Opinione scritta da Lyda
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Dipende dal punto di vista
Non è facile per nessuno, quando una coppia si divide.
Non è facile nemmeno per chi se ne va. Ammesso di non esserne già consapevoli, dopo aver letto questo libro, qualsiasi dubbio sarà fugato. Qua c’è tutta la cronaca romanzata di un amore che uccide un altro amore, di un quarantenne sposato senza figli che si lascia rapire dalla passione e dal sentimento nei confronti di un’altra donna, pur essendo profondamente legato – forse ancora innamorato, sebbene di un amore trasformato dal tempo e dalle consuetudini – di sua moglie Anna, donna mansueta, affettuosa nonché compagna di innumerevoli avventure e complicità.
Una cronaca schietta e minuziosa, cruda, delle vicende del protagonista in balìa di un continuo alternarsi di sentimenti contrastanti: la passione e l'irreprimibile desiderio sessuale contro l’enorme incognita del futuro. A maggior ragione, considerando che il protagonista si trasferirà da una piccola e gelida provincia del Nord Italia in una caotica e 'caliente' capitale, Roma.
Onnipresente, un innato senso di integrità personale in lotta con il profondo moto di colpa.
“Gioia luttuosa”, dice Gian Mario, quando lo chiamo da Roma. “Normale, – dice. – Vuol dire che non sei un mostro”.
Un libro biografico reale o pseudoreale, scritto in modo scorrevole, accattivante, realistico. In certi passaggi sembra di essere davvero lì con lui, immersi nel suo doloroso senso di colpa. A ogni modo, essendo chiaramente una vicenda privata che diventa di tutti, più volte durante la lettura il pensiero mi è corso al personaggio della ex-moglie, e a quel risveglio inatteso di dolore e disagio che probabilmente avrà dovuto rielaborare, suo malgrado.
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Niente è scontato
Mi piace questa cosa della trama che si snocciola da un punto di vista all'altro, in una specie di balletto dei personaggi senza soluzione di continuità e con una leggerezza tale da farti divorare le pagine...
Belli Carlo e Margherita, i due coniugi giovani e pseudo-rampanti alle prese con la quotidianità, la crisi economica e gli sbalzi birichini del cuore e della mente.
Bellissima Anna, la suocera-focolare, personaggio chiave di una famiglia in continuo movimento, la confidente segreta, la vedova alle prese coi ricordi di un marito e di un sospetto che forse non brucia neanche più, il rassicurante filo conduttore di una narrazione che a un certo punto balza in avanti di dieci anni.
Accattivante e misterioso è Giorgio, il ventiseienne fisioterapista burbero ma d'animo generoso, capace di smuovere le fantasie sessuali della 'perfettina' Margherita...
Intrigante Sofia, la studentessa riminese che assume (anche se per poco) le sembianze di una diavola tentatrice, l'ossessione erotica non consumata di Carlo, il professore e marito 'per bene'...
E bello anzi stupendo è questo titolo mono-parola che racchiude un universo di idee e pensieri rassicuranti e invece, per lo più, sta a significare il suo esatto contrario visto che l'argomento stanato, sofferto, trasudante da ogni riga, è proprio l'infedeltà.
E non dimentichiamoci di Milano, l'incantevole e suggestiva Milano, qua sapientemente descritta nell'intimità dei suoi quartieri periferici, con la nebbia fuligginosa a contorno dei palazzi con le luci al neon e gli scarichi rumorosi così come rappresentata nei più signorili scorci delle vie centrali o delle facciate maestose dei palazzi storici, “Si appoggiò su un gradino del Duomo, il palazzo dell'Arengario era coperto di impalcature, due ragazzi avevano azionato una carrucola a motore. Com'era stato capace di metterle le mani addosso, in quel bagno?” Qua è Carlo che rimugina sull'episodio chiacchierato e incompiuto con Sofia, “Si alzò dai gradini del Duomo e inarcò la testa, la Madonnina era così piccola...” ecc...
Scrivo questi pensieri a caldo avendo finito di leggere da poco. Il turbinio di emozioni e sentimenti in me risvegliati è ancora troppo forte per lasciarmi esprimere un giudizio approfondito e corretto. E non parlo di onestà coniugale né di tutto ciò che ognuno di noi può aver ritrovato nelle azioni o nei pensieri dei due protagonisti, bensì di ciò che il personaggio forte di Anna mi ha riportato alla luce, sicuramente con una maggiore consapevolezza. Oggi veniamo tutti bombardati da pillole di psicologia spicciola, è un indottrinamento subdolo e logorroico (e per questo da taluni snobbato e non compreso a pieno) stampato su riviste, giornali, programmi televisivi, siti internet, estrapolato, riscritto o condiviso da e su pagine social, un proliferare di consigli e del noto concetto che “la vita è una sola, e bla-bla-bla” - Ma in quanti sono – siamo - davvero consapevoli che (in particolare) dopo una certa età, quella di mezzo, è ancora più necessario avere ben chiaro il concetto che ogni giorno che passa è un giorno in meno?
E insomma, si capisce che questo libro l'ho proprio adorato! Tra l'altro mi pare di scorgere un Missiroli più maturo, molto più entrante a livello psicologico rispetto al precedente “Atti osceni in luogo pubblico”.
E' un libro da leggere tutto d'un fiato. Non ci sono grandi stravolgimenti, ammazzamenti, tracolli finanziari con colpi di scena apocalittici pertanto ad alcuni potrà sembrare banale. Ma ricordiamoci, la vita, nessuna vita è mai banale.
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Il bivio della vita
Siamo nel luglio del 1962: Edward e Florence, due ventiduenni molto innamorati, si sposano e partono per il viaggio di nozze fermandosi in un delizioso albergo in stile georgiano a Chesil Beach, la splendida costa nel Dorset, sud-ovest dell'Inghilterra.
Il romanzo si intitola proprio come la deliziosa spiaggetta di ciottoli, “Chesil Beach”, è stato scritto da Ian McEwan, quello di 'Espiazione' per intendersi, e pubblicato in Italia nel 2007.
Detta molto alla spicciola è la storia di un amore sincero e profondo e di un matrimonio tra due inesperti giovani, ciascuno con un futuro promettente ma famiglie diversissime alle spalle (in quella di lui c'è pure l'ombra scomoda della disabilità mentale), il tutto ambientato nell'era della pre-rivoluzione sessuale in un Paese molto conservatore, quale era appunto l'Inghilterra di Macmillian.
La trama si nutre di un'argomentata disquisizione sul tema del sesso (ovviamente contestualizzata in quel preciso momento storico di quando l'argomento era tabù) ed è naturale susciti nel lettore tutta una serie di considerazioni e riflessioni sul valore del rapporto fisico in una coppia innamorata e nella fattispecie, in una coppia appena unita nel vincolo coniugale.
Già dall'incipit si intuisce la diversità di queste due 'galassie' umane che sono Edward e Florence, i due ambiziosi protagonisti alle prese con le proprie inconfessate e quasi contrapposte aspirazioni: “Erano giovani, freschi di studi, e tutti e due ancora vergini in quella loro prima notte di nozze, nonché figli di un tempo in cui affrontare a voce problemi sessuali risultava semplicemente impossibile. Anche se facile non lo è mai.”
Il libro è suddiviso in cinque corposi capitoli: i primi quattro descrivono con minuzia gli impacciati momenti della prima sera da sposi novelli restituendo un'approfondita panoramica dei due a livello intimo ed emozionale, ed interessante è proprio questo alternarsi dei punti di vista, il maschile e il femminile, “Il viso di Edward era ancora molto arrossato, le pupille dilatate, le labbra socchiuse, il respiro breve irregolare, accelerato. Quella settimana di assurda astinenza in preparazione delle nozze giocava pesante sull'alchimia del suo giovane corpo. Florence gli stava dinanzi talmente viva e preziosa, e lui non sapeva bene che fare. Nella luce morente, l'azzurro dell'abito che non era riuscito a toglierle di dosso staccava come una chiazza scura sullo sfondo bianco della sopraccoperta tesa. Toccando la coscia di Florence si era in un primo tempo sorpreso di sentire la pelle fresca, e per qualche ragione la cosa l'aveva eccitato parecchio.”
La storia e le due differenti personalità si arricchiscono di numerosi flash su episodi del passato, molto bello e particolareggiato è quello del pomeriggio in cui i due ragazzi si conobbero.
Poi c'è il quinto ed ultimo capitolo che ci porta dritti all'epilogo della prima notte e risucchiandoci, quasi senza nemmeno accorgercene, sino alle ultime righe, sino alla parola fine. Lo fa tra l'altro, non senza un sommesso invito alla riflessione: capita che certe volte a seconda dei condizionamenti familiari o di eventi passati, di una spiccata immaturità o estrema impulsività, di un no dettato dall'orgoglio, di un sì al posto di un no per mancanza di coraggio... insomma, capita che a causa di scelte assolutamente non ragionate si possa stravolgere completamente il corsi dell'esistenza di una o più persone. Irrimediabilmente.
Lettura consigliatissima sia ai giovani che ai meno giovani, sia a chi è innamorato che a chi non lo è. Perché nella vita si sceglie ogni momento.
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Riflessioni sulla vita e sulla storia.
Gerusalemme, inverno 1959/60.
Shemuel, giovane universitario trovatosi ad affrontare svariati colpi bassi della vita, risponde a un annuncio di lavoro assai interessante per un tipo riflessivo come lui momentaneamente bisognoso di estraniarsi dalla società: dovrà tenere compagnia a un anziano colto, logorroico e ormai quasi del tutto infermo, in cambio di vitto e alloggio.
Nella scalcinata villetta situata in un vicolo della periferia cittadina troverà pure una piacente figura femminile poco più che quarantenne, avvolta peraltro da un intrigante alone di mistero e di estrema riservatezza.
E così, mentre il grande scrittore israeliano muove i tre personaggi principali in un accattivante teatrino fatto di colloqui stringati ma non banali, la trama scorre sotto l'onnipresente velatura dell'annosa diatriba tra ebrei e arabi palestinesi, tra frequenti citazioni e riferimenti temporali e un generale sentimento di passione (qua intesa non solo come amore e sesso ma come partecipazione culturale e politica) misto a un senso neppur troppo vago di delusione e tradimento.
Ecco, il tradimento pare proprio essere il filo conduttore del romanzo.
E' infatti tradito Shemuel, abbandonato dalla fidanzata per sposarsi con un altro, così come i genitori del ragazzo, mai troppo amati dallo stesso, nemmeno negli anni dell'infanzia e infatti si legge, “Da bambino li aveva sempre traditi inventandosi dei genitori completamente diversi, genitori cordiali e forti, disinvolti, magari insegnanti del Politecnico, magari intellettuali abbienti che vivevano in collina. Genitori brillanti, affettuosi e simpatici: persone in grado di ispirare tanto a lui quanto agli altri amore e soggezione. Non ne aveva mai parlato con nessuno, di questo, neanche con sua sorella. Quando lui era piccino lo chiamava trovatello e gli diceva: te ti abbiamo raccolto nei boschi del Carmelo.”
E' tradita Atalia, rimasta vedova giovanissima per colpa di una guerra, la arabo-israeliana del 1948, così come il vecchio Wald che perse il figlio a causa degli ideali in cui credeva fermamente.
Poi c'è Abrabanel, o meglio la sua ombra, quello che era il padre non amato di Atalia anche lui vissuto in una stanza della stessa villetta e che sull'ultimo venne pubblicamente chiamato 'il traditore' dai suoi antichi seguaci politici.
Ma l'ampia disquisizione che si sviluppa lungo tutta la storia verte sulla figura di Giuda Iscariota, esaminata anche e soprattutto dal punto di vista ebraico ovvero in una variante di prospettiva sicuramente inconsueta per il credo cristiano.
Un altro significativo passaggio è quando Gershom Wald racconta al ragazzo la sua personale visione dell'esistenza, “Quasi tutti gli uomini attraversano lo spazio della vita, dalla nascita alla morte, a occhi chiusi. Anche tu e io, mio caro Shemuel. A occhi chiusi. Perché se solo li aprissimo per un istante, ci sfuggirebbe da dentro un urlo tremendo e continueremmo a urlare senza smettere mai. Se non urliamo giorno e notte, è segno che teniamo gli occhi chiusi.”
