Opinione scritta da JuliànCarax

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JuliànCarax Opinione inserita da JuliànCarax    06 Mag, 2017
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New York, il nessun luogo

Quando da piccolo salivo sulle giostre provavo sempre un certo timore, finché non smisi del tutto. Preferivo restare fermo dove ero a guardare gli altri girare nel vortice. A volte salivo per dimostrare a me stesso chissà cosa e prima che la ruota iniziasse a girare davo sempre una rapida occhiata a quello che mi stava intorno. Volevo tracciare i dettagli di tutto, fermare le immagini e stamparmele bene in mente perché sapevo che a breve, dentro tutto quel girare, ogni forma avrebbe perso i contorni, che non sarei più riuscito a distinguere le figure e il luogo in cui mi trovavo prima di salire, che non sarei più riuscito ad aggrapparmi a nulla, che mi sarei perduto dentro tutto quell'inesauribile movimento. Allora mi consegnavo al buio, chiudendo gli occhi, fino a che la velocità si stabilizzava e ogni cosa tornava definibile. Allora ero felice di uscire e tornare alla mia dimensione, come se fossi sopravvissuto a qualcosa.
In questa Trilogia, New York è una giostra inesauribile e frenetica che plasma la realtà rendendola claustrofobica. I grattacieli azzannano gran parte dello scenario mentre i personaggi principali vagano attraverso un'immensa varietà di strade e quartieri, intrappolati dentro qualcosa di cupo e indefinibile.
Dentro queste tre storie ognuno è un detective, ognuno è alla ricerca di qualcosa mentre tutto attorno ruota vorticosamente. I protagonisti abbandonano la propria dimensione, si distaccano dalla scia della loro vita per seguire l'ombra di enigmatici e misteriosi personaggi secondari.

“Vagando senza meta, tutti i luoghi diventavano uguali e non contava più dove ci si trovava. Nelle camminate più riuscite giungeva a non sentirsi in nessun luogo. E alla fine era solo questo che chiedeva alle cose: di non essere in nessun luogo. New York era il nessun luogo che si era costruito attorno, ed era sicuro di non volerlo lasciare mai più”

Dentro questo labirinto letterario è l'identità dei personaggi a smarrirsi sia all'esterno che all'interno di loro stessi. In primis attraverso lo sfacelo e la disarmonia urbana di New york e infine attraverso la tangibile oscurità introspettiva sepolta dentro l'anima dei protagonisti. Si finisce col brancolare nel buio, ognuno perde le tracce, si insegue qualcuno ma ci si sente inseguiti, i ruoli si scambiano di continuo mentre tutto ciò che li circonda ruota senza un perchè. Ogni racconto sembra collegato da un filo immaginario e difficilmente percepibile.
Ognuno sale sulla giostra, i contorni si sfaldano, ogni cosa diventa amorfa; nessuno scende.

Lettura ipnotica dalla quale esco piacevolmente stordito. Dopo aver terminato l'ultimo racconto ho pensato per un attimo di ritornare sul secondo, di mettermi sulle tracce dei personaggi passati per cercare un collegamento tra le varie storie, di ripercorrere la Trilogia al contrario, di immedesimarmi a tal punto da diventare quasi il personaggio di un quarto racconto che non esiste, pronto a perdermi nel labirinto di misteri.
Poi, pian piano, tutto si è stabilizzato, sono sceso dal libro, ho riconosciuto i contorni e le pareti di casa.
Ho posato il libro nello scaffale della libreria lasciando che la mente navigasse ancora un po' tra le riflessioni e i dubbi. Infine mi sono accontentato del piacevole smarrimento che questa cervellotica lettura ha saputo donarmi.

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JuliànCarax Opinione inserita da JuliànCarax    16 Aprile, 2017
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How to disappear completely

Che ne è rimasto di “Che ne è stato di te, Buzz Aldrin?” ?
Gran poco, oserei dire.
Ammetto di aver fatto cilecca con questo ruvido volume Iperborea di 450 pagine.
Eppure ero carico abbastanza e di premesse ce ne erano molte: un plot dotato delle giuste tematiche per poter sviscerare qualcosa di significativo, tanti feedback positivi, qualche spunto letto qua e la che poteva fare seriamente al caso mio.
Ma il risultato? Che ne è stato della scossa? Che ne è stato della puntura, di quel marasma di sensazioni al centro dello stomaco? Volevo smarrirmi dentro la storia, mi sono smarrito e basta.
Se dovessi paragonare la lettura di questo libro ad una maratona ora sarei un maratoneta stanco e un po' annoiato, coi muscoli andati ben oltre la soglia consentita perchè sono uno di quelli testardi che conclude sempre e comunque le sue gare, anche se inizi a sospettare che al traguardo non ci sarà nulla ad attenderti, a parte la consapevolezza di aver corso invano.

