Opinione scritta da combinazionimagiche
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Prevedibilandia
Le premesse per un ottimo thriller ci sono tutte, non sia altro che per le due domande che subito ci vengono poste, i due interrogativi per eccellenza, ovvero : "Da dove veniamo? e dove andiamo?"
Il professor Robert Langdon stavolta si trova in Spagna, invitato al museo Guggenheim di Bilbao dal suo allievo e amico, Edmond Kirsch. Da qui quest’ultimo dovrebbe annunciare in mondo visione la sua risposta alle due domande che da sempre attanagliano l’uomo. Ma ecco che come in ogni romanzo di Brown arriva la svolta, quell’avvenimento che mette in pericolo il resto...e veniamo catapultati in una fuga per le vie e i monumenti di Barcellona, che con i suoi misteri e le opere di Gaudì, affascina il lettore e lo ipnotizza in un gioco di inseguimenti e fughe, di intrighi e sospetti Langdon accompagnato dalla direttrice del museo, nonchè futura regina di Spagna, Ambra Vidal, dovrà trovare il modo per trasmettere da remoto la presentazione di Kirsch e svelare al mondo la verità promessa ( ammesso che ci sia ).
Dan Brown è sempre abile a stuzzicare il lettore, a incuriosirlo e trascinarlo in un altro mondo, un mondo fatto di esperimenti scientifici, teorie antropologiche; ma sopratutto dall'eterno conflitto tra scienza e religione. In questo romanzo si aggiunge la componente dell’intelligenza artificiale, introdotta in modo magistrale ma forse troppo incalzante.
Ho trovato il tutto Poco ORIGINale, e molto PREVEDIBILE.
Nonostante lo stile di Dan Brown sappia coinvolgere sempre, senza annoiare, attraverso nozioni, curiosità, perle di saggezza che stimolano la ricerca e l'approfondimento, questo libro mi è sembrato essere la brutta copia dei precedenti. La trama si ripete sempre con lo stesso ritmo, ma manca quel di più che ho trovato negli altri libri, quel ritmo incalzante che letteralmente trascinava il lettore, che lo rendeva partecipe nello svelare la simbologia nascosta, nel trovare soluzioni, qui è tutto fin troppo evidente e a portata di mano. Nonostante le opere di Gaudì siano descritte minuziosamente il buio sembra avvolgerle e non farle fruire al lettore come dovrebbe. E’ un libro che definirei in penombra.
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Da "criata" a creatrice
La Mennulara è il romanzo di esordio della Agnello Hornby, best seller tradotto in tutto il mondo inizia proprio con la morte della protagonista, Maria Rosalia Inzerillo, conosciuta a Roccacolomba come la Mennulara, letteralmente raccoglitrice di mandorle. Così l'autrice ci trasporta nella Sicilia del 1963, anni di cambiamento a cui non è facile adattarsi, soprattutto nelle piccole realtà territoriali di una sicilia ancorata ad un certo tipo di "feudalesimo", di legami tra "signori" e "servi". La Mennulara è una "criata", al servizio della famiglia Alfallipe da quando tredicenne viene presa a servizio per mantenere la madre e la sorella gravemente ammalate.
“Muoio avendo vissuto una vita di cui si potrebbe esser paghi, ma non fieri."
Di lei inizialmente sappiamo poco, se non che oltre che essere la governante della casa era anche amministratrice dei beni della famiglia Alfallipe. Proprio per questo odiata dai tre figli dell'avvocato, Lilla, Carmela e Gianni, che di lei hanno sempre pensato essere un'arrampicatrice sociale, arricchitasi alle loro spalle e con chissà quali legami con la mafia. Alla sua morte si aspettano quindi un testamento con la dovuta eredità, ma ricevono una lettera con delle istruzioni relative allo svolgimento del funerale, senza altre menzioni. Da qui si dipanano varie storie, dicerie, intrecci, pettegolezzi che ci fanno conoscere spezzoni della vita della nostra protagonista muta, sappiamo di lei solo ciò che gli altri possono raccontare, e la sua vita diventa un puzzle da ricostruire pezzo dopo pezzo, racconto dopo racconto, ascoltato qua e là nei palazzi della nobiltà cittadina, nelle portinerie, nei circoli, nei negozi.
La Agnello Hornby ci offre un pezzo di quotidianità di una terra aspra che da poche possibilità di riscatto, dove chi nasce povero tale deve rimanere, nonostante l'intelligenza posseduta, dove la scala sociale non può essere ribaltata, dove i padroni restano tali, la stessa Mennulara diceva, infatti:
“Il mio dovere è di servirli, e sono capace di farcela. Non sono stata io a scegliermi dei padroni che mi sono inferiori. Padroni sempre sono, e io sono destinata a essere la loro serva.”
