Opinione scritta da Liebestraum
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Sicuramente meglio il film.
Uno dei rari casi in cui il film è superiore al libro.
Il film si sa, è una pietra miliare del genere horror che ha influenzato e continua ad influenzare la filmografia di genere.
Il romanzo, invece, si presenta come una storia raccontata con un linguaggio troppo semplice. con periodi, a volte, mal costruiti e personaggi che in fondo non lasciano il segno.
L'esorcismo, la parte centrale di tutta la storia, che nel film raggiunge livelli di tensione davvero alti, nel libro scorre via leggera leggera, senza quasi lasciare il segno.
La stessa figura di Padre Merrin non ha il carisma è la forza che ci potremmo aspettare, è mostrato più che altro come un dolce vecchietto.
Padre karras, invece, è sempre alla ricerca della sua dose di razionalità, finendo con l'essere a tratti anche stucchevole.
Dialoghi semplici, scambi di battute prevedibili e descrizioni a volte troppo ampollose, complice, forse, anche una traduzione un po' troppo datata e bisognevole di un adeguato ammodernamento.
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King, ottimo lavoro!
The Outsider è l'ultimo lavoro (2018) dello scrittore americano Stephen King.
Ho già detto da qualche parte che è il mio scrittore preferito, quindi le mie recensioni e valutazioni sui suoi lavori sono, certamente, influenzate da questa circostanza. Tuttavia devo subito sottolineare che The Outsider è un romanzo davvero "imponente" e non mi riferisco alla quantità di pagine scritte, nettamente inferiore ad altri lavori di King. Mi riferisco, infatti, in modo particolare alla struttura narrativa ed all'impianto della storia che ho trovato molto solido. Mi riferisco, ancora, ai personaggi molto ben tratteggiati (e questa è una caratteristica di King, certamente) e molto ben costruiti che non mi stupirei affatto di trovarmeli in qualche prossimo romanzo.
La storia è avvincente, parte con i ritmi serrati e tecnici (ma non spiacevoli) di un vero e proprio legal-thriller, salvo poi virare lentamente (quasi a sembrare una cosa normale) verso tematiche spiccatamente soprannaturali.
La storia sembra paradossale: un uomo è accusato di un efferato crimine che oggettivamente non ha potuto compiere, malgrado prove e testimoni sembrano dire il contrario.
Attorno a questo inqueitante nocciolo, scorre l'intera storia, ricca di colpi di scena. Lo stile narrativo, come detto, è veramente piacevole, maturo, chiaro, avvincente. King, scrittore ormai consolidato, riesce con la sua penna a descrivere anche le situazioni più assurde e a farle sembrare vere e plausibili.
Il finale, da molti giudicato non all'altezza del Re, è invece un finale in linea con i canoni della storia. Certo forse alcuni aspetti (che volutamente ometto per non creare spoiler) avrebbero meritato maggiore approfondimenti, ma chissà, forse gli approfondimenti arriveranno in una qualche storia futura che possa ripercorrere i temi già posti in luce in questo eccellente romanzo, perché si sa, l'universo è davvero infinito.
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Rabbia.
Sicuramente non è il miglior romanzo di Stephen King.
E sicuramente non è un romanzo d'orrore.
Ossessione (titolo originale Rage, cioè rabbia) è la storia di un ragazzo che reagisce in modo sproporzionato alla propria quotidianità fatta di bulli, ingiustizie e famiglia troppo opprimente.
Da qui il folle gesto, prima, di picchiare un professore e successivamente di prendere in ostaggio la propria classe (uccidendo due insegnanti).
Ma il sequestro della propria classe, ben presto, rimane sullo sfondo in quanto, l'abilità narrativa di King, proietta il racconto verso una introspezione dei singoli personaggi che finiscono per assimilarsi con il sequestratore, dal quale in fondo non sono (o siamo?) troppo dissimili.
Solo uno cerca di ricondurre tutti su binari più giusti, ma...
Stephen King con questo romanzo tocca dei temi che ancora oggi rimangono di un'attualità sconcertante.
