Opinione scritta da giovannabrunitto

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giovannabrunitto Opinione inserita da giovannabrunitto    14 Marzo, 2019
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L’amore sorprende sempre.

L’amore sorprende sempre.

Ed in questo libro arriva alla fine della vita sia per lei, riservata signora benestante o quasi con un passato da perdonarsi, protagonista del romanzo, sia per lui, anziano professore di psicologia con una grave malattia.

Le due solitudini si ritrovano al bar davanti ad un cappuccino e si riconoscono. Giorno dopo giorno si avvicinano e decidono che, comunque, anche se per poco, vale la pena di provarci.

E a dispetto di tutto: età avanzata compresa; e di tutti: figlia, nipoti, mogli un po’ indifferenti, un po’ in disaccordo … si uniscono in viaggio.

Libro scritto benissimo, la Ravera è padrona del mestiere, e bello. Un po’ malinconico ma allo stesso tempo vivo e vitale. L’amore quando arriva fa brillare anche esistenze fino ad allora opache.

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giovannabrunitto Opinione inserita da giovannabrunitto    10 Marzo, 2019
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Buona la prima parte

Se avessi potuto dividere in due questo libro, avrei preso la prima parte e l’avrei consigliata a tutti e, con la seconda, avrei fatto un plico e l’avrei inviata all'autore chiedendo la cortesia di provare a riscriverla o tra trent'anni o quando gli sarebbe tornata l’ispirazione. C’è una profonda discrepanza tra le due parti e ho avuto la sensazione che la seconda fosse stata terminata in fretta, come se ci fosse premura per chiudere il libro. Non ho idea se l’urgenza fosse dell’autore o della casa editrice., resta il fatto che c’è.

Ritornando al libro, la storia si insinua in una crepa che all'improvviso si apre in un matrimonio. Un professore giovane e a contratto viene trovato con una studentessa nel bagno dell’università. Si giustifica con tutti sostenendo di averla aiutata perché stava male. E’ una bugia, ma lui la ripete a tutti. Nello stesso tempo la moglie prova uno strano desiderio misto a disagio ad ogni tocco di un giovane fisioterapista. E’ quel momento fotografato in maniera perfetta dall'autore. E’ il momento nel quale in una coppia la passione travolgente inizia a raffreddarsi, a diventare un principio di abitudine. Quello che c’è stato fino allora tra i due è stato fuoco, poi piano piano l’incendio si placa. Nella testa dei protagonisti è una realtà difficile da accettare, la comprendono, sanno che è un momento che deve arrivare, ma non riescono a trovare la chiave per vivere insieme il passaggio ad un’altra dimensione della coppia. Sono giovani e i loro corpi reclamano altro. Il “malinteso” del professore diventa un’ossessione, il fisioterapista della moglie si traduce in un frettoloso rapporto. Poi trovano una strada per andare avanti; insieme decidono per un figlio, da soli decidono di avere più corpi femminili lui, un’amicizia pluriennale con il fisioterapista lei. Sempre nella prima parte sono delineate con precisione due figure che diventeranno, poi, protagonisti della seconda parte. Il fisioterapista farà i conti con la sua omosessualità e con il desiderio di “vivere la violenza” che lo pervade e al quale non sa dare argine. La mamma di lei che da sarta di periferia si trasformerà nell'unica capace di comprendere segreti e sbandate che la vita propone a ciascuno lungo la via della maturità. La via di lei mostrata, la “comprensione” o accettazione è un respiro profondo che è possibile sentire. Per il resto, la maturità che avrebbe dovuto coinvolgere gli altri non è pervenuta. C’è una sorta di limbo nel quale restano incastrati il professore e la moglie. Nessuno dei due si decide a crescere. E “il malinteso” va ben oltre il tempo di un malinteso. In questo il libro ha la pecca peggiore. Perché cerca di dare una risposta dove invece c’è solo immaturità, anche dell’autore. Questi due eterni grandi adolescenti che si rifiutano di diventare adulti, che guardano gli altri sempre come se il mondo fosse centrato su di loro. Mi è risultato ripetitivo, e pure un po’ noioso, nelle parti nelle quali il professore e, di tanto in tanto, la moglie, sono lì a farsi domande, le stesse, da anni. Mi veniva voglia di scuoterli, ma essendo personaggi di carta non ho potuto farlo. All'autore invece una scossa se potessi la darei. Scrivere così bene e banalizzare la fine di un libro partito con tante promesse, è peggio che se fosse stato scritto e raccontato male sin dall'inizio.