“La persona che ami è fatta per il 72,8% d'acqua e non piove da settimane.”

Eppure parte bene questa storia. Mattias, 29 anni, nasce la stessa notte in cui Neil Armstrong e la sua squadra raggiungono per la prima volta il suolo lunare; ma sarà Buzz Aldrin, il secondo uomo a sbarcare sulla luna, a diventare un simbolo per il ragazzo, il simbolo dei numeri due, di chi non ha bisogno del palcoscenico riservato ai primi, di chi si rende utile pur stando dietro le quinte, di chi sparisce tra la folla, di chi non ha bisogno dei riconoscimenti perchè è consapevole del proprio valore, della propria utilità. Per questo Mattias si costruisce la sua bolla di vetro: una fidanzata, un lavoro da giardiniere di cui va fiero e che gli permette di non esporsi troppo, un talento da cantante che preferisce tenere tutto per se dato che non accetterebbe mai di essere il protagonista. Tutto prosegue regolarmente finchè la bolla va in frantumi e Mattias pure. La storia prosegue dentro il piovoso scenario delle Isole Faroe dove Mattias trova delle persone disposte ad aiutarlo a ritrovare la via smarrita. Poi piove, piove, piove e piove....

C'è sicuramente qualche spunto interessante ma ho trovato tutto molto ma molto inverosimile, dai protagonisti alla storia, al finale per finire alla struttura narrativa. Idee ben poco chiare a mio avviso e troppe forzature.
Con te Mattias non c'è proprio stata sintonia, mi dispiace, e dire che coi solitari e i problematici mi son sempre trovato bene, ma tu caro mio, mi sei sembrato più la sfumatura grigia di un uomo in difficoltà, una bozza incompleta, piuttosto che un personaggio vero e proprio. E poi mi cadi dal pero, non l'hai visto il vecchio Buzz stringere la mano ad Optimus Prime? Ti pare uno che vuole scomparire? Ma dai.
Parlando di emarginati in fuga, mi viene spontaneo il confronto col vecchio “Suttree” di McCarthy, e penso che, tutto sommato, quello che mi aspettavo di trovare tra le pagine di Johan Harstad, l'avevo già assaporato ampiamente dentro la prosa di McCarthy, sulle sponde del fiume Tennessee, dentro le scazzottate e le sbronze, laggiù a Knoxville.

Ad ogni modo, non mi sento di sconsigliare la lettura. Sono sicuro che altri gradiranno la compagnia di Mattias e troveranno sicuramente quella piacevolezza e quell'empatia che stavolta a me è mancata.

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JuliànCarax Opinione inserita da JuliànCarax    08 Marzo, 2017
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Sono molto vicino....all'umanità

"La superficie, la superficie, la superficie, ecco l'unica cosa in cui ciascuno trovava un qualche significato...”
Non sei un lavoro prestigioso a Wall Street, non sei il contenuto della tua AmEx o del tuo portafogli preso da Bottega Veneta, non sei il tuo abito Valentino o la tua cravatta Paul Smith, non sei nemmeno i posti che frequenti o le riviste che leggi, non sei la gemma di nulla astrale riflessa nello sguardo degli altri, non sei niente di tutto questo, e questo libro non è una lista dei marchi più chic sul mercato, non è un'accozzaglia di dialoghi tra persone appartenenti ad una generazione malsana, non è un ributtante esempio di violenza e sadismo; questa è solo la superficie, la fredda superficie, l'istintiva superficie; il fermarsi ad essa, credere di poter trovare la chiave di lettura sulla superficie del libro equivarrebbe a replicare lo stesso modus operandi con cui Bateman scruta le persone che frequenta, dal modello di scarpe al taglio di capelli. Semplicemente “American Psycho” non è lì....
Patrick Bateman è l'uomo destrutturato, è il lato spirituale annientato da uno stile di vita che è in grado di dissipare tutto ciò che è positivo, è l'angelo risucchiato dentro il maelstrom abissale di un culto che fa del Superficiale un dogma primario. Lo sfarzo, i programmi tv, le droghe, il sesso, gli omicidi,la follia fanno da cornice a un vuoto esistenziale terrificante, ad un abisso profondo e radicato, una sorta di astrazione dal reale (ma cosa è rimasto del reale?) in cui dell'uomo che c'era permane solo un male inarrestabile e mai domo, il progresso rievoca la bestia, le barriere crollano, l'uomo torna l'animale selvaggio che è sempre stato e sempre sarà....rimane una vaga idea di Patrick Bateman e questa recensione non ha alcun significato...

