di esploratori da mandare in giro a studiare il territorio. Proprio il geografo aveva consigliato al Piccolo Principe di visitare la Terra, sulla quale il bambino era finalmente giunto.
Da ogni bizzarro personaggio, il Principe aveva imparato qualcosa sui vizi delle persone adulte: provava un briciolo d’ammirazione solo per il lampionaio, l'unico a non svolgere un lavoro solo per se stesso.
Il suo primo incontro, nel deserto del Sahara, era stato con un serpente giallo. Proseguendo il viaggio, il Piccolo Principe aveva trovato una gran quantità di roseti: aveva così scoperto che il suo scontroso fiore non era affatto, com’egli credeva, l’unica rosa dell’universo e ne era rimasto deluso.
Di lì a poco era comparsa una volpe, che gli aveva chiesto di essere addomesticata per poter diventare sua amica: “Se vuoi un amico, addomesticami“, gli dice, seppur “…si arrischia di piangere un poco, se ci si è lasciati addomesticare. “. La volpe aveva parlato a lungo col Piccolo Principe, spiegandogli la sua concezione dell’amicizia e dell’amore. Seguendo i discorsi della volpe, il Principe aveva compreso che la sua rosa non era speciale poiché unica nell’universo, ma lo era diventata perché era l’unica che lui amasse e alla quale aveva dedicato tanto tempo con sincero affetto: “È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante”. Capito il profondo sentimento per il suo fiore, il Piccolo Principe s’era deciso a tornare da lei. Prima di salutarsi, la volpe gli aveva rivelato anche il suo segreto per trovare amore e amicizia: “Non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi”.
Giunto ormai l’anniversario del suo arrivo sulla Terra, il Piccolo Principe si sente solo: “Si è un po' soli nel deserto...si è soli anche con gli uomini“. Ma, nella sua saggezza ingenua e profonda, capisce di voler tornare dalla sua rosa: “Solo i bambini sanno quello che cercano. Perdono tempo per una bambola di pezza e lei diventa così importante che, se gli viene tolta, piangono.” Separandosi dal pilota, con un gesto che non mancherà di suscitare commozione nel lettore (non è spoiler!), il Principe gli lascia il suo sorriso, la sua concezione dell’amicizia e dell’amore ed un mare di stelle da guardare: lassù, da qualche parte, ancora oggi il Piccolo Principe si starà prendendo cura della sua rosa.
Libro profondo, in più parti commovente, che racconta i sentimenti universali con naturalezza e semplicità. Piacevolissima lettura per i bambini, intensa scoperta da adulti. L’autore ci guida, con le parole del Piccolo Principe, a riscoprire cosa sia davvero essenziale nella vita, con delicate immagini e parole libere dai preconcetti e dalle sovrastrutture degli adulti che, per riscoprire se stessi, dovrebbero leggerlo almeno una volta nella vita: “Tutti i grandi sono stati bambini una volta (ma pochi di essi se ne ricordano)”.
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Il pensiero al rogo
Il romanzo è ambientato in un imprecisato futuro dove i libri sono stati messi al bando, come tutta la cultura in genere. La televisione governativa è usata ossessivamente per definire le regole sociali, ciò che è giusto e sbagliato, e guida una popolazione passiva, ormai quasi incapace di pensare. “Un’ora di lezione davanti alla TV, un’altra ora di storia riassunta o riproduzione di quadri celebri e poi ancora sport… non si fanno domande, loro hanno già le risposte pronte, su misura”. Con le masse mentalmente annientate, basta poco a tenere l’ordine sociale, garantito dai Militari del fuoco e dai Segugi meccanici, una sorta di automi-poliziotti.
Il protagonista Guy Montag lavora nel corpo dei Militari del fuoco, col compito di rintracciare chi si è macchiato del "reato di lettura", bruciandone la casa e tutti i libri! E Montag sembra entusiasta della sua missione distruttiva: “Era una gioia appiccare il fuoco. Era una gioia speciale vedere le cose divorate, vederle annerite, diverse”.
Un giorno, però, incontra una vicina di casa, Clarisse, che lo fa riflettere sulla felicità. Montag resta esterrefatto: si rende conto di non essersi mai chiesto se fosse veramente felice! Clarisse gli mostra un modo di vivere diverso dagli altri, non stereotipato ma libero dai condizionamenti del regime. Da tempo, Montag si interrogava sulla ragazza perché aveva notato che i familiari di Clarisse, alla sera, non guardano la televisione (che tra l’altro non possiedono), ma trascorrono il tempo parlando tra loro, con un'allegria e una spensieratezza difficili da comprendere e facilmente invidiabili.
Montag torna a casa e salva la moglie Mildred, del tutto succube dei programmi TV, da un suicidio con ingestione di barbiturici. In questo frangente, di nuovo riflette sulla sua vita e sulle parole di Clarisse. Mildred vive per la televisione, in una sorta di delirio in cui considera gli attori televisivi come suoi familiari e non desidera affatto avere figli. Montag, dopo una lunga riflessione, prende coscienza di non amare, né realmente conoscere quella donna, e capisce che nella sua vita c'è qualcosa di profondamente sbagliato.
Un giorno, durante una missione di distruzione, Montag commette un'improvvisa infrazione: decide di leggere un breve trafiletto di un libro che dovrebbe bruciare. In seguito, attirato dalla sua prima fugace lettura, salva alcuni libri e inizia a leggerli di nascosto: “Ho pensato ai libri. E per la prima volta mi sono accorto che dietro a ogni libro c’è un uomo, un uomo che ha dovuto pensarli”. Fa amicizia con il vecchio professor Faber, uomo di cultura che diventa suo fidato amico e consigliere. Presto, la lettura condurrà Montag a scoprire un nuovo mondo e la sua vita cambierà radicalmente. “Non è che ognuno nasca libero e uguale, come dice la Costituzione, ma ognuno viene fatto uguale. Dopo di che tutti sono felici, perché non ci sono montagne che ci scoraggino con la loro altezza da superare”.
Godibile romanzo di fantascienza, capace di commuove e stimolare riflessioni. Bradbury predilige uno stile che alterna il discorso diretto alle riflessioni personali di Montag, con pause legate alle sequenze riflessive che non appesantiscono una lettura gradevole. I “flussi di coscienza” del protagonista , ma anche l’indeterminatezza dei luoghi d’ambientazione, contribuiscono a rendere alcuni momenti del racconto quasi claustrofobici, invitando il lettore ad un’amara riflessione: e se, di fronte all’attuale barbarie culturale dilagante, il futuro che ci aspetta fosse davvero quello?!
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Ironia sui totalitarismi
Il racconto si svolge in un periodo imprecisato, in una fattoria piena di animali parlanti governata dal burbero signor Jones.
Una sera, Vecchio Maggiore, un saggio maiale rispettato da tutti, racconta agli animali della “Fattoria Padronale" un suo sogno, in cui gli animali sono liberi dal giogo dell'uomo, artefici del proprio destino: d’altro canto, “l’uomo è l’unica creatura che consumi senza produrre. Non dà latte, non depone uova, è troppo debole per tirare l’aratro, non corre abbastanza per catturare un coniglio”. Vecchio Maggiore convince tutti e insegna loro un inno intitolato “Bestie d'Inghilterra”, dove si profetizza un futuro di libertà.
Il signor Jones, ormai un alcolista, cura poco la fattoria, finché un giorno dimentica di dare il cibo alle bestie. Gli animali assaltano i magazzini, mentre Jones e i suoi aiutanti si scagliano contro di loro. Gli animali combattono e scacciano gli umani dalla fattoria, ribattezzandola "Fattoria degli Animali".
Napoleone e Palladineve, i maiali più scaltri, sono gli unici a saper leggere e scrivere, così che assumono il controllo e decretano le nuove regole, riassunte in sette comandamenti scritti su un muro. Tra essi, si afferma l’uguaglianza tra tutti gli animali e la proibizione di assumere i tipici comportamenti umani, come ubriacarsi, gozzovigliare, dedicarsi al commercio, ecc… . I maiali, gli unici a saper leggere insieme all’asino Beniamino, emergono presto come burocrati sfruttatori e, osteggiando la loro superiorità culturale, si impongono con cupidigia sugli animali più semplici e ingenui. “Dall’esterno, le creature volgevano lo sguardo dal maiale all’uomo, e dall’uomo al maiale, e ancora dal maiale all’uomo: ma era già impossibile distinguere l’uno dall’altro”.
Napoleone e Palladineve sono spesso in disaccordo sulle attività da fare e sulla gestione della fattoria: in particolare, lo scontro si accende sulla costruzione di un mulino e termina con la cacciata di Palladineve.