La figura della Mennulara viene riscattata nel corso della narrazione, essa pur avendo accettato la sua condizione di serva, ha sempre cercato di apprendere, di capire, ha usato ciò che le capitava per averne un ritorno ( come il legame con il capomafia don Ancona) che l'hanno portata ad avere un suo patrimonio che le ha permesso di vivere i suoi ultimi anni in autonomia finanziaria. Quelli che ne escono sconfitti sono proprio gli eredi Alfallipe, che interessati solo ai denari e all'eredità, screditano la serva fedele e non seguendo le istruzioni ricevute dalle sue missive, non solo non vedranno i frutti della sua eredità ma mostreranno la parte peggiore della nobiltà arricchitasi per meriti non propri, l'avidità.
Questo è il secondo libro che leggo della Hornby, e probabilmente ciò ha influenzato il mio parere su di esso, rimasta affascinata dal più coinvolgente - a mio avviso - "Il veleno dell'oleandro", questo mi ha delusa in molti aspetti. La narrazione è lenta, i personaggi sono così tanti che non si riesce a seguire il filo della narrazione e dei legami tra gli stessi e la protagonista. Il puzzle diventa difficile da ricostruire, ingarbugliato e a volte poco approfondito, nonostante l'idea di fondo e la storia diano spunti di riflessione. A posteriori mi sembra anche molto simile all'altro romanzo citato, come se si rimarcassero sempre gli stessi aspetti della nostra sicilia e delle nostre donne.
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Intriganti intrighi
Premesso che è il primo libro della Agnello Hornby che mi capita di leggere, e ho letto molti commenti negativi, io non ho trovato così pessimo questo libro, forse perchè amo perdermi tra i luoghi e le storie, entrare a far parte della storia, e di questa capacità si deve dare atto all'autrice,
"Guardo a sinistra l'immenso cono schiacciato della Muntagna, come nonna Mara, nata a a Zafferana, chiamava l'Etna: genio benefico degli abitanti della zona, la Muntagna è attenta a deviare la colata di lava dai paesi a lei devoti (...) bagnata da mare blu cobalto, Catania è bella e nera, dall'alto".
Una storia ambientata nella mia terra, la Sicilia, con luoghi magici, unici e misteriosi, come misteriose sono le vicende della famiglia Carpinteri, intrecciate a quelle dei Lo Mondo. Storie di segreti, di tesori nascosti, di tematiche forti, immigrazione, sfruttamenti, imbrogli, vita e morte, amori limpidi e amari allo stesso tempo. Storie di famiglie che si riscoprono.
Ci Troviamo a Pedrara, dove donna Anna ha voluto ritirarsi dopo anni di residenza a Roma, "per morire", e farsi accudire dal bellissimo e ambiguo Bede, apparentemente devoto per il bene ricevuto in passato dalla stessa e dal marito che lo ha accolto in famiglia e trattato come un fedelissimo, istruendolo e dandogli un futuro. Qui la vita sembra scorrere tranquilla fino all'arrivo dei figli di donna Anna, dapprima Giulia, con il marito Pasquale, poi la maggiore Mara (figlie in realtà della sorella e prima moglie di Tommaso), e dell'unico figlio naturale, Luigi. Riuniti nei luoghi dell'infanzia felice, preoccupati per la salute della madre, colpita da una forma di demenza senile, ma soprattutto alla ricerca delle "pietre di nonna Mara" e forse di verità celate per troppi tempo.
Tutti si affannano alla ricerca del tesoro, scoprendo anfratti e passaggi segreti, ma anche discrepanze tra i racconti del servile Bede, e ciò che vedono succedere attorno a loro.
Bede, un personaggio che attrae e respinge allo stesso tempo, lui che nasconde più di un segreto, dalla gestione delle serre, all'appartenenza ad una setta, i "Numeri", che vedono nella presenza della Famiglia Carpinteri un impedimento al regolare svolgimento delle loro attività. Sarà proprio l'insistenza nel voler allontanare la famiglia, a creare un vortice in cui l'autrice ci porta a scoprire segreti, sfumature, veleni, storie tossiche, narrati a doppia voce da Mara, figlia prediletta, e Bede, amante di donna Anna, e non solo.
Un intrigo di emozioni, di temi forti, che spesso ci fanno perdere il filo principale della narrazione, deviandoci su argomenti ostici, oscuri, a volte affrontati troppo crudamente e superficialità. Questa è forse l'unica pecca di questo romanzo, la troppa carne al fuoco cui l'autrice non riesce a dare la giusta importanza.
