Opinione scritta da RadicidiCarta

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RadicidiCarta Opinione inserita da RadicidiCarta    07 Marzo, 2018
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Spy-story classica nel ritmo e nei contenuti

Red Sparrow è il primo romanzo scritto da Jason Matthews, ex agente della CIA, dal quale è stato tratto l’omonimo film uscito nelle sale pochi giorni fa con protagonista Jennifer Lawrance.
Il volume di 500 pagine è stato pubblicato in Italia da DeA Planeta agli inizi di quest’anno, dopo una prima edizione nel 2014.

Red Sparrow racconta una classica storia di spionaggio, così classica che le due realtà coinvolte sono proprio la CIA e l’FSB, il servizio segreto sovietico erede del KGB.

TRAMA

"A volte, più ti sforzi di trovare un obiettivo, di cominciare un’indagine, più ti ci allontani."

La narrazione inizia presentando uno dei nostri protagonisti, Nate, che cammina per le strade di Mosca. Il giovane agente della CIA deve raggiungere il suo contatto che lavora nell’FSB che ha importanti dati da trasmettere.
Durante l’operazione, tuttavia, qualcosa va storto: per tenere al sicuro la sua fonte, Nate si fa inseguire dai servizi segreti sovietici, perdendo la sua copertura di diplomatico americano.

Parallelamente, iniziamo a conoscere anche Dominika, la seconda protagonista, e ne seguiamo la crescita e i sogni: sembra che il destino della bellissima ragazza sia quello di diventare una delle grandi star del balletto russo.
Sfortunatamente, una sua compagna non è della stessa idea. Per impedirle di entrare al Bol’soj arriva a provocarle un infortunio che distrugge qualunque sogno di carriera.
Quasi nello stesso momento, Dominika si ritrova a perdere anche il padre che tanto ama. Proprio durante il suo funerale, compare il fratello dell’uomo, non tanto per porgere i suoi ultimi saluti al deceduto, quanto per reclutare la ragazza.
Dominika, di fronte alle velate minacce dell’uomo, sarà costretta ad accettare l’incarico che le viene affidato: la madre ormai sola diventa un ostaggio inconsapevole, nelle mani dello zio.

La struttura della trama è piacevole da leggere, i continui cambi di punto di vista limitano la sorpresa, in favore della suspense che è ciò che invoglia il lettore a proseguire la storia.

PERSONAGGI

"L’avevano usata e continuavano a usarla, come una semplice pedina su una scacchiera."

Nathaniel Nash è un agente della CIA che si occupa del reclutamento di nuove spie. All’inizio della narrazione lo troviamo sul suolo moscovita, con il compito di gestire i contatti con Marmo. Dopo i problemi avuti nell’ultima missione in Russia, viene trasferito ad Helsinki
Nate è un ragazzo giovane e brillante, che fugge da una vita all’ombra di un padre potente e dei fratelli maggiori che hanno seguito le sue orme. Cerca di eccellere in quello che fa per dimostrare alla famiglia e a sé stesso il suo valore.

Nel complesso, il personaggio non ha nessuna caratteristica degna di nota. La sua storia personale ricorda molto le fiabe, dove il fratello minore è sempre bistrattato dai maggiori e poco considerato dalla famiglia, finché non riesce a dimostrare le proprie qualità abbandonando la casa paterna.
Dei pochi momenti in cui viene considerata la psicologia del personaggio, solo un paio sono pensieri che il protagonista fa su sé stesso e nessuno dei due può considerarsi un’analisi introspettiva.

In generale si tratta di un personaggio d’azione poco approfondito, scontato, quasi completamente piatto. All’interno della narrazione non ha una vera e propria crescita, anche se verso la conclusione l’autore mette un po’ più a nudo quelli che sono i suoi sentimenti e si nota qualche piccolo cambiamento.

Dominika Egorov è una giovane bellissima che si ritrova, almeno inizialmente, catapultata nel mondo degli omicidi segreti e degli inganni. Dopo la sua prima “missione”, tuttavia, si rende conto di voler entrare nel mondo delle spie, di voler vedere dall’interno cosa si nasconde nell’FSB.
È interessante come il suo bisogno di trovare il suo posto, si accompagni a un desiderio fortissimo di vendetta e di rivalsa.

Dominika è, tra i personaggi del libro, quello più complesso, ma non cambia mai veramente durante la narrazione.
È una donna forte, combattiva, che resiste a orrori indicibili senza essere piegata, che nasconde molti segreti, ma allo stesso tempo ha pulsioni e desideri estremamente forti che guidano le sue decisioni.
Questo continua per tutta la storia, tanto che in alcuni punti salienti non si capisce bene se le decisioni che ha preso siano state completamente sue o se, in fondo, l’abbiano manipolata sfruttando la parte più istintiva del suo carattere.

