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68 Opinione inserita da 68    29 Marzo, 2025
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Arte, artisti, vita…

Un artista che comincia a realizzare dipinti capovolti in un mondo intatto ma libero dalle costrizioni della realtà, una tela per affermare e rappresentare se’ e gli altri, il misterioso suicidio di un uomo in un museo che innesca un dibattito su arte, vita, violenza, paura, genitorialita’, la scomparsa di una madre dopo lunga malattia causa di una dolorosa presenza e di un senso di rinascita dietro lo sguardo di una cinepresa.
Momenti e contingenze per affrontare e interrogarsi su arte e vita rifacendosi a un passato ingombrante, la voglia di essere, di esprimersi, rinascere, comunicare, misteri irrisolti, quesiti importanti, gravati dal peso di un contratto sociale in atto.
Assenze presenti, presenze assenti, quanti volti in un’ opera immaginata, creata, guardata, letta, condivisa, vissuta dentro.
L’ arte espressione di se’, della propria storia, angolo privilegiato da cui osservare il mondo, libera essenza, un modo di leggersi dentro, scrutare l’ imperscrutabile, rifugio per l’ anima, un tempo in cui sostare per non vivere, semplice rappresentazione e narrazione del reale.
Arte ed artista, binomio di compromessi oggetto di un egoismo che tralascia la personale idea di famiglia, assoggettando il femminile a un’ idea inespressa di genitorialita’.
Nel mezzo un reale in cui sostare, in cui una donna viene improvvisamente assalita per strada da un’ altra donna insinuando in lei un profondo malessere fisico e mentale, generando una controfigura che vaga per il mondo al suo posto.
L’arte può richiamare se stessi, farsi lettura privilegiata, esprimere sofferenza, una peculiare modalità espressiva, esposta agli occhi di chi la guarda, e se fosse semplice espressione del proprio egoismo?
Può il non amore di una madre generare l’ amore dei propri figli quando la sua capacità di ferirli è illimitata, vissuti da sempre in uno stato di completa solitudine, avvezzi all’ invisibilità?
Può una cinepresa diventare un nascondiglio sicuro da cui guardare senza essere visti, la morte restituire vita alla vita, l’ uso della violenza essere legittimato, convivere con la paura, desiderare un figlio come retaggio della propria infanzia, pervasi dal terrore di vivere?
Può una donna rinunciare a se stessa e all’ intimità famigliare per favorire l’ espressione artistica di un coniuge geloso della propria libertà, contribuendone al successo e reclamandone una parte tutta per se’?
Il corteo inscena una giostra di sensazioni forti, aspre, vivide che sgorgano dal profondo per sostare in una superficie apparente, momenti riconducibili al cuore dell’ esistenza, domande inevase, una galleria eterogenea di protagonisti, picchi di ingegno, di sensibilità, situazioni occasionali, contingenti, paradossali che richiamano istanti fissati dai ricordi, su tela, dall’ occhio di una cinepresa, da una presenza legittimata.
Rachel Cusk e una scrittura apparentemente fine a se stessa, lunghi monologhi non condivisi, digressioni afinalistiche mentre si cena in compagnia gustando un buon vino, percorsi dalla lontananza, turbati da un gesto estremo legittimato dall’ espressione artistica nella propria misteriosa presenza.
Una prosa ricca in un palcoscenico minimale, tocchi essenziali tra spirito e materia, una complessa sovrastruttura psicologica che ogni volta ridefinisce se stessa, un disordine organizzato con un forte senso di incompletezza nel tormentato viaggio del profondo che lo caratterizza.

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68 Opinione inserita da 68    25 Marzo, 2025
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Fragilità estrema

L’ idiota è un romanzo di matrice autobiografica che prevede due parti, diverse e non proprio complementari, un viaggio educativo-sentimentale nel fluire di una giovinezza che possiede i tratti della protagonista e le aspirazioni di un periodo della vita ancora immaturo, assoluto, turbolento, fallimentare, da forgiare.
C’è un prima inserito in un contesto accademico-letterario che attrae uno spirito assetato di conoscenza e un dopo aperto a un viaggio alla ricerca di se’ e dell’ altro.
Una trama interessante all’ interno di una prosa scorrevole, alcune riflessioni argute, dialoghi sferzanti, la profondità di alcuni personaggi, la superficiale assenza di altri. Quello che manca, e non è poco, è la fusione tra l’ approccio teorico, che abbonda nelle parole ricercate e nei monologhi cervellotici della protagonista, e il fluire della trama, fragile, frammentato, inafferrabile, lontano.
Selin, diciotto anni e uno stato di unicità, d’ altronde non tutti possono vantare un’ iscrizione a Harvard, centinaia di libri letti, il desiderio di diventare una scrittrice senza avere ancora scritto qualcosa di significativo.
Da sempre una vita molto teorica e poco pratica, la frequentazione di spiriti affini nella propria. ristretta cerchia di appartenenza, in lei una lacerazione evidente, il complicato rapporto tra linguaggio e mondo, qualcosa da definire all’ interno di frasi e parole acquisite e certe.
Un’ età dentro la personale visione delle cose, l’ incontro con Ivan, studente ungherese di matematica, un rapporto altrettanto difficile, iniziato e proseguito grazie a uno scambio di e-mail su temi generali, l’ incertezza di una transizione evidente, il dibattito su linguaggio e realtà, aspirazione e sentimento, una malcelata sofferenza vissuta dentro, come mostrarsi anticonvenzionale dicendo qualcosa di significativo?
Per Selin la scrittura è un’aspirazione teorica, sin dalle superiori vissuta dentro un mondo di idee e di grandi pensatori, un distillato di opinioni, oggi si divide tra un corso e l’ altro, affamata di conoscenza, nella quotidianità poca concretezza, il complesso rapporto con gli altri, una visione del mondo limitata alla propria unicità e a un certo grado di egoismo.
Vive un tormento prolungato, un’ emozione che si fa sentimento, un desiderio da cui è difficile sottrarsi, che ricerca l’ indecifrabile, se stessa, un completamento, mille domande e nessuna risposta, che vede nell’ altro qualcuno da rincorrere, imitare, studiare, con il quale intrattenere una relazione che possa annullare la lontananza, chiarire un legame enigmatico, allargare i propri orizzonti.
C’è una teoria che si sottrarre a definizione certa, che cede a un quotidiano fatto di privilegi di classe e alla praticità di una relazione con il mondo che aspira a leggersi dentro e a comprendere chi ci sta accanto.
L’ ansia di Selin origina dal proprio senso insensato, convinta di non avere niente da insegnare, di essere estranea al mondo, rinchiusa in un personale microcosmo di inconcludenza, senza essere mai andata da nessuna parte, ubbidiente a una madre che le dice cosa fare, una indigente nel grande mercato delle idee.
In questo stato di immobilità, impossibilitata a parlare di se’ in un’ intimità che ne metta a nudo i sentimenti, percorsa da uno sterile rimuginio intellettivo, si interroga su vita e destino, se per destino si considerano persone che gravitano in situazioni diverse.
Nel suo rapporto con Ivan mancano le coordinate di un sentimento condiviso, che fatica ad esprimersi, che fa soffrire l’ altro, sfuggendo a una vera conversazione.
E allora che cosa si intende per amore se non un oscuro e imperscrutabile legame fra due individui e non una competizione di tipo economico in cui tutti vengono accoppiati in base al proprio valore stimato?
Per la prima volta Selin ignorerà che cosa voglia effettivamente studiare e fare, in lei ancora la vecchia idea di essere una scrittrice, ma, dopo un periodo di apprendistato e di insegnamento in Europa a stretto contatto con il reale, scoprirà che la propria idea di amore era un inganno e di potere vivere, di dovere vivere, di vivere…