Insomma, questo non è certo un romanzo da prendere a cuor leggero, i temi su cui riflettere sono parecchi e tutti quanti capaci di suscitare una molteplicità indiscutibile di emozioni.
Lettura sicuramente raccomandabile.
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La vita, tutta in un viottolo di montagna.
Dice l'autore che quando scriveva questo libro e la gente gli chiedeva di cosa parlasse, la risposta era sempre “Di due amici e una montagna”
Certo, è vero, c'è la montagna e c'è l'amicizia tra due bambini che travalica i decenni. Cognetti però pecca di troppa umiltà, sintesi o umorismo perché dietro a queste righe c'è molto, molto di più. Esempio, un padre audace, impulsivo, irrequieto e forse un po' ingombrante. Ma sempre un padre che, senza troppo parlare, insegna al figlio che la montagna in pratica è la vita, bellissima e da affrontare senza timori o titubanze. Insomma, gli insegna ad aver fiducia nelle proprie forze, la migliore catechesi che un genitore può offrire.
“Mio padre aveva il suo modo di andare in montagna. Poco incline alla meditazione, tutto caparbietà e spavalderia. Saliva senza dosare le forze, sempre in gara con qualcuno o qualcosa, e dove il sentiero gli pareva lungo tagliava per la linea di massima pendenza. Con lui era vietato fermarsi...”
E' questo l'incipit del romanzo. Non che sia trascendentale, di quelli da memoria, ma definisce bene il passo di una bella storia, di sicura impronta autobiografica.
E poi c'è la madre, affatto solitaria come il marito. Una che, come generalmente le donne, attutisce i colpi e viene incontro, ama senza riserve e si prende cura dei suoi cari con mille attenzioni e molta pazienza. E' un personaggio importante nella prima parte (di un certo sapore sono i racconti dei mesi estivi che il protagonista-bambino trascorre alla baita sopra il paese di Grana, da solo con lei) ma che in seguito sfuma sino a divenire un satellite nella successiva narrazione, al contrario della figura paterna che resta impregnata come sudore in ogni riga scritta, in ogni scalata e in ogni vetta, pure al di fuori di quelle del comprensorio alpino. Da grande Pietro inizierà a viaggiare in Oriente e a scalare montagne ben più alte (Nepal, Himalaya) sebbene il gruppo del Monte Rosa con l'alpeggio e il montanaro Bruno, suo grande amico d'infanzia, rimarranno i perni principali di un'esistenza solitaria e un po' scontrosa, a cui tornare ad ogni occasione buona.
Il romanzo percorre trent'anni di vita offrendo numerosi spunti di riflessione soprattutto nell'ambito dei rapporti interpersonali. C'è un punto in cui Pietro, ripensando al padre ormai morto, spiega che quest'ultimo quando aveva gli scarponi ai piedi e lo zaino in spalla, davanti ai canaloni zeppi di neve tardiva, “Diceva così: che l'estate cancella i ricordi proprio come scioglie la neve, ma il ghiacciaio è la neve degli inverni lontani, è un ricordo d'inverno che non vuole essere dimenticato.”
E ancora, riguardo a un'altra esperienza di fatica sul viottolo tra rupi e creste, “Un uomo con due baffi bianchi mi raccontò che per lui era un modo di ripensare alla sua vita. Era come se, attaccando lo stesso vecchio sentiero una volta all'anno, si addentrasse tra i ricordi e risalisse il corso della propria memoria.”
Qua, a mio parere, ognuno avrà uno spunto per dare, o almeno tentare di dare le proprie personali risposte a domande cardine dell'esistenza, considerando il sentiero che sale sù, pieno di curve, pericoli e panorami mozzafiato, una lettura di indubbia chiave metaforica. Ed è certo, la prossima volta che faticherò su qualche cima 'delle mie' (non ho la pretesa dei 3000 ma, insomma, se la cavano anche le 'mie' creste marmoree preferite) ripenserò con piacere ad un altro indottrinamento che ho appreso da questo libro, “Se il punto in cui ti immergi in un fiume è il presente, allora il passato è l'acqua che ti ha superato, quella che va verso il basso, dove non c'è più niente per te. Mentre il futuro è l'acqua che scende dall'alto, portando pericoli e sorprese. Il passato è a valle, il futuro è a monte. Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa.”
Buona lettura.
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Un 'viaggio' lungo un mese.
La paura, si sa, gioca brutti scherzi. La paura del cambiamento che a volte è spaventoso ma indispensabile, intimorisce e blocca il buon vivere e la gestione delle emozionalità.
Nel libro 'Per dieci minuti' l'autrice Chiara Gamberale ci racconta con brio e leggerezza il diario di un 'mese terapeutico' della protagonista (Chiara, appunto) ovvero, la 'trovata' della psicologa per aiutare la paziente ad interessarsi nuovamente alle sensazioni, al pathos e alla quotidianità, in sostanza, per far sì che quest'ultima ritorni più velocemente possibile ad uno standard di normalità e di pienezza gioiosa.
Perché Chiara è giovane, ha quasi 36 anni quando 'subisce' la separazione dal marito con cui è sposata da dieci, anche se la loro storia dura da molto più tempo essendo, i due, sostanzialmente cresciuti insieme. E quando un matrimonio o una storia d'amore si chiude, è risaputo che la colpa non sia attribuibile in toto ad una sola delle due parti, ma qua ho intenzionalmente scelto il verbo 'subire' proprio per sottolineare la passività con cui si muove la nostra simpatica protagonista, in lotta con una profonda e affossante incapacità decisionale cronica che le impedisce di mollare l'uomo con cui ormai non riesce più a condividere quasi niente.
Nello stesso periodo in cui suo marito le comunica per telefono che non rientrerà dall'estero dove si trova per lavoro, a Chiara succedono, tra l'altro, un sacco di altre cose spiacevoli.
“L'unica a non avercela più, una vita, ero io. Al suo posto una massa informe, sfilacciata, ferita, che come unico perno su cui girare aveva lo smarrimento. Passato il momento del dolore insopportabile, poi, non c'era più neanche quello a farmi compagnia. Andavo a letto e l'unico pensiero prima di addormentarmi era la speranza di non risvegliarmi.”
Dunque, tutti i giorni, per un mese a fare una cosa nuova, mai fatta prima, uscire dagli schemi abitudinari per ritrovare la voglia di vivere, smettere di avere paura e abbandonarsi al nuovo, sembra essere l'unica medicina portentosa nonché sana opzione per ricominciare a godere dei colori e dei profumi di madre natura, di occasioni, sensazioni ed energie positive provenienti da nuove conoscenze e nuovi amici, ma principalmente, dalla persona più importante che ognuno di noi ha, sé stessi.
'Per dieci minuti' è un libro di veloce e facile lettura (180 pag) il cui messaggio principale, in buona sostanza, è un inno alla vita e come tale, indicato certamente a chi sta passando momenti ostici e di grandi delusioni. Non è però il capolavoro che credevo, (l'autrice, al momento in cui scrivo, è ai primi posti in classifica con l'ultima opera), perché con una scrittura forse troppo semplicistica e in alcuni passaggi, abbastanza scontata.
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Una battaglia senza fine, quella per la pace!
Adoro le storie vere, in particolare se riguardano le donne.
Qua c'è una ragazzina di quindici anni, una pakistana di cui nel 2012 parlò tutto il pianeta, i mass-media, le associazioni umanitarie e persino Barack Obama e altri capi di Stato, una con tanta voglia di imparare e di conoscere la storia, la geografia, la letteratura, insomma, voglia di migliorarsi ed aspirare a un qualcosa in più rispetto al destino di tutte le sue coetanee cioè, andare in sposa a un uomo senza neanche scegliere e passare la vita ad accudire marito e figli.
Ecco, secondo i talebani che le spararono sul pulmino mentre tornava a casa dopo la scuola, quel suo desiderio di conoscenza era una vergogna spropositata, una colpevolezza sicuramente da punire e un segno di monito perché a lei, in quanto femmina, il sapere era precluso a priori. E Malala era caparbia nel portare avanti quel sogno del diritto universale all'istruzione e mentre leggeva libri come 'Anna Karenina' e romanzi di Jane Austen, scriveva pure su un blog in urdu per la BBC raccontando al mondo come era faticosa la vita della donna sotto i talebani, tra l'altro assai convinta di vivere in una valle di sole molto più libera rispetto a certi luoghi del vicino Afghanistan da dove ogni giorno provenivano notizie di attentati e fatti di violenza.
Malala Yousafzai racconta la sua storia in quest'autobiografia che si legge tutta d'un fiato. Una vicenda talmente assurda che pare impossibile, per di più ai giorni nostri.
"Quell'anno una ragazza della mia classe non si ripresentò a scuola. L'avevano data in moglie non appena aveva raggiunto la pubertà. Era alta per la sua età ma aveva solo tredici anni. Qualche tempo dopo sentimmo dire che aveva avuto due bambini. In classe, mentre recitavamo le formule degli idrocarburi nell'ora di chimica, fantasticavo su come sarebbe stato smettere di andare a scuola e dedicarmi invece a un marito."
E' un libro consigliatissimo sia per i ragazzi che per tutti quanti, secondo me. Oltre a mostrare lo spaccato di un territorio e di un credo religioso, oltre a sensibilizzare verso queste realtà così differenti dallo standard femminile europeo e civilizzato, è pure la celebrazione della forza femminile e del coraggio che tante volte occorre, in particolare alla donna – ma non è detto, visto che anche l'uomo prima o poi serve... - per uscire fuori da situazioni dolorose e inverosimilmente proibitive.
Malala dopo l'attentato cadde in coma e dopo giorni di vicissitudini sanitarie nel suo paese, alla fine fu portata a Londra e là operata per rimuovere chirurgicamente i proiettili dalla faccia e dalla nuca.
Qualche anno dopo è stata insignita del Premio Nobel per la Pace ed è così divenuta il simbolo universale della lotta contro la sopraffazione dei giovani e del diritto all'istruzione.
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Una finestra che 'vede' spaccati di vite diverse
“In tutte le anime, come in tutte le case, al di là della facciata c'è un interno nascosto” - Raul Brandao
Parole in dedica che stanno all'inizio di 'Lucernario', romanzo postumo di Saramago, uscito nel 2011, l'anno dopo la sua morte, pagine scritte negli anni '50 e andate poi perdute in una soffitta d'altri, dimenticate per decenni.
Ordunque, considerando che qua si raccontano le molte vite che abitano gli appartamenti di un condominio, è chiaro che di anfratti nascosti da scoprire e sviscerare se ne troveranno più d'uno...
Il libro è ambientato in una Lisbona di fine anni '40 - inizi '50, e presenta una trama quasi ottocentesca per la nitidezza con cui vengono descritte le anime dei vari personaggi, nonostante un autore ancora giovane, nemmeno trentenne, pertanto con una scrittura che a regola potrebbe essere piuttosto acerba mentre sul concreto, risulta di una eccellente finezza psicologica.
Il condominio è quello di un quartiere popolare non ben precisato della capitale portoghese ma, sebbene tutti i condomini del mondo si assomiglino per questioni interne di imbarazzanti convivenze, a volte anche tremendamente fastidiose, e nonostante i personaggi siano descritti quasi esclusivamente nell'intimo delle loro quattro mura, senza uscite in esterna se non quella di uno dei protagonisti maschili che si troverà a girovagare senza meta, di notte, sul finire del racconto, il sapore caratteristico della nazione spicca forte e nitido aiutato da una 'saudade' imprescindibilmente portoghese che trasuda da ogni volto, ogni stanza, ogni anfratto nonché dalle nostalgiche note del fado che fuoriesce da qualche finestra socchiusa, in lontananza.