Tra i personaggi secondari, nessuno è veramente degno di nota a parte Marmo, che riesce ad imprimere una svolta decisiva alla trama. Tuttavia, anche se è un personaggio che ho amato, rimane caratterizzato in maniera molto semplice.
Nel complesso, nessun personaggio a sfaccettature sufficienti a renderlo veramente realistico.

CONCLUSIONI

"Ormai lei e la figura solitaria che le veniva incontro erano quasi fianco a fianco."

Red Sparrow è un volume che non mi ha entusiasmato.
La trama è coerente e ben strutturata, ma il ritmo lento e i personaggi stereotipati non mi hanno fatto impazzire, per quanto possa capire la scelta dell’autore di creare una storia di spionaggio più realistica rispetto ai film di Bond.
È possibile che anche i protagonisti così “impersonali”, in grado di nascondere i propri sentimenti e le proprie intenzioni come vere spie siano una scelta voluta, ma penso che sarebbe stato più interessante avere un’analisi più approfondita del loro carattere, in modo da far risaltare la loro bravura nel mascherare la verità.

Un ultimo problema l’ho riscontrato nel finale che è risultato piuttosto scontato, almeno per me, nonostante Matthews abbia cercato di inserire alcuni dettagli per sviare il lettore.

Ciò nonostante, sono convinta che si tratti di un romanzo d’esordio discreto che possa piacere agli appassionati di spy stories e a chi cerca una lettura leggera, un po’ diversa dai classici gialli e thriller.

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RadicidiCarta Opinione inserita da RadicidiCarta    07 Marzo, 2018
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Un piccolo capolavoro

"Ci dimentichiamo le cose che vorremmo ricordare e ricordiamo quelle che vorremmo dimenticare."

La strada è un romanzo apocalittico di Cormac McCarthy, che ha permesso all’autore di conquistare il premio Pulitzer nel 2007. Nello stesso anno è stato pubblicato da Einaudi e ristampato nel 2014. Nel 2009 è uscito nelle sale un adattamento cinematografico con Viggo Mortensen come protagonista.

La strada è un volume breve ma intenso, quasi estenuante, ambientato in un mondo ormai in rovina. La trama in realtà è semplicissima: un padre e un figlio viaggiano verso sud, cercando di arrivare al mare.
Quello che colpisce è, invece, il modo in cui McCarthy sviluppa questo breve horror post-apocalittico: l’autore lascia che i suoi personaggi si scontrino non con un antagonista “canonico”, ma con il bisogno di sopravvivere.

Lo stile essenziale dell’autore, la mancanza di fronzoli e descrizioni dettagliate, sembrano sottolineare la sensazione di morte che permea il mondo dove si muovono i protagonisti, amplificando l’angoscia che l’uomo e il bambino provano dopo giorni senza cibo e acqua.

PERSONAGGI

"Le storie che raccontava erano sospette. Non poteva ricostruire il mondo perduto per compiacerlo senza trasmettergli il dolore della perdita, e pensò che forse il bambino lo sapeva meglio di lui."

I protagonisti del libro sono due: un padre e un figlio. Non hanno nome, non ne hanno bisogno. Il padre è un’ombra, grigia quanto il mondo che li circonda, che cerca di non pensare al passato, ma non può fare a meno di rifugiarcisi, anche solo nelle storie che racconta al bambino. La sua vita, la sua intera esistenza sembra dipendere solo dal piccolo che lo accompagna.

Il figlio, invece, sembra completamente fuori luogo rispetto al mondo circostante: nonostante tutte le difficoltà, non perde mai il desiderio di aiutare gli altri, e soffre ogni volta che il padre è costretto ad uccidere un altro uomo o ad abbandonarlo lungo la strada. Il suo comportamento è talmente in antitesi rispetto al contesto, che più di una volta mi sono irritata, esattamente come il padre. Allo stesso tempo, però, la sua bontà lascia degli spiragli nella storia, la alleggerisce.

CONCLUSIONI

"Ciò che si altera ricordando ha comunque una sua realtà, che la si conosca o meno."

La strada è un libro che a volte ti colpisce come un pugno nello stomaco. Nonostante siano poco più di duecento pagine, la trama sia inesistente e l’autore non spieghi nulla dell’ambientazione, delle origini di tutta quella distruzione, la lotta per la sopravvivenza dei due protagonisti viene descritta in modo talmente realistico e semplice da entrare sottopelle.