…quando in autunno tornai all’università cambiai piano di studi lasciando linguistica, e non seguì più corsi di filosofia o psicologia del linguaggio. Mi avevano deluso. Non avevo imparato quello che volevo sapere sul funzionamento del linguaggio. Non avevo imparato proprio niente…

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68 Opinione inserita da 68    14 Marzo, 2025
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Quale salvezza?

…una finzione protratta per quarantuno anni, giorno dopo giorno…

Un lessico famigliare ripetuto, gesti che fanno male, monosillabi di infelicita’, silenzi parlanti, giorni trascorsi in un ristretto spazio non condiviso, lo sguardo sulla propria sofferenza, su quello che resta di se’ nella consapevolezza tardiva di una vita da viversi altrove.
Le parole addolorate di un figlio quarantunenne in un romanzo sulla famiglia che ritorna all’ origine, a quei genitori abbandonatati da dieci anni, un racconto dell’ inverosimile, quel legame ancestrale che sopravvive al proprio senso insensato.
Nella stesura del romanzo il potere dell’ invenzione supera il ricordo separandosi dal reale per accedere al vero, scindendo i genitori l’ uno dall’ altro per viverli singolarmente, la scrittura un modo per leggersi dentro, trasferire emozioni inarrivabili, sentimenti difficili da allocare, grazie alle parole giuste, scavando nei ricordi, in un dialogo personale e con quella parte degli altri incisa dentro di se’.
Il breve romanzo di Bajani penetra con grazia, eleganza e una certa dose di imbarazzo i segreti inconfessabili di una famiglia come tante, vestita di normalità, una vita apparecchiata per conservarsi, al suo interno errori, mancanze, violenze, una coazione a ripetere, ruoli stabiliti cui attenersi.
Tra le pagine dettagli, riflessioni, ricordi, un giudizio personale schietto, il tacito dolore di un figlio nel difficile compito di rivelare l’ incomprensibile.
I propri genitori, figure antitetiche e complementari, una simbiosi costruita sulla fragile negazione dell’ una e sull’ ingombrante presenza dell’ altro, un rapporto di forze squilibrato ma necessario per sopravvivere.
Della madre poco da dire, una vita piccolo borghese, studi classici, nessuna traccia prima del matrimonio, un corpo inesistente, una donna timida e schiva che ha fatto di tutto per non apparire, una presenza-assenza che ha sacrificato se stessa per preservare l’ idea di un amore.
Per contro un padre-padrone violento, maniacale, manipolatore, che si legittima delegittimando gli altri, un passato irrisolto, che esige scuse dalle sue vittime, figlio di un patriarcato che rasenta il totalitarismo, voce unica e braccio della legge.
All’ interno di questa idea di famiglia distorta e manipolatoria i due genitori sopravvivono ai propri fraintendimenti, il niente dell’ uno nell’ ingombrante presenza dell’ altro, il non essere già’ qualcosa, un patto vicendevole mai espresso, il loro segreto, un corpo che si sottrae e uno che avanza, negandosi per legittimare una presenza, perdonando per farsi perdonare, la consapevole e irrazionale protezione dell’ altro dal male che fa a tutta la famiglia.
Dopo il trasferimento da Roma, negli anni ‘ 70 epicentro della vita socio-politica italiana, alla provincia piemontese, c’è chi vive in uno spazio intermedio tra il succedersi delle cose e il prenderne atto, uno stato di distrazione per salvarsi, la negazione di se’ per non essere visti e colpiti.
C’è chi fa uso della violenza per farsi amare, trasformando la vita dell’ altro in un deserto, un luogo che solo una madre è in grado di abitare, rinunciando a tutto e a tutti, una donna che non ha paura del marito.
C’è un figlio che non ha avuto la forza di denunciare, di andarsene definitivamente, avvelenato e costretto all’ anestesia del presente, tra parole ripetute e insignificanti, gesti che pesano come macigni, lo sguardo sull’ inguardabile, chiedendosi origine e significato di tutto questo, occhi che guardano altrove, a un amore, a un’ idea di famiglia sostitutiva, a qualcuno che sappia ascoltare e dare consigli.
E ci sarà un distacco, inevitabile, definitivo, per riuscire a vivere, respirare, assaporare la libertà , grato a chi gli ha permesso di comprendere che

…uno dei modi per esprimere la violenza era la distruzione ma l’ altro, più importante e per così dire virtuoso, era la precisione…

L’ Anniversario affronta un tema ben noto, la famiglia come convenzione sociale, sede di violenze fisiche e psicologiche, così lontana dall’ idea di focolare domestico in cui crescere, amare, essere amati. Lo fa a posteriori, quando tutto ormai è perduto, paura e timore hanno capillarizzato le vittime designate riducendole al terrore e alla masochistica indifferenza.
Nel mezzo una vita a propria immagine e somiglianza da parte di chi, a sua volta, si ritiene una vittima, forse lo è stata, e continua a imperversare sulla propria famiglia, ignorandone l’ essenza primaria.
Il dolore può cronicizzare, ci si può convivere, a lungo e con mille artifici, ma giunge il momento in cui va definitivamente estirpato, prima che si faccia insopportabile.

