Opinione scritta da abby

4 risultati - visualizzati 1 - 4
 
Politica e attualità
 
Voto medio 
 
4.6
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
5.0
Piacevolezza 
 
4.0
abby Opinione inserita da abby    22 Aprile, 2017
Top 1000 Opinionisti  -  

L'uomo e l'agire

Hannah Arendt ha sempre rifiutato l’appellativo di filosofo. Eppure, sugli scaffali delle librerie, i suoi testi occorre cercarli nei pressi di quelli di Aristotele. Mi innamorai della Arendt leggendo “La banalità del male”. Il suo stile, il metodo speculativo che adotta, la capacità di spostarsi agevolmente dalle profondità buie dell’animo umano alle vette luminose della nostra civiltà, rappresentano elementi preziosi ed unici.

Descrivere il contenuto di questo testo espone ad un duplice rischio. Il primo è quello di far perdere al testo la sua bellezza, a causa dei filtri applicati dalle mie capacità di comprenderlo e di sintetizzarlo (ma una ricerca su internet credo porti a fonti decisamente più autorevoli). Il secondo rischio è quello di far sembrare lo scritto un qualcosa di prettamente tecnico, una specie di trattato socio-politico che irradia noia al solo sfiorarne la copertina.
Un libro della Arendt, che ha per titolo “La condizione Umana”, non è assolutamente un libro che possa essere affrontato con leggerezza, visto il taglio filosofico. Ma non è nemmeno un trattato di Kant o Sartre, e può essere approcciato da chiunque, con la consapevolezza che richiederà tempo e attenzione.
Quindi se si vuole aggiungere un nuovo tassello al mosaico che si sta realizzando per comprendere cos’è l’essere umano, sempre che non ci si rivolga a cibi precotti, delle varie dottrine religiose, attualmente disponibili, questo testo può fornire elementi utili.

La Arendt segue il percorso, dal passato ad oggi, che porta a comprendere come la famiglia, la società, la politica e il ruolo dell’essere umano in esse, ed occorre tenere in mente che noi guardiamo le scene da lei illustrate con gli occhi di chi appartiene ad una cultura che non accetta determinati schemi.
Il ruolo dello schiavo nell’antica Grecia, ad esempio, oggi sarebbe una figura improponibile. Non comprenderemo nemmeno lo sdegno che i greci provavano nei confronti di chi sottraeva tempo alla politica per far sì che le proprie ricchezze crescessero.
Eppure oggi abbiamo fatto l’abitudine a vedere persone il cui solo scopo di vita è lavorare e spendere il denaro guadagnato per consumare i prodotti realizzati da altri, senza alcun ruolo nella vita sociale. Non usiamo più il termine “schiavo” ma non ne abbiamo ancora coniato uno nuovo.
E come dovremmo invece chiamare chi dedica la sua vita ad arricchirsi, provando appagamento nell’ammirazione e nell’invidia che suscita in coloro che non hanno raggiunto i suoi obiettivi. Arendt spiega cos’era lo schiavo e questo può essere utile per capire cosa siamo noi oggi.
Vi sono molti elementi come questi che si sviluppano in maniera più o meno breve intorno al tema principale del libro. L’analisi delle tre attività, che non siano pensiero, che l’uomo svolge: lavorare per sopravvivere, produrre oggetti per costruire il suo mondo artificiale nel mondo naturale e interagire con altri uomini.
Per quanto impegnativo, ripeto, possa essere il libro, la penna della Arendt rende il tutto affascinante. Illustra agevolmente, con approfondimenti interessanti e considerazioni originali, molti concetti già noti. Ma il suo punto di vista è affascinante.
Emergono sotto una luce diversa personaggi come Gesù, ma lei è atea di origini ebraiche, ed estrapola il personaggio dal contesto religioso, nel quale siamo abituati a vederlo, conferendo alla sua dottrina un risvolto sociale di non poco conto.
La scoperta di Galilei, sistema eliocentrico, è un altro elemento che colpisce. Ne illustra l’impatto sul cammino del pensiero filosofico, sulla religione e sulla scienza, in un modo che stupisce e fa riflettere.

Sono cosciente, ripeto, del fatto che più se ne scrive, più si banalizza il contenuto del libro, d’altronde sarebbe impossibile anche il solo indicare tutti gli argomenti che è possibile approfondire nel libro. Ma come non dire che si toccano aspetti come l’arte, qui Arendt fa capire cos’ha di tanto speciale per l’uomo, vista l’inutilità oggettiva come elemento di sopravvivenza.
Parla del coraggio, della violenza, del ruolo delle promesse e del perdono nei rapporti tra le persone.