“E anche se non si è trattato in alcun modo di una serata romantica, mi abbraccia con un calore al quale non sono abituato. Sono talmente avvezzo a immaginarmi ogni cosa come succede nei film, a visualizzare la realtà come una serie di eventi che prendono forma sullo schermo, che mi sembra di sentire il commento musicale, e di vedere una cinepresa fare una panoramica dal basso, con i fuochi artificiali che esplodono al rallentatore sopra le nostre teste, l'immagine a settanta millimetri delle sue labbra che si aprono e il successivo sussurro: - Ti voglio, - in Dolby Stereo. Ma il mio abbraccio è freddo e avverto, dapprima confusamente e poi con maggiore chiarezza, che la tempesta dentro di me si sta gradualmente calmando, e quando lei mi bacia sulla bocca il suo gesto mi riporta a una specie di realtà e la spingo via gentilmente. Lei mi guarda spaventata. - Senti, devo andare, - dico, controllando il Rolex. - Non voglio perdermi.... Stupidi Animali Ammaestrati. “

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JuliànCarax Opinione inserita da JuliànCarax    19 Febbraio, 2017
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Sull'argine dell'eternità n°24

Ho sempre avuto un debole per i libricini; quelli che in 100, 150 pagine al massimo riescono a scuoterti come una centrifuga; quelle robette che profumano di nicchia, minuscoli manicaretti tanto gradevoli al palato quanto carenti nel saziare la nostra fame di storie. Hrabal te li butta li questi aneddoti, queste storielle, come fosse un vecchio amico un pò brillo, di vita più che d'altro. Questi libretti, che rientrano personalmente nella casistica sovra citata, son riusciti, senza troppi artifici, ad insediarsi in qualche parte molto profonda del mio essere e per questo ammetto di essere un pò troppo di parte quando si parla di Hrabal. In primis perchè l'abito da “tenero barbaro” o da “pàbitelè” (neologismo con cui lo stesso autore definiva i suoi protagonisti come " coloro che sono capaci di esagerare, poiché fanno tutto con eccessiva passione e rischiano dunque di sembrare ridicoli“) veste a pennello la mia persona ed infine perchè son condannato a prendere la vita tremendamente sul serio, proprio come Bohumil, Egon e soprattutto Vladimir, i personaggi principali di questo libretto sul quale proverò a dire la mia.
In un batter d'occhio lo stile del vecchio riesce ad immergermi nella sua atmosfera tipica: le ambientazioni spartane, i vicoli di Liben, le osterie; il fluire dei pensieri svela la rotta nella quale i protagonisti tracciano veri e propri viaggi metafisici e onirici potenziati dall'alcool e da una sana dose di follia.

Questo libretto ha due bei boccali di birra in copertina poiché gran parte delle storie dello scrittore boemo navigano in veri e propri fiumi di biondo nettare. La trama gira intorno a Vladimir Boudnik, artista fuori dalle righe , ultrasensibile e passionale, e all'amicizia, sempre fuori dal comune, che lega quest'ultimo allo stesso Hrabal e al filosofo Egon Bondy. Il romanzo intero è un omaggio alla figura pittoresca di Vladimir in cui sarà lo stesso Hrabal, in prima persona, a delineare la particolarissima personalità dell'amico, a narrarci le avventure vissute insieme e i tormenti di questo incredibile personaggio praghese degli anni 50'.

“Vladimir amava la periferia, amava le strade sempre sventrate […] Vladimir non ne aveva mai abbastanza, non poteva smettere di guardare quella bellezza svelata, in cui l'ordine è il caos. Scrivendo i miei ricordi su di lui uso il suo metodo, anch'io lascio il testo come una strada sventrata, e starà al lettore appoggiare una tavola o una passerella inchiodata alla svelta dove più gli piacerà, sui fossati delle frasi e delle parole che scorrono sparpagliate, per passare dall'altra parte...”

Per Bohumil, Vladimir era uno che "Dal latte scremato estraeva la panna, dalla polvere di carbone i brillanti, di un passerotto faceva l'araba fenice, di un paralitico un corridore, profondeva sempre il suo talento dove c'era poco di qualcosa, per dimostrare che omnia ubique e che il massimo è nel minimo, che ogni punto del mondo è il centro del giardino dell'Eden, mentre i giardini pensili si trasformano lentamente in macerie e polvere e in quella polvere ogni bellezza resiste, in quel pizzico di argilla ogni cosa ricomincia..."

Libretto che trasuda amicizia e vita vera, troppo breve per potersi separare da questi tre sbruffoni dell'Eternità senza soffrire un po' di nostalgia e piacevole inappagamento appena chiusa l'ultima pagina. A volte, ho avuto la piacevole sensazione di essere proprio li insieme a loro a sporgermi su quell'Argine dell'Eternità solo per vedere quali bellezze potessero celarsi dietro gli abissi dell'Infinito.