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68 Opinione inserita da 68    07 Marzo, 2025
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Attesa di niente

…Sono arrivati i tartari? Sì, sono arrivati…

Giovanni Drogo, alias Dino Buzzati, un giovane ufficiale partito dalla città un mattino di settembre diretto alla Fortezza Bastiani, momento atteso da anni, l’ inizio della sua vera vita.
Una Fortezza piccola, vecchissima, di seconda categoria, che non è mai servita a niente, di fronte un deserto, il deserto dei Tartari e un pensiero,

….come un vago presentimento di cose fatali, quasi egli stesse per iniziare un viaggio senza ritorno…

Il tempo accompagnerà l’ insondabile attesa di un nemico impalpabile ( i Tartari ) da nord, di una possibile guerra, anni dentro i quali abbandonare la speranza, una vita dentro la vita, lasciata, ritrovata, persa in un progressivo senso di inutilità, un “ sogno “ smorzato per ritrovarsi a cinquant’anni prosciugati dalla malinconia.
Il Deserto dei Tartari è un lungo viaggio stanziale all’ interno di un microcosmo di regole e disciplina, vicinanze e lontananze nella monotona ripetizione dei giorni, gelide notti di guardia, lo sguardo rivolto a nord alla ricerca di un movimento, presenza vivida ancorata dentro di se’.
Un immobilismo esteriore in una fertile interiorità, sogni e rimpianti di una vita che poteva essere altro, il destino immutabile ha trascinato Giovanni al di fuori di una famigliarità che, dopo quindici anni, avverte estranea a se stesso, un piccolo mondo che ha fatto a meno di lui e che lo ha dimenticato.
Nel mentre una generazione è cambiata e, a più di quarant’anni, senza avere fatto niente di buono, senza figli, Giovanni Drogo si sente solo al mondo.
La Fortezza Bastiani avamposto di niente, ossimorica presenza, osteggiata, tollerata, nauseabonda, indispensabile per chi tra quelle mura ricerca una definizione e un senso di un qualcosa che potrebbe ancora accadere.
Pare evidente che le speranze di un tempo, l’ illusione della guerra, l’ attesa di un nemico da nord, siano stati solo un pretesto per dare un senso alla propria vita, accontentandosi, trascinandosi, desiderando sempre meno.
Quanto è difficile credere quando si è soli, consapevoli della distanza che separa gli uomini, anche nella prossimità e, per chi soffre, capire che il dolore va vissuto in completa solitudine.
Nel romanzo il respiro di una vita, la propria, una prosa centellinata trasudante metodo e precisione, amore per le parole, un rimuginio intellettivo tra sogno e realtà nel flusso ininterrotto di anni imperturbabili, fatti di niente, l’ aspirazione alla guerra nell’ invenzione della guerra, la morte di chi è solo un numero, un destino di immutabilità e rassegnazione, un tempo atemporale protratto malinconicamente.
Lunghi giorni di solitudine in cui immaginare, dare forma alla vita, rassegnarsi all’ evidenza, arrivi e partenze fotografano la propria uscita dalla giovinezza, la maturità, il paesaggio della vecchiaia, l’ incontro con la malattia, un riscatto personale nel respiro lontano e indifferente di un nemico alla porta, il sorriso quieto di una fine.

…facendosi forza Giovanni raddrizza un po’ il busto, si assesta con una mano il colletto dell’ uniforme, da’ ancora uno sguardo fuori dalla finestra, una brevissima occhiata, per l’ ultima sua porzione di stelle. Poi, nel buio, benché nessuno lo veda, sorride…

Il Deserto dei tartari, un classico da amare che anticipa numerosi temi della modernità, intriso di elementi autobiografici, prende forma tra i numerosi carteggi e gli appunti di Dino Buzzati nelle interminabili notti da lui trascorse, ancora giovane cronista, nella redazione del Corriere della sera, ( tra il 1933 e il 1939 ), nella progettazione di due finali, nella pubblicazione del romanzo ( 1940 ) pochi giorni prima dell’ entrata in Guerra dell’ Italia fascista, nella tardiva trasposizione cinematografica ( 1976 Regia di Zurlini ) dopo una lunga gestazione quando l’ autore è da poco scomparso.

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68 Opinione inserita da 68    03 Marzo, 2025
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Il destino in una scelta

La vita presenta ombre insospettabili e minacciose presenze, un passato ingombrante, è cruda, misteriosa, indecifrabile, violenta. Quando un amico viene a mancare improvvisamente un inevitabile vuoto ci prende ed è difficile sottrarsi al senso di colpa, a un destino che poteva essere altro, circondati dal dolore muto di amici e parenti, dalle voci dei conoscenti.
E allora, sopraffatti da una curiosa presenza, il destino dell’ altro si allinea al proprio e, specchiandoci, ci domandiamo chi siamo e che cosa realmente sappiamo di noi,
identificandoci con l’ umano che resta, con la paura della morte, con un lascito insostenibile.
Inevitabilmente ci addentriamo nel passato del defunto scoprendo che di lui ben poco ci resta se non quell’ idea con la quale abbiamo convissuto da sempre, una visione di superficie che si nutre di uno stato apparente.
Questo quanto accade al dottor Charles Coindreau, voce narrante, un medico parigino alle prese con la tragica notizia della morte dell’ amico Bob Dandurand, improvvisamente annegato lungo la Senna.
Che sia un incidente o un suicidio la ricerca della verità ne ricostruisce la trama, Bob era un quarantanovenne dalla battuta pronta, disponibile, giocoso, ospitale, divertente, la sua casa parigina sempre aperta.
Perché lo ha fatto? Difficile dirlo, ciascuno nasconde una parte di se’, il proprio ménage famigliare, codici personali di comunicazione e appartenenza, figlio di legami atavici, prodotto di scelte avventate, ponderate, insondabili, giovanili, di una narrazione trasversale che non ci tocca, con il diritto di decidere della propria fine .
Lulu, moglie di Bob, che gestisce una modisteria, è percossa dai sensi di colpa, da un dolore muto che non cede all’ evidenza, nell’ impossibilità di ricominciare, una parte di se’ definitivamente consumata e persa.
Giorni rivestiti di un abito smunto, lei che ha sempre amato e giustificato Bob, anche nelle sue ripetute scappatelle, che non ha niente da rimproverargli, che gli è grata di averla scelta, che si incolpa di quello che potrebbe essergli successo, consumata da uno sfinimento psichico e corporale.
A contorno rapporti famigliari tronchi, una gioventù deragliata precocemente, la ricerca di momenti giocosi, un’ affezione profonda, un’ abitudine protratta, una solitudine profonda.
Charles si immedesima in Bob a tal punto da sostituirlo in alcune debolezze, da domandarsi che fine farebbe se fosse vittima della medesima sorte, rivisitando il proprio ménage famigliare, cercando di leggersi dentro, richiamando emozioni sopite.
La morte di Bob scoperchia un nuovo volto, sociale e famigliare, oltre ogni costruzione apparente, sulle sue origini, sulla sua storia, sulle sua famiglia, sui suoi desideri, scoperte sorprendenti delle quali non resta che accettare l’ evidenza.
Oltre il dolore dell’ assenza una certa inquietudine riveste la propria maschera di invisibilità, sconosciuti a se stessi, soli tra tanti, un piccolo mondo borghese pervaso da un alone di frequentazioni e conoscenze che mira alla sopravvivenza, che vede ciò che crede, eppure basterebbe un po’ di ascolto, uno sguardo attento, l’ accettazione dell’ altro nel suo diritto di compiersi.
Il grande Bob e’ un testo costruito su una trama scarna che scava in piccoli dettagli significanti lasciando domande inevase.