Tuttavia lo stesso autore, successivamente alla pubblicazione del proprio lavoro, ha chiesto ed ottenuto che lo stesso non venisse più ripubblicato in quanto non voleva che il proprio romanzo fosse da spunto per atti di violenza emulativi.
Ad oggi è, quindi, un romanzo quasi introvabile in edizione cartacea.
Lo stile è quello di King, anche se un po' troppo acerbo e meno raffinato.
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Forte, vero e crudo.
Uno dei libri più forti, veri e crudi che abbia mai letto.
Un gruppo di bambini precipita su un'isola deserta e da qui devono iniziare ad organizzarsi senza l'aiuto degli adulti.
Così da soli e senza guida precipiteranno, lentamente (ma non troppo), verso un baratro di barbarie che mette a nudo la vera essenza, cruda e selvaggia della natura umana.
immagini forti, descrizioni a volte raccapriccianti fanno da sfondo ad un romanzo che rappresenta una pietra miliare della letteratura mondiale.
Personaggi definiti. Dialoghi diretti dai quali emerge tutta la cruda realtà di un gruppo di bambini che deve crescere troppo in fretta.
Duro e spietato. Un romanzo che non fa sconti.
Da leggere per scendere sino in fondo alla più lercia (e vera) natura umana.
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Un romanzo sopravvalutato
La storia racconta di Corney Sage, (comico, ballerino e cantante) si imbatte nel corpo senza vita di Bessie, intravedendone l'assassino. Anche l'attrice Lucy Strong ha visto tutto, e quando quella sera stessa il colpevole torna sul luogo del delitto, Lucy e Corney capiscono che le loro vite sono in pericolo.
Da qui inizia un racconto a più voci che conduce, a tratti stancamente, il lettore sino all'epilogo.
La storia si muove sullo sfondo dell'Inghilterra Vittoriana che viene ampiamente descritta, senza tuttavia riuscire ad essere sufficientemente delineata.
I personaggi, a parte Corney, sono tutti poco tratteggiati. Lo stesso protagonista negativo, in fondo, non riesce ad emergere con sufficiente individualità dalle pastoie di una narrazione a tratti contorta.
Il romanzo, peraltro, parte molto lentamente, si velocizza a metà, e poi si trascina, quasi stancamente verso un finale per certi versi imprevedibile, ma grottesco.
Non è una lettura determinante.
Non consigliato.
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Bullismo e sangue.
Carrie è il primo romanzo di Stephen king, scritto nel 1974. Malgrado sia uno dei romanzi più brevi in assoluto del Re, in esso è possibile scorgere – seppur a livello embrionale – delle costanti della successiva narrativa di King. Lo stesso autore, del resto, definì questo romanzo “crudo” e “con un'incredibile capacità di terrorizzare”. Questo romanzo, analogamente per certi verso ad “Ossessione” è uno dei libri più censurati nelle scuole americane.
Nel 1976, il famoso regista Brian De Palma ne trasse un film di indiscusso successo (apprezzato, stranamente dallo stesso King, di solito molto critico nei confronti delle riduzioni cinematografiche dei suoi lavori). Tuttavia la prima parte del film è certamente aderente al romanzo, salvo poi discostarsene un po' nel finale in cui il regista, ha preferito circoscrivere tutti i tragici eventi all'interno della scuola, piuttosto che in tutta la città come nel romanzo.
Il romanzo definito da molti toccante, racconta la storia di Carrie White, una sedicenne vessata da una madre iperprotettiva e troppo religiosa e dalle compagne di classe che non perdono un'occasione per prenderla in giro o farne la vittima dei loro scherzi, anche di cattivo gusto. Carrie in questo contesto a volte scoraggiante affina una particolare qualità che possiede da quando era bimba e, presumibilmente, ereditata dalla nonna: la telecinesi, cioè la possibilità di spostare gli oggetti con la sola forza del pensiero. Quando al ballo di fine anno le compagne gli giocano l'ultimo orribile tiro mancino, la sua furia distruttiva esplode con tutto l'orrore possibile.