Per tutta la lettura ho continuato a chiedermi che cosa avrei fatto io se fossi stata nei loro panni. Sarei andata avanti, sapendo che non c’è più la minima scintilla di speranza? Che cosa spinge questo uomo a continuare a camminare, ad andare avanti ogni giorno quando tutto quello che lo circonda è solo cenere e morte?

L’autore ci mette davanti alla brutalità dell’uomo, ci fa domandare fino a che punto l’essere umano potrebbe arrivare per sopravvivere: continueremmo a cercare di essere compassionevoli? Oppure diventeremmo dei mostri che rinchiudono in cantina i propri simili per farli a pezzi e cibarsi delle loro carni?
Ma non solo. McCarthy mette in primo piano anche il tema dei ricordi. In una situazione così disperata, quanto i ricordi sono un sollievo e quanto un peso?

La strada è un libro impegnativo e non sono sicura che sia adatto a tutti. Un lettore impressionabile potrebbe rimanere troppo colpito da alcune scene, anche se l’autore non si accanisce mai nelle descrizioni. Eppure ritengo che sia una lettura importante, una di quelle che più mi ha fatto riflettere, nonostante la scelta di non dare spiegazioni sull’ambientazione e sul bambino.
Proprio quest’ultimo è la risposta a molte delle domande che l’autore ci presenta nella sua opera. Sottolinea come, anche in mezzo all’apocalisse, si possa rimanere umani per quanto sia difficile. Non per nulla, sono pochissimi i personaggi che portano il fuoco.

"Quando sognerai di un mondo che non è mai esistito o di uno che non esisterà mai e in cui sei di nuovo felice, vorrà dire che ti sei arreso."

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RadicidiCarta Opinione inserita da RadicidiCarta    26 Febbraio, 2018
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Una fiaba sui ricordi

Il gigante sepolto è uno dei volumi scritti dal Premio Nobel per la Letteratura 2017, Kazuo Ishiguro. Siamo davanti a quello che spesso viene definito un fantasy, anche se personalmente lo stile dell’autore e la narrazione mi hanno ricordato più una fiaba.
Ichiguro unisce in questo volume la mitologia arturiana, le fiabe cavalleresche tipiche del mondo occidentale e la scrittura onirica, curata e di alto registro che ho ritrovato negli autori giapponesi.

TRAMA

È strano come il mondo dimentichi persone e cose che erano qui soltanto ieri, o l’altro ieri. È come se una malattia si fosse abbattuta su di noi

Siamo in Inghilterra, il leggendario re Artù è morto da qualche tempo, ma la pace tra sassoni e britanni sembra perdurare, seppure incerta.
Axl e Beatrice sono due anziani britanni che vivono in un villaggio costruito nella roccia, senza neanche una candela per rischiarare la notte. I due vecchi vivono in tranquillità ma non sembrano trovare davvero pace a causa di una strana nebbia che cancella la loro memoria e quella di tutti coloro che li circondano.
Ogni tanto un ricordo sembra riaffiorare nella loro mente e così i due, sicuri di avere avuto un figlio, decidono di mettersi in marcia per ritrovarlo prima che la nebbia torni a cancellare le loro piccole certezze, nonostante non sappiano più dove si trovi e cosa li abbia separati da lui.
Il viaggio è lungo e pesante per i due anziani, costretti ad attraversare villaggi, pianure, monti e boschi. Sarà grazie all’aiuto di altri viandanti trovati lungo il cammino come il giovane Edwin, che a causa della ferita infertagli da una misteriosa creatura sarà costretto ad abbandonare la propria casa, il valoroso guerriero sassone Wistan e sir Galvano, il cavaliere di Artù, che i due anziani britanni riusciranno a scoprire l’origine della nebbia.

PERSONAGGI

C’era una quiete sul suo volto che di rado ultimamente gli capitava di notare quando la vedeva sveglia, e l’improvviso moto di felicità procuratagli da quella vista lo sorprese.

I personaggi di questo libro, non sono approfonditi, non hanno molte sfaccettature. Ognuno di loro ha caratteristiche peculiari ma si evolvono poco o nulla all’interno della narrazione, nonostante il lettore venga, poco a poco, a conoscenza del loro passato e di alcuni dei loro segreti: Axl e, soprattutto, Beatrice sembrano vivere unicamente come coppia, Edwin come un ragazzo proiettato nel futuro e in quello che dovrà diventare per mano del guerriero sassone.
Wistan e Galvano, sono gli unici personaggi che sembrano cambiare nel corso della narrazione, ma solo perché nascondono volutamente il loro passato e i loro scopi, almeno finché non vengono costretti a rivelarli. Sono però gli unici che sembrano farsi domande, che si chiedono se le loro azioni siano nel giusto, anche se tutto ciò non li fa deviare da quelli che sono i loro obblighi.
Questo, è l’unico motivo che li ha resi più vivi ai miei occhi, ma non abbastanza da colpirmi.