Fascinosa è la descrizione di Piazza Rossio (già all'epoca una delle zone più vivaci e centro di ritrovo della cittadinanza) che rifulge di “pubblicità, una dopo l'altra, come stelle dell'Annunciazione” mentre “una carrozza con due cavalli, uno in azzurro e uno in bianco, sosta al lato della strada, le automobili sfrecciano sull'asfalto, e le grida dei venditori di giornali, e l'aria pura di libertà” danno l'idea del quartiere cittadino operoso, vivido e accaldato, quello della Baixa, in cui un Emilio finalmente lieve, si muove dopo la partenza della moglie e del figlioletto. Ecco, le vicende della famigliola formata da Emilio, Carmen ed Henriquinho, ad esempio, ci danno molto da pensare in quanto i conflitti tra marito e moglie e le sofferenze anche inconsce del piccolo di sei anni, sono sviscerate e raccontate con una psicologia narrativa paurosa, se teniamo conto della giovane età dello scrivente. E poi, perché no, ci danno pure da sorridere visto che l'autore in più momenti sottolinea il succo del vecchio e universale proverbio “moglie e buoi dei paesi tuoi” dato che Carmen è spagnola mentre il marito è un portoghese purosangue... “Dicevano i portoghesi che 'da Spagna nozze e venti, son sempre patimenti...' … Be', 'dal Portogallo, né marito né...'. Carmen non aveva abbastanza immaginazione per inventare un finale che corrispondesse a un maleficio lusitano, ma aveva ben presenti tutti i malefici che proliferavano al di qua della frontiera.”
Uno dei pezzi-forte del romanzo è il calzolaio Silvestre, l'inquilino del piano terra. Lui e la moglie Carmen sono due anziani coniugi che affittano per necessità una stanza al giovane Abel Nogueira il quale fugge dai tentacoli di una vita incasellata e ordinaria. Ecco, questi tre soggetti, ma più che altro i due uomini, fanno da perno ai molti ragionamenti filosofici sull'esistenza umana e sul senso e la gioia di vivere, ed è davvero un piacere leggere le loro conversazioni, non sempre concordi e paritarie.
Qualche piano sopra ci sono Isaura e Adriana, le due figlie trentenni di Candida, sorella di Amelia, queste ultime entrambe vedove attempate: vivono compostamente riunite nello stesso appartamento, avvinte dalla passione per la musica classica e per il cucito e, in pratica, perse in un mondo tutto loro, estraneo e lontano dai banali schemi comportamentali e di pensiero tipici delle femmine in presenza di un maschio.
E c'è la signorina Lidia, una trentatreenne non bellissima dallo sguardo fascinoso e accattivante. Quando esce e tacchetta giù per le scale condominiali, si porta dietro un'aurea di femminilità e sensualità che 'si taglia a fette' ma pure una grossa mole di invidia e malevolenza. Sono in molti ad ammirarla e invidiarla segretamente, i più dall'anonimato delle loro finestre, quando lei, girando per casa in libertà, appare dietro alla tendina di una delle finestre d'affaccio sul cortile interno, con addosso solo una vestaglia sensualmente sbottonata e le braccia nude e morbide, inconsapevole di essere spiata... E certo, la cosa più intrigante è che tutti i condomini 'sanno', ma fanno finta di non sapere, (ricordiamoci che siamo a fine anni '40) che tre volte a settimana Lidia riceve la visita del signor Morais, imprenditore cinquantenne che “non vuole problemi” e per questo le paga vitto e alloggio in centro, trattandola da vera signora.
Vi sono anche altri personaggi interessanti ma per non dilungarmi troppo ne lascio a voi l'eventuale scoperta, concludendo con il dire che 'Lucernario' può benissimo essere considerato un romanzo di persone, uno spaccato psicologico delle molte individualità umane e lo svisceramento dei ruoli e dei legami, sia d'amicizia che familiari. Sicuramente, pagine ove un lettore attento potrebbe anche trovarvi situazioni frequenti o magari anche personali, forse alcune scontate ma descritte comunque, con una finezza ed una economia narrativa davvero rara e, azzarderei, quasi risolutiva.
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Tre giovani esistenze in parallelo
Dopo tre opinionisti scettici e negativi più qualche anno di distanza, giusto per contrastare e rinvigorire lo scambio tra i lettori di questa sede, inserisco due personali righe sufficientemente positive sull'ultimo romanzo di Eugenides (titolo originale 'The marriage plot', uscito in Italia per Mondadori nel 2011), specificando un'importante premessa e cioè che, nel caso le attese fossero per il classico triangolo amoroso con esplicita e passionale narrazione così come suggerisce la copertina con i tre corpi, uno femminile e due maschili, avvinti e sospesi in una languida ed espressiva carezza, si resterebbe alquanto delusi e disattesi.
Madeleine, Leonard e Mitchell, le principali voci del testo, si muovono in una scoppiettante America di inizio anni 80 cercando il proprio tassello nel mondo dopo la fine del percorso universitario.
Le loro giovani esistenze, descritte sostanzialmente nell'arco temporale di un anno o poco più, sono fisici prestanti e menti colte fatte di sogni, speranze, ormoni, ideali e spiritualità, che si intrecciano di continuo in una narrazione tra spazi territoriali e persino tempi diversi (sono frequenti le rievocazioni al passato).
E' il matrimonio, tema principale della letteratura tradizionale Ottocentesca e indiscusso protagonista dei maggiori capolavori femminili dell'epoca, che in questo corposo romanzo ritroviamo, sebbene rivisitato in chiave contemporanea cioè con un nuovo senso dopo la comparsa di termini quali, 'divorzio', 'parità dei sessi' ed emancipazione femminile.
Ultimamente è difficile trovare un libro che parli solo di matrimonio, altri e ben più variegati sono gli argomenti attuali anche se, il tema in questione (per alcuni ormai scavalcato a beneficio di generi più futuristici tipo fantasy e Cyberpunk) resta pur sempre una parte importante della vita intima di ciascuno di noi, che lo si desideri e sogni ad occhi aperti così come il contrario, di conseguenza leggerne è un po' come ragionare sui nostri stati interiori o sulle nostre aspettative più intime.
E si può dire che “La trama del matrimonio” sia una lettura erudita perché pullula di riferimenti e citazioni letterarie – in particolare su Roland Barthes e il suo 'Frammenti di un discorso amoroso' - nonché di ampi tratti filosofici e psicologici che si addentrano nelle personalità e nelle realtà di provenienza assai differenti dei tre protagonisti, così come un testo ricco di fascinose descrizioni territoriali in quanto uno dei tre neo-laureati, Mitchell, parte per un anno sabbatico in Europa e in Asia alla ricerca del proprio sé o forse in fuga dall'amore idealizzato e non corrisposto (o almeno, non concretizzato), quello per Madeleine, studentessa avvenente e 'perfettina' che si innamora invece di Leonard. Ecco, tra l'altro quest'ultimo personaggio permette all'autore l'approfondimento sullo spinoso tema della depressione e dei vari sotto-generi molto chiacchierati e sempre più frequenti negli ultimi decenni, la bipolarità e le attitudini maniaco-depressive, in quanto oltre alla bellezza esteriore, all'intelligenza e a un ottimo livello di cultura, mostra e si impantana sempre più in eccessi comportamentali e gravi squilibri nervosi.
A questo punto non aggiungo altro altrimenti potrei 'spoilerare', e non è mia abitudine.
Ma un'ultimissima cosa la dico, è un avvertimento per quella lieve pecca nella trama iniziale: perseverate sul principio della lettura, perché l'articolazione di certe pagine non aiuta e la storia, lì per lì, pare non decollare mai. Ma una volta preso il volo, soprattutto quando lo farà anche Mitchell recandosi a Parigi, vi ripagherà a sufficienza.
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L'ultima sigaretta.
Il resoconto dell'esistenza altalenante di un uomo della ricca borghesia triestina dei primi del Novecento.
Potrebbe essere il titolo che sommariamente descrive una vita 'divorata' da un conflitto interiore sempre acceso che porta il protagonista al perenne andamento fluttuante e contraddittorio tra salute e malattia, gioia e tristezza, coscienza e inganno, vocazione e inettitudine.
'La coscienza di Zeno' è uno dei più grandi, forse il più grande romanzo della letteratura italiana del Novecento, sicuramente uno spaccato di psicanalisi profonda che invita al ragionamento su punti focali riguardanti l'esistenza di ognuno di noi, sotto tutte le sfaccettature, nonché sul destino e sulla voglia di vivere.
Zeno è il protagonista e ci racconta la vita in prima persona, come parlasse ad un interlocutore invisibile, assai paziente e che ascolta senza giudicare.
In realtà nelle prime pagine Zeno confessa chiaramente il suo forte bisogno di narrare alcuni periodi dell'esistenza, i più salienti e per lui significativi, dopo l'abbandono della terapia di psicoanalisi presso uno specialista cui si era rivolto in passato per tentare di smettere di fumare (o almeno quella era la banale scusa), pertanto quel suo lento narrare pare automaticamente assumere i connotati di un vero e proprio sfogo catartico, tra l'altro con un inconscio e velato ma utilissimo invito alla meditazione.
Anche se quest'opera è scritta con un linguaggio ormai desueto e non certo con terminologie, modi di dire e punteggiatura tipica contemporanea, una volta entrati nel meccanismo e nella vicenda risulta facile appassionarsi al procedere – talvolta a tentoni - del miope (in senso di miserabile e arido) nonché quasi imbarazzante protagonista, e in un batter d'occhio ci si ritroverà nelle ultime pagine, a trarre profonde riflessioni sul finale di Svevo, il quale magistralmente allude (si pensi all'epoca in cui l'autore scrive ovvero immediatamente dopo la fine della Prima guerra mondiale) ad una salvifica catastrofe non naturale portatrice di un nuovo e più salutare equilibrio sulla Terra.
“La legge del più forte sparì e perdemmo la selezione salutare. Altro che psico-analisi ci vorrebbe: sotto la legge del possessore del maggior numero di ordigni prospereranno malattie e ammalati.”
E come periodo ultimo, giusto prima della parola 'fine':
“Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un pò più ammalato, ruberà tale esplosivo e s'arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un'esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie.”
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Psicologia in pillole.
Nella rete vi sono diversi pareri dubbi o addirittura negativi riguardanti il romanzo 'La quarta sorella' ritenuto da alcuni un 'malloppone' di difficile digestione e per questo mollato entro le prime cinquanta pagine o poco più, ma assolutamente, sebbene dopo un inizio a rilento prendo le distanze da chi, dimostrando pressapochismo e impulsività, si permette giudizi precoci e coloriti.
Sebbene in principio l'opera possa apparire come un saggio psicologico, a storia incanalata, si delinea un vero e proprio romanzo peraltro incentrato su un argomento attuale quale il crimine familiare.
L'autore, uno dei più grandi psichiatri italiani, è Vittorino Andreoli e in quest'opera uscita per Rizzoli nel 2013 mette a nudo le perversioni dei ruoli talvolta malati all'interno delle mura domestiche, le quali per tradizione popolare, dovrebbero essere le più sicure e capaci di proteggere l'individuo dai mali del mondo mentre, spesso risultano essere delle vere e proprie polveriere pronte a scoppiare e a distruggere il bene.
Senza alcun anticipo di trama, garantisco che tra queste pagine si spiegano in modo chiaro e comprensibile i possibili conflitti legati ai ruoli esistenti all'interno di una classica famiglia, quindi, ad esempio, il rapporto – qua complicato e morboso - tra un marito e una moglie sposati da trent'anni e ancor più specificamente sono scandagliati i rapporti filiali, sia quelli tra padre e figlia che quelli tra madre e figlia femmina, e lo si fa pure con minuzia descrittiva riguardo l'importante concetto del conflitto di Edipo-Elettra.
A tre anni, dopo il periodo della simbiosi e dell'attaccamento in particolare materno, il bimbo ancora manca di una precisa percezione del Sè ma a partire da questo momento verrà attratto dalla polarità opposta e la stessa crescita incontrerà problematiche diverse a seconda si tratti di un maschio o di una femmina.
La bimba sarà pertanto maggiormente attratta dal papà ma, da ora in poi, con la precisa consapevolezza di essere individuo a sé stante rispetto alla madre, e di conseguenza, potrà vedere chiaramente che il suo amatissimo genitore nonché oggetto del desiderio d'amore, preferisce il dialogo con la mamma.