Ci sono state pagine che sono andate via agevolmente, altre che son durate giorni perché tale era la profondità della materia che non la si poteva lasciare lì tra quelle righe senza strapparla via e considerarla in tutte le sue sfaccettature .

Libro facile o difficile? Non saprei, decisamente impegnativo per chi non naviga per i mari della filosofia, ma non impossibile.
Occorre essere consapevoli che le cose più belle, per essere raggiunte, richiedono sempre dei sacrifici.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
80
Segnala questa recensione ad un moderatore
Classici
 
Voto medio 
 
4.0
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
4.0
abby Opinione inserita da abby    22 Aprile, 2017
Top 1000 Opinionisti  -  

L'apatia

Nella corrente esistenzialista, accanto a Sartre, Kafka e Dostoevskij, Camus è una figura decisamente di rilievo, che ha sviluppato un pensiero che merita di essere approfondito - una veloce ricerca sul web fornirà materiale sufficiente per delinearne le forme. Ogni libro va visto come un pezzo che contribuisce a delineare il punto di vista di Camus sulla vita. Lo Straniero affronta il problema dell’assurdo e di come ci si abitui a vivere senza farci caso.
Il libro è composto da due parti che sono completamente diverse come stile. Inizialmente si ha la sensazione che la stesura sia avvenuta in maniera oziosa, svogliata. Sembra che l’indifferenza che il protagonista nutre nei confronti della vita sia la stessa che lo scrittore riservi alla scrittura del libro.
Nella prima parte il protagonista vive la vita senza sottrarsi a nessuna attività ma senza alcun coinvolgimento emotivo. Non vive, lascia solo che le cose accadano. Camus lascia che Meursault descriva le sue giornate senza che commenti e senza dare al lettore la possibilità di entrare nel suo animo. Sembra quasi che si voglia indurre nel lettore, nei confronti del libro, la stessa emozione di noia che il protagonista nutre nei confronti dei fatti della vita.
Nella seconda parte tutto cambia. Inizia una presa di coscienza che aumenta gradualmente. Non si intravedono i sentimenti, ma i protagonisti iniziano ad esporre le proprie idee. Ora però Meursault viene privato della possibilità di scegliere, di decidere - anche se quando ne aveva facoltà non lo ha mai fatto - ed è costretto a vivere in base alle scelte degli altri.
In prigione prendono vita pensieri profondi che si schiantano contro le pareti umide della cella. Lui è un prigioniero perché lo è di fatto, ma soprattutto perché pensa da prigioniero e da prigioniero agisce.
Il concetto del tempo viene sfiorato in alcuni punti ed è assolutamente interessante. Ad esempio quando si è abituato al ritmo della vita in cella non esistono più settimane o mesi, ma solo l’oggi e il domani, due giorni uguali che si avvicendano. Interessante è anche la trama che realizza intrecciando il concetto di tempo e morte arrivando alla conclusione che, poiché siamo tutti destinati a morire, farlo a vent'anni o a novanta non fa alcuna differenza. Nulla sembra abbia senso per il protagonista finché non inizia a pensare alla ghigliottina. Quel macabro strumento, che sembra dia finalmente senso a tutto, appare affascinante e cinicamente risolutore. Sembra quasi si sia atteso per tutto il tempo un evento che ponesse fine a quell'avvicendarsi di giorni uguali, sovrapponibili l’un l’altro dall'alba al tramonto.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
130
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi
 
Voto medio 
 
3.3
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
2.0
abby Opinione inserita da abby    21 Aprile, 2017
Top 1000 Opinionisti  -  

e se il nostro più grande sogno si avverasse?