CONCLUSIONI

Amori duraturi che sfidano il passare degli anni: di quelli ne vediamo raramente. Quando succede siamo più che lieti di traghettare tutte e due gli amanti insieme.

Il gigante sepolto è una storia dove personaggi e trama non sembrano avere alcuna importanza. Entrambi sono sottili e semplici, privi di quelle caratteristiche che rendono, rispettivamente, i primi più umani e la seconda d’impatto. Questo perché l’autore vuole far concentrare il lettore su qualcos’altro: vuole fare capire qual è il vero “gigante sepolto”, vuole far interrogare sull’importanza della memoria sia per il mondo che per i rapporti tra le persone, soprattutto quelle che abbiamo più vicine.
Se in un primo momento l’inizio lento, lo stile quasi troppo cavalleresco e le atmosfere oniriche mi avevano fatto storcere il naso, ho dovuto rivalutare il mio giudizio una volta concluso il libro.
Il problema principale è stato che mi aspettavo qualcosa di totalmente diverso quando ho letto “fantasy” e chiunque, come me, appassionato del genere, difficilmente potrà ritenere che il volume di Ishiguro rientri nella definizione. Come ho detto, per me più che al fantasy, si avvicina a una fiaba.
In realtà, lasciandomi alle spalle questa definizione forzata ho trovato un libro in grado di farmi riflettere, con un finale dolceamaro che è riuscito a farmi commuovere.
Lo consiglio? Sì, a patto che non ci si aspetti una trama complessa e personaggi accattivanti ma si sia pronti a cercare una chiave di lettura più profonda, a lasciar sedimentare poco a poco le sensazioni che questo volume è in grado di dare.

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RadicidiCarta Opinione inserita da RadicidiCarta    19 Febbraio, 2018
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Distopico? Quasi.

Il racconto dell’ancella è un romanzo distopico scritto da Margaret Atwood nel 1985. Nel 2017, grazie alla serie televisiva ideata da Bruce Miller, il libro ottiene nuova visibilità tanto che la casa editrice Ponte delle Grazie pubblica in giugno una nuova edizione che esaurisce presto. Nell’ottobre 2017 è già stata distribuita nelle librerie la quarta ristampa.

AMBIENTAZIONE

È impossibile descrivere una cosa esattamente com’era, perché ciò che dici non può mai essere esatto, devi sempre trascurare qualcosa, ci sono troppe facce, lati, fattori che si intersecano […]

Il racconto dell’ancella è ambientato alla fine del ventesimo secolo, quando il mondo sta cercando di riprendersi da una guerra mondiale. Come se non bastasse l’inquinamento e le radiazioni hanno abbassato il tasso di natalità, facendo avvicinare la popolazione a una recessione demografica.
La storia inizia nel Maine, dove è nata la “Repubblica di Galaad” che trae ispirazione dalla bibbia per creare una nuova società che riesca a fermare l’assente crescita demografica, attraverso una struttura piramidale con al vertice i Comandanti. Il sistema teocratico messo in atto è fortemente conservatore, tanto da bandire qualunque tipo di divertimento. Le donne, in più, perdono ogni potere o proprietà, viene tolto loro il diritto all’istruzione e a un salario, non possono leggere né scrivere e quelle di loro ancora fertili vengono destinate alla procreazione, piegate con torture fisiche e droghe per diventare Ancelle ubbidienti, da affiancare ai Comandanti e alle loro Mogli sterili: le Ancelle sono come la serva Bila nella Genesi, un mezzo per dare a Rachele una prole. Non sono più nemmeno padrone del loro nome: acquisiscono quello del Comandante al quale vengono assegnate preceduto da una preposizione di appartenenza. Non sono più esseri umani, sono oggetti.

Gli altri elementi della struttura della società di Galaad vengono mostrati in maniera più superficiale e non è sempre chiaro a che “livello della piramide” appartengano. Sicuramente meno rilevanti sono le Marte, una sorta di servitù nelle case dei Comandanti, e le Economogli, donne della classe povera che devono fare da Mogli, da Marte e da Ancelle per il proprio uomo.
Esistono poi gli Angeli, cioè i soldati, i Custodi, gli Occhi, coloro che vigilano per controllare che nessuno osi ribellarsi, una sorta di polizia segreta e le Zie, le incaricate di istruire le donne ai loro compiti.