"il cielo è il nostro compagno di sempre. Ogni paese ha il suo cielo, ed è sempre bello. Anche se piove. Appartiene a tutti, poveri e ricchi (...) il cielo non annoia mai nemmeno quando il sole ci batte mese dopo mese, il colore del cielo cambia ogni giorni, picca, ma cambia. Ci volano gli uccelli nel cielo, e gli aeroplani. E ci voleremo tutti noi quando moriamo, se siamo buoni"...e chissà che Bede e donna Anna, non siano volati in cielo insieme, con i loro segreti, come si erano promessi e come si prospetta all'inizio del romanzo con il doppio funerale, da celebrare insieme.
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incontri di luce
Tre volte all'alba è un libriccino che si legge in mezz'ora al massimo, e contiene tre racconti che possono essere letti come singoli, ma che in fondo sono strettamente legati.
Legati dalla luce dell'alba che illumina di luce nuova le vite dei protagonisti, e fa vedere loro delle vie fino ad allora non prese in considerazione. Come dice Baricco stesso si tratta della "luce migliore per sentirsi puliti".
Tre storie dicevamo, la prima ci presenta una hall di un anonimo albergo, dove un uomo dall'apparente vita monotona, incontra una donna alle prime luci dell'alba, e la sua vita cambierà inevitabilmente. La seconda dove una ragazzina e il suo fidanzato si presentano in un anonimo hotel, e dove lei prenderà a confidarsi con il portiere di notte che le farà vedere la nuova luce dell'alba, e il cambiamento possibile nella sua vita. La terza dove una poliziotta accompagna un bambino, che ha visto andare a fuoco la sua casa e tutta la sua vita, verso un nuovo inizio.
Tre storie che si intrecciano, il bambino dell'ultima storia non è altro che l'adulto della prima e delle seconda, come la donna non è che la stessa poliziotta, in tempi diversi e inverosimili; i due personaggi si incontrano per tre volte...tre volte all'alba.
Tre passi mi sono sembrati emblematici del messaggio che Baricco vuole darci sul cambiamento possibile nella vita di ognuno, uno per ogni storia
"Si ricomincia da capo per cambiare tavolo. Si ha sempre questa idea di essere capitati nella partita sbagliata, e che con le nostre carte chissà cosa saremmo riusciti a fare se solo ci sedevamo ad un altro tavolo da gioco";
"bisogna stare attenti quando si è giovani perchè la luce in cui si abita da giovani sarà la luce in cui si vivrà per sempre";
"stava pensando alla misteriosa permanenza dell'amore, nella corrente mai ferma della vita".
D'altronde è sempre per amore che si cambia. Amore per noi stessi o per gli altri.
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Di Professione "Capro Espiatorio"
Confesso che fino alla scorsa estate, con l’uscita dell’ultimo libro della serie, ignoravo l’esistenza della saga di Belleville. Me ne hanno parlato più persone e come accade in ogni lettore che si rispetti la curiosità ha cominciato a lavorare dentro di me...ho aspettato un po' prima di iniziare quest’avventura, e un altrettanto po' a recensire la prima opera.
Non è stata per me una lettura scorrevole, continuativa, a tratti ho pensato di mollare il caro Ben Malaussène e dedicarmi ad altro...e l’ho fatto, ma cedevo sempre al richiamo di quelle pagine dove ogni parola sta li per un motivo, ogni minimo dettaglio è minuziosamente descritto tanto da dover tornare più volte sullo stesso paragrafo per paura di perdersi qualcosa di necessario. E’ una narrazione ricca, intricata, che trasuda realismo da tutte le parti.
Benjamin è di professione “capro espiatorio” al Grande magazzino, ”la funzione detta di controllo tecnico è assolutamente fittizia. Io non controllo proprio niente, poiché niente è controllabile nella profusione dei mercanti del tempio...Il mio lavoro consiste nel subire l’uragano di umiliazioni con un’aria così contrita, così miserabile, così profondamente disperata, che di solito il cliente ritira i reclami per non avere il mio suicidio sulla coscienza”.
Nella vita privata egli è tutore dei suoi fratelli e sorelle minori, nati tutti dalla stessa madre ma da padri diversi e sconosciuti, una famiglia allo sbaraglio, che si riunisce la sera per raccontarsi le giornate e ascoltare la STORIA. E’ questa l’idea geniale di tutta la narrazione, una storia nella storia, il resoconto delle esplosioni, della vita che scorre dentro il magazzino, che il protagonista fa per rimettere a posto i pezzi di un puzzle complesso, e uscire dalle vesti di capro espiatorio che lo vogliono colpevole degli orribili fatti.
Tutta la famiglia collaborerà, ognuno con i propri mezzi (esperimenti, visioni, indagini), per arrivare alla scoperta delle vicende remote, eppure così attuali, che si nascondono dietro le esplosioni.