Lo stile narrativo adottato da King, in questo romanzo, offre al lettore diversi punti vista, alternando (un po' come il “Dracula” di Bram Stoker) citazioni di vari libri riguardanti il caso di Carrie, articoli di giornali alla pura e semplice narrazione. Anche se sin da subito si comprende l'epilogo del romanzo, resta la considerazione che King riesce a raccontare la storia con una dovizia di particolari (malgrado la brevità del testo) ed un pathos sempre crescente al punto da creare, effettivamente, dei momenti di raro terrore.
Il personaggio di Carrie è senza dubbio quello che supera tutti gli altri in spessore psicologico e in capacità di riempire la scena. Ma anche la madre di Carrie, Margaret White, assume un ruolo fondamentale: il vero motore in fondo, colei che con le sue vessazioni e le sue manie religiose ha, a forza, costretto la figlia ad una vita di ostinata emarginazione.
In un gioco quasi perverso tra manie e religiosità, tra preghiere che perdono il loro spessore religioso e sprofondano in una paludosa superstizione, si gioca tutto il sottile e terrificante meccanismo che fa di Carrie una invincibile macchina da guerra.
Tutto il resto, le vessazioni dei compagni, le incomprensioni dei professori, la gratuita cattiveria del mondo esterno restano quasi sullo sfondo a completare, seppur marginalmente, un quadro psicologico al limite della follia.
King con questo romanzo mette subito le cose in chiaro. Mostra tutta la stoffa di scrittore che, successivamente, regalerà ai lettori pagine epiche come “L'ombra dello Scorpione”, “IT” e “Le Notti di Salem”.
Una piccola curiosità: a pag. 56 viene citato il maestro delle elementari di Carrie, che si chiama Edwin King, che altro non è che il nome completo dello stesso autore (Edwin Stephen King). Da leggere.
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Piacevole, ma non troppo
In una America appena uscita dall'incubo dell'orrenda, quanto terribile, guerra civile un gruppo di letterati insigni capeggiati da Longfellow, il primo poeta americano a divenire internazionale, fonda un circolo con l'intento di tradurre in lingua la divina commedia di Dante Alighieri. Da qui nasce l'inevitabile scontro con i "senatori" della Harvard University che, "protestanti ed estremamente conservatori", cercano di ostacolare in ogni modo l'ingresso dell'opera di Alighieri nel panorama letteraio americano. Fanno parte del circolo il poeta satirico Lowell, il poeta e medico Holmes, l'editore Fields, lo storico Green, più una serie di altri personaggi che di volta in volta animano la scena di questo insolito romanzo. Su questo sfondo di fatti storicamente accaduti in cui si muovono personaggi realmente esistiti, si innesta la invenzione romanzesca degli omicidi a sfondo dantesco. Il primo fra tutti è quello di un giudice rispettato e temuto che viene trovato morto e con il corpo orrendamente divorato da mosche carnivore ed abbandonato sotto l'insignificante insegna di un vessillo bianco. È chiara la rappresentazione del "contrappasso" che Dante, nella sua opera, riserva per gli ignavi ed in particolare per l'autore del c.d. "gran rifiuto". Gli altri omicidi, che qui non si rivelano per non guastare al lettore il gusto della lettura, seguono lo stesso schema: scegliere un peccatore che si sia macchiato in vita di un peccato che Dante menziona nella sua ascesa agli inferi ed impartire allo stesso la pena corrispondente.
La polizia guidata dal capo Kurtz e dall'agente Ray brancola nel buio più totale in quanto non possono certo immaginare che dietro ai sinistri omicidi si celi un disegno visionario e terribile che si ricollega al grande autore fiorentino, di cui in america, ancora non si è mai sentito parlare. Tuttavia agli autorevoli membri del Circolo, ciò non sfugge ed iniziano per conto loro una indagine che, dopo mille pericoli e colpi di scena li porterà alla soluzione.