TRAMA

Eravamo donne che non rifiutavano di perdersi nell’amore.

Il romanzo, scritto in prima persona, è la storia di Difred, un’Ancella al servizio del Comandante Waterford. La sua condizione la costringe ad indossare un vestito rosso, con un copricapo bianco con alette laterali, per nascondere il loro viso al mondo e, in parte, il mondo ai loro occhi.
La narrazione inizia con l’arrivo dell’Ancella a casa del Comandante e continua mostrando le dinamiche della casa, i rancori, le gelosie e i desideri dei membri della famiglia, ma soprattutto mostra la prigione di Difred nel nuovo ruolo che le è stato assegnato e nei ricordi della sua vita passata.

Lei come membro di una “generazione di transizione” sente tutto il peso della perdita, non solo dei privilegi materiali. Nemmeno questo sembra però riuscire a scuoterla e le sue giornate continuano seguendo i precetti che le vengono imposti. La sua non è una vita che si possa definire faticosa, in quanto ha l’unico dovere di mettere al mondo dei figli dei Comandanti e tutta la vita della casa gira intorno ai suoi cicli, ma può davvero definirsi vita?

PERSONAGGI

Sono una profuga dal passato, e come altri profughi ricordo le usanze e le abitudini di vita che ho lasciato o sono stata costretta a lasciarmi alle spalle, tutto sembra così strano da qui che ne sono ossessionata.

Difred è la voce narrante che tuttavia è apatica e incolore. È una donna che subisce quello che le accade intorno senza provare mai a ribellarsi, senza cercare di migliorare le cose, nemmeno nei limiti che le sono concessi. Tutto quello che cambia nella sua vita è dato dalle scelte e dai desideri di altri: lei non si muove, non agisce, rimane costantemente imprigionata nell’attesa di fare una scelta, fino alla fine, a parte un’unica situazione che però viene comunque descritta in maniera frettolosa e imprecisa, con lo stesso tono vuoto del resto della narrazione, perdendo così di importanza agli occhi del lettore.
Difred non è un personaggio ed è difficile considerarla una protagonista, proprio per la sua continua immobilità, per la sua mancanza di cambiamento. Niente di quello che succede è causato da un’azione o una presa di posizione dell’Ancella. Non è che un’osservatrice del mondo che la circonda.

Serena Joy è la Moglie di Waterford, obbligata a vestire di blu-azzurro per via del suo status. È una donna con problemi di artrite e il profondo desiderio di avere un figlio, che non arriva. Come tutte le Mogli, si trova ad avere dei privilegi, come la possibilità di fumare, che però non riescono a compensare tutto quello che ha perso e non potrà più avere. La sua insoddisfazione ricade sulla protagonista che vede come rivale, ma di cui sa di non poter fare a meno.
È un personaggio di cui non si sa molto: il suo passato ci viene raccontato tramite i ricordi, a volte confusi, di Difred eppure risulta più concreta e reale della protagonista, proprio per le sue contraddizioni e i desideri che la animano.

Il Comandante è un personaggio che compare come presenza, come simbolo, prima di mostrarsi per quello che è realmente. Dovrebbe essere un uomo di potere e di fede, uno dei baluardi della nuova società, ma in realtà è solo un uomo che cerca svago e divertimento, con pulsioni che può mettere in atto solo di nascosto a causa della società che ha contribuito a creare. Quello che è paradossale, ma che in realtà non stupisce, è che sono in molti come lui a cercare quello che non potrebbero ne dovrebbero desiderare.

Moira è un’amica di vecchia data di Difred, una ragazza con cui divideva l’appartamento prima del colpo di Stato. Di tutti i personaggi che compaiono nel romanzo è sicuramente quello più forte: al contrario della voce narrante, Moira ha dei desideri, delle speranze e agisce per riuscire a trovare uno spazio che non le stia troppo stretto. Sono tanti i personaggi che cercano di esaudire i propri desideri, all’interno del libro, ma nessuno arriva a spingersi così oltre le regole per avere la propria libertà. Sfortunatamente le possibilità non sono molte, ma l’impegno e la volontà di questo personaggio, per quanto sia secondario, hanno un forte impatto in un romanzo dove quella che dovrebbe essere la protagonista sembra poco più che un fantoccio sballottato dagli eventi.

CONCLUSIONI

Come tutti gli storici sanno, il passato è un grande spazio buio, colmo di echi.