Pian piano, i maiali assumono comportamenti sempre più simili agli umani: intraprendono commerci con i vicini, dormono nei letti, bevono whisky, indossano abiti eleganti … Analoghi trattamenti di favore spettano ai loro devoti seguaci, i cani. Alle richieste di chiarimento da parte degli altri animali, i maiali rispondono rileggendo i sette comandamenti sul muro, che stranamente risultano sempre modificati rispetto all’originale che le bestie ricordavano! Solo Beniamino comprende tutto, ma scuote la testa e tace.
La vicenda evolve in modo tutto sommato prevedibile, considerando che l’intero libro è un’allegoria dei regimi totalitari in cui facilmente si possono individuare vari soggetti: i teorici, i capi feroci, gli esiliati, la macchina mediatica, la gente comune che subisce in silenzio, l’austera e indifferente aristocrazia, gli intellettuali (di cui, alcuni, asserviti al potere). Lo stile di narrazione, veloce e ironico, rende piuttosto piacevole la lettura.
Gli ideali di uguaglianza e fraternità proclamati al tempo della rivoluzione vengono ironicamente riassunti in un unico comandamento che sostituirà gli altri sette: “Tutti gli animali sono uguali… ma alcuni sono più uguali degli altri”.
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Saga familiare tra magia e realtà
“Barrabás arrivò in famiglia per via mare, annotò la piccola Clara con la sua delicata calligrafia. Già allora aveva l'abitudine di scrivere le cose importanti e più tardi, quando rimase muta, scriveva anche le banalità, senza sospettare che, cinquant'anni dopo, i suoi quaderni mi sarebbero serviti per riscattare la memoria del passato e per sopravvivere al mio stesso terrore.”
Così si apre il libro forse più noto di Isabel Allende, ambientato in Cile: narra le vicende delle famiglie Del Valle e Trueba, tra il primo dopoguerra e il golpe militare di Pinochet.
1920 circa. La benestante famiglia Del Valle conta ben 11 figli, tra cui la bellissima Rosa e Clara, ultimogenita dotata di poteri soprannaturali. Il capofamiglia, Severo, è impegnato in politica. Il giovane Esteban Trueba si innamora dell’eterea Rosa: i due si fidanzano e il ragazzo va a lavorare in miniera per accumulare denaro e sposarla. Un giorno, Rosa muore avvelenata accidentalmente dagli avversari politici di Severo Del Valle e Clara cade in un lungo mutismo volontario. Esteban, sconvolto, si trasferisce nella sua tenuta di campagna, “Le Tre Marie”, e lavora duramente per riportarla all’antico splendore. Con metodi dispotici, egli riesce nel suo intento, compiendo anche brutali violenze contro le figlie dei suoi contadini: in dieci anni avrà diversi figli e nipoti illegittimi.
1930-1940 circa. Volendo avere una discendenza legittima, Esteban Trueba chiede la mano di Clara che, accettando la proposta, rompe un silenzio di diversi anni. Si trasferiscono a “Le Tre Marie” insieme a Férula, sorella nubile di Esteban, che instaura una solida amicizia con Clara: “La campagna le sembrava una cosa romantica, perché non era mai entrata in una stalla”. In pochi anni, Clara rimane incinta e dà alla luce Blanca, seguita poco dopo dai gemelli Jaime e Nicolas. Quando Esteban intuisce un’ambiguità nelle attenzioni di Ferula per Clara, la caccia di casa. Pochi anni dopo, Férula morirà emarginata e povera e il suo spirito si presenterà in casa a salutare per l'ultima volta l'amata Clara.
Anni Cinquanta. Divenuta adolescente, Blanca conosce Pedro Terzo Garcia, ribelle figlio socialista dell’amministratore de “Le Tre Marie” e se ne innamora. In uno spaventoso terremoto, Trueba rimane ferito: il suo carattere peggiora ulteriormente e Clara s’allontana sempre più da lui. Blanca si scopre incinta di Pedro Terzo. La notizia sconvolge Esteban Trueba che, preso dall'ira, picchia moglie e figlia: Pedro Terzo emigra, Clara decide di non rivolgergli più la parola e ritorna a Santiago, circondandosi di bizzarri personaggi interessati allo spiritismo. Trueba, divenuto senatore dei Conservatori, costringe la figlia a sposare il Conte de Satigny, un suo socio in affari, per legittimare quella gravidanza socialmente inopportuna. Ma, scoperte le perversioni dell’eccentrico marito, Blanca si rifugia dalla madre. Nasce la piccola Alba: nonostante figlia dell’odiato socialista Pedro Terzo, la sua nascita rallegra Esteban Trueba, ormai lontano anni luce dalle scelte dei suoi figli: Jaime è diventato un medico marxista, Nicolas un ascetico inconcludente, Blanca un’illusa innamorata di un sovversivo.
Anni Settanta. Il passato, però, è pronto a chiedere indietro il suo conto. La vittoria di Salvador Allende apre un periodo di riscatto delle masse, i vecchi padroni perdono le terre e a Trueba viene requisita la villa “Le Tre Marie”. Per Trueba, “la terra è l'unica cosa che rimane quando tutto finisce”: allora, attiva la sua rete di conoscenze per organizzare un colpo di stato che rovesci i nuovi governanti. Tra vendette politiche, fughe all’estero e violenze, la famiglia Trueba fa i conti col male seminato da un Esteban ormai anziano e solo: “Così, come quando si viene al mondo, morendo abbiamo paura dell'ignoto. Ma la paura è qualcosa d'interiore che non ha nulla a che vedere con la realtà. Morire è come nascere: solo un cambiamento.” Avrà, Esteban Trueba, un’occasione per riscattare se stesso? La coglierà?
Libro delicato ma forte, completo poiché tratta tutti i sentimenti con cui l’uomo, nelle varie fasi della sua vita, si trova a combattere. Ci sono alcune pagine crude ma imperniate di un realismo che aggiunge verità storiche ad una vicenda autobiografica e solo in parte romanzata. Dopo un inizio un po' lento, la lettura diventa scorrevole e piacevole. Nelle successive età della vita, personaggi dapprima secondari assurgono al ruolo di protagonista, così che l’impressione finale è quella di aver letto una grande saga familiare, intrecciata con la storia sanguinosa e polverosa di un paese, il Cile, che ne esce affascinante coprotagonista.
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Un debutto in sordina
Il libro d'esordio di Carlos Zafon è ambientato sulla Costa Atlantica, anno 1943. Maximilian Carver è un orologiaio coniugato con Andrea, da cui ha avuto 3 figli: la sfuggente Alicia, il curioso Max e la piccola Irina. La famigliola, all'inizio del racconto, si trasferisce sulla costa per sfuggire alla II guerra mondiale. Dopo pochi giorni di ambientamento, Max e Alicia incontrano Roland, un ragazzo che vive in una baracca sulla spiaggia, vicino al faro. Il neocostituito trio passa molto tempo insieme e, facendo immersioni, esplorano il fondale dove riposa il relitto dell’Orpheus, nave affondata tempo fa in circostanze non del tutto chiare. Mentre tra Roland e Alicia scocca pian piano la prevedibile scintilla dell’infatuazione, la trama prosegue tra gli oscuri filmini ritrovati in cantina e le storie raccontate dal nonno di Roland, guardiano del faro col compito, auto-assuntosi, di sorvegliare la costa e un terribile segreto che potrebbe, prima o poi, riaffiorare dal mare.
Diversi aspetti del racconto sono poco verosimili: alcune scene nella baracca della spiaggia, i “miracolosi” ripescaggi durante le immersioni nell’Orpheus, la visita alla tomba di Jacob… e varie altre. E che dire di due genitori che, anche quando Irina si riprende dalla caduta ed è fuori pericolo, lasciano per giorni gli altri due figli minorenni da soli in casa? Mah. La guerra, poi, è solo sullo sfondo, lontana: compare solo 2-3 volte nel libro, per richiamare la possibile futura partenza militare di Roland ma, tutto sommato, la vicenda sarebbe potuta esser ambientata altrove o in un altro momento storico e non avrebbe fatto alcuna differenza. L’atmosfera del boschetto immerso nella nebbia non è tanto suggestiva, pare quella della collana “Piccoli brividi” per ragazzi e richiama vari deja-vu cinematografici di horror-movie di serie B. Altrettanto poco verosimile che Max, dopo la visita notturna al cimitero delle statue, non ne abbia poi subito parlato in casa: rientra in cucina e… si siede a fare colazione, così, come nulla fosse! Il ruolo del gatto di Irina appare abbastanza chiaro fin dall’inizio, come anche il “cattivo” del libro si svela già nella prima parte del racconto, con tutti i suoi poteri e le sue intenzioni, rendendo poco interessante il successivo sviluppo della trama. L’unico piccolo colpo di scena, legato alla storia di Roland, appare a oltre 30 pagine dalla fine: ma è già stato preannunciato da talmente tanti indizi che è quasi impossibile che il lettore, seppur distratto, non l’abbia già capito da tempo! A quel punto, i capitoli successivi dilungano inutilmente un epilogo scontato.