Il romanzo è certamente un buon romanzo. Ben scritto e abilmente miscelato tra storia e finzione. Tuttavia ciò che più colpisce nel romanzo stesso è la descrizione della fumosa e spietata Boston del 1865. Colpisce molto lo scontro, perfettamente tratteggiato, tra la rigida mentalità dei "senatori" universitari e la brillante mente dei poeti che cercano di introdurre Dante in America. I personaggi sono tutti tratteggiati con estrema precisione, e non poteva essere altrimenti considerato che si tratta di personaggi realmente esistiti. Tuttavia va il merito all'autore di aver saputo mantenere anche nelle parti di pura finzione narrativa l'indole e le caratteristiche del personaggio. Tra tutti i personaggi quello che certamente suscita maggior curiosità è l'agente Ray. È un mulatto. E subisce su di sé, malgrado sia un poliziotto, tutte le implicazioni della sua condizione di "negro" nell'america post guerra civile. È comunque il personaggio che ispira più fiducia, quello che nel romanzo e nella morale sottesa ad esso incarna l'ideale del buon agente di colore, un ideale adesso onnipresente sia in letteratura che nel cinema. Anche in questo caso va all'autore il merito di aver saputo inventare con l'agente Ray un personaggio che dà alla storia maggior rilievo storico in quanto è culmine di tutti gli stridori sociali presenti in america in quegli anni del XIX secolo.
Probabilmente, la parte della storia che più sembra deludere è proprio la soluzione finale. Il substrato psicologico sotteso ai delitti sembra troppo tortuoso ed ambizioso per la mente del killer. È comunque una pecca, se così si può chiamare, che può essere perdonata riflettendo su tutto lo schema del romanzo e sulla finezza con cui l'autore, fin dalle prime pagine ci indica chi sia l'assassino senza però rivelarcelo appieno.
Ancora la figura di Dante è ovviante presente ma solo a livello nozionistico ed estremamente epidermico. Non si può, quindi, condividere l'entusiasmo di molti nell'affermare che tale romanzo sia altresì "un ripasso di letteratura". La figura di Dante c'è perché è della sua "comedia" che si parla. Ma lungi dagli intenti del romanzo quelli di dare lezioni di letteratura italiana. Se fosse questo lo scopo, allora il romanzo potrebbe benissimo essere considerato un fallimento.
L'intero romanzo si divide in tre parti che l'autore chiama suggestivamente "cantiche" delle tre la prima è la più dura da terminare. Ritmo lento e dialoghi a volte troppo stucchevoli. La seconda e la terza sono invece più scorrevoli e dinamiche, ma tuttavia anche la terza sul finire assume la connotazione della lentezza e della staticità. Un po' il contrario dell'opera dantesca in cui la prima cantica (l'inferno) è unanimemente riconosciuta come la più affascinante e scorrevole. Mentre le altre due, man mano che ci si avvicina la cielo, divengono più filosofiche e quindi meno immediate. Che sia stata una precisa scelta dell'autore? Se così è, complimenti per l'acume dimostrato.
Un ultima notazione: forse lo scritto è troppo lungo. Qualche pagina in meno avrebbe certamente reso la lettura più agevole. A volte ci sono troppi sconfinamenti nell'io di ogni singolo personaggi, indagini sui pensieri intimi e sulle sensazioni che - ove non ci fossero stati - avrebbero certo tolto qualcosina alla realtà del personaggio ma l'agilità narrativa ne avrebbe sicuramente guadagnato. Quest'ultima notazione, tuttavia, deve leggersi alla luce della considerazione che si tratta del primo romanzo di questo autore, il quale dotato e geniale per quanto possa essere, si abbandona sovente, durante la scrittura, ad ampollosi giri di parole e discorsi che finiscono con l'essere una propria autocelebrazione.
Infine due notizie su questo autore, un ventisettenne di grandi ambizioni e cultura, per come ha dimostrato già con questo suo primo romanzo, è uno studioso di Dante laureatosi ad Harvard con il massimo dei voti nel 1997.
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Una pietra miliare della letteratura gotica
Frankenstein di Mary Shelley è a buon diritto una pietra miliare della letteratura gotica.