In ogni sua opera Saramago riesce sempre a calare il lettore in uno scenario iperbolico che rompe gli schemi della sua quotidianità, evidenziandone i paralogismi attraverso i paradossi che propone.
Lavorando sul negativo della realtá, lascia al lettore il compito di trasferire, con le dovute trasformazioni, questi concetti sul positivo.
Occorre prestare molta attenzione perché lo scrittore non rende la vita facile a chi vuole sfogliare le sue pagine, quasi a voler effettuare una prima cernita, utilizzando, per cominciare, quella sua punteggiatura poco convenzionale.
E’ però utile partire dalla copertina dell’edizione della Feltrinelli per comprendere l’impostazione del romanzo - in effetti è stata cambiata, ma v'era l’immagine della morte, seduta su una panchina con un mazzo di fiori in mano. È un’immagine che stona perché vedere la morte in una posa in cui sembra stia attendendo la persona che ama è un qualcosa che confonde. Ma è questa immagine che racchiude il senso del libro. In effetti la rima parte del romanzo inizia illustrando le conseguenze di un gesto d’amore che la morte compie nei confronti dell’essere umano – anche se il fenomeno è circoscritto ad una sola nazione. La morte semplicemente sparisce, smette di lavorare, si ritira nella sua dimora e nessuno muore più.
In pochi passaggi Saramago realizza in questo libro il più grande sogno dell’uomo: la vita eterna. Eppure qualcosa non va e si comprende che l’essere umano non è mai felice. Non ci vuole molto per capire che della morte, in effetti, ce n’era bisogno. E non poco.
Le istituzioni che avevano ragione di essere solo in funzione della morte sono le prime ad evidenziare il problema. Assicurazioni, agenzie funebri e case di riposo vanno subito in crisi, ma chi più di tutti accusa il colpo è la chiesa perché, come sottolinea un cardinale, senza morte non v’è resurrezione. Saramago snocciola, con il suo stile ruvido, le problematiche connesse a questo modo di vivere, incastonando nel racconto piccole perle rappresentative della sua filosofia di vita.
Improvvisamente la morte comprende che occorre ritornare al lavoro, l’uomo non si preoccupa che della durata della vita, tralasciandone gli aspetti veramente importanti. Beh, in effetti anche una vita eterna, vissuta senza alcun contenuto, avrebbe poco valore, no?
Ma qualcosa è mutato, non si torna alle condizioni iniziali perché la morte decide, esercitando la sua capacità di amare, che tutte le persone debbano ricevere una lettera di preavviso di 8 giorni. Da questo momento il registro del romanzo muta e il tutto diviene di facile lettura e sembra troppo romantico per essere Saramago.
Ad un passaggio in particolare occorre prestare attenzione. Le lettere della morte vengono scritte con uno stile strano, senza punteggiatura, senza seguire alcuna regola grammaticale, quasi che alla morte mancassero i rudimenti dello scrivere. Quando un giornale pubblicherà la prima lettera spedita dalla morte, apportando le dovute correzioni grammaticali, la morte, uscendo allo scoperto, preciserà con decisione il perché di quel suo stile. Questa è anche la risposta al perché Saramago scriva in quel modo. In questi passaggi si capirà quanto la figura della morte sia simile a Saramago, nel modo di ragionare e di porsi, ovviamente.
Nella spedizione di queste lettere vi sarà un intoppo, e da questo imprevisto si sviluppa la seconda parte del romanzo.
Noi siamo abituati a vedere la morte umanizzata, sebbene rappresentata solo da uno scheletro, in veste nera e falce in mano e Saramago rispetta questa immagine. Ma mai abbiamo visto la morte completata, nella sua rappresentazione, dai tratti caratteriali tipici dell’essere umano, dai tratti che potremmo, quasi, definire nobili. Ebbene la morte finirà per apprezzare quei piccoli particolari della vita quotidiana che dovrebbero farci apprezzare la vita. Non so voi che impressione ne riceverete, a me, quest’ultima parte, ha riportato alla mente il film di Wenders, Il cielo sopra Berlino.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
90
Segnala questa recensione ad un moderatore
Scienze umane
 
Voto medio 
 
4.0
Stile 
 
4.0
Contenuti 
 
4.0
Approfondimento 
 
4.0
Piacevolezza 
 
4.0
abby Opinione inserita da abby    21 Aprile, 2017
Top 1000 Opinionisti  -  

L'assurdo (e come comprenderlo)

