Opinione scritta da Fabiana_R99
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PERDERSI... NELLO STILE
All'inizio il libro mi coinvolgeva di più perché era scritto bene, poi è andato a perdere stile.
Ho apprezzato che la parola "Alzheimer" sia venuta fuori solo verso la pagina 70, a me non piacciono gli svolgimenti frettolosi. "La storia parla di una malattia, quindi gliela diagnostico subito", no.
Ho apprezzato l'evoluzione di Alice.
Siccome, però, questa storia era inventata, non mi ha trasmesso molto la sofferenza di Alice, l'autrice si è concentrata principalmente sul narrare, ma in un libro del genere, a mio parere, bisognerebbe fare un passo in più e trattare anche l'interiorità. Anche perché, da un punto di vista, la personalità di Alice alla fine risulta un po' contraddittoria.
Mi sarebbe piaciuto che venissero presi un po' più in considerazione i suoi figli o suo marito, sarebbe stato bello un capitolo narrato da loro su "cosa penso di mia madre/moglie"
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DIPLOMAZIA E RIFLESSIONE
Qualche mese fa la mia prof.ssa di religione fece vedere a me e alla mia classe un video di una intervista a Levi e rimasi molto colpita dalla sua diplomazia e compostezza; ogni domanda aveva una completa, approfondita e precisa risposta, pronunciata senza pensamenti o giri di parole.
Avevo grandi aspettative per questo libro, ma ne sono rimasta un po' delusa.
Premetto, secondo me tra sapere e capire c'è un'abissale e fondamentale differenza. In "Se questo è un uomo" io cercavo una testimonianza struggente, capace di emozionare e tormentare il lettore, rendendolo partecipe dell'immenso dolore, provato solamente perché si crede in ideali differenti.
Con questo libro non pretendevo di capire l'inferno del Lager - mi rendo conto questo sia impossibile -, ma mi aspettavo di comprenderne almeno una parte.
Levi è un genio perché offre tutti gli elementi necessari per poter conoscere e permettere un'interpretazione personale del dolore; ora, io mi rendo conto di intromettermi in gusti personali e non mi meraviglio se molte persone saranno contrarie al mio pensiero, ma, a mio parere, il libro non fornisce altrettanti elementi per poter capire la situazione trattata. In altre parole, ora so una parte di storia dei prigionieri, ma non sono riuscita a mettermi in contatto con loro, non li ho sentiti vicini durante la lettura; questo mi ha delusa.
Io ho 17 anni, è logico che io sia curiosa e avida sia di conoscenza, sia di emozioni; consiglio a tutti lo studio di questo libro, ma credo anche che il documento sia più appropriato a una lettura adulta; i giovani hanno bisogno anche di una dose maggiore di coinvolgimento emotivo.
Un lungo viaggio
Non mi sono mai soffermata a pensare a cosa è successo dopo la fine della guerra, a scuola le studiamo una dopo l'altra.
"La tregua" tratta del lungo viaggio compiuto da Primo Levi per tornare a casa, dopo essere stato deportato e imprigionato per un anno nel Lager di Monowitz. Il viaggio viene descritto dettagliatamente, talmente che non è difficile riviverlo. Questo libro è un viaggio.
Levi non mi fa impazzire come autore perché io lo trovo troppo razionale, è inquadrato ed è una dote spettacolare, ma in una testimonianza, soprattutto di guerra, io cerco un senso maggiore di frustrazione e prigionia. Però apprezzo Levi perché è chiaro e racconta le cose come stanno, non cerca compassione, scrivendo gli avvenimenti più duri di come sono avvenuti in realtà, e non cerca nemmeno gloria, scrivendo gesta più intelligenti ed eroiche di quelle che ha fatto, se è stato sciocco, lo scrive senza troppi giri di parole.
Questo è un libro che fa riflettere e, sinceramente, l'ho preferito persino a "Se questo è un uomo".
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