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Qualcosa di Meglio
Ho sempre sostenuto che per ogni libro ci sia un momento preciso della vita cui questo si adatti. Ho ricevuto in regalo questo libro anni fà, ma non ho mai sentito la spinta giusta per tuffarmici dentro, forse sono stata troppo felice e di corsa, e Sparks invece ha bisogno di "momenti di staticità" per essere apprezzato. E' il secondo libro che mi capita tra le mani e il suo stile romantico, lento, minuzioso e coinvolgente è sempre presente, come presente è la sensazione di essere insieme ai protagonisti, di sentirne il battito del cuore e respirarne le emozioni...
Dawson E Amanda sono stati innamorati al Liceo, una storia contrastata dalle famiglie, troppo diverse socialmente per accettare un tale amore, ed è forse anche questo sentirsi ai poli opposti a far avvicinare i due ragazzi. A fare da custode a questo sentimento troviamo Tuck, un uomo solo che offre a Dawson un tetto e un lavoro e ad Amanda un posto sicuro in cui rifugiarsi. Ma le loro strade si dividono inevitabilmente e portano ad un allontanamento fisico sempre più definitivo, finchè il vecchio Tuck in procinto di morire organizza il loro ritorno nella cittadina in cui tutto è cominciato, e dove tutto troverà il suo giusto posto. Un posto che forse non è quello che speriamo, ma pur sempre giusto secondo le regole di un mondo che risponde alla legge della compensazione. Pur sempre un modo per risolvere il dilemma di Amanda e la sua "sensazione di aver perso di vista la persona che sarebbe dovuta diventare e di non avere la certezza di poterla ritrovare".
"Può l'amore riscrivere il passato?" è l'interrogativo presente per tutta la narrazione, e alla fine io una risposta non l'ho trovata, non in termini assoluti. L'amore può incidere notevolmente nelle nostre scelte, ma probabilmente al destino non si può sfuggire, così come ci dimostra Sparks, nonostante i due protagonisti sembrano aver ritrovato ciò che erano un tempo e sentano di essere uno la parte mancante dell'altro per raggiungere la felicità, alla fine scelgono di tornare alle loro vite, perchè "si può sfuggire al passato solo abbracciando qualcosa di meglio". (solo che stavolta questo qualcosa di meglio si intuisce troppo presto, e quando di un libro si scoprono le carte molto prima della fine la magia svanisce di botto e ti lascia un amaro in bocca peggiore di un finale contrario ai desideri).
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Storie di sconfitti vittoriosi
"Bisogna creare spazio. Dentro di noi. Solo così possiamo produrre un cambiamento."
Quasi niente è un libro che profuma di vita, quella vera, vissuta, tramandata, quella che ti insegna a colpi di sconfitte a scoprire chi siamo, e ad accettarlo. Perché in fondo quello che è importante è ciò che siamo, nell'intimo della nostra anima, non ciò che appare di noi agli altri.
Questo libro è un dialogo tra due amici, Mauro Corona e Luigi Maieron, ma in realtà noi siamo li con loro, seduti tra quelle vallate che avanziamo con loro nella scalata della montagna. Ognuno di noi ha una montagna, simbolica o meno, da scalare e attraverso i loro racconti (storie vere) ci caliamo in noi stessi, perchè in ognuno dei personaggi citati e delle loro vite, possiamo ritrovare aspetti del nostro vivere quotidiano.
Sono storie che ai nostri tempi, alle nostre generazioni, non piace raccontare, storie di sconfitte, storie di dolore, temi forti, crudi e crudeli, la guerra, la violenza domestica, la disillusione dei sentimenti, storie di uomini che attraverso il dolore fisico e la privazione di una parte del corpo, in epoche dove il progresso scientifico non esisteva, diventavano più dotati di prima, ingegnosi e caparbi.
Sono storie di sconfitti che sconfitti non sono, perchè gli sconfitti siamo noi che abbiamo "tutto" e non apprezziamo niente. Il messaggio è che "tante volte siamo indotti a pensare che per essere qualcuno dobbiamo fare qualcosa di grande. Ma quando costruiamo troppo intorno alla nostra persona c'è il rischio reale che restiamo chiusi e imprigionati nella costruzione. ...Costruisci un personaggio e finisci per essere quella roba lì".
La vita, come questo libro, ci dice che ogni cosa ci accade, bella o brutta, va accolta, accettata, conosciuta e poi oltrepassata, che restare immobili vuol dire morire...bisogna continuare la salita, ad ogni costo. Solo così possiamo arrivare a vivere, vivere davvero e fare diventare il quasi niente, il tutto.