Il racconto dell’ancella è un libro che ha alcuni grandi pregi, ma anche diversi difetti. Il pregio maggiore è sicuramente la capacità di fare riflettere il lettore e, se in un primo momento sembra che queste considerazioni vertano solo sulla condizione della donna, basta uno sguardo un po’ più approfondito per capire che quella della Artwood è una storia più universale, dove sì, le donne sono in condizioni estremamente difficili, ma anche gli uomini non possono considerarsi liberi e padroni di loro stessi: è una società dove pochi hanno preso il potere e cambiato le regole a loro discrezione, non una società dove tutti gli uomini hanno schiacciato ogni singola donna.

Al tempo stesso, come già detto, questo romanzo non ha un vero e proprio protagonista, non ha un eroe che agisca nel mondo che l’autrice ha creato, solo un personaggio con il quale non si riesce ad entrare in empatia.
Per di più, lo stile dell’autrice rende la voce della narratrice quasi artificiale e le lunghe digressioni, piene di elenchi di oggetti inutili, rallentano un racconto che sembra perdere qualunque tensione drammatica.

Quello che però rimane il problema più grave del libro, per me, è la mancanza di informazioni: Il racconto dell’ancella è un romanzo che si legge volentieri, in cerca di risposte su di un mondo che potrebbe essere il nostro, ma queste non arrivano mai. Chi sono le Nondonne? Cosa succede alle Ancelle dopo che il loro compito è finito? Ma soprattutto, come ha fatto a venire istituita questa nuova società? Possibile che nessuno si sia ribellato? Sono tutte domande alle quali il lettore deve dare una risposta da solo perché l’autrice non ne parla. Questo è comprensibile, se si considera che la visione che ne ha il lettore è quella di Difred e quindi parziale, ma i punti in sospeso rimangono troppi e nemmeno il capitolo finale riesce a riempirli.
La Atwood lascia all’interno della narrazione un sacco di dettagli che però non vengono mai approfonditi e spesso i personaggi seguono lo stesso destino: alcuni semplicemente spariscono, altri vengono solo abbozzati con niente più che il loro ruolo a definirli.

In un romanzo distopico, la mancanza di informazioni deve essere centellinata per dare un senso di paura e di mancanza, ma in questo caso le mancanze sono troppe e si ottiene l’effetto opposto: quello di non riuscire mai ad immergersi completamente nel mondo e di perdere ciò che ci lega ai personaggi e ci fa sentire solidali con loro.
In più, un romanzo distopico dovrebbe fare paura perché dovrebbe avere delle premesse così reali e vicine a noi da mostrarci dove potremmo finire se non cambiamo qualcosa nel nostro modo di agire, ma la mancanza di informazioni toglie anche questo punto fondamentale alla storia.

Nel complesso, quindi, Il racconto dell’ancella è un buon libro, uno di quelli che appena finito di leggere ti lascia emozioni forti per alcune delle scene che l’autrice narra, ma che a mente fredda mostra tutti i suoi limiti.

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RadicidiCarta Opinione inserita da RadicidiCarta    12 Febbraio, 2018
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Un ottimo romanzo d'esordio

Fiori sopra l’Inferno è il romanzo d’esordio di Ilaria Tuti, pubblicato nel 2018 da Longanesi e presentato come un caso editoriale, la cui pubblicazione è in corso in una ventina di paesi.

Lo stile dell’autrice è ricco, evocativo. Le descrizioni, particolareggiate ma mai pesanti, trasportano il lettore in un mondo dove il bianco della neve si mischia al verde dei boschi, al grigio delle montagne e al rosso del sangue.

Trama

La paura li rendeva bambini, dilatava le pupille e storceva la bocca verso il basso.

Fiori sopra l’Inferno è un volume ambientato in Italia, sul confine austriaco, in un paesino realmente esistente ma ribattezzato dall’autrice Travenì. È un luogo isolato, circondato da natura selvaggia e neve. Sembra un piccolo paradiso di tranquillità che però nasconde segreti portati alla luce da una violenza terribile e inaspettata.

La storia inizia con il ritrovamento del cadavere di un uomo, adagiato sull’erba al limite delle foreste, completamente nudo e senza occhi nelle orbite.
Intorno al corpo delle trappole tengono lontane gli animali selvatici, preservandolo pulito e senza altre ferite, oltre quella al volto. Delle orme nella neve spariscono tra gli alberi, portando gli investigatori a un macabro spaventapasseri, creato con i vestiti tolti al cadavere e imbrattati di sangue, che sembra osservare la vittima con gli occhi di bacche.
È il commissario Teresa Battaglia a doversi occupare del caso. Il suo istinto e la sua esperienza le dicono che non si tratta di un semplice assassino, c’è qualcosa di rituale nella scena del crimine: l’omicida tornerà a colpire.

