Opinione scritta da Sweetaless

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Sweetaless Opinione inserita da Sweetaless    29 Agosto, 2019
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Umanità

Nel 1915 l'americano Egar Lee Masters iniziò a pubblicare epitaffi, sparsi, sul "Mirror" poi raccolti con il titolo di Antologia. La pubblicazione della raccolta in Italia fu ostacolata dalle restrizioni del regime fascista e possibile solo nel 1943, grazie ad un'accurata e silenziosa traduzione della Pivano, avviatasi alla poetica americana attraverso Pavese, il cui genio colse indubbiamente l'unicità dei versi, che non risiedeva tanto nell'ambientazione ordinaria del paesino come molti, né nella critica antipuritana ben chiara, quanto più "nell'ardore puritano" della poetica stessa.
Il dramma della mediocrità umana nonché della mancata Speranza di giudizio o di fine  irrompe, nuova, nell'epicità fascista, trasformando i personaggi dell'epica eroica in uomini comuni, di vita insulsa. Proprio nella morte si consuma la tragedia, non della cessazione, ma della mancata presenza di una legge post mortem(La Themis greca) . La confusione e l'indecisione propriamente umana è ricalcata nei tratti degli abitanti di una cittadina come molte, con uomini come tanti. Dell'epitaffio greco permane la forma, smantellati i valori, ridimensionate le intenzioni. Ne rimane la vita umana livellata dalla noncuranza del creato.


Questi versi mi hanno legata, un po' più saldamente, alla poesia e hanno tracciato per me un sentiero più o meno percorribile, a volte dispersivo e tortuoso, nel mondo della poesia. Lo consiglio spassionatamente sia ai già veterani amanti dei versi che ai novelli interessati.

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Racconti
 
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Sweetaless Opinione inserita da Sweetaless    10 Agosto, 2018
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Non era tardi per ribellarsi

L’abilità di Gogol nel ritrarre a tinte fosche la mediocrità umana spicca in un racconto breve, il cappotto. Nella gelida Pietroburgo di metà ottocento si consuma il dramma della quotidianità attorno alla figura di Akakij Akakievic Basmackin, impiegatuccio di basso profilo che nella monotonia del lavoro conduce una vita priva di soddisfazioni. La penna acuminata del grande Gogol, nonché la vicinanza al realismo ottocentesco emergono nella scelta del nome,che in sé contiene l’epilogo stesso del racconto; Akakij, di etimologia greca, sottolinea l’incapacità del protagonista di far del male ad altri e la mancata ribellione. Basmackin, termine russo, indica in senso lato la sottomissione. Il protagonista è dunque succube del destino, a lui funesto. Trascorre una vita lineare, indurita forse dalle beffe dei colleghi e dal bassissimo salario, finché il gelo dell’inverno russo inaspettatamente interrompe la monotonia della sua esistenza. La necessità di riparasi dal freddo conduce Akakij alla porta di Petrovic, sarto di fiducia, affinché egli possa riparare un vecchio soprabito, ormai logorato dal tempo. Ed è proprio in questo istante che la genialità di Gogol mette in scena il dramma, grottesco, dell’impossibilità. Il vecchio cappotto non può essere rattoppato, bisogna acquistarne uno nuovo per sopportare le intemperie russe. L’incredulità iniziale si trasforma in non accettazione e sfocia nel tormento. Akakij con fatica riesce a raggiungere la somma per il nuovo cappotto: una novità nella buia linearità. Il cappotto dunque diviene il sogno raggiunto e riscalda l’animo penoso dell’anonimo impiegatuccio. La condizione di Akakij sembra destinata a cambiare; i colleghi interrompono ogni genere di scherzo, per celebrare, non privi di stupore, l’ottimo acquisto. Qui Gogol si abbandona ad una descrizione tragicomica della festicciola e dello stato d’animo di Akakij destinato ad un cambiamento repentino. Terminata la festa si dirige verso casa, riscaldato dal vino e dal cappotto ma imboccata una strada che era meglio non percorrere si ritrova esposto al gelo della neve e della sorte: privato del cappotto. L’incredulità riaffiora, fortissima. Il peso del fato ingiusto grava su Akakij e nella Russia gogoliana accade qualcosa di irreale. Un finale del tutto inaspettato: il fantasma di Akakij sul ponte di Pietroburgo alla spasmodica ricerca di un cappotto.

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Romanzi
 
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Sweetaless Opinione inserita da Sweetaless    02 Settembre, 2017
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Il tempo scorre incurante

Nel 1948 Ludvik Jahn, assorbito dalle lezioni universitarie e dalle riunioni dei giovani comunisti, trovò rifugio tra le braccia della studentessa Marketa. L'entusiasmo e l'adesione a tutto ciò che il partito le proponeva, spinsero Ludvik a beffarsi, per puro scherzo, delle sue idee e del partito stesso. Quel semplice gesto ironico stravolse completamente la sua vita. Espulso dal partito e allontanato dagli amici più cari, il giovane Ludvik abbandonò la Praga del dopoguerra e divenne prigioniero politico. Trascorse anni bui, rischiarati dalle visite occasionali alla bella Lucie, il cui passato tuttavia ostacolò il rapporto con Ludvik. Sulla scia di questa vicenda si intrecciano storie di altri personaggi, tra i quali Jaroslav e Kostka, vecchie conoscenze del protagonista. L'autore compie una sorta di salto temporale, conducendoci negli anni Sessanta quando Ludvik, ormai adulto, cerca vendetta per la sua sorte. Una vendetta mai assaporata. Il tempo ha cambiato tutto ed è inutile lottare contro di esso.

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