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Sì, per chi ama Milano come scenario. Si sentono gli echi di Dino Buzzati e d buone letture tra le pagine
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giovannabrunitto Opinione inserita da giovannabrunitto    07 Marzo, 2019
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Il tentativo di dire in poche pagine ciò che non b

Io Amo è uno dei migliori libri del filosofo e teologo, Prof. Vito Mancuso. E’ un libro maturo e pensato che mette in luce la posizione sull'Amore di Mancuso che spesso ha suscitato con le sue idee innovative e non dogmatiche l’ira e la disapprovazione della Chiesa ufficiale.

Il libro, e sono parole dell’autore, è “un tentativo di dire in poche pagine ciò che non basta una vita intera ad imparare”. E per me il tentativo è riuscito. Il libro è profondo eppure discorsivo allo stesso tempo. Il primo capitolo affronta il primo innamoramento che tutti noi ricordiamo per lo stupore che ci ha colti nel trovarci di fronte una persona che con la sua esclusiva presenza ci ha riempito la vita. E tutti ricordiamo quel primo sguardo, quel batticuore, quell'odore, quel sorriso. L’Amore poi è affrontato secondo una visione filosofica e storica. Ci si innamora oggi nello stesso modo nel quale ci si innamorava ai tempi degli uomini di Neanderthal. Dal punto di vista biologico, l’amore che ci coglie è spiegato da una serie di molecole si attivano e ci “fanno stare bene”. Ma è evidente che non tutto è spiegabile da un punto di visto della biologia. Il perché proprio quella persona fa scattare in noi la scintilla dell’amore resta un mistero. E Mancuso individua nel mistero dell’amore, nello scatto segreto dell’innamoramento, la forza suprema che muove il mondo. E che ci mette in comunione, noi piccoli esseri nell'universo, con il grande mistero che muove tutto il creato. La scintilla che misteriosa si dipana dalla materia oscura, di cui è formato la maggior parte dell’universo, e che crea una galassia, un sole, un pianeta è la stessa scintilla che ci muove in una dato momento verso una certa persona. E’ una forza suprema che ci mette in moto e ci attiva.

La seconda parte del libro verte sulla posizione del teologo verso gli amori “diversi” ed è stupefacente quanto un teologo possa essere così moderno. La critica verso il catechismo che inchioda la sessualità a mera esecuzione ai fini della procreazione è feroce e diretta. Senza mezzi termini, Mancuso auspica cambiamenti drastici in tal senso. La sua apertura verso l’amore omosessuale, in tutte le forme sotto cui si può presentare, è totale. Pone solamente un diktat, che vale per qualsiasi tipo d’amore: l’Amore deve essere vissuto da ciascuno liberamente e nel rispetto dell’Altro, senza imposizioni o costrizioni; ogni coppia può e deve crescere insieme. In questo accezione l’Amore è specchio della forza divina. Quando, invece, diviene consumo del corpo e fame bulimica di sentimenti, allora è da evitare perché è spreco e disordine.
Consiglio questo libro, in particolare la seconda parte a chiunque voglia comprendere il senso delle vita e regolarlo secondo la forza dell’Amore

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giovannabrunitto Opinione inserita da giovannabrunitto    01 Marzo, 2019
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il sesso di una persona non è poi così important

Prima di iniziare a parlare del libro, vorrei parlare dell’autore, Jeffrey Eugenides. Questo scrittore ha oggi 59 anni, è professore di scrittura creativa presso l’Università di Princeton ed ha scritto nella sua carriera di scrittore 3 romanzi:

-Le vergini suicide del 1993, dal quale è stato tratto un celebre film di Sofia Coppola;
-Middlesex del 2002;
-La trama del matrimonio del 2011.
Entrambi i 3 libri possono essere considerati romanzi di formazione, romanzi attraverso i quali si dirama la via e le trasformazioni che accompagnano la vita di ciascuno di noi dall'infanzia verso la vita adulta. Dei tre, ho scelto Middlesex perché meglio rappresenta, oltre che il cammino per diventare adulti, anche il passaggio da un genere ad un altro. In questo libro, la diversità di genere, la differenza tra maschile e femminile si annulla, perché entrambi i caratteri, entrambi i generi sono assommati in un’unica persona.