Dunque, chi le ha dato letteralmente la luce, diventerà un grosso e imbarazzante ostacolo che minaccia di offuscare il bisogno di attenzioni paterne: da qui il complesso di Edipo, dinamica psicologica che non è invenzione o mitologia ma un paradigma comportamentale assolutamente naturale e che, se non si risolve in maniera spontanea, creerà notevoli danni letteralmente bloccando l'esistenza dell'interessata.
Cit. “Abitualmente il complesso di Elettra o di Edipo si scioglie perché di fatto avviene una uccisione soltanto simbolica. A favorire questa soluzione aiutano i genitori quando riescono a mostrare che la bambina può conquistare il padre in maniera completa anche se la mamma non sparisce affatto e non muore ma permette il godimento e il piacere di stare con il proprio padre.”
Nello sviluppo dell'opera troveremo numerose perle di psicologia applicata ad altri argomenti non meno importanti quali ad esempio, la morte, l'esistenza, il rapporto tra uomo e Dio e dulcis in fundo, l'amore, tema di cui si fa ovunque un gran parlare ma che qua viene descritto dallo stesso Professor Andreoli in chiave non propriamente positiva bensì come una vera e propria dipendenza che distrugge la libertà individuale di vivere.
Cit, “l'uomo si lega per amore e non riesce più a slegarsi ma è l'uomo che sceglie di innamorarsi e che, si può dire, perde la libertà in virtù della libertà.”
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Il 'sangue', a volte, non conta.
Il romanzo mi ha conquistato fin dalle prime pagine sia per l'avvincente tecnica di scrittura (ciascun personaggio parla in prima persona, come scrivesse un diario), sia per la curiosità che l'autrice riesce sapientemente a stimolare, fin dal prologo datato 1993 da cui si suppone e si intravede una articolata storia familiare il cui nodo risale a molti anni prima.
La storia di Ariele e Rebecca, due gemelle di origine ebrea dai temperamenti molto diversi tra loro, in barba al sangue e alla genetica, l'una sensibile ed introversa, l'altra ribelle e mai contenta, si articola in tre corpose e differenti parti ciascuna delle quali con salti temporali significativi e inizia ai tempi della seconda guerra mondiale per giungere, non senza scossoni e colpi gobbi, sino ai più pacati giorni nostri.
La vita di ciascuno di noi, la natura stessa dell'uomo, l'amore, è in costante trasformazione così come un fiume che scorre e scende a valle tra numerosi tornanti assumendo anche velocità diverse; se c'è una cosa che ho imparato sulla mia pelle è che non si è mai uguali a 'prima', nessuno lo è, siamo tutti immersi in un continuo divenire pertanto, osservando certe persone e in particolare i loro atteggiamenti e azioni, talvolta sarebbe il caso di andare oltre tentando di comprendere il perché: Rebecca, con la sua sopravvivenza all'orrore dei campi di concentramento, ne è l'esempio.
Rebecca incanalerà la sua vita in un'aridità tale da non attaccarsi mai troppo alle persone e da non permettere più a nessuno, nemmeno al fato, di calpestare la sua strada.
L'unica pecca di questo libro, a mio modesto parere, è l'uso di un linguaggio comune a tutti i personaggi, in pratica un appiattimento dovuto al medesimo stile di espressività, cosa assai improbabile nella realtà visto che ogni essere umano ha il suo caratteristico e personalissimo modo di esprimersi.
In conclusione, a parte questa lieve pecca linguistica su cui si può anche soprassedere, la storia funziona, scorre bene, soprattutto nell'ultima sezione narrativa in cui alcuni colpi di scena incuriosiscono e avvincono il lettore, ma in particolare, fin dalle primissime righe è un calderone di stimoli per la mente e per il cuore.
Fa pensare, insomma, e molto.
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Vivere e non sopravvivere
Ciascuno di noi cerca di dare un senso alla propria vita: c'è chi lo fa attraverso gli altri, le persone che incontrerà durante il breve o lungo percorso, e chi invece, esclusivamente tramite la propria aspettativa e personale realizzazione.
Insomma, ognuno di noi ha il proprio modo di trovare la felicità (o anche l'infelicità) e, non volendo considerare le intriganti ma difficili teorie filosofiche sull'argomento, direi che la cosa più semplice, banale ma anche veritiera è che, la vita, di fatto, non ha uno scopo ben preciso se non quello dello stesso vivere.
Ed ecco questo romanzo di Elisabetta Sabato dal titolo emblematico, “Vite fragili”, ci offre la possibilità di saggiare le diverse sfaccettature della vita tramite le vicende di una folta schiera di personaggi, alcuni costretti a vivere sotto l'oppressione di una maschera, altri ancora intrisi di sofferenze e sogni di un'esistenza migliore.
Nel corso della lettura si potranno sperimentare svariate emozioni umane, forti e spesso contrastanti: si parte da Alice che con la sua enorme voglia di farcela e l'ambizioso progetto di realizzare Villa Guastilla assieme al marito ci farà sognare e ben sperare in un positivo risvolto del fato, per poi passare alla crudeltà e alla cattiveria gratuita di certi altri loschi individui che vivono i loro giorni di macchinazioni e inganni, Nina e Linda, e infine sfociare in un tema ancora più forte, quello del male totalizzante e distruttivo che si configura nella pazzia, con Hamide, maestra d'asilo perfida e violenta cui non basterà pagare con il carcere per rientrare nei ranghi della quotidianità ma si macchierà ancora di una grave colpa che porterà ad un amaro epilogo.
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Due anime simili si riconoscono ovunque
L'erotismo tradotto in righe e parole è quanto di più arduo si possa narrare.
'Partorire' un erotico ben scritto, con una storia concreta che susciti curiosità e attrazione senza scaturire in esasperanti volgarità o peggio ancora in pericolose mistificazioni di ideologie, semplicemente, non è da tutti.
Qua invece si entra di prepotenza sin dal primo capitolo, anzi dal prologo, nel pieno di una trama intrigante di mafia russa ovviamente condita del classico cliché, lusso sfrenato, bellissime femmine su tacchi vertiginosi, crudeltà, sangue, eleganza e sesso, tanto, tantissimo sesso, che la nostra autrice Malia Delrai ci narra tramite una scrittura assai espressiva e colorita.
Il filo conduttore che inchioda al romanzo è la rivalità all'ultimo sangue tra le due più importanti e feroci band mafiose della città tramite le vicende del nostro bel protagonista quarantenne, Ivan Volkov, killer di professione e braccio destro del fascinoso capo di una schiera, che fin da subito rimarrà invischiato nelle maglie amorose – o meglio, sessuali - della figlia poco più che ventenne del boss nemico che dovrà uccidere quanto prima.
La suspense erotica non ci molla mai, incolla alle pagine lasciandoci in balia di quella profonda e folgorante passione tra anime che si riconoscono nella moltitudine, quelle di Ivan e di Ania Mikhajlova, in uno sfavillio di emozioni e turbamenti che incantano e stimolano al prosieguo della lettura.
L'odore di morte, droga e sostanze così come di donne e feromoni impazziti è nettamente percepibile in ogni momento e non passa capitolo ove non se ne avverta la presenza quasi ossessiva, pertanto, “Ivan”, per gli amanti del genere sarà sicuramente un romanzo da divorare e da non perdere assolutamente.
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Tre pianeti di una costellazione unica
Dacia Maraini è un'affermata scrittrice italiana molto conosciuta anche all'estero che ha sempre narrato di infanzia e del mondo femminile in tutte le sfaccettature.
In quest'ultima opera intitolata proprio “Tre donne” ci parla della vita di una nonna, una mamma e una figlia, tre generazioni sotto lo stesso tetto per necessità, e lo fa in maniera dinamica e piacevole alternando capitoli scritti in prima persona da ciascuna delle protagoniste.
In pratica una 'verità' dei fatti osservata e filtrata, quando, dai vivaci occhi di nonna Gesuina, un'arzilla poco più che sessantenne che odia invecchiare, quando da quelli più pacati e anche fin troppo ingenui di sua figlia Maria, vedova quarantenne innamorata di un coetaneo francese, e infine dalla nipote Lory, studentessa svogliata e irresponsabile di cui, fin dalle prime pagine, è evidente la corposa somiglianza caratteriale con la nonna.
Tre mondi, tre pianeti diversissimi fra loro, perché – come ama ripetere la stessa autrice - ogni donna è un equilibrio, una sensibilità a 'se stante'.
Per il lettore (almeno per me, lo è stato) sarà particolarmente interessante esaminare i vari aspetti della medesima storia di vita narrati da occhi e caratteri differenti.
Che poi, a pensarci bene, una diversa visione e valutazione della stessa cosa è possibile tramite quella particolare empatia che tutti quanti dovremmo avere nelle vite reali, ogni giorno, e che in alcuni – difettando - impedisce di comprendere le altrui realtà e ragioni nascoste creando insormontabili ostacoli (anche quando parrebbero insulsi pulviscoli...), gelosie e muri pericolosamente invalicabili.
Il perdurare nel clichè del non voler cambiare e del mai mettersi in discussione assieme a quell'orrenda scusa “che ci posso fare, tanto sono fatto così...” ma anche lo stesso blindarsi dietro a dubbie scuse o chiudersi a riccio in una propria personalissima visione del circondario, sono tutte azioni che possono, sì, provenire da paure inconsce, egocentrismo o anche semplice pigrizia, ma nel complesso non possono portare altro che a noie, dolore e guai.
Maria ne è un chiaro esempio.
Maria è una donna sensibile, delicata, un'indefessa lavoratrice che non esita a fare nottate sopra ai suoi libri e ai testi, traduce infatti per una casa editrice, ha un fortissimo senso di responsabilità per se stessa e anche per le altre due.
E' un tipo insomma che prende tutto troppo sul serio.
E quando accadrà quella certa situazione (che non vi spammo assolutamente!) si creeranno sconvolgimenti nell'equilibrio (fasullo) di questa famiglia tutta in rosa.
Senza alcuna presunzione e senza voler cadere nella banalità dunque, credo che la Maraini in questo suo ultimo sforzo, intenda più che altro farci riflettere sul senso lato della vita.
La vita che, prima o poi, presenta difficoltà e dolorosi imprevisti a chiunque.
E il superamento, l'andare oltre, lo smussare certi lati disastrati del nostro privato, molto (se non tutto!) dipende dal carattere che ci ritroviamo ma in particolar modo, dalla volontà e dall'impegno che intendiamo spendere.
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Scrivere è terapeutico.
Se volete addentrarvi in una simpatica e soave storia di uno scambio epistolare segreto in un paesino arroccato sui monti, con l'unico nobile fine di evitare la chiusura dell'ufficio postale e il conseguente trasferimento della postina Sara, madre single con tre figli a carico e spodestata da posta elettronica, questo romanzo delizioso di Angeles Donate – autrice spagnola contemporanea - credo possa fare proprio al caso vostro.
In realtà poi nel libro troverete anche molto sull'amicizia e la virtù preziosa e intrinseca che essa apporta pure tra persone di età lontane, oltre che il valore benefico – frequente ma non scontato - del ritorno nei luoghi felici dell'infanzia; poi, se proprio vogliamo, tra le righe scoveremo pure un vago riferimento agli incontri karmici che ricongiungono e risolvono anime in difficoltà.
Per finire, le vicissitudini di una poetessa di fama mondiale in incognita nascosta in un vecchio casale del paese, la creazione del primo book-club locale e l'inizio di due belle storie d'amore, una frutto di seconde possibilità pertanto ancor più significativa di speranza.
Nei libri in genere si narrano drammi, omicidi o suicidi, amori (con la predilezione per quelli impossibili), oppure ci si avventura in passione e tradimento o anche traumi psicologici e conseguenze che ne derivano... insomma ce n'è davvero per tutti i gusti.