…a cosa pensi? A niente, a tutto…

Un’ indagine del profondo dalla quale emergono verità più o meno evidenti, una vita alla quale l’ uomo si adatta, con l’ esclusione di felicità e riposo, una società che egli combatte continuamente, la quotidiana infelicita’, di se stesso e della propria esistenza, una vita nella quale c’è chi ci sbatte in faccia sgradevoli verità e chi cerca di fare gioire gli altri, chi sembra un fallito e chi ha scelto di esserlo consapevolmente.
Niente può essere predetto o domato, conosciuto perfettamente, la verità ( fattuale ) lentamente prende forma e, dopo una lunga rincorsa, si mostra, fredda e deludente, quanto è complicato e complesso comprendere l’ altro, prima sarebbe opportuno leggersi dentro.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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68 Opinione inserita da 68    26 Febbraio, 2025
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Alta velocità e meditazione lenta

Vagoni, treni, binari, orari, attese, incroci, avvistamenti, il ritrovamento di due corpi senza vita su una spiaggia nel lontano Kyushu, un complesso rompicapo da risolvere.
Il probabile suicidio di una coppia dopo un lungo viaggio condiviso e un’ attesa durata cinque giorni, odore di avvelenamento, quale il movente di un’ indagine archiviata prematuramente, un dubbio tra i binari in attesa di un treno visibile solo per pochi istanti, un incontro apparentemente casuale, forse organizzato, l’ inizio di un’ altra storia, una serie di viaggi tra le isole dell’ arcipelago giapponese inseguendo flebili tracce che possano incriminare un sospettato insospettabile.
Due funzionari di polizia impegnati nella ricerca, il giovane investigatore Mihara supportato dall’ esperto Torigai, niente di accidentale, un intricato puzzle che sfugge a definizione certa.
Otoki e Sayama, quale l’ identità dei suicidi, il motivo del loro gesto, un’ intrattenitrice di un locale di Tokyo e un funzionario ministeriale, che si tratti di una relazione nascosta, complessa, pericolosa, di un’ amicizia di lunga data, di semplice conoscenza, di un tranello costruito ad arte nel quale cadere inesorabilmente ? Come sono giunti nel Kyushu, in coppia o separatamente, e per fare cosa, dirsi semplicemente addio?
La lenta ricostruzione di una trama inserita in una dimensione spazio-temporale di attesa, luoghi percorsi velocemente, coincidenze, particolari apparentemente insignificanti a separare una possibile messinscena dalla certezza di essere soggiogati e distratti dalle apparenze.
Un percorso di numeri, sensazioni, ipotesi da convalidare, di occhi indiscreti, nomi falsi, presenze-assenze, un probabile stato di connivenza, un amore tradito dalla certezza di una malattia invalidante, il lento e inesorabile sbriciolamento di una trama apparente.
Una certa solitudine meditativa scivola nella velocità degli spostamenti, pochi indizi, pochi protagonisti, intrecci pericolosi, la freddezza relazionale nella lentezza situazionale, certezze indimostrabili, un film orchestrato attorno a un orario ferroviario ricordato perfettamente, coincidenze, ritardi, viaggi, presunti, effettivi, mancati, uno stato di evidenza, ciò che è non è come sembra, c’è dell’ altro, nascosto, costruito, successo.
Tokyo Express è un buon giallo scarnificato con un finale privo di suspense che vive su un complesso giuoco di incastri, probabilmente eccessivi nel proprio tecnicismo, su un macabro evento orchestrato scrupolosamente, su una costruzione mentale alla ricerca di una valenza in un campo indiziario circoscritto agli spostamenti di Mihara, tra digressioni protratte, creazioni fantasiose e deduzioni brillanti sulle tracce di un assassino e dei propri complici.
È una peregrinazione ad alta velocità nel cuore di un Giappone infettato da una corruzione dilagante, tra maschere di non appartenenza, tradizioni rafforzate dall’ apparenza, una sottile linea oscura che richiama pazienza per afferrare l’ inafferrabile, l’ ovvio sovente nasconde tenebrose presenze.

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68 Opinione inserita da 68    18 Febbraio, 2025
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Quale amore?

I diciassette brevi racconti di Raymond Carver si addentrano nel cuore di una vita dalla complessità semplice, parole pungenti, momenti di attesa, movenze improvvise, corpi che si sfiorano, sensazioni rarefatte.
In tempi e luoghi diversi voci e gesti ripetuti, unici, inconcludenti, relazioni estinte, durevoli, perse, un’ umanità eterogenea e monca, piccoli oggetti del quotidiano, l’ incapacità manifesta di comprendere e collocare il circostante.
Un viaggio nel rimpianto per un amore mancato, nella violenza brutale di un gesto, con l’ idea di avere perso tutto, vivendo la sensazione che è meglio addormentarsi al più presto, che ogni regola non conta più niente, che tutto può cominciare e finire con un sasso, che ci sarebbe ancora tanto da discutere e da raccontare, che la sfortuna di qualcuno può abbattersi sui suoi compagni di viaggio.
Basta il sentore di alcune dita tra i capelli a riportare il pensiero altrove, ridendo e fregandosene del freddo esterno che non ci riguarda mentre le cose cambiano irrimediabilmente senza rendercene conto fino a quando l’ amore sarà solo un ricordo.
Che cos’è l’ amore se non qualcosa di oscuro per il quale comportarsi da principianti, dimenticato e sostituito al più presto, che cosa resta oltre la percezione del battito di chi ci sta seduto accanto nel silenzio di una stanza, con qualcosa da dire senza sapere cosa, ubriacandosi, cominciando a ballare, smettendo di parlare.
In Di cosa parliamo quando parliamo d’ amore si respira il peso di un’ aria rarefatta nella quale entrare e dalla quale uscire rapidamente, parole sconclusionate, interpretabili, impronunciabili, mai dette, gesti apparentemente inconcludenti, un piccolo mondo compresso in un linguaggio scarno, minimale, tronco, la sensazione di una vita impercettibile, che ci addossa colpe già nostre, che richiede un conto esorbitante, una vita sfiancante, inafferrabile nella propria insensatezza, che ci trascina al proprio interno senza rendercene conto.
Tra dialoghi sferzanti momenti visti e vissuti in una statica freddezza, quasi senza rendersene conto, ribaltamenti improvvisi di trame già scritte, raccontate, subite, aperte e chiuse drasticamente, nessuna possibilità, una vita descritta mirabilmente, tocchi minimali a coglierne l’ essenza più vera.