"Voi che siete semplici spettatori, sforzatevi tutti di sollevare un poco la pelle della materia, come faceva Vladimir, cercate di raggiungere le splendide mucose delle forme vive e di quelle prive di vita, non abbiate paura ed eseguite la vivisezione di voi stessi, e non solo, di qualsiasi cosa, perché solo così potrete stupirvi fino alla fine della vostra vita comprendendo che la materia ha creato gli occhi umani solo per poter vedere e riconoscere in essi la propria miliardoedrica bellezza."

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JuliànCarax Opinione inserita da JuliànCarax    07 Febbraio, 2017
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Un certo tipo di ingenuità

Questo profondo spaccone da osteria bisogna amarlo caldamente. Sarà che suona una melodia molto affine alle mie corde, che tocca i punti giusti, sarà che al momento opportuno un libro di Hrabal sa donarmi un piacevole conforto con la sua presenza, con le sue venature grottesche e surrealiste, con quello stile cosi “umano troppo umano” che trabocca di vita, vita vera, vissuta tra la gente comune, tra le bombe dei tedeschi, tra le sbronze, cosi consapevole del reale; quella scrittura da outsider, istintiva e fisiologica, figlia della terra in cui l'autore ha vissuto e sperimentato se stesso.

Sergio Corduas (traduttore di Hrabal) afferma che “ben poco si pensa e si fa, nei Treni di Hrabal, molto si vede e si sente” . Timbri stampati sul sedere di una telegrafista fascinosa, treni che partono, treni che arrivano, i treni delle SS con la precedenza assoluta, aerei nemici che franano al suolo, esplosioni lontane, il ticchettio di una bomba, situazioni bizzarre e vari personaggi strampalati trasformano una stazioncina dell'Europa centrale nel “piccolo centro caldo del mondo”.

Tutta la storia passa attraverso gli occhi attenti del ventiduenne, allievo ferroviere, Milos Hrma, baluardo dei fragili , tanto puro quanto ingenuo, tanto malinconico quanto tenero, dotato di quella leggerezza con cui scruta e valuta qualsiasi cosa gli sta intorno.
A lui spetterà l'arduo compito di calare una bomba in uno di quei treni strettamente sorvegliati.

“Mi dico, tanto i tedeschi sono matti. Matti pericolosi. Anche io ero un po’ matto, ma a danno mio, mentre i tedeschi sempre a danno degli altri”

Mi piace pensare che dentro quei treni con quell'ossessiva precedenza assoluta, cosi mortiferi e brutali, carichi d'odio e armi, Milos abbia iniettato parte della sua innocenza; un estremo tentativo di umanizzare questo lato assurdo, folle e meccanico dell'essere umano che genera guerra e morte.
Sul finale, mentre cade la neve, la storia lascia un grande insegnamento e dopo aver chiuso l'ultima pagina ti rimane dentro sciogliendosi lentamente come quando succhi una caramella o sorseggi a lungo un bicchierino di liquore finché il sapore caldo inebria e ritempra le viscere, fino al profondo.

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JuliànCarax Opinione inserita da JuliànCarax    18 Ottobre, 2016
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il mondo ha paura di chi piange

“Non è vero che un bambino che si è bruciato sta lontano dal fuoco. E’ attirato dal fuoco come una falena dalla luce. Sa che se si avvicinerà si brucerà di nuovo. E ciononostante si avvicina”.

Il ventenne Bengt è il “bambino bruciato” attorno al quale ruota tutto il romanzo scritto da un Dagerman appena venticinquenne. Il funerale della madre (evento che apre il romanzo) sarà la prima goccia di nero veleno che introdurrà, nell'anima del protagonista, il germe di una sofferenza lenta e implacabile, l'innesco di un meccanismo autodistruttivo e un perpetuo interrogarsi sul significato della vita e dei rapporti che lo circondano.