Un libro banale, né innovativo né interessante, sospeso a metà tra un thriller leggero e un romanzetto d’avventura con tinte di rosa. Potrebbe andar bene per un lettura disimpegnata sotto l’ombrellone, non dimenticando che Zafon stesso l’aveva destinato (correttamente) alla letteratura per ragazzi. Si legge velocemente, lo stile ancora acerbo dell’autore non annoia ma, purtroppo, la vicenda non cattura. Sappiamo bene che, nel prosieguo della sua carriera, Zafon è riuscito a fare certamente di meglio, raggiungendo forse il suo apice con “L’ombra del vento”.
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Il Conte delle tenebre
La vicenda inizia nel maggio 1890, per concludersi nel 1897. Londra. L’avvocato Harker viene inviato in Transilvania per curare l'acquisto di un'abitazione londinese per conto di un nobile locale, il Conte Dracula. L'inizio del viaggio è all'insegna del contatto con il mondo superstizioso e pauroso della gente locale, che cerca di scoraggiarlo dall'andare dal Conte. Ma Jonathan prosegue e, al primo incontro, pensa d’avere di fronte un affabile anziano deciso a trasferirsi in Inghilterra.
Nella lunga e forzata permanenza presso il castello di Dracula, Jonathan scopre ben presto che egli è in realtà un terribile vampiro, che si nutre del sangue dei viventi. Egli, quindi, ormai tenuto alla larga dalla gente del posto, si accinge ad azzannare l’Inghilterra per prolungare ancora la sua insana esistenza. Il giovane scrive alla sua Mina, senza rivelare troppi dettagli per paura che le sue lettere vengano intercettate dal Conte. Il suo soggiorno, ben presto, si trasforma in una prigionia.
A Londra, Mina attende il ritorno di Jonathan soggiornando a Whitby dall’amica Lucy, corteggiata dal dottor Seward, Quincey e Lord Arthur Godalming, che infine le conquisterà il cuore. Proprio a Whitby, in un giorno di tempesta, approda in porto una nave il cui capitano viene ritrovato morto e legato al timone. Un giornalista descrive l'arrivo nel porto della nave fantasma, da cui esce un cane inferocito, e fa un breve resoconto del diario di bordo, da cui emerge la paura dell’equipaggio che la nave sia infestata da un terribile demone.
Mina inizia a notare alcuni strani comportamenti di Lucy, che reca segni evidenti sul collo. Contemporaneamente, Renfield, un paziente del dottor Seward, inizia a peggiorare, delirando di un fantomatico Signore. Inaspettatamente, Mina viene a sapere che Jonathan, fuggito dal castello di Dracula, è ricoverato a Budapest, e lo raggiunge: si sposano e tornano in Inghilterra.
Intanto, la salute di Lucy continua a peggiorare e Seward si rivolge, ad Amsterdam, al suo insegnante, il professor Abraham Van Helsing che, oltre alla medicina tradizionale, è esperto conoscitore anche del mondo dell’occulto. All'inizio, i due medici sopperiscono al deperimento di Lucy con delle trasfusioni di sangue. Ma quando Lucy muore, Van Helsing è certo che essa sia divenuta un vampiro e, nel cimitero, ne finisce la salma piantandole un paletto di legno nel cuore. Letto il diario che Jonathan teneva in Transilvania, Van Helsing ha tutte le informazioni che gli possono servire per affrontare Dracula. Ma il Conte, nelle nebbiose notti londinesi, imperversa senza pietà: ucciso Renfield, vampirizza Mina per farla sua sposa per l'eternità. Così, a Van Helsing e i suoi amici non resta che sfidare il Conte in campo aperto, da Londra fino alla Transilvania, per distruggerlo definitivamente e salvare così l'anima di Mina.
La vicenda è narrata come una raccolta degli scritti, in forma di diario, di alcuni protagonisti del racconto: ne esce un libro ben strutturato e tutto sommato scorrevole. Scritto un secolo fa, descrive un personaggio talmente affascinante che, alla stregua di Mr. Hyde, di Hannibal Lecter e tante altre creature del male, esercita un indubbio fascino su ognuno di noi. Alcuni capitoli sono lenti, la trama in realtà sarebbe abbastanza corta ma Stoker si dilunga in alcuni dialoghi, descrizioni e tormenti interiori. Nonostante ciò, la lettura resta piacevole, la moderata lentezza dà modo di entrare in empatia coi personaggi, di coglierne il dramma interiore e di restare, come loro, sbigottiti di fronte alla potenza del Male.
Molto ispirato, visionario ma piuttosto aderente al testo anche l’omonimo film di F. Ford Coppola.
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L'inverosimile coppia
Costa Blanca, Spagna. Sandra è una trentenne un po’ scapestrata, che non sa cosa fare della sua vita nonostante sia incinta, per giunta di un uomo che non ama. Fuggendo dalle sue responsabilità, dalla sua famiglia e forse anche da se stessa, sulla spiaggia ha un malore e viene soccorsa da due vecchietti norvegesi. La loro conoscenza diventa amicizia, Sandra si trasferisce a casa loro…ma pian piano nota qualche stranezza nella coppia.
Compare subito in scena anche Julian, un vecchietto ex deportato e sopravvissuto a Mauthausen, da tempo sulle tracce dei criminali nazisti ancora a piede libero, di cui i norvegesi sono tra i peggiori. Sandra e Julian, che nella narrazione del libro si alternano come “narratori” della vicenda, diventano amici e iniziano a collaborare per smascherare i due criminali ma…non sono gli unici: l’intero paese pare il covo dei peggiori ex gerarchi nazisti in circolazione! A un certo punto, Sandra sembra esser ben entrata nel suo ruolo di “infiltrata” e addirittura trova anche il possibile amore della sua vita; ma i nazisti sono scaltri, non sarà per nulla facile smascherarli... ci riuscirà la strana coppia fatta da un arzillo ottantenne ed una scriteriata prossima puerpera?
Molti aspetti poco credibili: Sandra si comporta spesso da ventenne, in stato di avanzata gravidanza salta giù dagli alberi, guida il motorino sotto la pioggia battente, non ha alcuna precauzione per se stessa e il bimbo: roba da far rabbrividire qualunque ginecologo ! Anzi, pensa a suo figlio solo quando, dopo appena 2 giorni che conosce i norvegesi, già inizia a puntare la loro eredità ! Julian, poi, ha ottant’anni suonati ed è più scaltro di Indiana Jones, fa intendere che collabora (o lavora?) per/con una fantomatica agenzia che ricerca gli ex gerarchi per assicurarli alla giustizia ma in realtà fa tutto da solo, non li coinvolge mai... e dire che in varie occasioni avrebbe davvero avuto bisogno d'aiuto! Julian subisce un pestaggio, sale e scende di corsa per le scale antincendio, salta cancelli e recinzioni…roba che mia nonna si sarebbe rotta il femore solo al pensiero di farlo! Anche i gerarchi sembrano nel pieno delle forze: addirittura, fanno cene e feste da ballo, vanno in palestra, curano i reumatismi con un placebo di acqua e vitamine... altro che “Villa Arzilla” ! Quando dopo vari capitoli, Julian finisce faccia a faccia con uno dei suoi ricercati, il dialogo tra i due è anch’esso inverosimile.
Il libro parte con un discreto ritmo e un pizzico d’ironia e, tutto sommato, inizialmente cattura l’attenzione. L’idea della narrazione alternata tra Julian e Sandra è una trovata stilistica interessante. Ma pagina dopo pagina, le delusioni e le incongruenze aumentano, si stratificano, diventano infine insostenibili. A metà libro, il romanzo diventa anche più lento, perde quel poco (poco davvero) che aveva di thriller e comincia ad annoiare. Romanzo sopravvalutato e, in fin dei conti, deludente.
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Il lato oscuro di ognuno di noi
Il testo CONTIENE SPOILER …d’altro canto, la trama è talmente nota che sarebbe inutile tenerla segreta!
La storia, riconducibile al filone horror-fantastico, si svolge a Londra nel XIX secolo, nell’arco di 2-3 anni.
Durante una passeggiata in un quartiere borghese, Enfield racconta a suo cugino, l'avvocato Utterson, uno strano episodio avvenuto tempo addietro: una bambina che correva lungo la strada e si scontrò con un signore, tale Mr. Hyde, che la calpestò con disprezzo salvo poi offrire ai familiari un risarcimento tramite un assegno firmato dal rispettabile Dr. Henry Jekyll. Utterson rimane sbigottito: come amico di vecchia data e avvocato personale di Jekyll, egli ne custodisce anche il testamento in cui si sancisce che, in caso di sua morte o scomparsa, un fantomatico Mr. Hyde erediterà tutto!
