Opinione scritta da lorenzofava94

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lorenzofava94 Opinione inserita da lorenzofava94    02 Ottobre, 2016
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Un capolavoro

Presenze e solitudine, silenzio e parola, luce e buio, tangibile e astratto. Non sembra avere limiti tematici la poesia di Chandra Livia Candiani nel suo "La bambina pugile ovvero la precisione dell'amore" uscito per Einaudi nel 2014 e divenuto ben presto un caso editoriale che ha permesso l'impatto con un pubblico moto più ampio di quello a cui la Candiani era abituata nei suoi precedenti lavori, "Io con vestito leggero", "La nave di nebbia. Ninnananne per il mondo", "La porta", e "Bevendo il tè con i morti". Le tre sezioni in cui questa raccolta è divisa (la bambina pugile - pianissimo, per non svegliarti - la precisione dell'amore) si rivolgono di volta in volta ad un "tu" che varia, ma che spesso si configura come una dimensione totale, un denominatore comune al mondo intero. L'io poetico si carica di una saggezza benefica che porta con sé la forza degli affetti "Ti sono famiglia / ti sono grembo / [...] / mi sei soglia / assolata soglia" ma anche la distruzione dell'abbandono "Dopo di te / sono spopolata, / una nuvola senza popolo delle nuvole, / un'anima senza angoli, / spazzata da vento impetuoso." Interessantissime e numerose le riflessioni sulla parola nel suo significato più ampio e che non esita a farsi gesto o trasognata immagine spesso proveniente dagli innumerevoli poeti che la Candiani porta con sé, o dal suo background di conoscenza della letteratura orientale (a proposito, numerosissime e di pregevole fattura le sue chiusure haiku "lo sgrano a te / sinfonico bisbiglio / ala gigante" Si fa per larghi tratti pedagogica questa poesia, come nelle stupende "Mappa per l'ascolto" e "Nel mondo ci suono i suoni" (la seconda è la poesia inserita in copertina, mutila dei primi sei versi), dove nella semplicità di un gesto come l'abbraccio "per abbracciarsi si fa così / ci si avvicina lentamente / eppure senza motivo apparente / poi allargando le braccia / si mostra il disarmo delle ali" o l'ascolto "Dunque, per ascoltare / avvicina all'orecchio / la conchiglia della mano / che ti trasmetta le linee sonore / del passato" la poesia trova spunto per un dialogo dove la leggerezza del discorso si sposa mirabilmente con un lessico ricercato ma mai pesante e una versificazione ritmicamente scandita da schemi musicali elaborati, propiziati anche dalle numerosissime anafore. Tecnicamente, il punto di forza della Candiani é il saper accostare immagini leggere ad altre, invece, molto crude: le parole schizzano con velocità allarmante tra semantiche diverse producendo accostamenti nome-aggettivo o verbo-oggetto originalissimi (caratteristica, questa, messa molto in risalto dalla versificazione scarnificata che spesso procede per singoli scatti). 151 pagine in cui Chandra livia Candiani prende per mano il lettore e lo sostiene nella scoperta dei dettagli che si celano dietro l'abitudine, elencati con un linguaggio portentoso e immagini pregnanti che fanno di questo libro un capolavoro.

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lorenzofava94 Opinione inserita da lorenzofava94    02 Ottobre, 2016
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Commento

Non saprei esattamente come definire la poesia di Mariangela Gualtieri. Leggendo la sua scrittura, ho avuto come l’impressione di respirare dopo aver tenuto a lungo la faccia nella sabbia.E’ forse proprio questa l’essenza del titolo: “Le giovani parole” che lei ci offre attingono molte immagini dalla natura, dalla parte più pura di essa in alcuni testi e da quella più nera in altri. E’ da tenere sempre presente che nell’animo di questa donna duole il tempo spina, e che in certi giorni non è abbastanza (…) il patrocinio altissimo dei fiori; quei fiori possono essere visti anche in chiave simbolica, intesi come la totalità delle piccole esperienze della vita. Una parola, quella di Mariangela Gualtieri, capace di sciogliere la cecità degli occhi di chi legge e mostrare quanto magnifiche possano essere le cose: io vedo da qui/ partenoni di meraviglia/ così mirabili fatture e meccanismi/ e colori, che il respiro trema. La contemplazione della natura è, a livello tematico, uno degli elementi più in vista, possibile solo grazie a quello che era il concetto di otium per i latini (E chi toglie mistero sia dato/ in pasto al suo piccolo credo/ (…) e lasci a noi un ozio salutatare/ di contemplare.). Una delle poesie in cui più ho avvertito il genio di quest’autrice nel proporre immagini facendo coincidere la chiarezza della parola con una versificazione ben scandita e un puntuale uso della punteggiatura è quella di pagina 64. Cito per intero:

Code di automobili
Non fermeranno la fecondazione
quel precipizio di semi sulla terra.
Conquistiamo le mitiche dimore
sono qui, vicino all’autostrada
fra luci al neon Dioniso sostiene ancora
la santa ebbrezza dei vivi
e la dispensa alle generazioni.
Ancora danza per noi
sul ventre d’un demone distratto
ancora chiama le vite ad un ardore.
Pilota il sangue – lo accende
rigonfia e sgrava, impenna
tiene l’onda in cresta e vola
in noi, in noi si tende in cerca
dell’altro che ci manca dell’altra
muove pancia con pancia
e ci innamora.

E’ pazzesco accorgersi che la sintassi dall’undicesimo verso in poi ricalca perfettamente il ritmo di un rapporto sessuale, inteso come atto di fecondazione: tiene l’onda in cresta e vola è un verso che sembra quasi cadere sull’in noi che segue a capo, quando quell’atto muove pancia con pancia/ e ci innamora. Ma se noi amiamo un qualcosa che non resta, la poesia di quest’autrice tende a trovare un equilibrio, un valido appoggio nella costruzione del periodo che non si rompe di verso in verso (come quella di altre poetesse di oggi, vedi Bre o Candiani) ma crea una sorta di amalgama fra concetti, indica una serie di dati concreti per poi risolversi, spesso, in una prodigiosa e rassicurante chiusura (Cosa fa il vento lì fuori/ (…) tormenta gli animali/ nello scuotersi del bosco/ (…) Ora che è notte e le alture/ partoriscono masse buie/ fin dentro le camere/ dove stare abbracciati/ per silenziarlo il vento/ con le sue note basse e acute).
Degno di nota è anche il metalinguaggio della sezione centrale del libro, le giovani parole. Qui la parola prende corpo, diviene quella farfalla che le prime poesie promettevano. Sono immagini talvolta spigolose, ma se nella poesia non c’è niente che resti non amato, è forse proprio il poeta l’angelo incaricato di portare un pensiero di solidarietà anche a chi solidarietà non ne riceve, come nella toccante immagine dei rovesciati corpi gonfi/ d’acqua e silenzio.
La morte fa capolino fra un verso e l’altro di Mariangela Gualtieri, questa donna che si sente suo poema alla luce, come eletta dalle parole ad essere, per il lettore, il traino che porta oltre i limiti della consuetudine e della noia: questa poesia genuina restituisce l’entusiasmo per le minuzie, i particolari a cui spesso non prestiamo attenzione.
Un libro, “Le giovani parole”, che mi sento di consigliare a chi ama scattare foto: la puntuale terminologia, il saper indicare le cose e il condensarne la descrizione in una manciata di aggettivi rendono questa raccolta una vera e propria mostra di arte visiva, i cui dipinti sono spesso icona uno stato d’animo che può essere disteso -avvertito in misura sicuramente maggiore- ma anche irrequieto, quasi rabbioso a tratti (getta ora nella pietraia/ la parola più dura. Fanne pastura per la specie (…)/ Opera del sangue.) La sezione che chiude la raccolta, esercizi al microscopio, gioca il suo fascino sulle continue contrapposizioni fra la piccolezza dell’uomo in confronto all’enormità dell’universo.. Ci viene ricordato come siamo piccolissima cosa (…)/ sotto il cielo, ci viene ricordato come l’uomo rimanga foglia fra foglie e debba quindi compiere ogni gesto con consapevole riserbo. Poco altro da aggiungere. Forte della sua decennale esperienza teatrale, i versi della Gualtieri si stampano nella mente di chi legge perchè asciutti, completamente privi di retorica come di inutili zavorre. Una persona sensibile che ha fatto della transitività della parola la sua arma migliore.

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lorenzofava94 Opinione inserita da lorenzofava94    25 Agosto, 2016
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"Osare dire": sì, ma cosa?

“Osare dire”: sì, ma cosa? Questo mi sono domandato vedendo la copertina del libro, edito a Marzo del 2016 da Einaudi. La poesia messa in copertina ce lo spiega, almeno parzialmente:

Com’è, come sarà
Vivere senza ricevere aiuto,
senza favori, protezioni
senza materne associazioni,
anche quando la febbre sale,
anche quando il fiume straripa
e travolge il riparo, orto e baracca.
Sarà come vive il resto della natura,
vicino ai predatori e senza paura.