Camus viene da molti considerato un filosofo, e lo è, sebbene non potremmo definirlo "a tutto tondo". Intuisce molte cose interessanti, le analizza e le rende chiare. Ma spesso si avventura alla ricerca di una via di uscita, ricadendo nei pressi del punto dal quale era partito. Ma la cosa non è senza beneficio per il lettore che lo segue.
Ne Il mito di Sisifo, Camus affronta il tema dell’assurdo. Lo identifica e lo illustra utilizzando immagini e pensieri propri di personaggi di altre opere e dei loro autori.
Questo volo su paesaggi realizzati da altri autori, dei quali si evidenziano gli aspetti che contribuiscono ad una migliore comprensione dell’assurdo, è in sé di una piacevolezza unica, per quanto la materia non sia leggera.
Ma cos’è l’assurdo?
L’assurdo è l’incapacità dell’uomo di comprendere la vita, il non riuscire a darle un senso che non ricada in una qualche fede dogmatica.
L’assurdo si fa avanti nel momento in cui si inizia a pensare e più si vuole comprenderlo, per scacciarlo, più questo acquista forza.
Camus parte subito offrendo la soluzione che i matematici definirebbero banale: il suicidio. Lui stesso, però, non crede nell'utilità di questa soluzione la quale, comunque, ritorna utile per iniziare un excursus nelle stanze buie della vita.
Perché Sisifo?
Sisifo è il padre della presa di coscienza che porta alla comprensione dell’assurdo. Viene condannato dagli déi, per il suo comportamento in vita, ad una pena eterna che prevede lo spingere su per una montagna un grande macigno, che in cima dovrà lasciare affinché ritorni a valle, in modo che il tutto ricominci. Senza possibilità di posa o variazione. Camus lo sceglie come emblema della condizione umana per questo ripetere di operazioni senza alcuno scopo, né come fine esterno né come capacità di crescita personale.
La scena riporta alla mente quello che accade nel IV cerchio dell’inferno dantesco, dove gli avari e i prodighi sono costretti per l’eternità, a spingere massi. Anche qui non v’è redenzione, anche qui non v’è comprensione per chi compie il gesto che le azioni della vita sono inutili. Ma Dante non vuole che i dannati comprendano, vuole che a comprendere siano i lettori.
Camus si spinge oltre, rispetto a Dante. Il suo Sisifo è cosciente, durante la sua attività, comprende l’inutilità di quel che fa, l’assurdo di quel suo esistere. Mentre scende per la montagna può pensare. I dannati di Dante non pensano, non comprendono e lo spirito che li anima è lo stesso che li animava in vita.
Sisifo non è monito per il lettore, bensì emblema della vita che il lettore conduce e àncora cui aggrapparsi per iniziare a muoversi verso la lucidità.
Camus dona a Sisifo, e quindi al lettore, una via di uscita. Espone la sua idea a fine libro, quando chiede al lettore di soffermarsi sulla fase in cui Sisifo ridiscende lungo il fianco della montagna e, durante questo tempo, pensa a come uscirne. L’accettazione della sua condizione è la soluzione proposta, una scelta che è una ribellione contro gli déi, quasi un voler privare loro della soddisfazione di vederlo soffrire, un privarli della loro vendetta.
Ma la soluzione non ha alcun effetto su Sisifo e sulla sua pena, ma solo sul suo rapporto con chi gli ha inflitto quella pena, senza che il pensiero della controparte venga analizzato.
Questa soluzione non è banale come poteva esserlo il suicidio, ma è sostanzialmente assurda, come la vita che Camus ci racconta in queste pagine – ed è questo che conferisce valore all’opera. Altri professionisti del pensiero si sono soffermati sull’analisi della vita, evidenziando le pieghe dove il dolore tende ad accumularsi. Ma il voler trovare una soluzione è, spesso, il sintomo dell’incapacità di sopportare il peso della verità, non volendo ricorrere né al suicidio e non potendo ritornare ad una soluzione dogmatica, sia essa fede o filosofia di vita, dalle quali ci si era distaccati.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
90
Segnala questa recensione ad un moderatore
4 risultati - visualizzati 1 - 4

Le recensioni delle più recenti novità editoriali

Identità sconosciuta
Valutazione Utenti
 
3.3 (1)
Incastrati
Valutazione Utenti
 
3.8 (1)
Chimere
Valutazione Utenti
 
3.5 (1)
Tatà
Valutazione Utenti
 
3.0 (2)
Quando ormai era tardi
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Intermezzo
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Il carnevale di Nizza e altri racconti
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
La fame del Cigno
Valutazione Utenti
 
4.8 (2)
L'innocenza dell'iguana
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Long Island
Valutazione Utenti
 
3.0 (1)
Volver. Ritorno per il commissario Ricciardi
Valutazione Utenti
 
4.1 (2)
Assassinio a Central Park
Valutazione Utenti
 
3.8 (1)
Identità sconosciuta
Valutazione Utenti
 
3.3 (1)
Incastrati
Valutazione Utenti
 
3.8 (1)
Chimere
Valutazione Utenti
 
3.5 (1)
Tatà
Valutazione Utenti
 
3.0 (2)
Quando ormai era tardi
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Intermezzo
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Il carnevale di Nizza e altri racconti
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
La fame del Cigno
Valutazione Utenti
 
4.8 (2)
L'innocenza dell'iguana
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Long Island
Valutazione Utenti
 
3.0 (1)
Volver. Ritorno per il commissario Ricciardi
Valutazione Utenti
 
4.1 (2)
Assassinio a Central Park
Valutazione Utenti
 
3.8 (1)

Altri contenuti interessanti su QLibri

L'antico amore
La famiglia
Fatal intrusion
Degna sepoltura
Il grande Bob
Orbital
La catastrofica visita allo zoo
Poveri cristi
Se parli muori
Il successore
Le verità spezzate
Noi due ci apparteniamo
Il carnevale di Nizza e altri racconti
Delitto in cielo
Long Island
Corteo