Opinione scritta da memini91
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Chi fucilare?Non saprei, ma qualcuno fa fucilato.
Un antico castello immerso nelle Ardenne belghe, un conte decaduto costretto a fare i conti con un destino del tutto inatteso e, ovviamente, un omicidio.
“Signora,
lei ha telefonato a mia moglie. Le sarei grato se non lo facesse più.
Peraltro, se dovesse incrociare di nuovo mia figlia nella foresta dopo mezzanotte, sappia che ha la mia autorizzazione a comportarsi così e la lasci in pace.
Aggiungerò che le sue predizioni non sono le benvenute.
Creda nei miei più irritati sentiti,
Henri Neville”
Protagonista di un difficile conflitto tra morale e dovere, alle prese con nefaste profezie e con una situazione familiare tutt’altro che semplice, il conte Neville è costretto a occuparsi del ricevimento che terrà presso la propria tenuta prima di abbandonarla definitivamente a causa delle scarse finanze rimaste a sua disposizione.
Una premonizione però non può essere semplicemente dimenticata perciò meglio non farsi trovare impreparati dal crudele destino e mettersi alla ricerca di un buon candidato da fucilare.
Per Neville la cosa più importante è tirarsi fuori da una scomoda situazione in cui si trova suo malgrado e non sarà di certo la diciassettenne Sérieuse, terzogenita del conte, a semplificare, offrendosi in sacrificio servendosi della nobile arte della retorica, l’impresa del padre.
Fortunatamente, il rapido epilogo, solleverà il lettore dalla suspense dovuta a una situazione in continuo movimento pronta a mutare le sorti dei personaggi fino all’ultima battuta.
Dal titolo del testo, Il delitto del conte Neville, il lettore potrebbe essere portato a pensare che il povero conte sarà vittima di un omicidio; invece, facendo ricorso ai miti della letteratura classica e a uno spiccato senso dell’umorismo - che tuttavia non sfocia mai in una incontrollata risata - la Nothomb riesce a presentare una vicenda dallo svolgimento alquanto insolito.
Un giallo un po’ sui generis piacevole e scorrevole da divorare, per esempio, tra gli scaffali di una biblioteca.
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Non particolarmente impegnativo, lo consiglio a tutti coloro che non stanno cercando un GIALLO da leggere, bensì una ironica storia che gli faccia compagnia in questo sabato di Febbraio.
Proprio un BEL sogno...
[SCENA: Il bosco. Titania addormentata]
Dopo essersi destata, incantata dall’amoroso succo cosparso sui suoi occhi da Oberon, Titania cade amorosa della prima forma vivente che incontra e, per rendere omaggio al proprio amore, lo sfortunato tessitore dal curioso nome di Bottom trasformato in testa di ciuco dal dispettoso demonietto della terra Puck, richiama a sé i folletti suoi servitori.
BOTTOM: Chiedo umilmente venia alle vostre colendissime signorie. Prego vossignoria di volermi dire il suo nome.
RAGNATELA: Ragnatela.
BOTTOM: Desidero far meglio la vostra conoscenza, buon mastro Ragnatela. Se mi succederà di tagliarmi le dita vorrò farmi ardito secovoi. E il vostro nome, onesto signore?
FIOR DI PISELLO: Fior di Pisello.
BOTTOM: Vi prego di porgere i miei complimenti a madama Buccia vostra madre ed a messer Baccello vostro padre. Buon mastro Fior di Pisello, anche con voi desidero far meglio conoscenza. E voi, signore, come vi chiamate, ve ne prego?
GRAN DI SENAPE: Gran di Senape
BOTTOM: Buon mastro Gran di Senape, conosco bene la vostra pazienza. Quel vigliacchissimo gigante di un messer Manzo a pur divorato molti valentuomini del vostro casato; e vi posso assicurare che più di una volta i vostri parenti mi han fatto venire i lucciconi. Vorrei poter fare meglio la vostra conoscenza, buon mastro Gran di Senape.
ATTO III SCENA I
Composta presumibilmente in occasione di un matrimonio tra il 1598 e il 1600, Sogno di una notte di mezza estate, rimane una delle commedie più apprezzate e meglio riuscite di William Shakespeare.
Geniale impasto di composizioni già note - Metamorfosi di Ovidio, Vita di teseo di Plutarco, Canterbury Tales di Chaucer - tra malintesi e voluti tranelli orditi dal già citato monello Puck, il testo poetico strappa al lettore modeste risate e sorrisi.
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Ottimo anche per chiunque voglia iniziare a conoscere il teatro shakespeariano.
Dannata Francia
La piccola città di Verrières può passare per una delle più graziose della Franca Contea. Le sue case bianche, dai tetti aguzzi di tegole rosse, si stendono sul pendio di una collina, le cui minime sinuosità son poste in evidenza da macchie di robusti castagni. Qualche centinaio di piedi sotto le sue fortificazioni, costruite un tempo dagliSpagnoli ed ora in rovina, scorre il Doubs.