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68 Opinione inserita da 68    14 Febbraio, 2025
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Attesa e rimpianto

Un uomo alla propria porta, rivelazione inconcepibile e concreta minaccia a una vita famigliare da rivisitare completamente, fragile, insostenibile, sospesa, forse cambiata per sempre.
A Eilis, irlandese sposata da vent’anni anni e residente a Long Island, un marito di origine italiana ( Tony ), due figli ( Rosella e Larry), arrabbiata, ferita, vilipesa, non resta che affrontare l’ inaffrontabile nella speranza di trattenere ciò che sente appartenerle, un viaggio nella propria terra d’ origine per festeggiare l’ ottantesimo compleanno della madre in attesa dei propri figli.
Un ritorno al passato nella disillusione del presente, che sia un nuovo inizio, la prosecuzione di quello che fu, un flusso insperato di ricordi e rimpianti, difficile dirlo.
Nella terra d’ Irlanda riabbraccia la madre, con la quale ha mantenuto rapporti epistolari, i fratelli, Nancy, ex amica del cuore, e ritrova Jim, un coetaneo con il quale vent’anni prima aveva vissuto un’ intensa storia d’ amore prima di tornarsene dal marito di cui lui ignorava l’ esistenza.
Oggi probabilmente tutto è cambiato, vita, condizioni, persone, sentimenti, Jim paradossalmente vive una relazione con Nancy, tuttora nascosta alla comunità e destinata a uno sbocco matrimoniale, giorni che scorrono tra passato e presente, il futuro da definire.
Eilis rivisita una dimora sentimentale che ritrova lentamente, momenti sospesi, perduti, lontana da una famiglia patriarcale devota a se stessa che non ha mai riconosciuto e rispettato il suo spirito irlandese, che comunque le manca, un luogo tutto per se’ che la riavvicini a se’, alle proprie origini, a un amore che poteva essere altro, a una scelta obbligata, a quello che è stato.
Anche Jim attraversa la turbolenza di una routine apparente, un passato di inspiegabili e improvvise menomazioni, abbandonato da due donne, ciascuna per motivi diversi, e, a differenza loro lui non ha saputo reagire, un tempo nel quale avrebbe seguito Eilis ovunque, persino in America, umiliato dalla sua partenza, rimasto solo con le sue storie.
Nancy, a sua volta, è desiderosa di ricostruirsi una vita dopo tante sofferenze, consapevole che tutto per lei sarebbe potuto andare diversamente, se il marito George non fosse morto, se Eilis non fosse partita per l’ America e avesse sposato Jim.
E c’è chi ha vissuto vent’anni separata da una parte di se’ e oggi vorrebbe ricominciare altrove.
Intrecci, fallimenti, rimpianti, fragilità esposte, una commedia di relazioni famigliari che ricorda la connazionale Catherine Dunne, meno poetica e più romanzata.
Sentimenti sospesi, complessi, rilasciati, quanto il bisogno d’ amore determina un caos affettivo-relazionale, la rivisitazione di un passato tronco, riassaporando ciò che si credeva perso, frammenti di felicità destinati a fine certa, sperando nell’ improbabile, affidandosi ai sentimenti, esposti ai desideri altrui?
Quanto il passato è presente, i rimpianti ci toccano, le responsabilità ci appartengono, sovrastati dalla complessità, dai sensi di colpa in una vita che poteva essere altro?
In una confluenza di anime sole, svuotate, perse, un vortice turbolento di accadimenti riporta a uno stato di attesa, di un fragore cangiante, di una resa dei conti, di un ritorno all’ ovvio.
Nel frattempo c’è chi resta nell’ ombra …

…si appoggiò al muro e chiuse gli occhi. Forse l’ indomani avrebbe avuto una qualche idea di cosa fare. Ma per il momento avrebbe aspettato lì, senza fare niente. Avrebbe ascoltato il proprio respiro pronto ad aprire la porta a mezzanotte, quando arrivava Nancy. Ecco che cosa avrebbe fatto…

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68 Opinione inserita da 68    28 Gennaio, 2025
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Doppio viaggio

…Fu allora che capii che dolore terribile sia l’ amore…

“ Non dico addio “ è un viaggio a ritroso nel presente, tra le profondità di un’ esperienza condivisa, spezzoni di un passato funesto, il potere della memoria, sensazioni vivide in tanti momenti fatti di piccole cose.
Gyeong-ha, dopo la stesura del suo ultimo libro, da due anni staziona in uno stato d’ inedia, sola, insonne, malnutrita, il medesimo sogno inquietante, alberi recisi e tombe sommerse da un mare crescente che strappa le ossa alla loro sepoltura.
Per lei il ritorno alla vita significa accogliere la richiesta di In-seon, amica di lungo corso, cercando di salvare il suo pappagallino da morte certa nella casa che ha dovuto abbandonare frettolosamente dopo un incidente.
Gyeng-ha vivrà un soggiorno breve nella dimora di In-seon situata sull’ isola di Jeju, una bufera di neve in corso, una terra lontana dove settant’anni prima si è consumato un capitolo drammatico della storia, non solo coreana, il massacro di migliaia di innocenti accusati di comunismo e l’ occultamento dei loro cadaveri.
Saranno giorni di rivisitazione pubblica e privata, sancendo un legame profondo nella ricostruzione e condivisione del terribile evento, addentrandosi nei segreti della casa, documenti, lettere, ritagli di giornali, ricordi, testimonianze, dando forma a un passato sepolto nel dolore di chi è scomparso, di chi ancora si ricorda, di chi è morto ammazzato, è stato incarcerato, un luogo non luogo che sopravvive dentro.
In-seon parla con amore e realismo degli assenti, la madre, il padre, gli amati fratelli, ricostruendo la storia di un paese scomparso, l’ inspiegabile massacro di tanti innocenti, donne e bambini, intere famiglie, un cimitero coperto da silenzio e menzogne.
Nel fluire del racconto paesaggi animati, voci interrotte, passaggi intermedi, luoghi silenti, un deserto di basalto esteso fino all’ orizzonte, scheletri bianchi sparpagliati su una distesa di roccia nera, volti insanguinati ricoperti di neve, fiocchi percorsi da una strana bellezza, dal peso della leggerezza, invisibili all’ interno di uno spazio interpersonale, sciolti, posatisi lì in quel momento ma anche in luoghi diversi e in tempi lontani.
Le due amiche sfogliano un viaggio della memoria sfiorando l’ inafferrabile, consapevoli di quanto la pazienza può essere rassegnazione, la tristezza riconciliazione, forza e solitudine uniformarsi, gioie e sofferenze fondersi.
E allora ci si identifica con l’ altro in una nuova forma e Gyeong-ha si domanda che cosa sarebbe successo se fosse vissuta In un universo parallelo dove In-seon non si fosse tagliata le dita, probabilmente starebbe in un letto o seduta alla scrivania in un appartamento alla periferia di Seoul.