“Soltanto adesso capisce. Ed è duro da capire. Avanzare di un passo e poi piangere. Ancora un passo, per sapere che questa è la fine. Un fazzoletto premuto sugli occhi e poi la certezza che le proroghe sono finite. Non più annunci mortuari da formulare. Non più inviti da scrivere. Nessuna poesia da pensare nelle notti insonni. Nessuna consolazione e nessun rifugio e nessuna fine e nessun principio. Rimane soltanto una certezza, vuota come una tomba, che laggiù giace sua madre, ed è morta, irrimediabilmente perduta, irraggiungibile dalle preghiere e dai pensieri, dai fiori, dalle poesie, dalle lacrime e dalle parole. E, con il fazzoletto premuto prima su un occhio e poi sull’altro, piange per il vuoto che ha dentro, piange senza poter smettere, perché il vuoto ha più lacrime di qualsiasi altra cosa”

Intorno a lui una serie di legami trascurati e miseri: un padre distante che cerca di rifarsi una vita con un'altra donna, una fidanzata timida e piagnucolosa e una matrigna prima odiata poi diventata amante segreta.
Bengt è un ricercatore ossessivo di purezza, mai in pace con se stesso e con gli altri. La stessa ricerca di purezza che obbligherà il protagonista (che puro non è) a prendere come cattivo esempio i rapporti che lo circondano (il tradimento del padre, la freddezza della fidanzata, il rapporto con la matrigna). Come può non esistere nessuno disposto a dare uno sguardo dentro la sua solitudine? Come è possibile che nessuno condivida il suo dolore ? Come è possibile vivere in maniera cosi impura dopo la morte di qualcuno che amavi? Un grido silenzioso al mondo intero. Queste sono le domande che tormentano il giovane ragazzo dando vita a un'alternanza di amore-odio nei confronti degli altri personaggi.

"I genitori vivono una vita più impura di quella dei loro figli, perchè si perdonano tutto. Arrivare a perdonare tutto a se stessi e praticamente niente ai propri figli è il grande vantaggio che "l'esperienza" concede agli uomini.[...] Perchè che cos'è l'educazione, se non il tentativo di genitori irritati di soffocare nei figli quello che riconoscono in se stessi? Se non sono irritati, si atteggiano a superiori, superiori perchè con ipocrita fierezza si fanno vanto della loro grande esperienza della vita, come se ci fosse davvero qualche motivo di rispetto e di ammirazione nell'aver distrutto la parte migliore di se stessi."

Un bambino bruciato come lo era Dagerman stesso, attratto da una fiamma pericolosa, da quel filo sottile che lega la vita alla morte. Il protagonista metterà in scena una serie di atteggiamenti distruttivi prima e autodistruttivi poi, camuffati,in realtà, da richieste disperate d'aiuto e attenzione. Bengt finirà ustionato dalla sua stessa sensibilità, dalla sua stessa ricerca, sarà costretto a guardare quella fiamma troppo da vicino e bruciarsi per trovare un attimo di pace dentro una realtà in cui non riesce a vivere.
Dagerman scrive in periodi brevissimi, dialoghi quasi inesistenti con una narrazione lenta a tratti irritante. Alterna capitoli descritti in terza persona con le lettere che il giovane protagonista scrive a sé stesso dando sfogo ai suoi dissidi interiori.
Il romanzo brancola nel grigiore diffuso dei cieli del nord, della neve e dei paesaggi , impressionanti le descrizioni dei silenzi. Lo paragonerei al vento gelido che sbatte su una ferita aperta. La lettura è risultata pesante e a tratti opprimente . Ho avuto la sensazione di leggere alcuni capitoli in apnea. All'interno si possono trovare le idee dell'autore e quell'angoscia che spiega il suicidio dello scrittore stesso sei anni dopo dopo la pubblicazione di questo romanzo. Opera rabbiosa e straziante che trasuda amore per la vita e odio per l'ingiustizia del mondo.


""Un attimo fa abbiamo visto il deserto della nostra vita in tutta la sua spaventosa estensione. Adesso vediamo il deserto fiorire. Le oasi non sono frequenti ma ci sono. Sappiamo che il deserto è grande, ma sappiamo anche che è nei deserti più grandi che ci sono più oasi. Per arrivare a saperlo dobbiamo pagarlo caro. Il prezzo dell'eruzione del vulcano. E' caro, ma non c'è niente più a buon mercato. Per questo dobbiamo benedire i vulcani, ringraziarli della loro luce e del loro fuoco. Dobbiamo ringraziarli di averci accecato, perché solo chi è stato accecato può vedere davvero. Dobbiamo ringraziarli di averci bruciato, perché solo i bambini bruciati possono scaldare gli altri".

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JuliànCarax Opinione inserita da JuliànCarax    12 Ottobre, 2016
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da non dimenticare

Stig Dagerman , spesso sconosciuto ai più , è diventato col tempo un caposaldo della letteratura svedese. Stig era un genio precoce, anarchico e baluardo della solidarietà fra uomini. In perenne rivolta contro la condiziona umana e contro ogni sistema sociale visse, da spettatore prima e da giornalista poi, le efferatezze della guerra e l'impatto devastante che quest'ultima ebbe sul futuro della razza umana. Anima inquieta, tormentato da quel mal di vivere che non dà scampo, schiacciato dal successo e dalle enormi aspettative, scelse, nel novembre del 1954, la via del suicidio a soli 31 anni.
“Sono irrimediabilmente malato, di una malattia diabolica che si manifesta con un odio incessante nei confronti di me stesso e un'incessante capacità di far male agli altri.”