Due frasi mi hanno accompagnato lungo questa chiacchierata:
"Uno dei segreti per respirare meglio è non accumulare negatività nel nostro cuore";
"Ho imparato a pensare che in molti casi le lacrime servono ad asciugarsi gli occhi per poi vederci meglio...si cresce insomma passando anche dal dolore e dalla sofferenza".
Ed è proprio questo che dovremmo tutti un pò reimparare, che la vita non è fatta solo di primi posti, ma soprattutto di sconfitte e sono quelle che ci rendono veri.
Grazie Mauro e grazie Luigi. C'è molto di voi in questo libro, ma c'è anche molto di me.
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L'imperfetta felicità
Venti fotografie. Da qui si snoda la parte preziosa di questa storia, una storia che solo Rosamond conosce. Rosamond è la voce narrante, una strana protagonista dal momento che lei non è più.
Nel suo testamento oltre i due nipoti, Gill e David, viene citata Imogen, una bambina di cui nessuno si ricorda più, e che sicuramente nessuno immagina abbia un legame così forte con la vecchia zia Rosamond.
Ci troviamo così sedute su un divano con Gill e le sue figlie, ad ascoltare delle cassette che ci guideranno alla scoperta di una storia di famiglia ignota, taciuta per troppo tempo. Le fotografie non immortalano solo un fermo immagine, ma portano con sè emozioni, sensazioni, accadimenti, lacrime e risate, fughe, amicizie e amori. Ogni fotografia nasconde segreti che solo chi c’era può svelare al mondo, ed è questo quello che Coe fa, attraverso la voce di Rosamond, trascinandoci in un’altra epoca, in altri luoghi. Ascoltando quelle descrizioni siamo proprio li. Siamo proprio spettatori di storie di vita, di madri incapaci di amare, di figlie non amate che a loro volta saranno madri sterili, non indifferenti ma non empatiche, non vere madri. Ci troviamo a vivere in quei luoghi, in quelle soffitte, in quelle roulotte, in quei boschi e in quei salotti dove la vita scorre tra cose non dette, sussurate o schiaffate in bella vista.
Coe affronta temi importanti come la violenza domestica, i rapporti madre-figlia, i tradimenti, l’omosessualità e lo fa con naturalezza…così come la vita è, naturale. E con la stessa naturalezza ci svela una realtà che non è perfetta, una fine della storia che non è per niente naturale.
Tutta la narrazione può essere riassunta in una frase della protagonista “Non c’è niente che si possa dire, immagino, di una felicità perfetta, impeccabile e senza ombre; niente, salvo la certezza che dovrà finire”.
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Amore essenza di vita
“Hervé Joncour aveva 32 anni.
Comprava e vendeva.
Bachi da seta.”
Con queste poche parole potrebbe descriversi quella che è l’anima della storia che Baricco ci pone davanti in questo libro. Seta, in queste quattro lettere sta la leggerezza, la sfuggevolezza e l’inconsistenza dell’esistenza umana, della vita e dei sentimenti di Hervé.
Siamo nell’Ottocento, in un paesino della Francia, Lavilledieu, e la vita di Hervé e della moglie Hèléne prosegue con ritmi costanti dettati dal ciclo di vita dei bachi da seta. Il protagonista d’altronde era “uno di quegli uomini che amano assistere alla propria vita, ritenendo impropria qualsiasi ambizione a viverla”. Nel suo stesso nome, Hervé, che vuol dire forte e degno, si dipana l’ossimoro dell’esistenza di un uomo che non ha mai scelto nulla da solo. Né la carriera militare imposta dal padre, né la svolta come commerciante in bachi da seta, e i viaggi “fino alla fine del mondo”, in cui viene spinto dal suo amico fraterno Baldabiou.
Hervé si reca in Giappone per salvare l’economia di un paese messa in pericolo dall’epidemia di pebrina che rendeva inservibili le uova degli allevamenti europei e africani.
Dopo questo viaggio, e l’incontro con una ragazzina, la sua vita cambia inesorabilmente. Forse per la prima volta nella vita è lui in prima persona a decidere per se stesso, a voler rischiare tutto, a decidere di “viverla” questa vita, e non osservarla scorrere semplicemente. Baricco ci fa cogliere questo mutamento nella descrizione dei suoi viaggi, che si svolgono con itinerari e tempi sempre uguali, se non fosse per il significato che assume ogni volta il lago Bajkal: il Mare, l’Ultimo, il Demonio e il Santo. Sfumature che passano inosservate fino alla fine della storia, quando stanco e disilluso “nelle giornate di vento, scendeva al lago e passava ore a guardarlo, giacchè, disegnato sull’acqua, gli pareva di vedere l’inspiegabile spettacolo, lieve, che era stata la sua vita”.