Qua troveremo molto di tutto questo, forse troppo (almeno a mio parere); pure una serie di citazioni famose di scrittori e poeti del passato sviolinate tramite lettere anonime spedite alla postina del paese, con un risultato che forse – alla lunga – rende l'insieme assai mieloso e quasi stucchevole.
Ma ripeto, potrebbe essere solo una mia impressione, non vogliatemene.
Di sicuro “Il club delle lettere segrete” è un'ode e un incitamento alla scrittura vecchia maniera, quella con carta e penna Bic (col calamaio è un po' azzardato...?) e senza l'artificio della posta elettronica o delle varie chat, oltre che un romanzo assai indicato per il mondo femminile in quanto la maggior parte dei personaggi sono proprio donne, femmine di ogni età che con la loro proverbiale forza sono capaci di rialzare sempre la testa, anche dopo pesanti fallimenti.
Concludendo, è la prima volta dopo tanto tempo che mi capita di non essere decisa né convinta se consigliarne o meno la lettura.
Mettiamola così, solo se non cercate storie troppo intricate (o intriganti).
Dillo con un fiore
Nell'era contemporanea dove il quotidiano persiste in febbrile modalità 'on', sempre accesa e su di giri, piena zeppa di stress, problematiche e manie, può anche darsi che ad alcuni di noi, una cosa semplice come il simbolismo dei fiori e in particolare il messaggio che è possibile esprimere regalando il fiore giusto, possa essere considerata assolutamente demodé, per non dire una banalità o una roba 'da sciocchi'.
Ebbene, in questo romanzo, con semplicità e naturalezza si esalta l'importanza della comunicazione tramite i fiori, usanza ottocentesca ormai perduta, inducendo e accattivando chi non ne fosse a conoscenza ad un approfondimento sull'arte della florigrafia.
E poi si racconta di un viaggio, avventuroso e in solitaria, una faticosa traversata in mare.
L'esistenza stessa è un viaggio, è risaputo, e in questa storia di amiche al bivio dei quaranta la protagonista compie un vero e proprio lavoro di ricostruzione personale, una sfida col mondo fuori dal suo sé, che non ha mai assaporato a pieno per la pigra scelta di vivere da 'copilota' lasciando le decisioni agli altri, e lo fa tramite la navigazione in solitaria dello stretto di Gibilterra con la barca a vela lasciatole dal marito, morto da un anno.
Le quattro donne si conosco al Giardino dell'Angelo, un posto quasi magico dove le piante e i fiori regnano mentre la proprietaria del negozio, Olivia, una donna più grande e navigata, suggerisce loro in maniera indiretta e delicata certi preziosi accorgimenti di vita.
Siamo a Madrid nel quartiere più bohémien della città, dove pare abbiano vissuto anche Cervantes e Lope de Vega, in un'ambientazione pertanto ricca di sapori e colori da atmosfera passata nonché di una corposa creatività anticonformista e il nostro Giardino dell'Angelo è un posto quasi magico, armonioso e piacevole, al cui centro si erge un antico olivo ove è appesa 'l'altalena della riflessione'.
E' attorno a quest'ultima che le nostre amiche, nei momenti più critici e decisivi, ritrovano se stesse, ricaricandosi di energie.
In sostanza le righe della Montfort sono un costante invito alla connessione con i ritmi della natura, la quale è grazia e notevole fonte di ricarica e di autorigenerazione.
Può darsi che nelle ultime pagine l'autrice si sia lasciata cadere in piccoli tratti di banalità (attraverso la bocca delle protagoniste) con l'enunciazione di pillole psicologiche da frasi fatte, tipo “Concentrati su ciò che hai e non su ciò che perdi” oppure “Vivere può sporcare ma non deturpa”, ma nel complesso questo è un libro piacevolmente leggibile anche se, a mio parere, più carezzevole e appetitoso agli occhi di una lettrice.
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Due mondi estranei e lontani
Siamo negli anni ottanta sulla Transiberiana, la leggendaria ferrovia che porta da San Pietroburgo sino a Ulan Bator in Mongolia, e traversa l'Europa orientale e l'Asia settentrionale impiegando oltre una settimana di tempo.
Nello scompartimento numero sei una ragazza finlandese timida e riservata, tormentata dai ricordi dell'amore con un moscovita entrato in manicomio, si trova a dover convivere per l'intera durata del viaggio con un estraneo, un rude e violento uomo russo sciovinista, misogino e sbevazzatore di vodka che si reca a destinazione per lavoro.
Ovviamente non sarà cosa facile, soprattutto per la giovane donna.
La sapiente descrizione dei caratteristici paesaggi e della taiga innevata che scorre fuori da quel finestrino è un potente propulsore che invita al prosieguo della lettura anche quando il 'nostro' personaggio maschile si renderà odioso, più di quanto già non sia, esternando e vomitando le sue folli teorie sulla donna e sulla vita in generale, per lui così come per tanti altri maschi nativi della grande madre Russia, piena di istinti brutali nel tentativo di sopperire alla disillusione e al vuoto circostante.
Tra queste righe si specchiano dunque le due realtà che muovono il mondo, quella femminile e quella maschile, attraverso crude verità che lasciano spazio a riflessioni.
Non solo, Rosa Liksom è abilissima nel restituirci l'idea della perenne nostalgia del popolo russo che vive costantemente nella disillusione e nella fierezza per il rimpianto del passato, come dire, in un eterno sogno cechoviano.
E se in alcuni passaggi la crudezza di certe desolanti realtà (oltretutto se lette da occhi femminili) intristisce quasi invogliando a mollare la lettura, l'ultima pagina ha il sorprendente potere di ristabilire equilibri volgendo verso un futuro più luminoso e positivo.
Quest'opera, finalista al Premio Strega Europeo e vincitrice del Premio Finlandia, è indicata – almeno a mio sindacabile parere – per un lettore che non sia solo amante del viaggio e di lande sconosciute ma anche particolarmente bramoso di tuffarsi nel cuore del patriottismo ormai rassegnato di un popolo che si vanta e si consuma nel continuo rimpianto dell'antica maestosità dell'Impero.
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L'accettazione
L'ultimo periodo della vita è un argomento spinoso per la maggioranza delle persone, soprattutto oggi, nella società consumistica del ventunesimo secolo dove perfezione, bellezza e massima realizzazione imperano a dismisura, dove i 'cinquanta' sono i quaranta di trent'anni fa, e dove le principali chiacchiere da coiffeur (quando non siano pettegolezzi di cattivo gusto) sono palestra e glutei, dieta vegetariana e benefici delle spezie in infusione.
Tutto deve essere sempre al top, corrispondere a canoni di positività e gioia e gli unici verbi contemplabili sono brillare, eccellere, distinguersi, godere.
Del corpo che cambia e non risponde più come quand'era fresco e giovane è preferibile non disquisire, anzi, così facendo alcuni assurdamente si 'anestetizzano' con la convinzione che quella specie di 'triste morte lenta' a loro non accadrà mai o almeno in misura lieve rispetto ai tanti sfortunati.
E' la paura della sofferenza fisica e del dolore prima del reale trapasso, a farla da padrone; il timore dell'inesorabile distruzione del proprio essere (ivi inteso nel binomio corpo-psiche) e per i più indipendenti, il pensiero di quando la non auto-sufficienza probabilmente costringerà a richiedere favori e aiuto altrui.
In questo delizioso romanzo la sapiente penna femminile della Ravera rincuora e aiuta i più timorosi della vecchiaia a ricollocare gli ultimi anni in una sfera più ampia ed evanescente, attraverso l'idealismo della protagonista, la sua gioia di vivere e la rincorsa della felicità e dei sogni, proprio come accade quando si è giovani e con i teorici decenni avanti a noi.
Costanza Gatti ha sessantaquattro anni quando eredita dal padre una cospicua quanto inattesa somma di denaro più un vecchio convento a Civita di Bagnoregio, piccolo borgo laziale detto 'la città che muore' per la caratteristica geomorfologica del terreno circostante che col tempo lo ha isolato dal resto della vallata, e a cui si accede solo tramite ponte pedonale in cemento armato.
Quasi subito alla brillante signora viene in mente un'idea bizzarra cioè ricreare nell'austero convento ristrutturato una specie di 'ricovero' per i suoi vecchi amici dell'età della ribellione, i vent'anni vissuti in una 'comune' a Milano in mezzo a ideali politici e illusioni sul futuro.
La storia si dipana quindi attraverso la ricerca dei vecchi amici persi di vista quarant'anni prima, una miriade di contraddizioni, rivalse e fallimenti e il rapporto con l'ex-marito Dom, compagno di una vita e figura fedele e onnipresente anche dopo la separazione ma con cui alla fine si troverà a dover fare i conti perché, volente o nolente, il tempo cambia ogni cosa e talvolta pure le persone.
L'unica via d'uscita è l'accettazione e a Costanza, energica e pure un pò egoista, volendo 'salvarsi' non resterà che metabolizzare e accogliere il cambiamento.
Ecco quindi che attraverso le vicende della simpatica protagonista femminile la Ravera ci mostra la chiave di lettura dell'esistenza stessa ovvero il lasciar fluire eventi ed energie, non rimanendo passivi o rassegnati, combattendo, certo, senza però ostacolare il naturale percorso delle cose.
Che non è poi un percorso così facile né scontato...
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Il trapassare non è cosa facile
Opera piaciuta moltissimo sin dalle prime pagine, per ben due motivi:
1 - il singolarissimo modo di scrivere dell'autore americano contemporaneo, George Saunders;
2 – un tema delicato, inconsueto, non certo inflazionato.
Lo scrittore ha qui preso un personaggio 'a caso' dalla storia d'America, l'assai noto Abramo Lincoln, per illustrarci con maestria l'accezione spirituale del termine 'bardo' attraverso la dolorosa vicenda privata (la morte di uno dei figli) del famoso Presidente.
Il 'bardo', per chi non lo sapesse, è quello stato intermedio dopo la morte in cui l'anima si separa dal corpo fisico, e quasi sempre lo fa mostrando ritrosia e sofferenza per la mancata accettazione della separazione dai propri cari ancora viventi, un periodo sospensivo che può durare dai pochi minuti sino a parecchio tempo.
E' un argomento toccante e assai personalizzabile: ci sarà difatti chi avrà da ridire sulla credibilità dell'inconsistente momento di latenza, chiamiamolo così, e chi essendo già convinto fautore del tema 'reincarnazione' non farà fatica nell'avanzamento della lettura.
Da sottolineare la stravaganza e l'originalità della tecnica con cui l'autore espone i vari punti di vista delle anime di purgatorio già da tempo presenti in quel limbo ove la coscienza si deforma e cambia orientamento, fantasmi che accoglieranno e guideranno lo spirito impaurito e 'bloccato' del piccolo Willie, morto di tifo ad appena undici anni.
E' questo il primo romanzo di Saunders, dopo molte raccolte di racconti, uscito negli Stati Uniti a febbraio 2017 pertanto da poco più di un anno.
Pare un esperimento riuscitissimo.
Ne consiglio vivamente la lettura, soprattutto nel caso in cui si abbia necessità di una totale diversificazione dalla classica narrativa.
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Siamo tutti in viaggio
La vita è un insieme di strade che possono intrecciarsi o meno, un potpourri di percorsi razionali, voluti, decisi a tavolino o anche incongrui e vagamente contradditori, proprio come in questo libro.
L'India è una terra che ispira possibilità altrove additate come pazzie, come scelte inopportune, per antonomasia è la terra dove noi occidentali potremmo trovare, tastare con mano la via alternativa e fuori da ogni schema, regola e/o controllo, è un luogo il cui particolare e corposo fascino attira individui 'in cerca di qualcosa' per periodi brevi o per sempre.
In India si sono perse le tracce di molte persone che hanno deciso un bel giorno di fuggire dalla costrizione di una società soffocante e onnipresente; qua tutto è possibile, anche il postino americano che da Filadelfia, dove per anni consegnava posta ai signorotti fugge o meglio si lascia catturare dalla nuova vita senza obblighi, vagabonda ma finalmente serena e appagata, che dal suo pittoresco luogo di surrealtà scenderà di tanto in tanto coi piedi per terra solo per spedire cartoline con i propri saluti ai destinatari cui una volta consegnava lettere e plichi sognando ad occhi aperti la libertà.