L’incipit del romanzo è straordinario:

Sono nato due volte: bambina, la prima, un giorno di gennaio del 1960 in una Detroit straordinariamente priva di smog, e maschio adolescente, la seconda, nell’agosto del 1974, al pronto soccorso di Petoskey, nel Michigan.

Ma la storia di Calliope prima e di Cal dopo, non decolla subito. La prima parte della storia si concentra sul passato della famiglia Stephanides e siamo a Smirne, nel 1922. La guerra greco-turca raggiunge l’apice nell’agosto del 1922 e Smirne, oggi Izmir, città che affaccia sul Mar Egeo, viene riconquistata dai turchi e viene data alla fiamme. I greci, gli armeni e gli stranieri residenti nella città cosmopolita sono trucidati. Le vittime sono 30.000 su una popolazione di 370.000. I rifugiati che scapperanno dalla città sono 250.000 circa. Tra questi vi sono i nonni paterni di Calliope.

Lefty e Desdemona, però, non sono due fratelli come gli altri. Sono rimasti orfani da qualche tempo e vivono soli ai margini di in un paese che si chiama Bitinio. L’adolescenza e le pulsioni d’amore li colgono entrambi alla sprovvista. A proprio modo, cercano di resistere ma la situazione straordinaria di guerra nella quale si trovano e la pressoché certezza di morte li pone davanti ad una scelta fuori da ogni schema: se si imbarcheranno vivi verso gli Stati Uniti, si ameranno per sempre. Il tabù è rotto. E la città di Detroit li aspetta. Sulla nave che li porta nel nuovo mondo si danno un’identità nuova e si sposano.

Cal, uomo adulto di 40 anni, ripercorre passo passo la vita dei nonni e, in questo peccato originale che li unisce, identifica la strada che percorrerà il gene “bacato” che ha dato origine alla sua diversità.
Nel mentre, la storia di sposta sull’incontro di Cal con Julie Kikuchi, un’artista asiatica che incontra a Berlino, città dove Cal vive e lavora. Almeno fino a quando il suo lavoro per il Dipartimento di Stato (Foreign Service) non lo porterà in un’altra città, in un altro posto. Perché la vita di Cal rispecchia il suo essere. Cal è un pseudoermafrodito, una persona con entrambi i caratteri genetici sessuali, sia femminili che maschili. Questa sua particolarità lo rende diverso. La diversità lo spinge ad una continua ricerca di se stesso, in bilico tra maschile e femminile. Ma questa ricerca, come può sembrare ad una prima lettura, non va verso la normalità o almeno verso quello che solitamente tutti consideriamo normale. Cal non aspira ad essere né femmina, né maschio. La ricerca di Cal è verso un punto di equilibrio tra i due generi che gli permetta di essere l’unica cosa che veramente è, cioè SE STESSO. Unico.

Come poi unici risultano nelle loro diversità tutti i protagonisti del libro.

Lefty e Desdemona sono fratelli che si amano da marito e moglie ed hanno due figli.

Sourmelina, nonna materna di Cal, è una donna che ama altre donne e, dopo, una vita a nascondere il suo segreto, sceglie di vivere finalmente libera. Lontana ma libera.

Julie è una donna che attrae i gay e soffre il suo corpo androgino. Cito le sue parole dirette a CAL:

“Le asiatiche sono l’ultima fermata. Se un uomo si sente al bivio cerca un’asiatica, perché abbiamo un corpo che somiglia di più a quello dei maschi”.

Detroit, una delle maggiori città industrializzate degli USA, ma nella quale si accendono rivolte razziali cruente. La rivolta del 1967, nella quale la piccola Calliope, è inconsapevolmente partecipe, vede Detroit devastata con un bilancio di 43 morti, 1189 feriti e più di 2 000 edifici distrutti. Ancora oggi, la diversità razziale negli USA è un problema irrisolto.