Vittima di un amore irreale, platonico, fatto di soli sguardi muti, si ritrova ad amare più di quanto abbia mai fatto, lui stesso confiderà a Baldabiou che “ E’ uno strano dolore morire di nostalgia per qualcosa che non avrai mai”. Scoprirà di avere avuto tutto ciò che contava e non averlo compreso fino a che non lo ha perso, perdendo la ragazzina occidentale e la devota moglie.
“Riempiva fogli e fogli di disegni strani, sembravano macchine. Una sera Hèléne gli chiese:
– Cosa sono?
– E’ una voliera.
– Una voliera?
– Si
– E a cosa serve?
(…) – Tu la riempi di uccelli, più che puoi, poi un giorno che ti succede qualcosa di felice la spalanchi, e li guardi volar via.”
E’ così che ancora una volta Baricco ci accompagna guidandoci per mano in un mondo interiore, quasi onirico, svelandoci la semplicità dell’esistenza umana che tutto racchiude nella parola AMORE.
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Gioco metafora di vita
Avevo un certo pregiudizio nei confronti di quest’opera, dovuto alle recensioni lette qua e là: un’opera minore, scritta di fretta per non cedere al “ricatto” di un editore, che in mancanza della suddetta, avrebbe potuto pubblicare, per nove anni e senza pagarne i diritti, tutte le opere di Dostoevskij.
Protagonista e voce narrante è Aleksej Ivanovic, precettore dei figli minori di un Generale russo, ormai caduto in disgrazia, divorato dai debiti e dalle figure che gli stanno intorno. Aleksej è innamorato di Polina, figliastra del Generale e, sarà proprio l’amore verso quest’ultima a portarlo alla rovina, materiale e morale. Il suo avvicinarsi alla roulette e al gioco non è che una conseguenza del suo volersi innalzare ai suoi occhi, del suo voler essere il salvatore della fanciulla. Essa infatti è tenuta in scacco dal marchese De Grieux, creditore della famiglia.
…"prendete questi settecento fiorini e andate a giocare, vincete per me alla roulette quanto più potete; ora i quattrini mi sono necessari, costi quel che costi."
(…)"Dopo l’ordine di andare alla roulette era come se avessi ricevuto una botta in testa. Strano affare:avevo di che riflettere e invece sprofondai completamente nell’analisi dei sentimenti che provavo per Polina. Era vero, mi ero sentito più a mio agio in quelle due settimane di assenza che in quel momento, nel giorno del mio ritorno, benché in viaggio fossi impazzito dalla nostalgia, avessi corso come un ossesso e fossi arrivato al punto di vederla davanti a me ogni minuto."
Forse più che la fortuna al tavolo da gioco, nella prima parte del romanzo, tutti aspettano la morte della vecchia nonna, per ereditare la sua fortuna e modificare radicalmente le loro sorti: il Generale potrebbe, finalmente, sposare M.lle Blanche e ripagare tutti i suoi debiti, Polina liberarsi di De Grieux…ma la nonna lungi dall’essere moribonda fa la sua comparsa a Roulettenburg, con tanto di servitù al seguito. E sarà lei stessa a sperimentare il brivido tipico del giocatore, quell’adrenalina crescente ad ogni nuova puntata, quell’attesa, seguita ora da una gioia profonda ora da un’altrettanto profonda rabbia. Proprio al seguito della nonna il precettore farà sua quella voglia irrefrenabile di tentare la fortuna, nonostante la prima impressione sul casinò fosse stata terribile
"Tutto mi sembrò così lercio, per così dire moralmente brutto e lercio…(…) gli uomini, non soltanto alla roulette ma ovunque, non fanno altro che togliersi o vincersi qualcosa reciprocamente".
Aleksej gioca per salvare Polina, per salvare se stesso da un amore che lo divora, per comprare quella donna sfuggente eppure così vicina. Vincerà e anche parecchio, ma neanche questo gli farà conquistare la cosa più importante della sua vita, il rispetto e l’amore di una donna, quella stessa donna che offesa dal suo gesto rifiuterà lui e i suoi soldi…e questa sarà la vera rovina di Ivanovic, che inizierà ad annullarsi fino ad avere il solo scopo nella vita di sfidare la sorte, o la vita stessa, ad una roulette, nella scelta tra rouge et noire, pari et impair, manque et passe…
"Sono persuaso che, per metà, fosse entrato in gioco il mio amor proprio; avevo voglia di stupire gli spettatori, affrontando un rischio dissennato, e ricordo con chiarezza, strana sensazione!, che all’improvviso fui effettivamente dominato, al di là di ogni sfida della vanagloria, da una tremenda sete di rischio. Può darsi che, dopo essere passato attraverso tante sensazioni, lo spirito non finisca affatto col saziarsene, ma ne tragga soltanto un’esaltazione che lo spinge a esigerne sempre di nuove e sempre di più forti, fino alla definitiva estenuazione."