E infatti il filo conduttore di quest'opera è la ricerca di un amico del protagonista, un certo Xavier di cui si son perse le tracce da oltre un anno, o forse è possibile sia solo una scusa per intraprendere un viaggio alla ricerca di se stesso, un momento in cui il protagonista (che potrebbe essere lo stesso Tabucchi) decide di aprire una parentesi e di lasciarsi ispirare da quei luoghi di consistenza e seduzione.
La cosa che ho adorato maggiormente nel breve romanzo è che l'autore riesce in modo egregio ad illuminare chi legge sulle possibilità, le vie di fuga, le opzioni ultime ma non per questo fallimentari, relative all'esistenza di ciascuno di noi, semplicemente raccontando le vite di individui incontrati durante il suo tragitto in bus, tra camere d'albergo, ospedali e varie città attraversate.
E' tutto semplice, tutto fattibile, basta saper cogliere, saper assaporare ciò che non si conosce senza timore, la diversità è un'utopia, siamo tutti normali ciascuno nella propria originalità.
Ne è prova anche l'episodio del 'mostro', quel simil-scimmia in perenne spostamento verso i templi frequentati da pellegrini, appollaiato sulle spalle del fratello più piccolo che lo porta in giro a leggere il karma degli occidentali a pagamento: uno scherzo della natura che non si ferma nella propria casa o in istituto ma erra in un continuo vagabondaggio d'amore scegliendo ogni giorno la libertà.
Libro di facile scorrimento, breve, corposo, sapiente, assolutamente dozzinale, coinvolge e ispira profonde riflessioni sull'essenziale.
In fondo la vita di ciascuno di noi è un grandissimo viaggio anche se c'è chi lo da per scontato rimanendo eternamente all'oscuro della implicita magnanimità della cosa.
Da leggere sicuramente!
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L'amore disperato
Inghilterra,fine anni '50, manicomio criminale alle porte di Londra.
La voce narrante è quella di uno psichiatra che esercita in questo tetro istituto e ci illustra le vicende di un collega e la sua consorte.
E' la storia di una passione pericolosa, un'ossessione che ben presto indurrà ad uno dei più efferati delitti.
L'autore è molto abile e coinvolgente nella descrizione dei sentimenti e delle emozioni provate e vissute dalla protagonista femminile, una donna particolarmente 'calda' che si scoprirà poi, durante il dipanarsi della vicenda, morbosamente avvinta dall'amore totalitario per il suo amante, sentimento fortissimo e coinvolgente, mai provato prima, ma alquanto deleterio e distruttivo.
Interessanti spennellature d'epoca vittoriana si presentano qua e là durante lo sviluppo della vicenda facendo sognare il lettore nostalgico dei tempi andati, e non solo, direttamente catapultando chi legge nel mondo della passione smisurata, proibita, senza freni e certo scomoda, muovendosi ad arte tra parole e frasi che nel complesso restituiscono una chiave di lettura introspettiva e psicologica.
In più occasioni l'atmosfera saprà di inquietudini sotterranee e di molto non-detto, e talvolta si potrà giungere a provare un vago senso di disagio e smarrimento, che ad alcuni probabilmente non dispiacerà.
Cit.“Poi successe qualcosa, qualcosa che credo nessuno dei due avesse previsto, se non altro al livello conscio: Edgrar e Stella sottovalutarono – come può capitare a chiunque in circostanze analoghe – la violenza dei sentimenti che si scatenarono in lei. In sostanza, non si resero conto che le barriere della cautela e del senso comune minacciavano di crollare, travolgendo il loro fragile equilibrio.”
Lettura consigliatissima.
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Passione o costruttività? Ah l'amore...
L’incipit la dice lunga: in una breve frase si riassume l’amore in tutte le sue sfaccettature tra persone con legami di sangue e non, ovvero la famiglia.
“Tutte le famiglie felici sono simili le une alle altre, ogni famiglia infelice lo è a modo suo”
Ma “Anna Karenina” non è solo il più grande romanzo d'amore di tutti i tempi visto che nelle oltre mille pagine l'autore tratta e analizza approfonditamente una vasta gamma di argomenti esistenziali tipo la religione, la morte, il rapporto tra fratelli e sorelle, l'amore filiale e altro ancora.
Il romanzo avanza percorrendo in parallelo due diverse storie d’amore, ciascuna a suo modo esemplari, quella tra la Karenina e il Conte Vronsky, travolgente e passionale, ribelle, libera e alla fine infausta, l'altra tra Levin e Kitty, sorella minore di Dolly (la cognata di Anna), sicuramente uniti da un legame più puro – anche se non perfetto – incanalato nella semplicità e nella costruttività.
Per intraprender qualcosa nella vita familiare, sono indispensabili o un completo dissidio tra i coniugi o un amorevole accordo. Quando invece i rapporti tra i coniugi sono indefiniti e non c’è né l’uno né l’altro, nessuna cosa può essere intrapresa. Molte famiglie rimangono per anni nei vecchi luoghi, uggiosi ormai per tutti e due i coniugi, soltanto perché non c’è né pieno dissidio né accordo.”
Le prime righe del XXIII capitolo della parte settima riportano a mio avviso una vera perla di saggezza, spesso dimenticata anche ai giorni nostri, giorni di maggiore consapevolezza e cultura psicologica generale: la non scelta, il rimando, ovvero quando deliberatamente optiamo per la via più facile, quella di non affrontare le cose per non andare incontro a grane.
Non è semplice e sicuramente doloroso quando un rapporto d’amore si esaurisce e termina del tutto ma pur dopo l'eventuale periodo dei ripensamenti o dei tentativi di riconciliazione, è assolutamente necessario e doveroso risolvere il legame, sia a livello emotivo che pratico e legale.
Dovendo ripartire da zero occorre farlo sul pulito, con rapporti e limiti ben indicati per il futuro di tutti, altrimenti le nuove opportunità, non potendo poggiare su fondamenta solide, saranno perse o non godute a pieno.
E' la psiche umana che detta legge, sapere che non si torna indietro è molto importante, che la felicità potrà arrivare percorrendo vie ancora intonse e mai viste prima.
Dare avvio a un’opera – di qualsiasi opera si tratti! – su ceneri ancora ardenti o comunque su pianali non ben ripuliti, dopo il primo naturale entusiastico e corroborante appagamento dell’animo, potrebbe portare una certa malinconia o disagio, e nei casi peggiori, una vera e propria infelicità, meglio detta l'insoddisfazione del desiderio appagato.
E quindi Anna Karenina “ben presto sentì che nell’animo suo s’era destato il desiderio dei desideri: la malinconia.”
Perché Anna aveva commesso l’errore che fanno molti esseri umani, ovvero si era figurata completa felicità nell’appagamento di un forte desiderio, affrettando conclusioni e non considerando che avrebbe potuto scontrarsi con pesanti ostacoli (un divorzio non concesso e l’emarginazione da parte della società) oltremodo non riflettendo sul fatto che la serenità interiore deriva da uno status complesso e non così facilmente perseguibile, almeno in certe inconsuete situazioni.
Tirando le somme, questo classico della letteratura russa così tanto amato da alcuni quanto ritenuto faticoso e pesante da altri, a me è piaciuto moltissimo e senza alcun dubbio, a chi non lo avesse ancora assaporato, lo consiglio, eccome! Piccola postilla: meglio rileggerlo anche da adulti, e non perché sia poco adatto a un pubblico giovane e acerbo ma sicuramente perché il fatto di aver già provato o almeno ‘fiutato’ determinate esperienze di vita (tema dell’amore, della morte con i lutti che inevitabilmente ci avvicineranno, prima o poi) aiuta a comprendere molte cose e situazioni e il lettore potrà sempre ritrovarsi, apprendere maggiormente e/o beneficiare di argomentazioni che lo faranno riflettere e ancora crescere.
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La chimera della crescita interiore.
La famiglia allargata, alzi la mano chi non ne conosce una!
Qualche decennio fa non esisteva o almeno era una rarità, vista come marchio di indelebile vergogna tatuato in fronte; nella società di oggi invece è assai comune e - importante - non viene più etichettata o additata come peste bubbonica, salvo rari casi di bigottismo acuto.
L'autore analizza uno a uno i componenti di una famiglia di questo tipo, quindi figli di primo e secondo letto, fratellastri, patrigni e matrigne, riuscendo ad entrare nella sfera emotiva e nell’immensità del non-detto relativo in particolare a certe figure ritenute talvolta scomode nel complicato intreccio; le dinamiche “invisibili” o gelosie e morbosità che si trascinano spesso per anni e anni, silenziosamente, senza che nessuna 'pedina' del 'gioco' osi portarle a galla in rispetto e per volontà del comune quieto vivere.
Fintanto che non accade l'episodio scatenante.
Nella vita vera così come in questo bel libro.
Erri, il protagonista, in quest'opera si muove tramite frequenti flash di vita passata e turbolenta (dal punto di vista emotivo) finché gli arriva ai giorni nostri un altro grande problema, una corposa crisi matrimoniale a quarant’anni suonati che lo costringe a mettere finalmente sotto esame l’intera esistenza, rivedendo rapporti familiari, prendendo coraggio e tentando di affrontare la vita senza più rimandare.
La crescita interiore, chimera per molti.
E l'insicuro Erri svolta a quarant'anni o almeno ci prova.
Concludo (scherzosamente, visto che non sono psicoterapeuta!) consigliando a certi eterni bambinoni/e il piacevole romanzo – di facile lettura – che potrebbe pure quindi rivelarsi uno dei lieti (o anche no, magari solo pruriginosi) mezzi per arrivare all'affronto dei propri temuti demoni interiori, chissà!
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Femmine e donne
Le donne con i loro sentimenti, passioni, tragedie, piccole conquiste o sofferte rinunce sono state le protagoniste, il più delle volte in sordina, di grandi eventi storici e avvenimenti che hanno determinato la direzione dell’ago della bilancia politica ed economica del momento.
Non per niente si suol dire che dietro a un grande uomo (che sia un letterato, un manager o un politico) ci sta sempre una grande donna.
La sapiente penna di Biagi ci fa rivivere pezzi di storia ufficiale, quella studiata sui libri di scuola, tramite gli amori immensi o fasulli, felici o tormentati di donne, alcune famose altre conosciute solo per essere la moglie o l’amante di … una tra tutte, la sensibilissima stella americana Marilyn Monroe.
Nel volume si parla di donne di ieri e di oggi (tenendo conto che il libro uscì a metà anni ’90 quindi comunque ormai un ventennio fa) e si annoverano stelle del cinema nostrane ma famose in tutto il pianeta come Sofia Loren e Gina Lollobrigida o donne più dismesse, vere e proprie femmine ‘dietro le quinte’ come ad esempio Katia Mann ovvero la consorte di Thomas Mann, autore del bestseller “I Buddenbrook” e Premio Nobel per la letteratura nel 1929, dal cui racconto si riesce a intravedere e assaporare la comune banalità della vita privata di un personaggio di spicco.
Tanto per rimanere in Italia altrettanto donna solida fu Marella Caracciolo dei Principi di Castagneto in Agnelli, ovvero la moglie dell’’Avvocato’ detta pure Lady Fiat, importante figura di sostegno di un imprenditore e uomo politico che lasciò una grossa impronta nella storia del boom economico italiano.
E in quanto a figure di primo piano della letteratura italiana, Natalia Levi, scrittrice nata a Palermo meglio conosciuta come Natalia Ginzburg, grande narratrice del dolore della memoria e della psicologia familiare, vincitrice di premi letterari tra cui il Premio Strega e il Premio Viareggio-Repaci nonché autrice di commedie teatrali (Ti ho sposato per allegria) e infine attivista politica e parlamentare alla Camera dei Deputati.