Personaggi

La vita faceva paura, a guardarla in faccia per quello che poteva essere, ma restava sacra, inviolabile…

La protagonista indiscussa della storia è proprio il commissario Battaglia, una donna di mezza età che combatte contro il peso e la malattia.
È un personaggio complesso e sfaccettato, molto ben caratterizzato. In un primo momento si presenta come una donna razionale, sempre pronta fare battute taglienti per bistrattare i novellini, ma con il proseguire della narrazione l’autrice la mette a nudo, mostrando al lettore tutto il suo dolore, la sua continua lotta contro il passato e il futuro, la sua paura.
Teresa Battaglia è una donna che riesce a farsi rispettare in un mondo di uomini, tenace, con un profondo spirito materno che mostra in modo del tutto personale.

Massimo Marini è l’ultimo ispettore arrivato nella squadra, fuggito da una vita che sentiva come una prigione. È giovane, inesperto, orgoglioso.
Sin dal primo giorno sembra che Teresa lo prenda di mira e non esiti a sottolineare la sua ignoranza. Questo, però, sembra spingere il giovane a migliorarsi. Con il proseguire della storia si mostra anche la sua vera forza, il suo desiderio di non arrendersi che fa intuire una maturazione non ancora completa, ma già in atto.

Il personaggio che più mi ha colpito, però, è l’assassino: è complesso ma sempre coerente all’interno di tutta la narrazione. Le sue motivazioni sono istintive, particolari, ma convincenti dalla prima all’ultima pagina.

Conclusioni

Teresa si ricordò quanto fosse importante la lealtà a quell’età e come, incredibilmente, diventasse fragile da adulti.

Fiori sopra l’Inferno è un romanzo che mi è piaciuto molto. È un thriller che scorre fluido senza essere banale: lo stile dell’autrice cattura facilmente e rende la lettura adatta tutti, senza per questo rendere la storia eccessivamente semplice o leggera, anzi. Non mi sarei mai aspettata una storia d’esordio così ben strutturata, né dei personaggi così pieni di sfumature, così umani.

Uno degli aspetti che mi ha lasciato piacevolmente colpita è l’ambientazione, il modo in cui l’autrice riesce a renderla viva con poche frasi ben calibrate. La vita nel piccolo paesino nascosto tra i monti è descritta magistralmente e ho apprezzato che siano stai messi in luce i lati più oscuri di quello che sembra un piccolo paradiso.

Per concludere, Fiori sopra l’Inferno è un romanzo che consiglio. Non solo agli amanti del thriller, ma anche a chi cerca personaggi realistici e profondi che si muovano nel mondo reale con l’insicurezza tipica dell’essere umano.

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RadicidiCarta Opinione inserita da RadicidiCarta    10 Febbraio, 2018
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Un autore poco conosciuto in Italia, peccato!

L’ispanico è un libro di Santiago Posteguillo, il primo volume della Trilogia di Traiano edita in Italia da PIEMME. È un volume che può spaventare, non solo per la sua lunghezza, ma anche perché i fatti narrati dall’autore si snodano lungo trentasei anni di storia romana e innumerevoli personaggi.
Per agevolare la lettura, il romanzo è diviso in otto libri, ognuno dei quali racchiude un momento storico preciso nel quale si svolgono gli avvenimenti che decreteranno la sorte dell’Impero Romano.

L’autore, nato a Valencia, è titolare della cattedra di Lingua e Letteratura Inglese all’Università Jaume I e ha scritto oltre settanta pubblicazioni accademiche prima che uscisse, nel 2006, il suo romanzo d’esordio: Africanus primo volume di una trilogia dedicata a Scipione l’Africano.

Trama

“Oggi per noi è un nuovo inizio. Oggi è il giorno in cui saremo noi a decidere della vita e della morte.”

La storia inizia in media res, il 18 luglio del 96 d.C., presentandoci Marco Ulpio Traiano come governatore della provincia della Germania Superiore. Dei senatori sono arrivati da Roma, cercando il suo appoggio per assassinare l’Imperatore Domiziano, un despota debole e incompetente che sta uccidendo senatori, vestali, liberti e i migliori legati romani, lasciando sguarniti i confini dell’Impero e vuoto il Senato.
Il governatore si rende perfettamente conto di quanto sia pericoloso Domiziano, ma la sua famiglia è sempre stata fedele alla dinastia Flavia. Inoltre Traiano è preoccupato dalle conseguenze dell’assassinio: c’è, infatti, il rischio di una guerra civile che non solo distruggerebbe il poco di stabilità ancora presente, ma permetterebbe ai Barbari di invadere i territori di Roma, lasciati privi di difese.