“Il nostro bisogno di consolazione” è un breve monologo (12 pagine se escludiamo post-fazione e frammenti di racconti, collezionati nella bellissima edizione Iperborea), un piccolo specchio dell'anima nel quale vengono fuori i tormenti che hanno spinto l'autore svedese al silenzio degli ultimi anni e al suicidio finale.

"Mi manca la fede e non potrò mai, quindi, essere un uomo felice, perché un uomo felice non può avere il timore che la propria vita sia solo un vagare insensato verso una morte certa. Non ho ereditato né un dio né un punto fermo sulla terra da cui poter attirare l’attenzione di un dio. Non ho ereditato nemmeno il ben celato furore dello scettico, il gusto del deserto del razionalista o l’ardente innocenza dell’ateo. Non oso dunque gettare pietre sulla donna che crede in cose di cui io dubito o sull’uomo che venera il suo dubbio come se non fosse anch’esso circondato dalle tenebre. Quelle pietre colpirebbero me stesso, perché di una cosa sono convinto: che il bisogno di consolazione che ha l’uomo non può essere soddisfatto".

In poche pagine racchiude gran parte dei suoi squarci d'anima e un'aspirazione spasmodica di felicità e libertà

“io stesso sono a caccia di consolazione come un cacciatore lo è di selvaggina. Là dove la vedo baluginare nel bosco, sparo. Spesso il mio tiro va a vuoto, ma qualche volta una preda cade ai miei piedi. Poiché so che la consolazione ha la durata di un alito di vento nella chioma di un albero, mi affretto a impossessarmi della mia vittima.”

Consolazioni cosi grandi da scacciare quel dolore persecutore e quella consapevolezza dell'inevitabile finale che contraddistingue l'esistenza umana; un eterno contrasto tra la brama di felicità e l'impossibilità di ottenerla, l'impossibilità di essere libero. Libro di poche parole capace di aprire molteplici ferite; leggere per credere. Consiglio anche romanzi e racconti di quest'anima bella nata in un mondo troppo ingiusto.

“Lascio sogni immutabili e relazioni instabili. Lascio una promettente carriera che mi ha procurato disprezzo per me stesso e unanime approvazione. Lascio una cattiva reputazione e la promessa di una ancora peggiore. Lascio qualche centinaia di migliaia di parole, alcune scritte con piacere, la maggior parte per noia e per soldi. Lascio una situazione economica miserabile, un’attitudine vacillante rispetto ai grandi interrogativi del nostro tempo, un dubbio usato ma di buona qualità e la speranza di una liberazione. Porterò con me nel viaggio un’inutile conoscenza del globo terrestre, una lettura superficiale dei filosofi e, terza cosa, un desiderio di annientamento e una speranza di liberazione. Porterò inoltre un mazzo di carte, una macchina da scrivere e un amore infelice per la gioventù europea. Porterò infine con me la visione di una lapide, relitto abbandonato nel deserto o nel fondo del mare, con questa epigrafe:
'QUI RIPOSA UNO SCRITTORE SVEDESE
CADUTO PER NIENTE
SUA COLPA FU L’INNOCENZA
DIMENTICATELO SPESSO'"

Mi spiace Stig ma non posso accontentarti, nel mio cuore vivrai per sempre....

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JuliànCarax Opinione inserita da JuliànCarax    18 Aprile, 2016
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Scrivi dei libri. Scrivili per me. Per Penélope