… ho inspirato e sfregato un secondo fiammifero sulla scatola. Non si è acceso. Ho provato con un altro ma si è spezzato. Ho trovato il punto in cui si era rotto, l’ ho stretto tra pollice e indice e ne ho strofinato di nuovo la capocchia sulla superficie ruvida. La fiamma si è levata. Come un cuore. Come un bocciolo che palpita. Come il battito d’ali dell’ uccellino più minuscolo del mondo…

“ Non dico addio “ è un romanzo dai temi forti nella dolcezza di parole e sentimenti, pensieri rimodulati che entrano dentro, corpi fluidi, oggetti parlanti, paesaggi dell’ animo, una materia immateriale sospesa tra sogno e realtà in un tempo scandito dalla memoria, luce che attraversa gli abissi del genere umano dando forma a un amore estremo, come la stessa Han Kang ci ha suggerito.
L’ esito è una presenza vivida e cangiante, come quella neve che, ciclicamente, cade, si dissolve, ritorna, una sensazione di pienezza nel vuoto circostante…

…Hai presente la morbidezza che ti resta nelle mani dopo aver toccato dell’ ovatta, una piuma, o la pelle di un neonato? Ecco, immagina tutte queste sensazioni insieme, distillate e compresse, che pervadono lo spazio. …

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Fantascienza
 
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68 Opinione inserita da 68    18 Gennaio, 2025
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Futuro certo

California, 2070, in una versione post-apocalittica immersa in un futuro lontano, la terra è un luogo desolato, spopolato, deserto, infestato da bestie feroci, preda delle forze indifferenti della natura, dell’ individualismo di un’ umanità regredita ai primordi, scontando a distanza di anni l’ avvento tetro e funesto dell’epidemia di morte scarlatta ( nel 2013).
Il genere umano, ormai quasi estinto, vive una nuova era tutta da costruire, una civiltà disadorna che si serve di un linguaggio scarno, pochi concetti e parole, la lettura e la scrittura scomparse, sopraffatti dalla cruda realtà, dalla violenza, dalla mancanza di rispetto per i più anziani.
Il racconto di uno dei sopravvissuti, un vecchio professore di letteratura immerso in libri e parole che da sempre ha narrato ai propri studenti, segna le tappe del terribile evento, i ragazzi che lo ascoltano vivono di immagini ignorandone la dialettica, non comprendendone i significati profondi, figli di un’ ignoranza della quale si servono e si vantano per sopravvivere nella barbara quotidianità.
Il vecchio racconta della caduta degli Dei, laddove agli inizi del nuovo secolo prosperavano opulenza e conoscenza, d’ improvviso strani sintomi, tachicardia, innalzamento della temperatura corporea, la diffusione rapida di un’ eruzione cutanea scarlatta sul viso e sul corpo causa di morte istantanea.
E allora tutto implode, si sgretola rapidamente, gli individui pensano a se’, si guardano dagli altri, regredendo a uno stato di solitudine e ignoranza, la società destinata a un inesorabile crollo, migrazioni, razzie, violenze, assassinii, ciascuno preda e predatore al contempo.
Ogni forma di civiltà rimossa, i libri perduti, il saper estinto insieme alle menti illuminate che lo hanno creato, un’ inversione sociale in atto, nessuna speranza, circondati da distruzione e morte.
Il ritorno alle origini, dopo un lungo periodo di assestamento, darà lentamente forma a una nuova civiltà, quella stessa che, un giorno, all’ apice di progresso e produttività, in una condizione dicotomica di ricchezza e povertà, tra esodi e sovraffollamento, segnerà una nuova discesa agli inferi assecondando il sentimento umano di sopraffazione e autodistruzione.
Cicli e ricicli, il peggio di se’ nel proprio momento migliore, una genia di barbari e di selvaggi che, nella sventura generalizzata, distruggeranno gli altri e se stessi.
La Peste Scarlatta è un racconto orale calato in un’ epoca post-apocalittica, la fine della cosiddetta civiltà, l’ idea ossessiva della sopravvivenza in un individualismo che paradossalmente azzera tutte le differenze.
L’ avvento del virus ha generato violenza, tracotanza, una solitudine alla ricerca di eventuali superstiti, il senso insensato di chi pensa, legge, scrive in un mondo privato di tutto e senza destino. Ci si chiede se sopravvivere sia sufficiente, e a quale prezzo: all’ interno della narrazione si fissano alcune chicche:

…che cos’è istruzione? Chiamare scarlatto il rosso…

a che cosa servono le università?

…All’ Università insegnavamo ai giovani a pensare…

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Gialli, Thriller, Horror
 
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68 Opinione inserita da 68    14 Gennaio, 2025
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Resa dei conti

…” Abbiamo solo finto che nella vita possa esserci una catarsi, una risoluzione. Forse succede solo quando finalmente non hai più scuse. Ma la vita la salvi solamente vivendola”…