Immediatamente in apertura al romanzo IL ROSSO E IL NERO, Stendhal introduce il lettore nella bucolica atmosfera cittadina di provincia in cui inizia il proprio viaggio il giovane Julien Sorel deciso a ottenere, costi quel che costi, una “certa” posizione all'interno della ipocrita, meschina, caotica e affascinante società francese della Restaurazione post rivoluzionaria.
Da poco conclusasi la Rivoluzione di Luglio del 1830, la Francia si trova in effetti a gestire aspre contese tra gruppi religiosi (gesuiti contro giansenisti), classi sociali (borghesi contro nobili) e istituzioni statali (Parigi contro le province dl territorio francese); il tutto accompagnato appunto da una buona dose di soggettivismo e ipocrisia in grado di elevare i personaggi verso il proprio scopo ultimo facendo ricorso a qualsiasi tipologia di stratagemma pur di giungere al tanto agognato fine.
Accompagnato da una bucolica cornice naturalistica, Julien è costretto dal padre a intraprendere la carriera di curato (ecco dunque probabilmente il “nero” della tunica clericale) per tentare quell'ascesa sociale, tanto bramata, verso una condizione di gloria, ricchezza e grandiosità di spirito che aveva caratterizzato l'amato, e utilizzo questo termine non a caso, Napoleone Bonaparte (ecco dunque il “rosso” del milite). Da prima Julien accetterà dunque di vestire e panni di precettore presso la borghese famiglia Rênal ancora nella provinciale cittadina di Vèrrieres, per poi spostarsi a Besançon e giungere infine nella grande Parigi in qualità di segretario presso il Marchese de La Mole.
Durante le tribolate peripezie, il giovane e romantico Julien dovrà fare i conti con un continuo confronto fra mente e cuore che dovranno tentare di guidarlo verso la tanto sperata ascesa sociale ma il destino a volte sa essere molto crudele...
La vita d'un uomo era un seguito di pericoli. Ora la civiltà ha cacciato il pericolo, non c'è più imprevisto. Se dell'imprevisto appare nei pensieri, non si hanno abbastanza epigrammi contro di esso; se appare negli avvenimenti, nessuna vigliaccheria è più bassa della nostra paura. Qualunque follia la paura ci faccia commettere, è scusata. Secolo degenerato e noioso!
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Consiglio: munitevi ugualmente di MOLTA pazienza! Stiamo comunque parlando di un classico della letteratura francese di gusto squisitamente, quanto "pesantemente", romantico!
Grido disperato...poi pianto.
Era il 1933 e Hitler aveva da poco preso il comando del disastrato territorio tedesco, da non molto risorto dalle ceneri della prima guerra mondiale.
“Fu allora, credo, che noi cinque diventammo un gruppo, una costellazione a cinque punte tenuta insieme da forze che non potevamo vedere: Dora, Toller, Hans, Bertie e io (Ruth).”
L’ascesa al potere del dittatore tedesco costrinse i giovani ad abbandonare la propria patria per portare avanti il proprio progetto politico di resistenza dalla pacifica Inghilterra.
Tuttavia, anche se protetti da visti inglesi, per i cinque non fu facile sopravvivere alle continue minacce provenienti direttamente dal governo di Berlino. Fortunatamente per Dora Fabian nulla era impossibile e, grazie alle sue capacità oratorie e strategiche, il gruppo riuscì a far penetrare in territorio inglese alcuni documenti privati del nuovo Reich. Nonostante questa favorevole condizione il pericolo era sempre in agguato.
"I nostri visti inglesi ci proibivano anche di fare ‘attività politica di qualsiasi genere`. Ma la nostra vita aveva un senso solo se potevamo continuare ad aiutare la Resistenza in Germania e cercare di avvertire il mondo delle intenzioni bellicose di Hitler."
Questo era il compito che il piccolo gruppo si era prefissato di portare a termine poiché l’Inghilterra, come il mondo intero, non sembrava accorgersi di ciò che Hitler stava tramando alle sue spalle.
Il dolore e la determinazione dei cinque traspare dal ricordo della loquace Ruth e dell’infelice Toller, i cui occhi permettono al lettore di comprendere cosa significhi provare un sentimento d’amore incondizionato verso un essere umano e, nel contempo, combattere contro tutto e tutti per riuscire a realizzare il proprio sogno.
"Sono vuoto. Ricordando Dora, sono riuscito a riportarla qui. Ma a conti fatti era meglio vivere con l’idea che un giorno l’avrei ritrovata. Adesso che l’ho rievocata e messa su carta è più morta di prima. Sono l’unica persona che la porta con sé?"
Queste sono le struggenti parole di un amante, Ernst Toller, costretto a privarsi di colei che fu la sua unica ragione di vita.
Tutto ciò che sono di Anna Funder è un testo in grado di raccontare, attraverso un giusto equilibrio di tragicità e slancio eroico, l’esperienza di un gruppo di giovani tedeschi disposti a tutto, anche a sacrificare se stessi, pur di mostrare al mondo il vero volto di Adolf Hitler e della violenta Germania nazista riuscendo ad arrivare dritto al cuore del lettore fino a commuoverlo.
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Sicuramente un testo molto ben scritto...tanto ben scritto da riuscire a emozionare anche il lettore più distaccato.
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