Utterson va a chieder spiegazioni da Jekyll: in che rapporti è con questo Hyde? Il legale teme infatti che Hyde abbia irretito il mansueto Jekill, ma il domestico Poole conferma che Hyde ha libertà di entrare nel laboratorio di Jekyll tramite una porta sul retro e la servitù ha ordine di obbedirgli in tutto.
Un anno dopo viene barbaramente ucciso a bastonate Sir Danvers Carew; una cameriera, testimone oculare, descrive l’aspetto dell’assassino, in tutto coincidente con Mr. Hyde. L'avvocato va a parlare con Jekyll e lo trova col morale a pezzi: il dottore afferma di non voler più rivedere Hyde.
Jekyll riprende così a frequentare i suoi amici, in particolare Utterson e Lanyon ma solo per un breve periodo, poi ritorna più solitario che mai. Utterson, preoccupato, si insospettisce ancora di più, mentre Jekyll si fa negare alla porta. Alcuni giorni dopo Lanyon muore, lasciando a Utterson una lettera da aprirsi solo dopo la morte o la scomparsa di Jekyll.
(---inizio spoiler---) Pochi giorni dopo, Utterson riceve una visita dal domestico Poole, che gli racconta come, da tempo, la porta del laboratorio sia chiusa a chiave e qualcuno, dall’interno, chieda continuamente un certo farmaco, lamentandosi ogni volta perché ciò che gli veniva portato non faceva effetto. I due vanno insieme al laboratorio. Utterson è ormai convinto che Jekyll sia stato ucciso da Hyde, barricatosi lì dentro: i due sfondano la porta e trovano il cadavere di Hyde, suicidatosi. Sul tavolo, l’avvocato trova una lunga lettera di Jekyll. Utterson inizia così a leggere i memoriali dei defunti Lanyon e Jekyll.
La lettera di Lanyon racconta di una sera in cui il Dr. Jekyll gli chiese di recuperare una polvere salina dal suo laboratorio, per consegnarla poi a un misterioso uomo. Lanyon fece quanto richiesto e, la sera, a casa sua si presentò Mr. Hyde per prendere in consegna l'ingrediente desiderato. “In questa stanza, in questo stesso attimo…la vostra vita sarà abbagliata da un prodigio tale da scuotere l'incredulità di Satana “, dirà Hyde. Preparatasi una pozione, la bevve trasformandosi all’istante in Jekyll davanti all’incredulo Lanyon! Sconvolto, Lanyon si ammalò e redisse la lettera per Utterson, per informarlo dell’orribile scoperta che tanto l’aveva sconvolto e che, in breve, l’avrebbe portato alla tomba.
Infine, Utterson legge la lettera di Jekyll. Egli, dopo anni di studi sulla psiche, era giunto a preparare una pozione che permetteva di trasformarsi nella propria parte malvagia, libera di sfogare gli istinti repressi. Jekyll teneva Hyde sotto controllo, potendosi ritrasformarsi bevendo nuovamente. Per mesi, Hyde imperversò per Londra commettendo piccoli crimini ma, una volta ucciso Carew, Jekyll giurò a se stesso di non trasformarsi più. Poco dopo, però, cedette nuovamente al suo malvagio alter ego mentre per la metamorfosi erano necessarie dosi sempre più forti, con un ingrediente salino divenuto introvabile. Rimasto suo malgrado sotto le sembianze di Hyde, ormai un omicida ricercato ovunque, Jekyll incaricò Lanyon di recuperare i sali della pozione dal suo laboratorio, svelandosi poi all’amico e decretandone, suo malgrado, la malattia e la prossima morte. Esaurita ormai la reversibilità del processo, Jekyll ha un’unica possibilità di sopprimere Hyde: suicidarsi nel suo laboratorio, dopo aver scritto queste parole: “Morirà Hyde sulla forca? O troverà all'ultimo momento il coraggio di uccidersi? Lo sa Dio: a me è indifferente. Questa è la vera ora della mia morte, e quel che seguirà riguarda un altro, non me. Ecco dunque: nell'atto stesso di deporre la penna e di imprimere il sigillo alla mia confessione, metto fine alla vita dell’infelice Henry Jekyll.” (---fine spoiler---)
Libro avvincente, scritto a fine Ottocento ma che conserva un fascino ancora attuale e, per certi versi, inspiegabile. La forza dei personaggi è tale che sono da tempo entrati nell’immaginario collettivo e nei modi di dire, hanno dato ispirazione per rappresentazioni teatrali, cinematografiche, letterarie. Insomma, Jekill e Hyde fanno parte di noi, della cultura del mondo. E tale pilastro della letteratura va letto, almeno una volta: bastano poche pagine per accorgersi che conserva ancora uno stile fresco, coinvolgente. Stevenson indaga nelle pieghe dell’animo umano, mettendo in luce quel lato oscuro che, comunque la pensiamo, non finisce mai di affascinarci, in un sottile magnetico gioco di attrazione e repulsione.
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Scavando nel fango dell'anima umana
Il libro si apre con il ritrovamento di un macabro cimitero contenente 6 braccia di bambine, disposte in cerchio in una radura. La squadra di indagine è composta dall'arrivista ispettore Roche, dal criminologo dottor Goran Gavila, dall’esperta informatica Sarah Rosa, dal virile Klaus Boris e dal religioso Stern. Ad essi, viene aggiunta Mila Vasquez, esperta nel ritrovare persone scomparse.
Fortunosamente, viene fermato ad un posto di blocco un uomo senza documenti, l’agente di commercio Alexander Bermann: nel suo bagagliaio viene trovato il corpo di Debby Gordon, una delle ragazze sparite. Da lì inizia una serie di ricerche che consentono alla squadra d’indagine di collegare varie persone e avvenimenti, fino a scoprire una fitta rete di pedofili cui afferiva anche lo stesso Bermann. Mila visita la stanza del college di Debby, scoprendo la presenza di un ricevitore GPS che darà il via ad un’altra serie di indagini che porteranno ad un vecchio orfanotrofio, chiuso anni fa in circostanze oscure.
Il serial killer (ribattezzato Albert) farà ritrovare i successivi corpi delle vittime sempre in luoghi che nascondono vecchi segreti, dove verranno alla luce storie in cui sono coinvolte altre persone insospettabili (preti, orfani, ricconi, dentisti…).
Quando tutto procede al ritmo dell’indagine scientifica sui fatti, l’ingresso in campo di una medium è una rovinosa caduta di stile: da quel momento in poi, il romanzo prende purtroppo una piega decisamente più scontata. La vicenda personale di Mila, nella seconda parte del libro, rallenta e banalizza l’intreccio, introducendo elementi di analisi psicologica che vanno più a confondere che ad impreziosire il testo, richiamando vari deja-vu letterari e cinematografici. Tra un’intuizione di Mila e l’altra, la storia procede a volte incalzante e altre volte a tentoni ma, tra reciproci sospetti, anche la solidità del gruppo d’indagine sembra incrinarsi.
Si nota, ogni tanto, un momento di riepilogo, in cui un membro della squadra (Gavila, spesso) traccia un riassunto dei fatti, cercando di ricollegare gli eventi appena trascorsi. Confesso che tali passaggi siano utili ad un lettore frettoloso o disattento… e una volta passi, ma già la seconda stona: pare che Carrisi stesso abbia bisogno, nell’intreccio da egli stesso preparato, di fare il punto della situazione, per vedere se davvero tutti i tasselli sono al loro posto o se manchi qualcosa.
Lo stile è scorrevole, nonostante risulti difficile capire chi pronunci alcune frasi, soprattutto nei momenti di serrato confronto tra i componenti della squadra. Alcune pagine catturano, ma si enfatizza troppo l’efferatezza dei delitti, si calca la mano su violenze e persecuzioni, a volte, davvero esagerate.
Tutto sommato ne consiglio la lettura: è un discreto thriller, ma non di quelli da annoverare nel gotha della letteratura.
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Dalle limonate alle barricate
Il romanzo è ambientato a Lisbona nel 1938, durante il regime dittatoriale di Salazar; l’Europa, piegata ai totalitarismi, è pronta ormai alla guerra.
Il dottor Pereira è un giornalista che ha abbandonato la cronaca nera per curare la pagina culturale di un modesto quotidiano del pomeriggio, il “Lisboa”. Quieto, solitario e apolitico, è dedito alla letteratura e al tenero ricordo della moglie. Terrorizzato dalla morte, vive in modo abitudinario, rimpinzandosi di omelettes e limonate iperzuccherate.
Un giorno Pereira, leggendo un articolo, rimane impressionato da come il giovane autore Francesco Monteiro Rossi affronta la tematica della morte. Decide così di contattarlo per offrirgli un posto come collaboratore nella sua pagina culturale. Il giovane accetta, iniziando in prova a scrivere bizzarri necrologi, impubblicabili in quanto totalmente ostili al regime politico.