L’ ex detective Ray Lennox, da Edimburgo alla tranquillità di Brighton sembra avere cambiato pelle, l’ amore per una giovane ricercatrice, Carmel Deveraux, un lavoro come addetto alla sicurezza, alcool e droghe dimenticati, il passato sepolto, finché un volto noto riemerge improvvisamente riconsegnandolo alla rabbia dolente del se’ bambino.
Che cosa successe in quel tempo, che cosa è rimasto, chi si nasconde dietro Mathew Cardingworth oltre l’ industriale facoltoso con tendenze filantropiche?
Ray, suo malgrado, rivive quel pomeriggio della sua fanciullezza, gli occhi terrorizzati di due bambini aggrediti da tre sconosciuti all’ interno di un tunnel, un dolore ancora vivido, la rabbia cementata dentro, l’ impossibilità di dimenticare.
Basta poco ad azzerare il presente inseguendo una nuova versione dei fatti, spulciando i frammenti della memoria, una vicenda tacitata e sommersa, tracce invisibili che scuotono dentro, scatole chiuse, incastri pericolosi, vuoti enigmatici di un’ essenza violata, un percorso a ostacoli disarcionante nell’ immagine sfuocata dei fantasmi che furono.
Un fitto soliloquio accompagna nuovi giorni tra passato e presente, dubitando di tutto e di tutti, anche delle persone più care, un’ apnea del profondo in una vita che sembrava indirizzata alla quiete definitiva.
L’indagine si allarga, nuove voci incombono, la sparizione di bambini dati in affidamento fa pensare a un meccanismo complesso, a un’organizzazione a delinquere con origini lontane, ricatti, omissioni, silenzi di comodo.
Fame di verità e desiderio di vendetta accompagnano un reale ancorato a un agghiacciante tempo che fu, una spirale di forza bruta e violenza soverchia l’ apparenza sfociando nella rabbia indomabile che pretende una soluzione definitiva.
Resolution e’ un’ immersione in un inferno che si credeva morto, dimenticato, rimosso, una tregua spezzata dalla ricomparsa del “ mostro”.
È un viaggio temporale, uno stato di confusione nella schizofrenia del presente, personaggi marchiati dalla propria essenza, ombre minacciose, maschere bipolari oltre il confine ossessivo-compulsivo della memoria, calate in un’ Apocalisse di dissolvenza, vomitanti menzogne, crudeltà, violenza, eco di sottofondo, una sola certezza, questa è stata la propria vita, tutto il resto rinchiuso in una forma mentis con l’ obbligo di chiudere i conti.
Il risultato in giorni ancora da vivere, relazioni e situazioni in fieri, il passato è passato, la vera catarsi nel respiro del presente.
La prosa di Irvine Welsh, famelica, frenetica, colloquiale, basta a se stessa, i personaggi forgiati in un microcosmo d’ origine aspro, degradato, brutale, il linguaggio sconnesso, truce, ossessivo, un impasto camaleontico nel quale fare i conti con gli albori della propria storia, in attesa di altro.

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Romanzi
 
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68 Opinione inserita da 68    09 Gennaio, 2025
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Presenza assente

C’è un luogo ricco di parole, pensieri, emozioni, sensazioni, sentimenti che regge e sorregge il peso degli anni, un posto invisibile abitato dal proprio io più profondo, un’ essenza coltivata da sempre, arricchita di esperienze, segreti, ricordi.
E se un giorno pensieri e parole cominciassero a perdersi nella dimenticanza, una nebbia sempre più fitta dentro una fragilità evidente, il respiro confuso dei propri giorni, una dissociazione che sgretola certezze mentre lo sguardo impaurito, preoccupato, indifeso dei propri cari si aggrappa a un reale sfuocato.
Marteen, Il protagonista del romanzo esce, si perde, ritorna, dimentica, guarda ma non vede, sente ma non ascolta, perde progressivamente pensieri e parole, non riconosce i volti, ritorna alla lingua madre, si smarrisce completamente in un caos di voci, immagini, colori, un viaggio nel passato senza presente in una totale mancanza di senso.
Quale inizio, quella sensazione di assenza in piena coscienza, un inspiegabile senso di smarrimento, uno stato d’ animo senza nome che anche gli oggetti più banali sono in grado di suscitare, la perdita del contatto con i movimenti di sempre.
Vera, sua moglie, la donna che ama, l’ unica in grado di comprenderlo e sostenerlo, senza la quale non sa che cosa farebbe, cerca rimedi che possano preservarlo, proteggerlo, aiutarlo.
Nel mentre Marteen si guarda dentro con la paura di attraversare una porta senza sapere che cosa c’è al di là’, guardando delle foto sempre più enigmatiche e impenetrabili, cercando di camminare perché non si sente a casa da nessuna parte, di non stare troppo con se stesso, travolto dai pensieri, accompagnato da un senso di panico trasformato in un malessere onnipresente, qualcosa che lo assale per scomparire improvvisamente.

…Sotto questa vita ne brulica un’ altra in cui tutti i tempi, i nomi e i luoghi si accavallano come ombre e io, in quanto persona, non esisto più...

In mancanza di memoria puoi limitarti a guardare il mondo che ti scorre attraverso senza lasciare traccia, ti senti squarciato dentro, un processo che non puoi fermare perché riguarda te stesso, conversazioni incagliate a metà, parole che sfuggono, voragini aperte di fronte alle quali conviene tacere, la sensazione di parlare con qualcun altro e di qualcun altro….
Chimere ( 1984 ), il romanzo più noto di J. Bernlef, poeta e scrittore olandese, si addentra nel complesso rapporto tra vita, pensieri, parole, memoria, realtà, percezione, temi abituali e cari alla sua poetica. Il dramma della malattia percuote il protagonista quotidianamente, un’ involuzione che gli sottrae la coscienza di se’ e degli altri impoverendolo di pensieri.
Il respiro del romanzo si fa sempre più pressante, un’ angosciosa presenza che si addentra magistralmente e dettagliatamente nell’ involuzione del protagonista, bombardato da immagini e voci incoerenti tra presente e passato, uno stato di percezione caotico, asfissiante, spezzettato, indistinto, di immobilità…

….Quando è giorno e qualcuno dice….sussurra….la voce di una donna e tu ascolti…ascolti con gli occhi chiusi…ascolti solo la sua voce che sussurra…che hanno riparato la finestra… che dove prima era inchiodata quella vecchia porta…ora c’è di nuovo un vetro…vetro oltre il quale si può guardare…guardare fuori…il bosco e la primavera imminente…dice…sussurra…la primavera che sta per cominciare…


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68 Opinione inserita da 68    08 Gennaio, 2025
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Destini incrociati