Come già nei miei incontri passati con Dostoevskij si ripresenta il mio amore/odio per lui. Una lettura che stenta a decollare, a coinvolgere del tutto finché non arriva un punto in cui non si riesce più a chiudere il libro e, anzi, lo si inizia a divorare, aumentando il ritmo della lettura, che diventa quasi una corsa. Anche stavolta Dostoevskij mi ha coinvolta e stravolta…e spero sia così anche per voi.
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Il senso di una vita intera
“The old man and the sea”, un capolavoro, assoluto, Il regalò più bello di una vita, intera. Come quello che avrà Santiago alla fine del romanzo…
A primo impatto sembra solo il racconto di un vecchio e delle sue battute di pesca, fallimentari per lo più…ma basta calarsi davvero nello spirito di Hemingway per cogliere il senso di una vita. Una vita intera.
Passano 84 giorni, giorni in cui Santiago esce in mare e rientra senza una preda, neppure la più misera, ed è in questa descrizione della frustrazione del Vecchio che Hemingway si supera, una descrizione reale, coinvolgente nella sua semplicità. Egli sfida la “malasorte” da cui è stato colpito, coadiuvato dal giovane Manolo, suo allievo fedele, uscendo in mare in cerca di fortuna, una fortuna che non arriva. Anche lui lo lascerà, obbligato dai genitori a cercare la sua fortuna altrove, su pescherecci più redditizi.
E’ solo Santiago il giorno in cui si imbatte nelle preda più importante della sua vita, con la quale lotta fino allo sfinimento. Lotta con le mani – sua unica forza – che lo abbandonano, e allora si affida a Dio, un Dio in cui lui stesso ammette di non aver mai creduto.
"Ora non è tempo per pensare a ciò che non hai. Pensa a quello che puoi fare con quello che c’è"
E’ proprio pensando a quello che ha, alla forza interiore e a quella preda desiderata per giorni, per anni, per una vita forse che riuscirà ad avere la meglio sul grande pesce spada dei Caraibi.
Il vecchio ha un legame con la natura che attraversa tutto il romanzo e si palesa nella sua straordinaria potenza, nel rispetto verso la preda, nei dialoghi che intrattiene con il pesce.
"Mi stai uccidendo, pesce, pensò il vecchio. Ma hai diritto di farlo. Non ho mai visto nulla di grande e bello e calmo e nobile come te, fratello. Vieni a uccidermi. Non m’importa chi sarà ad uccidere l’altro."
Tornerà a casa con solo la carcassa ma avrà vinto sulla maledizione e sulla vita, su tutti quelli che lo avevano dato per finito, per vecchio.E’ questo il senso più profondo di tutto il romanzo, ciò che ai più appare come l’ennesima sconfitta, se analizzata bene, scrutata, può rivelarsi la migliore delle vittorie, perchè
"Un uomo può essere distrutto ma non sconfitto."
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Ferite come medaglie
La mia mania di scegliere, o farmi scegliere dai libri, girovagando tra gli scaffali mi ha portato ad innamorarmi di questo titolo: Mi sa che fuori è primavera. L’ho detto a me stessa prima ancora di sapere di cosa la De Gregorio volesse parlarmi in questo dialogo a tu per tu…e così ho afferrato il libro e l’ho portato con me, a casa.
L’ho guardato per due giorni prima di decidere di leggere il sunto sul retro, solo allora mi sono trovata davanti ad una storia vera, sentita ai Tg anni prima e poi riposta in un angolo della memoria. Ho avuto il timore di trovarmi innanzi una storia pesante, cupa, che mi mostrasse tutt’altro che la primavera…mi sono fatta coraggio e ho iniziato la lettura.
Ho letteralmente divorato questo testo, che non riesco a categorizzare tra romanzo, inchiesta, saggio…direi vita! E’ una narrazione a due voci, quella della De Gregorio e quella di Irina Lucidi, madre di Alessia e Livia Schepp, rapite dal padre nel 2011 e mai più ritrovate. Non è una cronostoria, non del tutto almeno, è la storia di una discesa nel vortice più buio che la vita può riservare ad una madre, e la risalita verso la luce. Una risalita guidata dall’amore, nonostante i sensi di colpa, il giudizio della gente, la disperazione, i vuoti.
“Dimenticare è impossibile, ma vivere si deve perché la vita ha deciso così: il dolore da solo non uccide. L’assenza di un amore si ripara con altro amore.”