I giorni passano, l’escalation di violenza contro ebrei e socialisti aumenta ma Pereira, chiuso nel suo mondo culturale, quasi non se ne avvede. E’ combattuto tra il desiderio di aiutare Monteiro Rossi e quello di evitare ritorsioni ma, giorno dopo giorno, Monteiro Rossi lo coinvolgerà nella sua esperienza di fiancheggiatore della resistenza spagnola.
Su consiglio del suo medico, Pereira si ricovera nella clinica di Parede per curare la cardiopatia legata all’obesità. Lì, conosce il dottor Cardoso, appassionato di letteratura: tra i due nasce una profonda amicizia. I dialoghi con Cardoso e la frequentazione con Monteiro Rossi, gradualmente, risvegliano qualcosa nell’apatico Pereira che giungerà, inaspettatamente, a compiere un gesto eroico che lo condurrà all’epilogo della storia.
Memorabili alcune frasi: “La limitazione della nostra esistenza mediante la morte è decisiva per la comprensione e la valutazione della vita” - ”La filosofia sembra che si occupi solo della verità, ma forse dice solo fantasie, e la letteratura sembra che si occupi solo di fantasie, ma forse dice la verità.” – “Non c'è niente di cui vergognarsi a questo mondo, se non si è rubato e se non si è disonorato il padre e la madre.” - “Le ragioni del cuore sono le più importanti, bisogna sempre seguire le ragioni del cuore, questo i dieci comandamenti non lo dicono, ma glielo dico io” - “L'opinione pubblica è un trucco che hanno inventato gli anglosassoni… noi non abbiamo mai avuto il loro sistema politico, non abbiamo le loro tradizioni, noi siamo gente del Sud, e ubbidiamo a chi grida di più, a chi comanda.”
Un libro graffiante, sempre gradevole, con un ritmo blando ma non lento, quasi ad evocare le atmosfere sonnolente di una Lisbona oppressa dalla calura estiva.
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Uno sciacallo astuto come una volpe
Francia, 1957-1962. Da anni è in atto la decolonializzazione francese, particolarmente cruenta in Algeria: il gruppo terroristico dell’OAS organizza attentati ovunque, la tensione è alta. Dato il rischio di golpe, viene richiamato al potere il vecchio gen. De Gaulle, inizialmente determinato a trattenere l’Algeria sotto il giogo coloniale.
Agosto 1962. Nuovo attentato (fallito) da parte dell’OAS al Presidente De Gaulle: molti attentatori vengono arrestati e giustiziati. L’anno dopo, il col. Marc Rodin, capo dell’OAS, contatta un killer straniero per uccidere De Gaulle, dopo averlo selezionato da una ristretta rosa di professionisti. Lo Sciacallo, soprannome scelto dal sicario, chiede molti soldi e la totale libertà d’azione, rifiutando l’aiuto dell'OAS che ormai è piena di infiltrati dei servizi segreti francesi.
Luglio 1963. Rodin organizza una serie di rapine a banche e furgoni portavalori per reperire i soldi per il killer. I servizi segreti francesi si insospettiscono, notando l'impronta paramilitare nella conduzione delle rapine. La bella fiancheggiatrice Jacqueline, intanto, diventa amante del colonnello Saint-Clair, importante uomo di governo, per apprendere le contromosse delle autorità e farle poi pervenire allo Sciacallo. L'astuto killer cambia più volte nome, documenti, fa sopralluoghi a Parigi e non lascia nulla al caso. Il Ministro degli Interni, frattanto, istituisce un'unità di crisi capeggiata dall’investigatore Claude Lebel: egli, forte delle sue conoscenze, coinvolge i colleghi europei in una caccia che travalica i confini nazionali, con mezzo continente alle calcagna dello Sciacallo che si dimostra, in ogni sua contromossa, un osso davvero duro.
Libro di diversi anni fa, ma che propone un buon ritmo, è attuale e ben costruito, grazie anche agli studi sui metodi d’indagine che Forsyth aveva compiuto al tempo. Si intrecciano omicidi politici, fughe, rapimenti, passioni, false piste… la storia è incalzante e si svolge tra alberghi, cimiteri, stazioni, ville nobiliari e piazze affollate, senza che mai il racconto perda di pathos. Lo Sciacallo e l’Interpol mettono in scena uno scontro incalzante, fatto di astuzia, scaltrezza, sangue freddo.
Un noir poliziesco con tinte di giallo, una pietra miliare della letteratura di genere.
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Un cuore altrove
Un battello ancorato lungo il Tamigi, cinque membri dell'equipaggio attendono la marea favorevole per poter prendere il largo. È sera; uno di loro, un vecchio marinaio di nome Marlow, comincia a raccontare di un viaggio che molti anni prima aveva fortemente voluto, per entrare in contatto con un continente ancora misterioso e al contempo fascinoso: l'Africa nera.
Nel suo racconto, Marlow rievoca il lungo viaggio verso la sede della Compagnia che lo aveva assunto e i cui interessi erano basati sulla razzia di avorio, materiale molto ricercato in Europa a fine Ottocento. La base principale della Compagnia, un cumulo di baracche, era inospitale e inefficiente, gestita da equivoci personaggi, tutti invidiosi di un misterioso Kurtz che sembrava essere l’unico in grado di procurare ingenti e costanti quantitativi del prezioso avorio.
Di Kurtz però non si avevano notizie certe da tempo e la sua base era molto all’interno dell’inestricabile foresta, raggiungibile solo via fiume. Marlow parte, dunque, a bordo di un rattoppato battello a vapore con altri coloni e indigeni cannibali pagati con un sottile filo d’ottone.
Risalendo faticosamente il fiume, Marlow ha sempre più l'impressione di ripercorrere il tempo e lo spazio, rievocando echi di epoche remote e selvagge nel ventre di una misteriosa e primordiale Africa nera, in cerca della delirante follia di Kurtz e del micromondo parallelo che egli si era costruito.
Un classico intenso, in alcune pagine addirittura magnetico, sebbene la lettura risulti globalmente poco scorrevole. Trasporta nelle ancestrali atmosfere del Congo belga coloniale, nonostante il ritmo sia lento e la trama davvero scarna. La lentezza della narrazione permette però, se non letto in modo superficiale, di entrare nel personaggio di Marlow per seguirne il cambiamento psicologico, il logorio mentale cui si sottopone, perlopiù inconsciamente, per penetrare la "sua" tenebra interiore, in vista dell’incontro con l’enigmatico Kurtz.
Da citare alcune frasi: “Si vive come si sogna: soli” – “Ho lottato con la morte. E’ la contesa meno eccitante che si possa immaginare. Avviene senza molta fede nella propria causa, e ancor meno in quella dell’avversario” - “Lo sguardo fisso di Kurtz era grande abbastanza da abbracciare l’universo intero, abbastanza acuto per penetrare tutti i cuori che battono nella tenebra. Egli aveva tirato le somme e aveva giudicato: che orrore!”
Intensa anche la trasposizione cinematografica di F. Ford Coppola, in un “Apocalypse now” solo parzialmente “ispirato” al romanzo.
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Quasi un'inchiesta sulla mafia
Il libro è ambientato in un imprecisato paesino siciliano, negli anni ’70 e prende spunto dall’omicidio di un sindacalista comunista, avvenuto nel 1947 a Sciacca.
Memorabile l’inizio: l’assassinio di Salvatore Colasberna, presidente dell’impresa edile “Santa Fara”, avviene in piazza in un’atmosfera surreale dove, all'arrivo dei Carabinieri, tutti si allontanano alla chetichella. Addirittura, il venditore di panelle, appostato alla partenza del bus, afferma di non aver udito alcuno sparo!
Le indagini vengono affidate al capitano Bellodi, ex partigiano mosso da alti ideali. Egli, seguendo alcune lettere anonime, convoca i fratelli dell’ucciso e sottopone loro delle ipotesi di movente. Scartati il delitto passionale e l’errore di persona, il capitano crede al movente economico e indaga sugli appalti: capisce dunque la matrice mafiosa del movente, suffragata dal fatto che la ditta Colasberna, una delle poche oneste della zona, abbia rifiutato più volte la protezione mafiosa subendone pesanti minacce.
Mentre a Roma qualcuno trama per trasferire Bellodi prima che scoperchi il vaso di Pandora, si indaga in varie direzioni. Alla scomparsa del potatore Nicolosi, basandosi su pochi e riottosi testimoni, Bellodi collega il sicario Marchica, pluriprocessato ma sempre scagionato per insufficienza di prove: nel suo dossier, Bellodi trova una fotografia che lo ritrae con l'onorevole Livigni. I delitti, intanto, diventano tre e sempre più persone attaccano il castello probatorio di Bellodi: troppi interessi vogliono smantellarlo, gli intrecci tra mafia e politica sono talmente forti che la questione giungerà perfino in Parlamento!