Padre Mike, zio di Cal, roso da un umanissimo sentimento quale è l’invidia. Milton e Tessie, genitori di Calliope e primi cugini tra loro, si sposano a dispetto di tutti. Chapter Eleven, fratello di Cal, che per primo accoglie il giovane uomo con una fraterna pacca sulla spalla e, aiuta, con la sua accettazione la famiglia ad accettare il nuovo arrivato, sorto dalle ceneri di Calliope.

Tratti dal libro : La normalità:

Avevo sbagliato a giudicare Luce. Pensavo che dopo avermi conosciuto avrebbe deciso che ero normale e mi avrebbe lasciato in pace. Cominciavo ora a capire qualcosa della normalità, la normalità che non è normale. Non poteva esserlo. Se la normalità fosse stata normale, l’avrebbero lasciata tutti in pace. Si potevano mettere tutti quanti comodi e lasciare che la normalità esprimesse se stessa. Invece le persone – soprattutto i dottori – dubitavano della normalità. Non erano sicuri che la normalità fosse all’altezza della situazione e perciò erano poco inclini a incoraggiarla.

Accettazione:

Piano piano, venne a sapere i dettagli della mia condizione. La sua reazione fu più blanda di quella dei miei genitori, il che permise loro, o almeno a Tessie, di cominciare ad accettare la nuova realtà.

Di fronte all’impossibile non c’è scelta, ci si comporta come se fosse normale.

Abitudine

Vorrete sapere: come ci abituammo alla situazione? Che cosa ne fu dei nostri ricordi? Calliope è dovuta morire per far spazio a Cal? A tutte queste domande offro la stessa verità lapalissiana: ci si abitua praticamente a tutto. Dopo il mio ritorno da San Francisco cominciai a vivere da maschio e la mia famiglia scoprì che, contrariamente all'opinione diffusa, il sesso di una persona non è poi così importante.

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giovannabrunitto Opinione inserita da giovannabrunitto    21 Febbraio, 2019
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Un umanissimo San Francesco in uno Medioevo pieno

Leggere un libro di Aldo Nove è un’esperienza che ciascuno di noi dovrebbe fare almeno una volta nella vita.
La sua scrittura è surreale, caustica, faticosa ed anche cattiva, quando la cattiveria è necessaria per descrivere certe sofferenze che la vita ci impone. Questo fino a quanto scritto prima di “Tutta la luce del mondo”.
Da qui in avanti, è diventata anche meravigliosamente stupefacente, una poesia vestita da romanzo.
Che parlasse di San Francesco da Nove non me l’aspettavo. E ancora una volta mi ha stupito, divertito e fatto innamorare di questo Medioevo dove tutto è stupendo. E dietro la visione di un dodicenne di nome Piccardo, nipote di Giovanni, vero nome di Francesco, ecco che appare un fragile, umanissimo San Francesco che prima della santità ruppe e sconvolse gli equilibri della sua famiglia. Un po’ scemo, un po’ santo, un po’ pazzo. Comunque ingrato verso la sua famiglia dove più che la santità avrebbero apprezzato la continuazione della tradizione mercantile.

Auguro a tutti di tuffarsi in questo stupendo Medioevo e di trovare in ogni parola scritta da Nove la stessa, identica frescura per l’intelletto che coloro che amano religiosamente San Francesco trovano per l’anima

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Per affinità elettive "Chiara di Assisi. Elogio della disobbedienza" di Dacia Maraini
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giovannabrunitto Opinione inserita da giovannabrunitto    18 Febbraio, 2019
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L'anonimato per raccontare quello che ancora oggi

Il caso ELENA FERRANTE, che con la sua opera “L’amica geniale” ha scalato le classifiche di mezzo mondo, è un caso pressoché unico nel panorama culturale italiano.

Partiamo dall’autrice. Chi è ELENA FERRANTE?
Non lo sappiamo con certezza. Elena Ferrante pubblica il suo primo libro L’amore molesto nel 1992 con la casa editrice E/O e, in quel momento, sceglie l’anonimato. In alcune dichiarazioni successive, sempre transitate dall’editore, sostiene che per lei non era stato necessario apparire con la “faccia”, perché se il libro fosse valso qualcosa si sarebbe affermato ugualmente. E’ così è stato! Da quel primo libro è tratto l’omonimo film di Martone che è arrivato fino al Festival del Cinema di Cannes con protagonista una grandissima Anna Bonaiuti. Dopo L’amore molesto, la Ferrante non pubblica niente per 10 anni. All’anonimato si aggiunge il silenzio.