"L'eco di parole che crediamo dimenticate ci accompagna per tutta la vita ed erige nella nostra memoria un palazzo al quale – non importa quanti altri libri leggeremo, quante cose apprenderemo o dimenticheremo – prima o poi faremo ritorno".
E cosi è stato. Ho rispolverato il libro che, più di tutti, è stato in grado di toccare certe cordicelle del mio cuore e del mio intelletto.
L'ho rispolverato dal mio personalissimo "Cimitero dei libri mai dimenticati" e rimesso al cospetto della mia attenzione. Dopo 193 recensioni non voglio soffermarmi più di tanto sulla trama. Preferisco recensire tutto ciò che questa avventura letteraria mi ha trasmesso; d'altronde si sceglie un libro anche per provare delle emozioni forti e non solo per scoprire il messaggio che porta dentro.
In realtà avevo una tremenda nostalgia; nostalgia del piccolo Daniel Sempere che nel cuore della notte non ricorda più il volto della madre scomparsa prematuramente, nostalgia di suo padre e della sua particolare libreria di famiglia, nostalgia di entrambi che nel cuore della notte visitano il
Cimitero dei Libri Dimenticati, nascosto nei meandri di una Barcellona cupa e colma di mistero. Proprio in questo luogo magico e misterioso il piccolo Daniel sceglie un libro che nasconde non solo una storia fatta di pagine e parole ma una vera e propria odissea di eventi e intrighi che si ripercuoteranno nella vita al di fuori dei libri e in quella delle persone a lui vicine.
Daniel rimarrà affascinato a tal punto da nutrire un'ossessione per l'autore del libro (Juliàn Carax) e per i segreti che tengono, la storia di Juliàn, sepolta sotto macerie di mistero.
Riprendere questo libro in mano e perdermi nuovamente nel sentiero della sua storia mi ha fatto ripensare a quei momenti in cui ti ritrovi dentro una macchina, con una persona a cui sei particolarmente legato; quando non ti curi del tempo che scorre veloce e di tutto quello che dovrai fare l'indomani. Allora inizi a parlare fino all'alba di amori impossibili, di persone orribili, di amicizia, di qualsiasi cosa ti passi per la testa finchè ti vengono due noci al posto degli occhi, finchè non senti le sfumature del cielo e dell'abitacolo in cui ti trovi cambiare lentamente e te ne vai a casa totalmente ridimensionato a catalogare tutto ciò che hai vissuto, nel silenzio.
Se sono stato eccessivamente melenso perdonatemi ma sono fatto così, dentro un libro cerco soprattutto questo.
Ci tenevo a far capire, tramite questo esempio, come entrando in un turbinio di emozioni fantastiche in cui il tempo scivola in picchiata, si fà, poi, una fatica enorme ad uscirne fuori e
mettere, nuovamente, i piedi sul terreno, a rallentare..... vorremmo sempre rimanere un pò di più, andare ancora così velocemente....
Leggere "l'ombra del vento" è stata, grossomodo, un'avventura simile per me, "non volevo abbandonare la magia di quella storia nè, per il momento, dire addio ai suoi protagonisti".
Mi sono ritrovato su un ring emotivo, fatto di carta e di parole, sono andato K.O alla 597esima pagina sotto i colpi potenti dello stile e della trama di Zafòn mentre lo schiocco del libro che si chiude sanciva la fine di un incontro emozionante che mai dimenticherò.
Consiglio "l'ombra del vento" non solo come libro, ma come strumento per pesare la propria empatia verso tutto ciò che di bello c'è nel mondo, nella vita, dentro di noi.

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JuliànCarax Opinione inserita da JuliànCarax    24 Febbraio, 2016
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Rep , Bogotà e una chitarra invisibile...

Come si uccide un amore profondo e radicato dopo la fine di una relazione? Ho letto diverse opinioni che sconsigliavano di leggere il libro di Medina Reyes quando si sta pagando ancora il prezzo di una relazione terminata ; io vado controcorrente , oltre ad essermene innamorato , l'ho trovato estremamente terapeutico e lo consiglio a chiunque si porti ancora appresso la rabbia e la delusione di un amore che ci ha voltato le spalle all'improvviso.
Rep, dal cuore acuminato come schegge di un'esplosione, è il protagonista di questo libro. Tormentato e arrabbiato per la fine della storia con l'ex ragazza , scappa da Cartagine e si fà inseguire dai ricordi nella movimentata Bogotà.
"Non trovo quello che cerco e quello che cerco ormai non può più essere lei, lei mi ha mandato a vedere se il gallo aveva fatto l'uovo e quando sono tornato e le ho detto di sì mi ha mandato a quel paese e mi ha detto di non farmi più vedere. Per un po' ci ho provato, ma sai bene che quando l'amore si spegne è più freddo della morte. Il problema è che le due parti in causa non si spengono contemporaneamente e quando sei la parte ancora accesa preferiresti essere morto."
Si rifugia nell'alcool, avventure di strada e di letto, improbabili riprese di film scritti da lui stesso , amicizie tragicomiche. Dal dinamismo più sfrenato si passa alla staticità dei ricordi, ai momenti passati insieme a lei , alle cause che hanno spinto una certa ragazza a lasciarlo.
Il libro non segue un ordine cronologico preciso ; ad accompagnare i vari capitoli sul tormentato viaggio di Rep ci sono vari riferimenti sulla storia d'amore malato tra Syd Vicious (membro dei sex pistols) e la fidanzata Nancy insieme a un breve ma significativo excursus su Kurt Cobain che analizza l'infanzia e i motivi che hanno portato il chitarrista dei Nirvana al più tragico dei finali dopo l'enorme successo riscontrato. Rep condivide lo stile di vita dei personaggi citati e si immedesima nel caos di una vita vissuta sul filo di un rasoio.