Libro gradevole, scritto con acutezza perché, seppur scherzando, dice una scomoda verità che davvero fu oggetto, all’epoca, di un’interrogazione parlamentare sulla mafia.
Memorabili alcune scene e molte frasi. Tra esse: “Il popolo cornuto era e cornuto resta … e chi se la spassa a passeggiare sulle corna? I preti e i politici, e tanto più dicono di essere col popolo e tanto più gli calcano i piedi sulle corna” e anche: “L’asino bisognava attaccarlo dove voleva il padrone…e pareva di stare attaccando l’asino in mezzo alle terraglie, e l’effetto della scalciata sarebbe stato da ricordarsene per sempre”. Infine, don Mariano dirà a Bellodi una frase storica: “Quella che diciamo l’umanità, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i pigliainculo e i quaquaraquà… Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi…più giù, gli ominicchi che sono come i bambini che si credono grandi …E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito… infine i quaquaraquà…ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre. Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo.”
In 3 parole: ironico, coraggioso, piacevole.
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Un acciaio pieno di ruggine
Piombino, palazzoni polverosi e roventi d’estate, così come roventi sono i pomeriggi di lavoro nell’industria siderurgica Lucchini, in cui già lavorano i quindicenni. Nelle case, lugubri e caldissime, le ragazzine restano incinte adolescenti mentre alcuni loro padri, se non sono sbronzi, abbandonano la famiglia nelle difficoltà. Niente scuola: si lavora e basta, fino al sabato in discoteca e nei locali a luci rosse. Certo, non un bel posto in cui vivere. Le due protagoniste sono le bellone del quartiere che sognano una vita a colori, ben difficile trovare tra gli altoforni della Lucchini. La storia racconta i loro amori, le liti, le rivalità nei vari gruppi di adolescenti, i molti problemi in famiglia (psicologici, economici, relazionali…) e le violenze tra le mura domestiche: praticamente, una costante nelle famiglie di via Stalingrado. Ma in questo substrato, di certo, la Avallone poteva intrecciare un libro migliore. Le varie storie si sovrappongono e si intrecciano senza suscitare niente di che, ripercorrendo le storielle insipide in stile Moccia. La storia prosegue con vicende parallele: una casalinga picchiata, un losco giro di frodi, ragazzi sbandati sospesi tra vuoti amori adolescenziali. Già a metà libro mi sono annoiato e mi sono imposto di proseguire (concludo sempre i libri che leggo!) anche perché il libro è stato pluripremiato, sfiorando anche il Premio Strega. E ho pensato: ma solo io non ci trovo nulla di speciale? Il rapporto tra le due amiche si logora, poi si riallaccia, poi muta ancora: ma l’interesse del lettore, ormai, è lontano anni luce dalla trama.
Lo stile è semplice, anche troppo. La trama banalizza tutto: il tema degli infortuni sul lavoro, l’11 settembre, la violenza sulle donne… gli stessi personaggi sono tratteggiati psicologicamente in modo superficiale, alcuni ne escono delineati come una somma di stereotipi. Il linguaggio, talvolta, è improprio e quasi fastidioso. Il finale, banale, è un non-finale che sembra possa anticipare un sequel: in caso fosse, so che eviterò di leggerlo!
In 3 parole: deludente e sopravvalutato.
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Vento di brividi
1945: l’adolescente Daniel vive a Barcellona col padre libraio, nella malinconia per l’assenza della madre precocemente morta. Una mattina, il padre lo porta nel Cimitero dei Libri Dimenticati, una biblioteca segreta che conserva volumi sottratti all’oblio: qui lo invita ad adottare un libro per averne cura tutta la vita. Daniel sceglie “L’ombra del vento” di Julian Carax e ne rimane rapito. Volendo altre informazioni su Carax, contatta l’esperto Barcelò, grazie al quale scopre che la sua è l’unica copia sopravvissuta delle opere di Carax, andate tutte misteriosamente bruciate.
Anni Cinquanta. Daniel fa amicizia col mendicante Fermin R. de Torres, che ingaggerà come aiutante nella libreria paterna. Un uomo sfigurato avvicina Daniel, si presenta come Coubert e gli intima di vendergli il libro, ma il ragazzo riesce a fuggire. Daniel e Fermin, a questo punto, iniziano la ricerca su Carax: trovano la sua casa natale e, in essa, una lettera d’amore per una certa Penelope. Da Nuria Monfort, impiegata in una casa editrice, Daniel scopre la verità sui genitori biologici di Carax e un’ambigua relazione con un certo Coubert che cercò poi, inspiegabilmente, di bruciare i suoi libri. Proseguendo le ricerche, Daniel e Fermin scoprono l’infanzia di Julian presso la prestigiosa scuola San Gabriel, dove il benestante Ricardo Aldaya lo manteneva filantropicamente agli studi. Misteri su misteri, la trama si intrica sempre ogni qual volta sembra si stia per dipanare! Mentre le indagini di Daniel proseguono, l’ispettore Fumero, il lato oscuro della polizia locale, si fa sempre più intraprendente, inseguendo la sua vanità e i fantasmi del passato. Quando, in una tenebrosa Villa Aldaya in rovina, Daniel trova una cripta con due bare, gli eventi precipitano: Nuria Monfort sparisce ma una sua lettera, fatta recapitare poco prima a Daniel, svelerà altri aspetti del passato di Carax. A poco a poco, non senza colpi di scena, l’identità di Julian Carax si rivela, ripercorrendo con vari flashback anche gli anni della sanguinaria Guerra civile spagnola, con tanto di esili, vendette ed agguati, superando tradimenti e mettendo alla prova la resistenza di solide amicizie.
I personaggi di Zafon, stavolta, lasciano il segno. Ritmo frenetico, incalzante; stile lodevole. Non è difficile parteggiare per Daniel, si scopre un Fermin profondo (e super-ironico, un vero istrione), ma nemmeno i personaggi “minori” lasciano indifferenti.
Un sacco di frasi da ricordare, dispensate soprattutto da Fermin: “Non esistono lingue morte, ma solo cervelli in letargo!”, “La gente mette il becco ovunque: l’uomo non discende dalla scimmia, bensì dalla gallina!”; “La donna desidera il contrario di ciò che pensa o afferma…l’uomo obbedisce invece agli stimoli del proprio apparato genitale o digestivo”; “La barbarie è come la marea: si ritira e uno pensa di essere in salvo, ma poi torna… e ci sommerge”; “Quando si lavora, non si ha tempo di guardare la vita negli occhi”; “Parlare è da stupidi, tacere è da codardi, ascoltare è da saggi” ; “Conserva i tuoi sogni: non puoi sapere quando ne avrai bisogno”.
Un libro ben costruito che regala emozioni e brividi. Nelle sue piacevoli pagine oscilla tra il romanzo gotico, la commedia sentimentale e il genere fantasy-horror ma, in realtà, si mantiene sempre nel segno del thriller, un thriller con la T maiuscola.
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I demoni di Zafon agli esordi
E’ sempre brutto stroncare un libro. Ma la c.d. “Trilogia della nebbia” di Zafon comprende un libro peggiore dell’altro e, forse, quello più salvabile è “Il palazzo della mezzanotte” che, quantomeno, ti porta a Calcutta con una banda di ragazzini, costituitisi in una raffazzonata compagnia in lotta contro un demone tornato dal passato per riprendere ciò che crede sia suo.
Il brutto è che nella trilogia c’è sempre un demone, spesso poco credibile, che si palesa subito e non ti lascia nemmeno il tempo di immaginare o supporre che ci sia dell’altro. Diverso è il capolavoro “L’ombra del vento” ma qui, davvero, siamo appena sul livello della sufficienza.
In breve: un uomo in fuga consegna due gemelli alla loro anziana nonna; entrambi sanno che un feroce personaggio è sulle loro tracce, così la nonna affida il maschietto Ben ad un orfanotrofio e tiene con sé la femminuccia, Sheere. Separarli vuol dire proteggerli. Ma 16 anni dopo, quando Ben potrà lasciare la struttura che lo ha accolto e fatto crescere, il passato tornerà a farsi vivo (o “non-morto”, direi!). Di nuovo, i gemelli saranno in pericolo ma la società segreta costituitasi nell’orfanotrofio cercherà in ogni modo di salvarli… e salvarsi. Tra indagini al catasto, nelle vecchie prigioni, in biblioteca, nella stazione bruciata di tanto tempo fa, il destino verrà inesorabilmente incontro, purtroppo senza colpi di scena.