E poi nel 2002 arriva “Il giorno dell’abbandono”. Sempre con l’editore E/O. Anche da questo libro è tratto un film con protagonista Margherita Buy per la regia di Roberto Faenza, presentato al Festival del Cinema di Venezia.

Nel 2006 viene dato alle stampe La figlia oscura, un libretto piccolo e dei suoi il meno conosciuto, e arriviamo così al 2011 quando è pubblicato il 1° romanzo della serie L’amica Geniale. Seguono, a distanza di anno uno dall’altro, la pubblicazione degli altri 3 romanzi: Storia del nuovo cognome – Storia di chi fugge e di chi resta – Storia della bambina perduta.

Con la pubblicazione della tetralogia scoppia il caso Ferrante.
Chi è questa scrittrice? Perché resta anonima nonostante il successo delle sue opere? E’ un uomo? E’ una donna?
Tutte le illazioni o supposizioni valgono fino a quando IlSOLE24ORE a Ottobre 2016 svolge un’indagine, degna della DEA americana, e seguendo i soldi scopre che la stragrande maggioranza dei guadagni della casa editrice E/O vanno ad una loro storica traduttrice Anita Raja.
Le analogie della vita della Raja sono tali e tante con Elena Ferrante che non può essere che lei. Ma in realtà, alla fine, sapere chi è veramente la Ferrante non è poi molto interessante. Forse sarebbe più interessante comprendere la scelta dell’anonimato. E per fare questo è necessario leggere la Ferrante, quella dei libri.

Nei suoi primi 3 romanzi appaiono in nuce i temi che poi occuperanno lo spazio de L’amica Geniale. Temi difficili quali la voglia di sparire per sempre, l’abbandono del marito, il rapporto madre-figlia si condensano in un tutt’uno nel”L’amica geniale” ma se ne aggiungono anche altri:L’amicizia tra due bambine. La rivalità tra donne. L’invidia, sottesa, di una verso l’altra e viceversa.L’unione delle forze utile per sopravvivere. La sopraffazione degli uomini, anzi del corpo maschile perché è quello che accade alle giovani Lila e Lenuccia, le protagoniste. La prima, Lila, soccombe alla violenza di un matrimonio arrivato troppo presto e dal quale troverà la forza di ribellarsi. La seconda, Lenuccia, subisce violenza fisica da un uomo più grande, violenza alla quale non sa resistere e verso la quale prova orrore e piacere allo stesso tempo. E poi ancora la voglia da farcela di queste due ragazze, seppure in maniera diversa.
Lila, il genio creativo, l’intelligenza prodigio che non prosegue gli studi oltre la 5 elementare ma che da autodidatta riesce ad affermarsi sempre in qualsiasi cosa faccia. Lila che ha la capacità di far fare agli altri ciò che lei vuole. E ci riesce sempre, senza utilizzare sotterfugi, ma con la forza del vero leader, quello che sa tirare fuori da ciascuno il meglio di sé.
A suo svantaggio c’è il fatto che sia una donna e questo nella Napoli degli anni Cinquanta si paga. E forse Lila paga questa sua indipendenza intellettuale da tutti, che la mette al di sopra di tutti, con la perdita più feroce, più crudele che può capitare nella vita ad una madre. Lila perde la propria figlia, la sua prediletta. Perde nel senso letterale del termina, perché la bimba scompare senza lasciare traccia di sé. E questa perdita, è l’unica cosa che riuscirà a sconfiggere Lila. Ma Lila sconfitta non si perde a sua volta, ma scompare. Sparisce per sua volontà, per sempre.