Castelli oscuri, mostri, esperimenti, sono gli ingredienti di una storia che ha lasciato il segno, e tutt'ora lo lascia nella cultura letteraria occidentale.
Il dott. Victor Frankenstein, dedito allo studio della filosofia naturale, crea dalle sue mani (da qui il sottotitolo del libro "Prometeo moderno) una creatura dalle mostruose sembianze umane.
Ma l'esperimento non va come Frankenstein aveva immaginato e, rifiutando la propria creazione, la lascia libera per il mondo.
Queste le premesse sulle quali si innesta una storia fatta di orrore, tenerezza, romanticismo e drammaticità. L'eterna lotta tra creatura e creatore, quasi una parafrasi dell'uomo e dio, arriva all'atroce culmine della distruzione di entrambi.
La storia è raccontata attraverso le lettere e gli appunti che il comandante Robert Walton, scrive alla sorella Margareth. Ciò crea una assimilazione (molto moderna direi) tra narratore e lettore, al punto che tutti i sentimenti che derivano dalla lettura ne escono ampiamente amplificati e più percepibili.
I personaggi sono tutti vagamente accennati, axd eccezione di Victor che appare con le sue debolezze e le sue paure. La creatura stessa, in fondo, stenta ad avere una propria individualità al punto di non avere nemmeno un nome.
Lo stile del racconto è piacevolmente acerbo, ampolloso in alcuni tratti e denota l'appartenenza al genere gotico imperante al tempo.
Certamente la storia va letta, anche più volte, non fosse altro per rendere giustizia ad un romanzo troppo mortificato dalle riduzioni cinematografiche che non hanno in alcun modo colto l'essenza della drammaticità della storia che la giovane Shelley ha voluto tramandare.
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Viaggio nella tenebra umana
Una lunga, lento ed inesorabile discesa verso la tenebra più nera. Una tenebra non esteriore, come potrebbe pensarsi, ma interiore. Una tenebra mentale o ancora più profonda: dell'anima.
Cuore di Tenebra è un romanzo particolare.
Racconta dell'esperienza di Marlow, un capitano, durante una spedizione all'interno dell'Africa lungo un fiume, che non si ha difficoltà ad identificare come il fiume Congo.
Durante questo viaggio Marlow scende piano piano verso l'oscuro orrore del colonialismo occidentale (che è evidente che Conrad disapprova) che si esplica negli atti di violenza e sopraffazione dell'uomo bianco sugli indigeni locali.
Man mano che Marlow si addentra verso l'interno, inizia a fare la conoscenza con Kurtz un agente della Compagnia che ha creato attorno a sè un alone di mistero che quasi lo fa apparire un mito.
E così, in Marlow cresce non solo la voglia di continuare il suo viaggio, ma anche il desiderio (sempre più forte) di conoscere Kurtz.
E Kurtz, alla fine, si rivelerà il cuore pulsante e tenebroso di tutta la storia. Lui che ha creato attorno a sé un impero di schiavi e di orrore.
Il racconto di Conrad tocca apici drammatici molto forti ed intensi e trascina il lettore verso le cupe e tenebrose ambientazioni da cui, pare, non vi è salvezza.
Ma non tutto è negativo, Marlow pur essendo sceso fino a cuore della tenebra riesce a redimersene, avendo, alla fine del romanzo, un gesto di umana pietà.
I personaggi del romanzo sono tutti molto vaghi.
Forse solo Marlow spicca per caratterizzazione e spessore.
Lo stesso Kurtz non ha una vera e propria individualità perchè vive, essenzialmente, dei racconti che altri fanno di lui e subisce, infine, in destino che si è autoinflitto non avendo in alcun modo la possibilità di cambiare direzione alla propria vita.
Un romanzo da leggere e rileggere, per toccare con mano la tenebra che è capace di raggiungere l'essere umano.
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Barlow, un Dracula post-moderno, ma altrettanto cr
Ribadisco ancora una volta che sono di parte, Stephen King è il mio scrittore preferito.