Interessante il capitolo intitolato “Nigel Nicolson racconta” ovvero il ritratto dell’esistenza a momenti strampalata di Virginia Wolf narrata attraverso gli occhi del figlio (Nigel, appunto) di Vita Sackville-West ovvero colei che ne fu per un breve periodo l‘amante. Enzo Biagi va in Inghilterra a intervistare quest’uomo, anch’egli scrittore così come lo fu la madre Vita e ovviamente Virginia Wolf e ne esce la descrizione ironica ed eccessiva – soprattutto per quei tempi antichi – di una donna vivace e passionale, sua madre appunto, dei suoi innumerevoli peccati e turbe dei sensi che balzano fuori da quaderni segreti ma non troppo e il ritratto di Virginia, donna sicuramente innamorata del marito ma che si lascerà fin troppo turbare dalle lettere infuocate della saffica amica fino a indebolire ancor più la mente già vacillante che poi la porterà al suicidio.
E poi molte altre donne ancora, ‘dipinte’ singolarmente o contrapposte tipo donna Rachele e Claretta, le due compagne più importanti di Mussolini, o Olga, musa e fedele amante clandestina di Boris Pasternak, colei che pare ispirò il personaggio di Lara de “Il Dottor Zivago”.
Insomma in questo libro, chi volesse fare un tuffo nel passato e rinverdire le vecchie memorie storiche scolastiche, trova molto di quello che occorre per rivisitare eventi con ironia e intensità.
Sono donne che vissero le loro passioni fino in fondo, queste descritte qua, dunque donne vere.
Ed io in quanto donna, posso dire di averlo letto con piacere per un personale spirito d'orgoglio femminile ma non mi sento comunque di innalzarlo a grande capolavoro, in conclusione, non credo lo consiglierei.
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Ponti o muri?
'Le affinità elettive' uscì nel 1809 quando l'autore - non più giovanissimo – si era già affermato in campo letterario e poetico.
Questo è il suo quarto romanzo.
Come nell'opera prima 'I dolori del giovane Werther', al centro della narrazione troviamo la passione focosa, l'amore smisurato e certo non sereno anzi forse quasi dannato, oltre a tutto ciò che talvolta può muoversi attorno a una coppia ufficiale ovvero dinamiche poco trasparenti, turbamenti, desideri repressi e idealizzazione della persona amata.
Edoardo e Carlotta si sposano in età matura (ma sempre nel pieno della virilità) e vanno a vivere in un castello immerso nel rigogliosissimo parco di loro proprietà godendo appieno del felice status di ricchi signorotti di campagna.
Tra progetti di ristrutturazione del podere e lunghe passeggiate ritempranti tutto sembra procedere serenamente almeno sino all'arrivo di un amico d'infanzia e di scorribande del barone e, subito dopo, della nipote adottiva della baronessa, tale Ottilia.
Da qui in poi le complicazioni saranno all'ordine del giorno e le vicende narrate si arricchiranno di colpi di scena dettati da nuove affinità caratteriali sino ad arrivare a tradimenti consumati o anche solo fortemente desiderati.
A quanto pare anche nel lontano settecento, pur in una società assai diversa dall'attuale e profondamente costipata dall'etichetta e dai giochi di ruolo stabiliti, l'amore muoveva ogni cosa, creando e consolidando così come pure distruggendo e devastando.
L'amore è il più potente motore del mondo e sempre lo sarà: costruisce ponti e abbatte muri con la stessa facilità con cui a volte si adopra per l'esatto contrario.
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L'italiese
Si narra la vita di uno dei tanti 'dagos' (nomignolo per i nostri italiani emigrati negli U.S.A. a inizio '900, non propriamente desiderati...) che dopo anni spesi a cercar fortuna nella terra delle grandi opportunità tornavano in patria spesso a testa bassa ma sempre vantandosi di gloriose e fantomatiche avventure, dopo aver purtroppo cozzato con la cruda realtà, ovvero che la gloriosa terra non era poi così scontata da raggiungere.
Il protagonista è Antonio Bevilacqua (in 'Merica' sarà Tony Drinkwater) un garfagnino di Fabbriche di Careggine, giovane di belle speranze che si diletta nell'arte della recitazione cercando di sfondare nello spettacolo, sia prima, in terra natia, girando per la Mediavalle come attore di Maggio, sia dopo, oltreoceano, quando cercherà in ogni modo di far brillare la luce della sua stella sino a diventare una delle molte controfigure schermatiche di Charlie Chaplin (che detta così sembrerebbe un bel traguardo invece poi, nella storia, si rivelerà un fallimento personale)
Antonio non è il classico emigrante del secolo scorso, non si mescolerà mai nella schiera dei miserevoli costretti da fame atavica o dall'unica possibilità di sopravvivenza; è un personaggio privo della drammaticità intrisa in un concreto stato di povertà sociale difatti appartiene a una famiglia benestante della Garfagnana; il suo si dimostra piuttosto un vezzo, il desiderio di soddisfare lo spirito d'avventura innato, pertanto lascia l'Italia con un discreto gruzzolo di denaro il quale gli permetterà di non abbassarsi mai ai lavori più abietti e faticosi (contrariamente alla massa degli emigranti).
Tony racconta al narratore i suoi anni di 'Merica' usando - così come pare facessero tutti i rimpatriati - una lingua particolare, l'italiese, fantastico mix di vocaboli italiani e inglesi. Un esempio simpaticissimo è la parola cianza (chanche), ripetuta molte volte nel racconto orale del protagonista il quale – ormai anziano – ricorda di aver incontrato e sfruttato nel suo periodo Hollywoodiano.
E' un libro divorato in pochissimi giorni, una bella storia d'altri tempi che per certi versi, dato che tratta d'emigrazione, può ritenersi attuale, creando lo spunto per importanti riflessioni di natura socio-culturale.
Un plauso all'autore a mio parere è d'obbligo, per bravura e capacità nella descrizione capillare delle cosiddette 'terre di mezzo' (in questo caso poi riportate a quasi cent'anni fa!) di cui la nostra provincia italiana è ancora pullulante, con quel corollario di vita semplice, più aspra e più lenta rispetto alle città e ai grandi centri abitati.
E' ovvio che un lettore toscano sarà più spronato d'altri a leggere il Cecchini in quanto vi potrà riconoscere uno spaccato verace o un'accesa similitudine con la propria realtà territoriale. Per non parlare poi del lettore lucchese, ma quella è un'altra storia... potrebbe infatti (come nel mio caso) aver udito con le proprie orecchie, durante l'infanzia, certi aneddoti o vicende accaduti al tale o al tal'altro, che fosse uno dei propri avventurosi antenati o un semplice amico o conoscente del bis-nonno; una delle prime cose che mi salta in mente, per esempio, è la descrizione del commovente saluto degli emigranti al Volto Santo (n.d.r. il leggendario crocifisso ligneo esposto e venerato nella Cattedrale di San Martino a Lucca) che l'autore ci riporta narrando in maniera emozionante ed eccezionalmente veritiera; sembra proprio d'essere lì, in mezzo a quelle file di derelitti pronti a salpare definitivamente, si avverte, si palpa il languore e l'infinita tristezza per ciò che stavano lasciando (pensiamo a cosa significasse allora andare in America, un abisso rispetto ai nostri tempi da social e iper-connessioni...) intrisi e confusi da speranza e forte motivazione per quel sogno che li attendeva dopo un mese di nave.
E' auspicabile (non so se già in commercio o se mai verrà fatta) la traduzione in lingua inglese di quest'opera del Cecchini, in quanto potrebbe – a mio parere - esser letta dai molti italo-americani di seconda o terza generazione, discendenti dei valorosi italiani e delle loro gherle che lasciarono (e forse nemmeno rividero più) lo stivale in cerca di fortuna; potrebbe loro interessare per l'attinenza con le loro origini.
Concludo avvertendo della lieve pecca che potrebbe incontrare un lettore carente di intuizione (e non locale, ovviamente) e che pertanto è probabile dovrà consultare spesso il dizionario posto in fondo al libro, a chiarimento dei termini più ostici in lingua italiese.
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Non solo John Travolta!
Questa è l'opera prima di un autore italiano già da tempo scomparso, purtroppo in giovane eta, una composizione di sei racconti concatenati che subito dopo la pubblicazione fu posto sotto sequestro per oscenità e oltraggio alla pubblica morale, per una denuncia di un privato cittadino.
Era il 1980 quando uscì la prima volta e la società di allora, ben più apparentemente puritana e limitante rispetto all'odierna, non digerì il linguaggio scurrile e blasfemo con cui venivano narrati gli accadimenti di certi giovani ribelli, individui in continua modalità raminga alla ricerca spasmodica di un briciolo di felicità e spensieratezza che non arrivava mai.
Nelle prime pagine ho stentato a continuarne la lettura, più volte pensando di mollare del tutto e non per bigottismo o chiusura mentale ma per una personale mal-disposizione al mero ascolto (e peggio ancora alla lettura, nero su bianco!) di parolacce e bestemmie; una volta superata l'imbarazzante difficoltà ho iniziato a fagocitare pagine su pagine rimanendo a dir poco affascinata dal sapiente modo di narrare quel lontano pianeta, tremendamente crudo e difficile.
E' d'obbligo una considerazione: certe esistenze umane perennemente sul filo del rasoio e assai fuori dal comune, non possono che essere raccontate e ben rappresentate da quell'unico linguaggio forte, intenso, doloroso e a tratti veramente urticante.
L'opera di Tondelli è la fedele fotografia di uno spaccato degli anni settanta in cui lotte e ribellioni all'interno di una società fortemente perbenista erano all'ordine del giorno, ed io ero ancora troppo piccola per comprenderne il vero lato della medaglia.
Tondelli è stato l'autore della provocazione, almeno con quest'opera, uno che sapeva il fatto suo ed era capacissimo di scuotere gli animi dalla banale quotidianità riuscendo a sollevare quesiti e dubbi anche negli animi più convinti, uno che sicuramente era ben consapevole dello scandalo e del polverone che avrebbe suscitato.
Consiglio caldamente questa lettura a chi volesse intraprendere un viaggio nel tempo negli ambienti dell'omosessualità e illegalità (droga e prostituzione), l'altro lato ben più oscuro e dannato di un'epoca ricordata ai giorni nostri per il brilluccichio da febbre del sabato sera.
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Si nasce soli e si muore soli.
L'autore narra con una scrittura diretta e molto colorita la vita disadattata di un giovanotto americano che ha un lavoro poco remunerato pertanto inventa uno stratagemma per racimolare soldi e pagare così la retta della clinica psichiatrica in cui è ricoverata la madre.
Dalle pagine di questo scrittore statunitense che arrivò al successo con il primo romanzo “Fight Club”, divenuto best-seller, emerge un'immensa e devastante solitudine: nessuno resta immune dalla descrizione cruda e a tratti volgare di una vita di stenti che combatte - o crede di farlo - quel lento e deprimente 'navigare a vista' tramite l'inconscio meccanismo di sesso-dipendenza.
“Si nasce soli e si muore soli”
L'esistenza umana è un insieme di persone e conoscenze più o meno approfondite ma dentro a ognuno di noi, nel nostro profondo essere, siamo completamente soli, che ci piaccia o no.
E il protagonista, Victor Mancini, di persone ne incontra moltissime ogni giorno, soprattutto di sesso femminile, vista la sua patologia, ma rimane comunque sempre carente d'affetto e alla perenne ricerca di qualcosa o di qualcuno.
E' interessante il tratteggio narrativo del personaggio bambino e delle avventure scapestrate al seguito della madre pazzoide che ruba, si prostituisce, vive di espedienti ma che comunque vuole davvero bene a suo figlio e prova ne è il fatto che quest'ultima, ogni volta che il piccolo viene affidato a una famiglia cosiddetta regolare si lancia in rocambolesche imprese per riprenderlo con sé.
Nel libro vi sono citazioni da considerarsi perle di saggezza, da tenere bene a mente.
A caso:
“Finché non trovi qualcosa per cui lottare, ti accontenti di cose contro cui lottare.”
“La gente è pronta a fare i salti mortali se solo la fai sentire onnipotente.”
“E' patetico come non siamo capaci di convivere con ciò che non comprendiamo, neghiamo l'esistenza di ciò che non sappiamo spiegare.”