E poi c’è l’altra protagonista che trova invece la sua strada attraverso l’attenzione spasmodica agli studi che le permetterà, nonostante le ristrettezze economiche , di laurearsi alla Normale di Pisa ( per dovere di cronaca, la figlia della Raja ha frequentato la prestigiosa Università toscana) e di contrarre un buon matrimonio e fare buone conoscenze che l’aiuteranno a pubblicare il primo romanzo. Lenuccia o Elena fa la scrittrice nel romanzo e questa sua voglia di primeggiare, di farcela su tutti, ma soprattutto sulla sua amica geniale Lila, accompagnano tutti e quattro i romanzi e forse sono, per quanto mi riguarda, la parte più faticosa da leggere.
E poi ci sono gli altri sentimenti, buoni e cattivi, che animano la storia delle due donne. C’è la rivalità in amore, la rivalità nelle amicizie. C’è sempre uno specchiarsi l’una nell’altra che determinerà la loro vita, soprattutto quella di Lenuccia.
L’altra protagonista Lila è più selvaggia, meno sottoposta o sottomessa sia alla “legge del padre” che determina il microcosmo e il macrocosmo della nostro società e nella quale vivono le due protagoniste. Lei rappresenta la libertà. Libertà che per essere raggiunta non necessita il fuggire da qualche altra parte, come per esempio accade ad Elena che gira l’Italia in lungo e in largo, ma che per determinarsi si manifesta con una grande “cognizione di sé”. A differenza di ELENA, LILA è sempre presente a se stessa e questo ne fa sicuramente il personaggio in assoluto più amato. Almeno per me è stato così.

La storia è molto articolata, si tratta di 4 romanzi che cubano insieme 1200 pagine più o meno, quindi non vi tedio con la spiegazione dei fatti che potete trovare su qualsiasi recensione, ma vorrei provare a dare una chiave di lettura che si basi sul perché dovremmo affrontare questo sforzo di lettura.
Se fossi una donna?
Perché ci sono descritte emozioni e sentimenti che fanno parte di noi, ma che in pubblico non si declamano. E neanche in privato perché siamo così abituate a “essere dentro la parte di essere donne” che non ammettiamo neanche con noi stesse debolezze, odi e meschinità che sono degli esseri umani tutti. Chi di noi ammetterebbe che allevare dei bambini, non solo è faticoso (cosa della quale ci è permesso lamentarci ma non sottrarci), ma è incredibilmente noioso, annullante, avvilente? Che è un tempo che ci porta via le energie migliori proprio quando potremmo finalmente spenderlo meglio e soprattutto per noi stesse? Chi può ammettere il peso e la noia dell’amore fisico senza apparire una poco di buono? Chi di noi può giustificare una donna che per noia, per asfissia, per voglia di rivalsa lascia due figlie piccole ed il marito e se ne va con un altro uomo, sposato a sua volta, in giro per la Francia? E quando torna questa donna pretende rispetto e non presenta nessun complesso di colpa?
Io sinceramente non sono ancora in grado, adesso, di poter escludere delle critiche ad una donna che fa questo. Al momento vivo ancora immersa in una società che, seppure mi da gli strumenti per poter pensare autonomamente, non mi offre lo spazio per far sì che una donna possa pensare e anteporre la sua affermazione pubblica a quella familiare. Ad oggi le donne “non criticabili” e pubblicamente affermate sono quelle che rinunciano alla famiglia.
Se fossi un uomo?
Se fossi un uomo dovrei leggere L’Amica geniale perché dentro c’è l’altra metà del mondo e poi ci sono tante figuri maschili comprimari che vale la pena di conoscere. Non tutti sono figure edificanti, ma ce ne sono un paio, tra cui cito ENZO che diventerà il compagno di Lila e che la salverà diverse volte, andando contro tutto e tutti. Per lei, per una donna. Contro la “legge del padre”, contro la legge del rione, contro la legge delle altre donne. Senza nascondersi, con grande responsabilità e soprattutto senza paura. Queste sono le parole con le quali Enzo porta via Lila dalla casa del marito, prendendo con sé anche il suo bambino e mettendosi contro tutti.

Lui si attardò ancora. Staccò un foglio dal quadernetto della spesa e scrisse qualcosa. Lasciò il foglio sul tavolo.
“Che hai scritto?”
“L’indirizzo di San Giovanni.”
“Perché?”
“Non stiamo giocando a nascondino.”

Penso che Enzo sia la parte migliore di tutto il romanzo. In assoluto. Ed è un romanzo di donne.

E se fossi di altro genere?
Dovrei leggere l’Amica Geniale perché è un’opera dove il mistero, il detto e non detto, la segretezza e l’ambiguità sono parte della vita di ciascuno di noi. Ognuno di noi ha una parte oscura che deve accettare così come la parte “svelata” e visibile a tutti. E sempre Lila, nel romanzo, che aiuta Alfonso a trovare, a ritrovare il vero sé stesso e con il suo sostegno offre a lui la possibilità di provare ad essere felice.