Detto questo mi chiedo: ma si può non amare un libro che parla di vampiri, la cui storia, le cui ambientazioni e la sensazione di orrore che ne deriva sono seconde solo al capolavoro di Bram Stoker, Dracula?
Ebbene si.
Le Notti di Salem, inutile nasconderlo strizza un occhio (e forse qualcosa in più) al romanzo di Stoker, ma riesce a coglierne l'essenza più profonda, la fa propria e la dipana lungo le pagine del romanzo che, grazie alla grandiosa tecnica narrativa del Re, avviluppano il lettore in una spira soffocante al punto che si vorrebbe smettere di leggere (si fa per dire) ma è impossibile farlo.
I personaggi sono caratterizzati minuziosamente, così come è solito fare Stephen King. La storia è ben scandita e superbamente raccontata, del resto la prosa di King (che qui è al suo secondo impegno dopo il successo di Carrie) è una prosa che nasce già matura. Le ambientazioni sono descritte con dovizia di particolari e sembra quasi, per il lettore, di riuscire a passeggiare per le strade deserte e spettrali di una Salem avvinghiata dal male più puro.
Consiglio vivamente la lettura di questo libro per riscoprire la piacevolezza di un genere letterario (quello dell'Horror-vampiresco) che, purtroppo, in questi ultimi anni ha conosciuto un'inflazione così diffusa da rendere il Vampiro un personaggio smidollato e quasi amabile. Ma non è così Il Vampiro è un essere cattivo, vive di sangue e di morte e non prova amore ma solo un letale istinto di sopravvivenza che si chbiama sete di sangue. E King lo sa. Lo sa bene. Ed in questo romanzo, che può ben definirsi un capolavoro, riesce con Barlow a creare un emulo di Dracula che per nulla sfigura innanzi al suo illustre predecessore.
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Non decolla
Non basta una trama intrigante ed un'ambientazione fuori dal comune (la fabbrica dei corpi) per far scorrere ed innalzare una storia che, seppur ben scritta non decolla.
I capitoli lunghi, poi, non agevolano una lettura che, in fondo, si porta avanti solo grazie ad una trama "sulla carta" avvincente.
In effetti, man mano che si procede nella lettura, si è sempre in attesa del buon colpo di scena, della impennata improvvisa che - purtroppo - non arriva.
Il finale più che scontato è piuttosto affettato.
Come qualcuno ha già detto, sembra quasi che l'autore non potesse andare (per contratto???) oltre un determinato numero di pagine.
Nel complesso è una lettura che scorre via, a tratti piacevolmente, ma non riesce a decollare.
Ottima da portare sotto l'ombrellone.
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Tre donne ed una storia.
La Ragazza del Treno è l'ottimo romanzo di esordio della scrittrice Paula Hawkins.
La storia parte da un elemento semplice e quasi banale: quanti di noi viaggiando su un treno si sono soffermati a guardare le case che scorrono lungo i binari? E quante volte guardando quelle case ci siamo immaginati le storie che si svolgevano all'interno? Ebbene, è questo quello che fa la protagonista della storia, Rachel, donna dalla vita difficile e problematica che ogni mattina prende il treno per Londra e, durante la fermata del treno presso un semaforo, si perde nell'immaginare la vita di una graziosa coppietta che osserva in una casa lungo i binari. La vita di Rachel, quindi, si lega pian piano a quella della giovane coppia che lei immagina essere una coppia felice e senza problemi, sin quando - una mattina - non vede (sempre dal finestrino del treno) la donna che bacia un altro uomo.
Da questo momento in poi la storia inizia a farsi ricca di suspense e colpi di scena ed il racconto diventa corale. Infatti la scrittrice utilizza la efficace tecnica di far raccontare la storia da tre donne che man mano raccontano i singoli episodi su cui ruotano tutti gli eventi, ciascuna dal proprio punto di vista.
Questa tecnica di narrazione, che a prima vista potrebbe sembrare rendere più ostica la lettura, finisce con il diventare il punto di forze di un romanzo capace veramente di incollare il lettore alle pagine.