Aspetti piacevoli: rispetto al solito, tutti i ragazzini della Chowbar Society sono ugualmente importanti e ognuno avrà un suo ruolo nello svolgimento del racconto. Lo stile è abbastanza scorrevole, in alcune parti ironico, in altre l’atmosfera diventa quasi piacevolmente gotica. L’idea di dar voce a un personaggio (minore) per raccontare la trama è tutto sommato una variante, che aggiunge qualcosa al grigiore imperante. Un paio di pagine salgono di livello, per il resto siamo al puro “esercizio di stile”.
Aspetti negativi: c’è il solito demone coi superpoteri, sembra una copia (poco) meglio riuscita del “Principe della nebbia”, il romanzo precedente. La descrizione della stazione non è sempre chiara, tra un cunicolo e l’altro ci si perde un po’ anche noi lettori. Calcutta non mi ha entusiasmato granché, altri autori l’hanno descritta meglio, portandoci veramente nelle sue atmosfere polverose, tra anime derelitte: qui, stare a Calcutta o in un sobborgo londinese avrebbe fatto poca differenza.
Zafon aveva intenzione di scrivere libri per ragazzi, della serie “piccoli brividi”: in questo c’è riuscito, ma all’occhio di un adulto, abituato a ben altro, il libro è leggero nello stile e nei contenuti, talmente evanescente di significato che non si vede l’ora di arrivare allo (scontato) epilogo.
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La Torino che non ti aspetti
Il romanzo è ambientato a Torino, in una calda settimana di giugno, negli Anni Settanta.
Martedì. Anna Carla Dosio, moglie d’un ricco industriale, scrive una risentita lettera all’amico Massimo Campi, con cui aveva discusso la sera prima. Poi, licenzia i due domestici, che le sottraggono la lettera di nascosto. La sera, l'ambiguo architetto Garrone viene trovato ucciso nel suo ufficio, colpito da un grosso fallo di pietra.
Mercoledì. Il commissario Santamaria, incaricato delle indagini, trova subito un indizio: gli ex domestici della Dosio gli portano la lettera in cui la donna chiedeva all’amico Massimo di "far fuori" il Garrone. Subito, Santamaria convoca Campi e la Dosio per un bizzarro interrogatorio, senza cavare un ragno dal buco: Anna Carla aveva solo proposto a Massimo di "eliminarlo" dalla loro cerchia di conoscenze. Il geom. Bauchiero, vicino di Garrone, racconta a Santamaria d’aver visto uscire dal suo palazzo, martedì sera, una bionda con l’impermeabile, una borsa rossa e un grosso tubo. Campi racconta tutto al suo compagno, l’impiegato comunale Lello Riviera: Lello teme per la fine della loro storia e inizia a indagare per riguadagnare credito agli occhi di Massimo. Interrogando la famiglia e i conoscenti del Garrone, Santamaria scopre come egli fosse un incorreggibile perditempo, che, dichiarando di volersi occupare di pietre, era sicuro d’un prossimo grosso guadagno.
Giovedì. Dal parrucchiere, Anna Carla ascolta il veemente discorso di una vedova, Ines Tabusso, esasperata dalla continua presenza di prostitute nel giardino della sua tenuta di collina. Lello, intanto, nei polverosi archivi comunali, scopre che Garrone, ritenuto un architetto fallito, s’era rassegnato a elemosinare lavori all’Ufficio Tecnico per cappelle cimiteriali. Le indagini proseguono tra il rude marmista Zavattaro e la sofisticata galleria d’arte di Vollero, i cui vernissages erano frequentati dal Garrone. In una retata notturna nel giardino della Tabusso, si trovano, oltre a numerose prostitute con i clienti, un impermeabile e una borsa rossa nascosti in un cespuglio. Dal movente economico si passa quindi a quello sessuale, con l’ipotesi del Garrone ucciso da una prostituta dopo una lite.
Venerdì. Santamaria e Lello proseguono le loro indagini parallele. Nel complesso, però, si brancola ancora nel buio!
Sabato. All’affollato mercatino del Balùn, si ritrovano casualmente tutti i sospettati: Anna Carla per comprare un regalo a Santamaria, Massimo Campi per rivedere Lello e troncare la loro stanca relazione, il Vollero per acquistare delle “croste”… e tanti altri ! Proprio nei magazzini del Balùn, un nuovo inaspettato delitto darà modo al commissario Santamaria di trovare gli indizi giusti per venire a capo della vicenda.
Libro divertente, che mi ha stupito per la semplicità della scrittura, la scorrevolezza, la tagliente ironia. L’ho letto tempo fa, ma il ricordo mi lascia ancora una piacevole sensazione. Il finale è parzialmente intuibile, ma solo se siete particolarmente acuti e/o avete preso degli appunti durante la lettura. Ritratto, forse sottovalutato ma certamente da rivalutare, di una Torino-bene che, descritta in modo ironico e volte caustico, prosegue sempre imperturbata la sua vita indifferente, fredda ed elitaria, col suo microcosmo di figure che cercano di trarne, in qualche modo, profitto.
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Leggero come la seta, delicato come l'amore
Il romanzo si svolge tra l’immaginaria cittadina francese di Lavilledieu e il Giappone, nella seconda metà del 1800.
Mentre Lincoln combatte una guerra di cui non vedrà la fine e Flaubert scrive una delle sue opere più importanti, il trentenne francese Hervé Joncour, eludendo la carriera militare che suo padre pensava per lui, trae profitti comprando bachi da seta da rivendere al miglior offerente. In breve tempo, egli diviene ricco e tutta l’economia della sua città si reggerà sulla bachicoltura. Purtroppo, un’epidemia colpisce i bachi da seta di tutti i paesi europei e africani. Hervè e il saggio Baldabiou concordano di cercare delle uova sane in Giappone, paese isolato dal resto del mondo dal punto di vista commerciale e che ancora vive in una sorta di tardivo Medioevo. Attraversando Europa e Asia, Hervè giunge in Giappone, dove è accolto al palazzo reale di Hara Kei, un uomo enigmatico che è sempre in compagnia di una ragazzina dalle fattezze occidentali. Tra i due nasce un'intensa attrazione, costituita solo da una triste danza di sguardi. Dopo aver fatto incetta di uova di bachi, Hervè fa ritorno a casa, dove l'aspetta la moglie Hélène. I bachi giapponesi sono sani, e l’economia di Lavilledieu è salva. Ma Hervè non riesce a dimenticare quella ragazza, che gli ha consegnato, furtivamente, un biglietto. “È uno strano dolore... morire di nostalgia per qualcosa che non vivrai mai”, dirà a un certo punto. Cercando qualcuno in grado di tradurre il messaggio, Hervè conosce Madame Blanche, un’elegante signora di origini giapponesi che gestisce una casa di appuntamenti.
L’anno successivo, Hervé riparte per il Giappone motivato dagli interessi commerciali e dalla voglia di rivedere l’enigmatica ragazza: ci riesce, ma lei è sempre trincerata in un lontano sguardo pieno di desiderio. Intuendo che essa sia legata ad Hara Kei in qualche modo, Hervè conclude gli affari e riparte. Nei successivi anni, Hervè compirà altri viaggi, animati dalla speranza di incrociare lo sguardo profondo della ragazza. La moglie Hélène ha capito tutto e dirà che: “Se lui vuole andare laggiù, io posso solo dargli una ragione in più per tornare”.
1864: Hervè trova il Giappone distrutto dalla guerra civile. Riesce a trovare la carovana di Hara Kei, sfuggito dalla guerra, ma non rivede la ragazzina. Anzi, Hara Kei, che ormai è al corrente dell’attrazione tra i due, gli intima veemente di non far più ritorno in quel luogo. Così, Hervé rientra in Francia senza i bachi; l’intera economia di Lavilledieu precipita. Poco dopo, Hervè riceve una lettera interamente composta da ideogrammi giapponesi: è facile, per lui, dedurre che il mittente sia proprio la misteriosa ragazza, così ritorna da Madame Blanche per la traduzione. Nell’intensa lettera, la ragazza gli confessa l'amore che non ha mai potuto esprimergli ma … (non è spoiler) solo alcuni anni dopo, egli scoprirà una sconcertante verità su di lei, sperimentando nuove prospettive di vita.
Storia scorrevole, breve come tutti i testi di Baricco, in cui si alternano pagine di stile più aulico e fascinoso ad altre di minor intensità, restando però, nel complesso, sopra la media. E’ la storia di un amore, di una passione platonica vissuta, alternando nel racconto, punti di vista maschili e femminili e che lascia nel lettore una piacevole sensazione di delicata leggerezza.