E, per concludere, ritornando all’anonimato , il VELO che la Ferrante ha deciso di calare su di sé come scrittrice, personaggio pubblico, le ha permesso di utilizzare un linguaggio inclemente, senza pudori, diretto ma non volgare, mai giustificativo ( le donne sentono sempre il dovere di giustificarsi anche quando sono nel gusto) per raccontare la vita di due donne nella Napoli degli anni Cinquanta fino ad oggi. E ci è riuscita talmente bene che il suo linguaggio è diventato specchio dove si sono riflesse donne molto diverse tra loro. A me è piaciuto tantissimo ed anche ad Hillary Clinton che è rimasta stregata dai libri di Elena Ferrante definendoli una “Lettura ipnotica”.

L’anonimato è servito perché “certe cose”, anzi le nostre vite, vite di donne oggi le dobbiamo raccontare avendo ancora il volto coperto.

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giovannabrunitto Opinione inserita da giovannabrunitto    14 Febbraio, 2019
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Perfetto fino a 3/4 ...poi il finale

Di Alessandro Piperno ho letto qualsiasi cosa mi sia capitata e sempre, sempre, la sua scrittura mi ha catturato.
Penso che se fosse americano sarebbe più famoso di Jonathan Safran Foer, autore considerato a ragione uno dei giovani scrittori mondiali più promettenti. Con Foer, oltre ad una scrittura precisa, esatta, direttamente incuneata nelle emozioni dei protagonisti, Alessandro Piperno condivide le origini ebraiche e quello che, fino ad oggi, è stato un punto di forza, in questo romanzo si trasforma in una pecca.
Il romanzo è la storia di due famiglie romane di origini ebree al giorno d'oggi. Una Roma "lupa" che accoglie.
Il romanzo è perfetto fino a quasi la fine
Poi il finale è “fuori contesto”.
Anzi a dir meglio, probabilmente, il finale è una reazione ai fatti di Parigi del novembre 2015 e le radici ebree dell’autore hanno avuto il sopravvento. La paura domina la fine del libro. Ed è un peccato perché la paura non è buona amica degli scrittori, non quella che fa finire in fretta un romanzo che aveva grandi prospettive.
Quindi a parte il finale, mi sento di consigliarlo a coloro che i libri li lasciano a metà o a 3/4 di lettura.

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Ogni cosa è illuminata di Jonathan Safran Foer
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giovannabrunitto Opinione inserita da giovannabrunitto    13 Febbraio, 2019
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La condanna di una generazione

Grazie a un consiglio di lettura, ho incontrato Schlink. E’ stato un colpo di fulmine. Inaspettato e violento, toccante e disturbante. Tutto allo stesso tempo.
La storia tra un ragazzino e una donna matura negli anni ’50 in Germania si intreccia con i conti che le generazioni tedesche post seconda guerra mondiale hanno dovuto fare con il nazismo. Ci sono tanti nodi in questo libro e non si sciolgono. Non possono sciogliersi. Accettare il crimine della Shoah non è possibile.
Si può e si deve sapere, ma non c’è modo di trovare una qualsiasi forma di riscatto, neanche dopo anni. Coloro che da dent
ro vissero il Nazismo potevano fare qualcosa?
Potevano reagire? Essere anche solo spettatori di quanto è accaduto significa essere conniventi?
E se poi si è partecipato all’Olocausto in maniera attiva?
Si è colpevoli lo stesso anche se si sono eseguiti degli ordini?
L’accettazione passiva è perdonabile o solo comprensibile?
Le altre mille domande che scaturiscano dalle domande precedenti, secondo me, non hanno e non avranno risposta. La Banalità del male di Hannah Arendt è l’unico approccio possibile , ma non è una risposta.
E poi dopo tutto o tra tutto o anzi sopra tutto c’è l’amore. Non cercato, incestuoso quasi, spavaldo e al di sopra anche della cattiveria umana. L’amore come elevazione da tutto ciò che di brutto, perfino mostruoso, c’è in ogni essere umano.
E sull’amore l’unico quesito possibile o forse l’unica certezza … Non scegliamo mai di chi innamorarci

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La Banalità del male di Hannah Arendt
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