Alla fine del racconto, infatti, tutti i nodi vengono al pettine e tutti tasselli si sistemano come in un puzzle perfetto.
Tra tutti personaggi quelle meglio tratteggiate sono, ovviamente le tre donne. Gli altri personaggi sono un po' più meno definiti e dai contorni più vacui.
La storia, come detto, funziona e trascina, anche se ad un certo punto (ben prima della fine del libro) ad un lettore attento non sfuggirà la soluzione finale.
La narrazione è agile (grazie anche alla suddivisione in capitoli ed in paragrafi anche molto brevi).
In definitiva un romanzo consigliato, una lettura piacevole e coinvolgente. Non è un best seller, ma sicuramente è da leggere.
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Non il miglior King, ma va bene così.
Premetto che amo visceralmente ogni cosa che esca dalla penna del Re.
Tradotto in termini pratici: sono di parte.
Detto questo, personalmente adoro i libri di King che raccontano la vita intera di un personaggio, di una comunità. E questo è uno di quelli. Tuttavia, malgrado la scrittura agevole la storia, per quanto parta da premesse allettanti per gli amanti del genere, stenta a decollare del tutto.
Tutta la vicenda ruota attorno alla vita di Jamie Morton e del Reverendo Jacobs che una volta incrociate le loro vite, si legheranno indissolubilmente e (forse) inconsapevomente verso destini misteriosi.
Lungo il dipanarsi della storia appaiono degli elementi che King attinge dalla letteratura Lovecraftiana, di cui - bisogna riconoscerlo - a tratti riesce a riprodurre sulle proprie pagine i toni cupi e la sensazione di oppressione tipiche degli scritti del "solitario di Providence".
I personaggi del romanzo, ad eccezione di Jamie e Jacobs, che sono ben tratteggiati e sufficientemente individualizzati, restano su un piano di sfondo, opaco e marginale.
Lo stile è scorrevole e mai ampolloso. Il Re, del resto, sa scrivere abbastanza bene e lo dimostra.
La storia, come poco più sopra anticipato, scorre lineare verso il climax rappresentato dagli ultimi due capitoli in cui i chiari riferimenti agli strani mondi di Lovecraft e a quegli "antichi dei" tanti cari allo scrittore americano, si fanno più incisivi.
In definitiva non è il miglior King, ma per gli amanti del Re è sicuramente un libro da leggere.
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Una piacevole scoperta
Era da tempo che volevo leggere un libro di questa autrice. L'occasione mi si è presentata per caso, ma quasi prepotentemente imposta dalla bellissima copertina del libro che ammiccava su un tavolo espositivo della mia libreria di riferimento. E si, devo ammetterlo, ho un debole per le così dette "teste" in ceramica dell'arte siciliana. Quindi detto fatto.
Il libro scorre bene. E' di lettura piacevole, agile e mai pesante.
La storia è un giallo nel più stretto significato del termine: c'è un assassinio e c'è un investigatore, in questo caso la bella Marò, commissario di polizia.
Sullo sfondo una Palermo accaldata e riarsa dalla siccità che lentamente si prepara alla festa solenne di Santa Rosalia. E sullo sfondo ancora la storia d'amore che procede stanca e lenta tra la commissaria Marò e Sasà. Marò dimostra di avere una forte personalità, ma anche una sensibilità d'animo molto particolari al punto che crea, inaspettatamente (e forse n on troppo) un legame ed un dualismo con la povera vittima Giulia. E questa circostanza permea l'intera indagine al punto che Marò fa propria questa sensazione e nel risolvere il giallo, risolve anche alcuni problemi della sua vita.
La storia, come sopra ho detto, scorre bene e si legge piacevolmente. I personaggi sono tutti ben tratteggiati, anche quelli minori assumono una propria forte individualità.
Adorabili e mai troppo ridondanti le locuzioni in dialetto siciliano presenti nel libro.
In definitiva leggere questo libro è stato per me una piaceva e costruttiva scoperta.
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