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Il viaggio della speranza
La storia è ambientata tra Roma e Sarajevo: tra vari flashback, inizia nel 1984 con Gemma studentessa, per concludersi oltre 20 anni dopo. E’ il 2008: Gemma riceve una telefonata dal vecchio amico bosniaco Gojko, che la invita a tornare a Sarajevo per una mostra fotografica sull’assedio serbo alla città, in cui saranno esposte anche foto di Diego, ex fidanzato di Gemma e padre di suo figlio Pietro. Gemma parte col riottoso figlio adolescente e, da lì, iniziano i flashback che ci riportano indietro nel tempo, nelle atmosfere fascinose della Bosnia prebellica. Gemma, all'epoca fidanzata con Fabio, ricorda il suo arrivo a Sarajevo nel 1984 per concludere la tesi su Ivo Andric. Il bizzarro Gojko è la sua guida. L’uomo le mostra la vita quotidiana bosniaca, le fa conoscere degli italiani venuti a seguire le Olimpiadi invernali: tra essi c’è Diego, un bizzarro fotografo che Gemma inizia a frequentare. Tornata a Roma, scopre di essere rimasta incinta, ma ha un aborto spontaneo. Diego le telefona ogni giorno, corteggiandola, ma Gemma, decisa a proseguire la sua vita senza ripensamenti, s’impone di dimenticarlo e sposa Fabio. Il matrimonio è piatto: lui è troppo preso dai suoi cantieri edili, Gemma troppo legata a quei giorni a Sarajevo. Quando Gojko le chiede di fare da madrina al battesimo della sorellina, Gemma parte subito: lì rivede Diego, che le confessa il suo amore: tornati in Italia, Gemma e Diego vanno a vivere insieme. Ma la vita riserva rose e spine: arrivano periodi difficili, tra lavori precari e un figlio che non arriva. Infine, la terribile diagnosi: Gemma è sterile. La sua incompatibilità alla vita la getta nella depressione, nel folle timore di perdere Diego; si sposano per iniziare l’iter dell’adozione. Diego, da giovane, era stato schedato come ultras drogato, così l’adozione viene negata. Una nuova vacanza, nel 1991, a Dubrovnik è l’occasione per rivedere Gojko, cui confessano l’impossibilità di avere figli. Gemma pensa di ricorrere a una madre surrogata, un utero in affitto, prima in Ucraina e poi in Bosnia, dove Gojko ha trovato una ragazza disposta a farsi pagare per procreare con Diego. Si chiama Aska, è una musicista; tra mille titubanze, si accordano. Ma infuria la guerra e la serata scelta per il concepimento si svolge in modo del tutto inatteso... da lì, gli eventi travolgeranno l'ossessione di maternità di Gemma, l'apparente inerzia di Diego, la verace follia di Gojko, la risolutezza di Aska. Quando il bambino finalmente nasce, tra i bombardamenti dell'assedio di Sarajevo, niente sarà più come prima per nessuno. La vita di Gemma, tornata a Roma e totalmente assorbita dalla nascita di Pietro, affronta altri distacchi e riavvicinamenti, fino al sorprendente epilogo.
Libro forte, crudo, che indaga nell'animo di una donna sezionandola ferocemente e mettendone in luce aspirazioni, debolezze, passioni, disillusioni. Una lettura scorrevole, con lo stile tagliente della Mazzantini, che alterna frasi brevi (e linguaggio, a volte, scurrile) con iperboli e similitudini che aggiungono sostanza al racconto, senza annoiare.
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Un pilastro della letteratura
Il testo contiene spoiler.
Lombardia, 1628-1630, al tempo della dominazione spagnola. Renzo e Lucia vivono nei pressi del lago di Como. Don Rodrigo, invaghito di Lucia, scommette con il cugino Attilio che riuscirà a possederla e manda due seguaci (“i bravi”) a minacciare don Abbondio affinché non li sposi. Il pavido prete cede e imbastisce delle scuse a Renzo per rinviare il matrimonio. Renzo, però, parlando con Perpetua, intuisce la verità e chiede consigli all’avvocato “Azzecca-garbugli”: questi, compresa l’identità del nemico di Renzo, rifiuta. I tre si rivolgono a fra’ Cristoforo, loro padre spirituale, fervente convertito dopo un fortuito omicidio. Il frate affronta don Rodrigo nel suo palazzo, ma viene cacciato in malo modo. Agnese propone un matrimonio a sorpresa, pronunciando davanti al curato le frasi rituali alla presenza di due testimoni. Intanto, don Rodrigo manda i bravi in casa di Lucia a rapirla, ma non trovano nessuno poiché Lucia, Agnese e Renzo sono da don Abbondio per tentare il matrimonio con l’inganno: ma falliscono, il prete da l’allarme e nel villaggio scoppia il trambusto, tanto che i tre debbono scappare da fra' Cristoforo. Il frate espone il suo piano: Renzo si rifugerà dai cappuccini di Milano, mentre Lucia andrà al convento di Monza. Così, attraversano l’Adda su una piccola barca meditando l'addio ai monti natii. Giunta al convento, Lucia viene accompagnata da Gertrude, la "signora" di Monza: figlia di un feudatario, destinata dalla nascita a entrare in convento, la sua educazione fu tutta orientata a convincerla del desiderabile destino di monaca. Divenuta adolescente, Gertrude dubitò di tale scelta poi, per timore del padre, acconsentì. In convento subì le attenzioni di Egidio, entrando in una relazione che culminò con l’omicidio di una novizia che aveva scoperto la tresca. Renzo entra in Milano durante i tumulti scoppiati per il rincaro del pane; nella folla, egli critica la giustizia che sta sempre dalla parte dei potenti. Tra i suoi ascoltatori vi è uno sbirro in borghese, che lo segue nell’osteria ove Renzo pernotta. Ma Renzo si ubriaca e rivolge nuovi attacchi alla giustizia: l’oste lo mette a letto, poi corre a denunciarlo. Al risveglio, Renzo viene arrestato, ma riesce a scappare approfittando della sommossa e fugge nel bergamasco, nella Repubblica di Venezia, dove suo cugino Bortolo lo ospita e gli procura un lavoro sotto falso nome. Intanto, la polizia fa credere che sia uno dei capi della rivolta; frattanto, Attilio, tramite un potente zio, fa trasferire fra' Cristoforo a Rimini. Don Rodrigo brama Lucia e chiede aiuto all'Innominato, sanguinario signore che da tempo medita sul senso della propria vita; costui fa rapire Lucia, con l'aiuto di Egidio e la complicità di Gertrude, e la fa portare nel suo castello. Lucia, terrorizzata, supplica l'Innominato di lasciarla libera e lo esorta a redimersi. Nella notte, Lucia fa voto di castità alla Madonna perché la salvi, e l’Innominato è preda di rimorsi finché, udendo le campane a festa, scopre che il Card. Borromeo è in visita pastorale nel paese. Spinto dai tormenti, si reca a parlare con il cardinale; il colloquio sconvolge l'Innominato che si converte, impegnandosi a cambiare vita. Per prima cosa libera Lucia, che viene ospitata presso don Ferrante e donna Prassede, due milanesi amici del Cardinale. Scendono in Italia i Lanzichenecchi, mercenari tedeschi nella guerra di successione al Ducato di Mantova, che saccheggiano i paesi e diffondono la peste. Molti, tra cui don Abbondio, Perpetua e Agnese, trovano rifugio nel castello dell'Innominato. Gli errori delle autorità sanitarie, la voluta disinformazione e l'ignoranza superstiziosa della gente fanno sì che la peste diffonda velocemente. Si ammalano anche Renzo, che guarisce, e don Rodrigo, portato al lazzaretto a tradimento. A Milano, la peste falcidia la popolazione, colpendo adulti e bambini, con l’apice nella straziante morte della piccola Cecilia, consegnata alle autorità sanitarie dalla stessa madre morente. Renzo torna al paese per cercare Lucia, ma non la trova: viene indirizzato a Milano, dove apprende che ella è convalescente al lazzaretto. Qui ritrova anche padre Cristoforo, indomito nel servizio sebbene segnato dalla pestilenza, che scioglie il voto di Lucia e invita Renzo a perdonare don Rodrigo, ormai in fin di vita. I fidanzati tornano al loro paese dove don Abbondio, avuta conferma del decesso di don Rodrigo, celebra le nozze. Si trasferiscono infine nel bergamasco, dove Renzo acquista un’azienda tessile e Lucia si occupa dei figli.
Un romanzo che è un caposaldo della letteratura italiana, da cui derivano tantissimi modi di dire entrati nel parlare quotidiano. Personaggi, scavati nel profondo dalla penna ironica del Manzoni; tutti memorabili, con le loro umane incertezze, paure, contraddizioni. Uno stile impeccabile, che stupisce a ogni pagina con un ritmo e una musicalità davvero unica. Sì, ci sono alcune lunghe digressioni, è vero: ma non tolgono valore a un libro che ognuno deve, ripeto deve, leggere almeno una volta nella vita, per intero....meglio ancora se dopo i 20-25 anni, con una maggiore maturità e senza la costrizione scolastica!!
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