Mi è parso chiaro come Viviani si fosse voluto, all’età di 69 anni, fare portavoce di un’antica visione della vita, maturata nel suo cammino di uomo e di poeta. Viviani osa dire. Osa dire a chi legge il vero che i poeti sono affannati a smontare e rimontare, il vero che egli dice, con chiaro eco montaliano, i poeti non possiedono. Eppure, alcune risposte esistenziali in queste pagine si trovano, spesso piazzate in chiusura del testo. Vere e proprie sententiae che chiudono in uno o due versi la lezione che il poeta vuole dare ai suoi lettori. Sono spesso lezioni amare, racchiuse in parole semplici alla lettura, incastrate in giochi linguistici talvolta elementari ma sempre dotati di tremenda efficacia. Anche in questa raccolta, non mancano componimenti di stampo aforistico, che seguono la tipologia di scrittura a cui Viviani ci aveva abituato nei suoi ultimi lavori. In “osare dire” questa vena non scompare, ma pare a tratti più diluita, forse meno pungente, ma può sempre capace di riservare perle di caratura notevole (da leggere e rileggere la pazzesca riflessione sulla vita di pagina 65, dove da un dato biografico si arriva ad un’intuizione generale, quasi seguendo una sorta di induzione: tutti i mortali capiscono tutto,/ mentre noi crediamo solo agli immortali. Seguendo una riflessione classica, altro elemento portante della raccolta è l’esaltazione del vir bonus dicendi peritus: sono infatti numerose le pagine in cui Viviani mette in risalto le magiche proprietà della parola, la loro onnipresenza nelle cose terrene e ultraterrene: ma ad un certo punto arrivarono le parole,/ e allora non c’è più prato e cielo/ ricordi e prossimità,/ paradisi e conforto,/ prove di libertà,/ ci sono loro. Loro che a niente servono se non abbinate a quella scaltrezza, a quell’ impulsività giovanile che, “osa dire” Viviani, non va lasciata finire prima del tempo. Come è facile intuire, questo titolo quasi d’annunziano non è solo portavoce di lezioni di vita. Qui ci vengono anche sparate verità amare e, talvolta, crude: senza troppi convenevoli si incagliano nel cervello e divengono spunti di riflessione. Un chiaro esempio è la considerazione sulla malattia di pagina 17, uno dei pochi casi (se non l’unico) in cui nelle pagine fa capolino un piglio di rabbia: in tutta la raccolta domina infatti una sorta di saggia fermezza, che si confà perfettamente ad uno psicanalista d’età avanzata qual è Viviani. La vita, nel suo significato più ampio, è tutto un transito di agenti e reagenti,/elementi e pensieri, danze e gravidanze, studi/ e pioggerelline, la vita è un godere le essenze cercate nei profumi, i profumi che secondo il poeta vanno cercati con coraggio e umiltà, doti messe su un piedistallo in ogni sezione del libro. L’impellente bisogno di esistere è forse l’elemento portante della parte finale della raccolta, intrisa di questioni quasi metafisiche ma sempre messe in relazione con dati tangibili ed elementi concreti. L’ineluttabilità delle cose terrene trova un rimedio nell’eterno, quell’eterno cui è possibile guardare oltre, sapendo che il piccolo moto che siamo stati/ appena è stato trasmesso/ può fermarsi: è lì che dobbiamo quindi insistere, godere di questo lieve fremito che siamo, anche se poi arriverà inevitabilmente la paura per una vecchiaia che aspetta tutti al varco, là, dove si ricevono le visite settimanali. La fine è poi la pietra angolare che regge l’ultima sezione della raccolta: come incredibile è l’ avvio, la prima smorfia, altrettanto può esserlo la morte, quel tornare parte della Natura alla quale apparteniamo. Noi restiamo qui è il verso che chiude la raccolta. Noi restiamo qui, però, con qualcuno che ci dice di non aver freni, qualcuno che ci dice che chi non dà il massimo nel tempo che abbiamo a disposizione resta nella fossa tale e quale l’hanno calato, qualcuno che “osa dire” che le persone non fanno caso a come gli anni ci scorrano sotto agli occhi e rimangono talvolta vuoti, irti di pensieri ingannevoli e futili e non densi di gioia, stupore e ammirazione per quella meravigliosa creazione che è l’Uomo.

Da un punto di vista linguistico, il libro procede per schemi ben delineati: componimenti brevi, molte volte di un solo periodo, chiusi spesso da distici che danno una sorta di soluzione all’enigma posto in precedenza. Numerose ripetizioni e giochi di parole (spesso paronomasie) sono gli ingredienti stilistici che danno sapore alla raccolta di un uomo che dà come l’ impressione di voler essere, per il lettore, un valido consigliere capace di indicare ciò che non è immediatamente percepibile agli occhi.

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