Parallelamente, l’autore ci mostra i preparativi dei congiurati, le loro motivazioni e il loro piano, introducendo anche la figura di Domiziano. Il primo libro si concluderà proprio con la messa in atto della congiura, ma non scopriremo subito quale sarà il destino dell’imperatore. L’autore ci trasporterà indietro nel tempo con un abile flashback, per farci capire cosa ha portato alla serie di eventi di cui ci ha reso testimoni nelle prime pagine, per farci conoscere Traiano e, soprattutto, per spiegare il motivo di tanto odio nei confronti di un Imperatore di Roma.

Personaggi

“Temere il cesare? No, non ho più paura dei cesari di Roma.”

Come già accennato, sono presenti un gran numero di personaggi che si muovono all’interno del romanzo. Molti di loro sono marginali e compaiono esclusivamente per mostrare i dettagli della vita a Roma e i problemi presenti nell’Impero.

Anche i personaggi secondari non sono pochi, anzi. Il loro numero rende impossibile all’autore riuscire a dare ad ognuno di loro il giusto spessore, ma Posteguillo riesce comunque a caratterizzare in maniera netta gran parte di loro, in modo da renderli facilmente riconoscibili anche se non molto sfaccettati.

Paradossalmente, nonostante dovrebbe essere Traiano il protagonista delle vicende, ho trovato la sua caratterizzazione piuttosto superficiale. È il classico eroe coraggioso, giusto ed estremamente capace, rispettoso della moglie anche se non la ama, corretto con tutti i legionari, anche quelli di rango più basso: il principe senza macchia e senza paura delle fiabe. Questo, probabilmente, è dovuto alla scelta dell’autore di concentrarsi sulle vicende che hanno caratterizzato quegli anni di instabilità politica, piuttosto che su un unico personaggio.

Tutto ciò ha portato a incentrare la narrazione molto più su Domiziano che su Traiano, rendendo l’Imperatore il vero fulcro della storia e permettendo al lettore di vedere ogni vizio del suo carattere.

Per quanto mi riguarda, solo due personaggi mi hanno davvero colpito, per le sfumature che l’autore è riuscito a dare alle loro personalità:
-Domizia Longina, moglie di Domiziano, che ha un’enorme crescita durante l’arco narrativo. Da giovane donna innocente e fin troppo ingenua, si trasforma a causa del marito e di tutte le sofferenze subite, arrivando ad acquisire una forza d’animo superiore a quella di gran parte dei personaggi maschili.
-Partenio, il consigliere imperiale, che risulta un personaggio ricco di sfumature e profondamente umano. È un uomo fisicamente debole, che non nasconde di temere il dolore e di aver paura di morire, ma allo stesso tempo saggio e votato al benessere di tutto l’Impero, più che di un uomo solo. Con il progredire della narrazione, inoltre, il personaggio evolve, mostrando un coraggio notevole, pari a quello dei grandi generali.

Conclusioni

“Sì, amici miei, la merda dell’imperatore puzza proprio come quella di chiunque altro e vi assicuro che le nostre spade trapasseranno le sue ossa e la sua carne come quelle di qualsiasi uomo.”

L’ispanico è un romanzo che ho molto apprezzato, ma non è un libro per tutti. Nonostante lo stile di Posteguillo sia scorrevole e molto piacevole, gli avvenimenti siano ben descritti e calati in maniera superba nella narrazione, la mole di pagine e il gran numero di personaggi da seguire e ricordare non rendono la lettura delle più semplici.

Ho apprezzato molto che l’autore cerchi di compensare creando capitoli brevi, evitando descrizioni troppo prolisse e lasciando alcune note sul periodo storico e sulla terminologia sia nell’introduzione che nella postfazione, ma è innegabile che non tutti sarebbero a proprio agio con un volume di mille pagine tra le mani.

Nonostante tutti questi “inconvenienti” però, io lo consiglio perché Posteguillo riesce a rendere coinvolgente ed interessante gli avvenimenti, ampliando la narrazione con i punti di vista verosimili dei personaggi senza perdersi solo in descrizioni di battaglie e assedi. Ho amato soprattutto la fedeltà del racconto alla realtà storica e i riferimenti ai documenti di studiosi antichi.
Un altro punto a favore di questo libro, è il fatto che, nonostante faccia parte di una trilogia, si possa leggere tranquillamente come volume a sé. La narrazione, infatti, si concentra su un periodo ben preciso, anche se si intuisce che si tratti di una parentesi su qualcosa di enormemente più vasto.

L’ispanico è un ottimo volume per qualunque appassionato di Roma, dell’Impero Romano e di romanzi storici. Sicuramente leggerò anche gli altri scritti di questo autore.

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