Pochi libri sono riusciti ad arrivarmi "dentro" in questa maniera, la scrittura è diretta , scorrevole , sincera a tratti devastante per come descrive l'inquietudine interiore dei personaggi principali, la critica non fà sconti.
La rabbia che Rep si porta dietro le sue storie è un specchio dove molte persone potrebbero ritrovarsi all'interno. Ho divorato il libro sotto le coperte senza riuscire mai ad appoggiarlo sul comodino per riprenderlo la giornata seguente . La storia di Kurt e della sua chitarra invisibile mi ha semplicemente tolto il fiato e il sonno ; è un pugno nello stomaco che ancora oggi , dopo un mese dalla lettura , fatico ad incassare ; il libro è un gioiello ma questa piccola storia mi ha colpito come un treno in corsa e forse meritava un libro a parte.
Una storia sulle conseguenze di un abbandono , sul destino di un sentimento acceso, fine a se stesso che diventa di conseguenza inutile e ingombrante, una storia di personaggi dannati e della loro caduta verso il baratro della follia.
Consigliatissimo

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JuliànCarax Opinione inserita da JuliànCarax    23 Febbraio, 2016
Top 1000 Opinionisti  -  

Era negli anni in cui eravamo ancora vivi..

Premetto che è il primo libro che leggo dell'autore islandese . Attratto dalle recensioni del web e dalla trama ho scelto questo libro per perdermi nello scenario naturalistico imponente della fredda Islanda. Volevo leggere di uomini in bilico tra la vita e la morte e posso dire che il capolavoro
di Stefànsonn ha soddisfatto le mie esigenze.
Scarsi sono i riferimenti cronologici , la storia è ambientata in un tempo remoto dove gli uomini non sono ancora stati offuscati dalla modernità .
La voce narrante , che si identifica nello scenario e nei personaggi come fosse un "noi" , ci descrive la storia di un giovane ragazzo , del quale non verrà mai pronunciato il nome, e del suo amico fidato Barour.
I due hanno in comune l'amore per i libri e per le poesie, in un mondo duro e aspro conoscono bene il valore delle parole ; attraversano sterminate pianure sovrastate da catene inviolabili per raggiungere un piccolo villaggio sulla costa dove parteciperanno ad una battuta di pesca.
Durante quest'ultima il giovane ragazzo perde il suo amico che , distrattosi poco prima della partenza per assaporare alcuni versi del Paradiso perduto di Milton , aveva lasciato a terra la cerata, indispensabile per affrontare le insidie del mare e del freddo.
Il ragazzo rimane solo al mondo , riecheggiano in lui i versi che l'amico soleva ripetere "Nulla mi è delizia , tranne te". Egli desidera solo la morte , raggiungere il suo amico nel
Nulla e rimanere con lui al suo fianco , per sempre. Prima di compiere il suo destino ordina a se stesso di consegnare quel libro , cosi prezioso all'amico , ai legittimi proprietari ma saranno questi ultimi a impedire al ragazzo di uccidersi e , inaspettatamente , a prendersi cura di lui.
Il libro , fulcro del destino dei personaggi , diverrà un'ancora di salvezza per il ragazzo , un mezzo fondamentale per aggrapparsi alla vita.
Stefánsson ci guida attraverso i mari del destino , attraverso una storia di amore
di amicizia, di ricerca del senso della vita , di morte , sempre in bilico tra Paradiso e Inferno . Ci fornisce una lettura intensa in cui la parola sembra l'unico mezzo utile per contrapporsi
alla vulnerabilità dell'essere umano di fronte alla morte e alla violenza della natura.

“Le parole possono avere il potere dei troll e possono abbattere gli dei, possono salvare la vita e annientarla. Le Parole sono frecce, proiettili , uccelli leggendari
all’inseguimento degli dei, le parole sono pesci preistorici che scoprono un segreto terrificante nel profondo degli abissi, sono reti sufficientemente grandi per catturare
il mondo e abbracciare i cieli, ma a volte le parole non sono niente, sono stracci usati dove il freddo penetra, sono fortezze in disuso che la morte e la sventura
varcano con facilità”

Personalmente ho assaporato i dolori dei personaggi, costantemente circondati da un'aura di morte , malinconia e incertezza , mi sono perso in una terra lontana , desolata
e dura che un giorno vorrei visitare , mi sono sentito come una candela accesa che può spegnersi con una folata di vento , mi sono specchiato dentro a lungo come è solito fare con i libri che rimangono nel cuore.

"Forse non abbiamo bisogno di parole per sopravvivere, forse ne abbiamo bisogno per vivere."

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