Così Irina ci porta nel suo intimo, attraverso lettere alle persone care e alle istituzioni, a chi l’ha sostenuta e a chi invece non ha fatto altro che ignorare le sue richieste di giustizia, di aiuto, di chiarezza in una vicenda che di chiaro non ha niente. Si parla di indagini non fatte, di indizi non cercati, di testimoni non ascoltati, di burocrazia inutile, e si parla di sentimenti, di coincidenze, di date, di eventi che ritornano e si ripresentano nella storia di una famiglia finché “Todo quadra”. Si parla soprattutto di amore, un amore silenzioso (quello di Luis) che riesce a riparare le ferite, lasciandole in evidenza, perché con il dolore, come con “l’elefante rosa” che sta sempre in mezzo, bisogna convivere, senza dimenticare, perché se siamo ciò che siamo è per la strada che abbiamo percorso. d’altra parte “la vita è molto semplice. Per essere felici non ci vuole tanto. Per essere felici non ci vuole quasi niente. Niente, comunque, che non sia già dentro di noi. (…) E’ il tempo la nostra prigione. Il troppo presto, il troppo tardi, il troppo breve e troppo poco.”
La narrazione riflette spesso il flusso interiore di Irina come negli elenchi che redige: cose che mi irritano, cose che mi piacciono, cose che non devo dimenticare, e si alterna con i pensieri della De Gregorio, che raccoglie, appunta, interiorizza, dialoga e ci apre un mondo interiore che le pagine di cronache non possono far trasparire.
“Aiutami a dire quello che non si può dire, chiedi. Sarebbe questo il risultato strabiliante. Riuscire a dire a voce alta e occhi asciutti cose che non si possono dire perché nessuno ha un posto dove metterle, non vuole proprio tenerle in mano, bruciano.”
Ma con un amico che ti prende per mano, come un amore che ti riaccende il cuore, ci riaffacciamo sempre alla vita perché alla fine “fuori è primavera.”
P.s. Riporto ciò che trovo nel libro “Concita e Irina sarebbero felici se questo libro riuscisse a sostenere e far camminare a lungo il lavoro prezioso di Missing Children Switzerland.
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Rimedi per l'anima
Mi sono imbattuta casualmente in questo libro nel 2013, e ricordo chiaramente di aver pensato che Gramellini fosse un visionario. Non riuscivo a trovare un filo logico nella sua narrazione, continuavo ad andare avanti per comprenderne il senso…senso che poi trovai d’improvviso. Questo libro parlava esattamente di me! Più scendevo in profondità insieme al protagonista, più mi imbattevo in me stessa, nel mio intimo, nei miei errori, nei miei rimpianti, nelle mie questioni irrisolte e in quelle risolte frettolosamente. Il mio IO coincideva esattamente con quello di Tomàs (e dell’autore).
Il nucleo centrale della narrazione è l’Amore, inquadrato nel suo elemento fondamentale: l’Anima gemella. Tomàs aveva fin da piccolo un’ossessione: accoppiare tutto in fila per due. Ascoltava a bocca aperta le favole che la madre gli raccontava, ma l’ULTIMA RIGA lo lasciava sempre insoddisfatto. “E vissero per sempre felici e contenti. Avrebbe voluto sapere che cosa succedeva davvero, dopo”.
Era stato proprio il “dopo” a renderlo una persona timorosa, con il “cuore ustionato”, che aveva imparato a reagire ai colpi della vita chiudendosi a riccio su se stesso e scegliendo sempre la via più semplice nei rapporti a due: la fuga.
Almeno finché non appare Arianna e tutto si ribalta. con lei non potrà fuggire, il “disertore sentimentale” viene bruciato sul tempo. Tomàs sta passeggiando sulla spiaggia in cerca di se stesso e del senso della sua vita, quando si imbatte in un gruppo di balordi e cade in acqua; mentre sta per annegare il tempo inspiegabilmente si ferma.
In bilico tra la vita e la morte, il suo ultimo pensiero va a lei, Arianna.
“Noi accogliamo coloro che scappano dalla vita, ma covano un desiderio non realizzato in fondo al cuore…un uomo arreso non è ancora un uomo perduto. A salvarlo sarà sempre il suo pensiero più ardito.” (…) Tomàs abbassò le palpebre e fece finta di assopirsi. Era una delle sue specialità. Fin da bambino aveva imparato a indossare la maschera dell’addormentato per scappare dalle situazioni che lo mettevano a disagio. Si girò su un fianco e incominciò a pensare. All’anima gemella.
Da qui inizia il viaggio attraverso se stesso nelle ” terme dell’anima” , alla ricerca dell’amore e della guarigione. D’altronde ci dice Gramellini
"Se vuoi fare un passo in avanti, devi perdere l’equilibrio per un attimo."
Trovo che questo sia un libro che scatena sentimenti controversi, può piacere o meno, in ragione dello stato d’animo in cui ci si trova e con il quale lo si legge; è forse più adatto alle anime in pena che ai cuori felici.
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