“Una volta oltrepassato un limite è impossibile fermarsi e non c'è via di fuga per chi vive in fuga.”
Al romanzo scritto con una penna di un'impudenza volutamente sgarbata 10 anni fa fece seguito l'adattamento cinematografico scritto e diretto da un regista debuttante, Clark Gregg.
Il film presenta tra l'altro una simpatica curiosità: in una delle ultime scene, sull'aereo, seduto accanto al protagonista appare lo stesso Pahalaniuk.
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La consapevolezza di un ruolo.
Quest'opera di Carlo Cassola è da inquadrare in una situazione storica ben precisa, un'Italia povera, devastata, disorientata, alla fine della seconda guerra mondiale e nel periodo immediatamente post-bellico, anni 1944/45 sino al 48.
Letto durante il mio primo anno di scuola superiore - almeno 2/3 decenni fa 'La ragazza di Bube' era sicuramente inserito nei programmi scolastici – ho voluto riapprocciarmi a queste valide righe per una sfida personale ovvero tentare di comprendere le sfaccettature e soprattutto emozioni che lo stesso libro lascia dentro ognuno di noi a seconda dell'età.
Inutile dire che l'ho divorato – stavolta! - trovandovi ben più di una storia d'amore sofferta e vissuta in modo anomalo, bensì tutto il valido e significativo corollario socio-politico e culturale dell'Italia di quei tempi.
Cassola scrive pulito, in modo facilmente comprensibile, Mara e Bube ti scorrono tra le dita, pagina dopo pagina, catturando l'attenzione come solo riuscivano i racconti verbali dei nostri preziosi vecchi che ci hanno riportato stralci di vissuto (fortunato chi ne ha avuto uno in famiglia!).
In questo romanzo la storia è la vera protagonista, a partire dalla Liberazione nel giugno 1944, c'è tutto, c'è il racconto della lotta dei partigiani e della dura resistenza, la risalita degli angloamericani e lo sfondamento della linea gotica, il contrasto violento e crudo tra l'ideologia comunista e fascista... e poi c'è Mara, peperino di sedici anni appartenente a una famiglia povera della campagna toscana.
La ragazzina si invaghisce – ricambiata - di Bube, ex partigiano soprannominato 'il Vendicatore', un giovane poco più grande di lei cresciuto senza padre in condizioni ancor più misere.
Bube commette un omicidio sparando al figlio di un maresciallo dei Carabinieri, anch'esso ucciso da un compagno, e lo fa in modo rabbioso e ragionato, probabilmente come ingenua dimostrazione di forza a seguito dei continui incitamenti da parte di amici e seguaci del Partito (ndr, partito comunista).
Bube mancando di fermezza e razionalità perché cresciuto appunto senza validi e necessari riferimenti paterni, si trova sempre impelagato in faccende di violenza e sciocca dimostrazione di forza fisica e in tal modo, a seguito dell'increscioso atto a sfondo politico, si rovina la vita e il futuro con l'amata.
Il Partito tenta all'inizio di sottrarlo alla giustizia aiutandolo ad espatriare in Francia ma dopo due anni dal fattaccio, a causa dell'espulsione per sopraggiunti cambiamenti politici nella realtà francese, Bube verrà restituito all'Italia e subito arrestato alla frontiera.
Mara è una ragazza che si affaccia alla vita e all'amore.
Nella prima parte del libro l'autore la rappresenta come una giovane immatura e sciocchina, che si entusiasma facilmente – d'altronde è una delle caratteristiche adolescenziali - per futilità, ad esempio per un paio di scarpe con il tacco, tralasciando il senso assai più profondo delle cose e della vita stessa.
In seguito il lettore troverà in Mara un'improvvisa e veloce maturazione per quella sua difficile ma ferma volontà di rimanere accanto a Bube nonostante la lontananza, il carcere, e il dolore per un amore sofferto e a lungo non consumato.
E' un onorabile spirito di sacrificio e dedizione alle cause giuste a muovere la giovane nelle ultime pagine del racconto, nonché un atteggiamento maggiormente femminile (mi sia a questo punto concessa una valutazione personale) che rasenta il ben noto e frequente comportamento 'da crocerossina'.
Mara sa di essere la ragazza di Bube e questo le basta.
A discapito della serenità dei suoi anni migliori.
E' consapevole di rappresentare l'unico riferimento esterno dello sfortunato giovanotto, il solo motivo di salvezza che funge da stimolo alla sopravvivenza e per questo motivo non si perde d'animo e lo aspetta.
Il romanzo pertanto si chiude con un personaggio femminile che di diritto va ad incrementare la folta schiera delle numerose donne forti e risolute.
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Il cambiamento talvolta è utopia.
E' la storia di una famiglia catanese di antica discendenza spagnola, gli Uzeda di Francalanza, ambientata ai tempi del Risorgimento meridionale a partire dagli ultimi anni della dominazione borbonica sino all'Unità d'Italia e oltre.
In letteratura anche straniera vi sono parecchi esempi narranti le variopinte saghe familiari tramandate nell'arco di due-tre generazioni (basti pensare al colosso 'Cent'anni di solitudine') ma questa, a mio parere, è per noi italiani particolarmente interessante dal punto di vista storico e patriottico dato che soprattutto nella seconda metà del libro, trasuda di quel periodo sì tanto delicato che portò alla nascita del 'Belpaese'.
Sono rimasta colpita dal comportamento e dal significato di alcune frasi pronunziate da individui di spicco animanti la saga, terminologie e atteggiamenti d'approccio purtroppo molto comuni ai giorni nostri, in questo caso dovuti a decenni di pessima politica e scarsa rappresentazione dell'interesse del privato cittadino nonché i soliti caos tra partiti e politicanti e inghippi elettorali vari per non perdere l'amata 'poltrona'...
Ma rimanendo nel testo c'è un passaggio negli ultimi capitoli, ad esempio, ove il Duca parlando con un parente del nipote ribelle Consalvo, lo scellerato che qualche anno prima neanche ventenne s'era dato alla bella vita accumulando ingenti debiti poi ricaduti sulla famiglia, dichiara apertamente e con sorprendente naturalezza:
"Pensi ancora alla destra e alla sinistra? - esclamò ridendo il Duca, che aveva in tasca la formale promessa d'un seggio al Senato – Non vedi che i partiti vecchi sono finiti? Che c'è una rivoluzione? Chi può dire che cosa uscirà dalle urne a cui hanno chiamato la plebe? Un vero salto nel buio...”
Ecco, proprio queste frasi, considerando il periodo storico in cui furono dette ovvero pochi anni dopo la nascita della nazione Italia, fanno letteralmente rabbrividire, nascondendo, e neanche troppo, un chiaro senso di sfiducia e stanchezza morale già allora presente!
Nel libro emergono altri temi importanti e attuali quali il danaro, l'onore, le battaglie legali per successioni ereditarie con relativi conflitti e ripicche tra fratelli di sangue e parenti vari, il prestigio, la discordia familiare, l'infedeltà coniugale, l'avidità di fama e soldi, l'avarizia anche di sentimenti, insomma di tutto un po'...
E dunque, non c'è affatto da meravigliarsi: niente è cambiato in oltre un secolo di storia della nazione o per meglio dire, rovesciando il senso della frase, se pensavamo di trovare almeno nei primi anni di unità nazionale più purezza e meno guerriglie, più fiducia nelle istituzioni di conseguenza maggiore energia costruttiva da parte del popolo stesso - da quel momento reale protagonista e artefice del proprio futuro - ci sbagliamo di grosso!
Da annoverare certamente tra le letture 'd'obbligo'.
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Un tuffo nella Lucca del Cinquecento
Romanzo storico scritto a quattro mani e narrante fatti realmente accaduti misti ad alcuni di fantasia, che riporta alla luce gli accadimenti di una poetessa lucchese vissuta nel periodo rinascimentale, (a Firenze, tempo de' Medici), una certa Chiara Matraini, donna dal carattere forte e passionario capace di andar controcorrente infrangendo le regole e l'etichetta del tempo con una storia d'amore 'chiacchierata' ma soprattutto per quel suo scrivere rime e versi scegliendo di pubblicare a suo nome, scandalo per un'epoca di editoriali ammessi unicamente agli uomini o alle poche donne appartenenti alla nobiltà.
Concedetemi questa breve appendice: essendo nativa di Lucca, la città toscana dalle antiche Mura detta anche 'dalle cento chiese', inutile dire che fin dalle prime pagine l'aspettativa personale era notevole, e fortissimo per me il desiderio di compiere un salto temporale di oltre quattro secoli tra piazze, vicoli, chiese e baluardi a me cari e familiari.
Alla fine dell'opera, così come avviene di consueto con qualsiasi libro, si 'tirano le somme' e nel mio specifico caso, non so se il motivo è per quell'eccessiva aspettativa iniziale dovuta alle mie origini, il bilancio non ha rispecchiato in toto ciò che immaginavo e segretamente speravo; dal piccolo della mia esperienza in materia di opere fuoriuscite da due teste pensanti, posso anche osare e ipotizzare che il fatto dipenda proprio da quello, perché è vero che le idee si moltiplicano e due menti sono meglio che una ma se le stesse non si amalgamano alla perfezione e non procedono con lo stesso ritmo, nel complesso si può percepire qualche spiacevole stonatura.
Ad esempio io, da lucchese purosangue quindi ben consapevole di quanto sia importante e radicato il senso degli affari, la dignità di un lavoro e dell'operosità in generale nella maggior parte della popolazione anche della nostra epoca, posso dire che le parti – principalmente all'inizio - in cui si narra di intrighi e vicende dei signorotti affaristi che tenevano le fila della città nella Lucca del Cinquecento, mi hanno un poco annoiato perché troppo intricate, dettagliate e nel complesso statiche; in seguito il libro prende il via, è come l'innesto di una marcia superiore (o presumibilmente di un'altra mano?) e lì dunque mi sono rifatta con la vita personale della protagonista e le numerose sfaccettature delle sue emozioni e tribolazioni interiori sapientemente raccontate, con la lettura e l'interpretazione dei pochi fedelissimi personaggi della servitù che le ruotarono attorno e la seguirono sempre nella turbinosa esistenza caratterizzata tra l'altro da molti spostamenti e traslochi (Lucca, Matraia, Genova...).
Colpisce anche la diversa velocità del tempo di narrazione: nella prima parte si racconta con minuzia un preciso anno, il 1542, pur con brevi salti temporali all'indietro; nella seconda si narrano le vicende di quasi un trentennio, incentrate principalmente sulla storia d'amore e le fughe nella tenuta di Matraia, un paese collinare a 15 chilometri da Lucca, tra Chiara e Bartolomeo, suo più grande amore, sposato purtroppo ad un'altra; nella terza parte, la finale, il filo logico dei ricordi si mescola alla narrazione visionaria e fantasiosa di una Matraini quasi novantenne, ormai sola e affaticata, che si trascina per le stanze della casa di Piazza Santa Maria Forisportam (dai lucchesi anche detta Piazza della Colonna Mozza o Piazza Santa Maria Bianca) ricordando brevi sprazzi di vita misti a sogno e sdolcinate fantasie.
“C'era chi l'adorava, molti non l'amavano affatto, le donne per il suo coraggio che scambiavano per arroganza, gli uomini per la sua intelligenza e il suo talento, le une e gli altri per la sua singolarità che era diventata ogni giorno più visibile.”
Concludendo: sia ben chiaro, non voglio dire che questo sia un libro per soli lucchesi o amanti della storia, ci mancherebbe!
E' sicuramente un'opera interessante dal punto di vista sociologico-letterario nonché un mezzo di tutto rispetto che finalmente rende onore e merito alla vita di una persona realmente esistita che lottò (addirittura fu oggetto di una penosa causa legale per il possesso di beni materiali mossa contro di lei dall'unico figlio), e che subito dopo la morte venne messa nel dimenticatoio assieme alle opere a causa della sua condotta ai tempi scandalosa, e che fu capace di combattere fino in fondo per i propri ideali e il proprio credo, cosa indubbiamente non da poco, soprattutto al giorno d'oggi...!
Buona lettura,
Lida
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