Donne e una vita che non pare meritarle, comprenderle, accoglierle, sorprenderle, confrontate con un universo maschile disapprovante, cinico, violento, misogino, e allora quanto è difficile vivere liberamente.
Donne che amano e hanno amato, disinteressate, altruiste, resilienti, diversamente uguali, il cui respiro alimenta i tre splendidi racconti di Claire Keegan, talentuosa autrice irlandese dalla scrittura realistica, essenziale ma anche poetica, evocativa, pochi tocchi sferzanti, con il sentore di una dolorosa presenza in una sospensione temporale che restituisce il percepibile, stati d’ animo e sentimenti violati nel cuore di una quotidianità inappagante.
Che sia un giovane uomo abbandonato dalla fidanzata al proprio rimuginio nelle stanze di un appartamento vuoto la vigilia del matrimonio, corroso da misoginia e da un egocentrismo che non riconosce, una scrittrice sola alloggiata per due settimane nella casa di Henrique Boll alle prese con uno strano professore in pensione, il desiderio carnale di una donna felicemente sposata esposta all’ imprevedibile, emergono un’ incomunicabilità di fondo e una cecità evidenti corredate da comportamenti, gesti, parole, sentimenti violenti.
Donne forti, fragili, sole, disperate, in cerca di comprensione, di un complimento, anche di una bugia, esposte all’ imponderabile, sopportate e non supportate, abbandonate a se stesse, che ripensano a tutti gli uomini che hanno conosciuto e che fortunatamente non hanno sposato, uomini non in grado di comprenderle, sostenerle, amarle, distanti, comodi, arrabbiati, silenti.
L’ Irlanda da sempre ha vissuto e convissuto in una struttura cattolica e paternalista intessuta di tradizioni e stereotipi, con una legislazione che vede la donna ai margini, uomini accomunati da un gergo volgare, svilente, da un cameratismo solidale, ignari della propria insensibilità e pochezza sentimentale, se non quando messi alle strette e abbandonati all’ insondabile vuoto che li circonda perché

… non siete in grado di dare…

E allora non resta che una beata solitudine autoimposta a scandire i singoli giorni, la scrittura
compagna di sogni, di storie da inventare, di finali sorprendenti, con la possibilità di vivere lunghi momenti di intimità e di intimismo,

…al suo risveglio senti’ svanire la coda di un sogno, aveva dormito a lungo e si sentiva profondamente appagata….

prima che qualcuno giunto dal nulla, imbevuto di falsità, stereotipi, rabbia, giudichi chi neppure conosce.
Non resta che il desiderio trasgressivo di una donna felicemente sposata, un tradimento prima di diventare vecchia nella certezza di rimanere delusa, l’ approdo a un vortice di sensazioni turbolente, persa tra le braccia di un uomo qualunque inabissandosi in un vicolo cieco, con un risveglio brusco e brutale

….poi pensò all’ inferno, poi all’ eternità…

Non resta che il lungo respiro di una presenza, voci, cuori, sentimenti nell’ anestesia del presente, eco di verità cadute nel niente, un desiderio di libertà sfociato in una solitudine riparatoria, un grido di dolore che fa riflettere, sempre che non sia troppo tardi…


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68 Opinione inserita da 68    08 Gennaio, 2025
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Quale tempo?

Kairos nella grecità classica esprime un tempo qualitativo, difficile da definire, plasmare, collocare, un attimo in cui sostare e afferrare l’ inafferrabile.
Berlino,1986, un incontro casuale sull’ autobus 57, sguardi, parole, gesti d’ intesa, una giovane studentessa e uno scrittore affermato, un luogo, la DDR, che vive a distanza di anni gli esiti della guerra, una separazione interna, l’ esposizione a est con mire a ovest, interrogandosi sul significato della parola libertà, la creazione di un nuovo stato investito dal capitalismo della modernità tra gli echi di un passato sopravvissuto e in parte rimpianto.
Hans e Katharina, trama irresistibile in un respiro condiviso, relazione intensa tra le difficoltà, stabilità indecifarabile tra intervalli di attesa, il vuoto di una possibile perdita, la ricerca improbabile di un senso compiuto.
Lui e’ sposato, con un figlio, relazioni estemporanee, un’ infanzia vissuta tra l’ ascesa del nazismo e gli esiti di una fuga obbligata, innamorato della poesia, della buona musica, del profumo dell’ arte, uno scrittore impegnato a

…” rendere non ovvio ciò che è ovvio”….

Due settimane indimenticabili ne cambieranno le vite per sempre

…” non sarà più come oggi”…

…” sarà così per sempre”… ,

un vocabolario personale pronunciato per nascondere al mondo i propri segreti, l’ intesa del silenzio, nessuna pretesa reciproca, almeno per Katharina, se non il conoscersi e l’ accettarsi fino in fondo.
Il loro e’ un tempo qualitativo ( Kairos ) vissuto nell’ intensità di uno sguardo, parole guidate dalla modalità di uno scambio, scivolando l’ uno nei gesti dell’ altra.
Per Katharina una sensazione nuova, l’ amore di un uomo maturo, lei giovane e inesperta, una scolara al cospetto del maestro, per Hans uno stato di beatitudine, qualcosa che non gli era mai riuscito al fianco di qualcun altro, rientrare totalmente in se stesso, ritraendosi da ciò che gli sta attorno,

…” emigrare dentro di se’”….

Lo scorrere di una relazione all’ interno di un tempo lineare, Kronos, che poco ha da spartire con la propria interiorità, il sentirsi per la prima volta se stessi nell’ altro, un matrimonio ostacolante, necessario per alimentare la relazione, un senso di solitudine che oltrepassa la paura di rimanere per sempre in un luogo che non ci appartiene nel senso più propriamente famigliare.
Che cosa può produrre una relazione siffatta, sguardi di una vita che sembra altrove, sospetti, pedinamenti, inganni, illusioni respinte, attimi di fragilità, altezze inarrivabili, che cosa sottende, la ricerca di una figlia, di un padre, il pericolo di un matrimonio in essere, uno stato di afflizione che sovrasta la felicità, quale ruolo all’ interno della coppia, il ricordo dei mesi che passano, di quel giorno perfetto in quel momento perfetto su quel tram dei desideri.
Le libertà acquisite confluiscono in un nuovo se’, la lontananza si perde nella solitudine del tradimento, e allora un’ altra storia, una cerimonia matrimoniale fasulla, cassette da incidere, da ascoltare, nuove parole, immagini nella propria testa.
Non resta che scavare nel passato, libri, taccuini, appunti degli anni di studio, lettere di amici, perché per legarsi di nuovo all’ altro bisogna capire chi è veramente e leggersi dentro. Dopo tanti anni una rilettura del passato nel presente riproduce una verità sottaciuta, una collaborazione senza prospettive a scandire un tempo esteriore, un desiderio viscerale riflesso di un tempo interiore…

…” Voglio che tu mi conosca, fino alla radice dei capelli e in ogni centimetro di pelle e in tutto ciò che sta dietro”…

Kairos è uno dei romanzi migliori del 2024, una scrittura ricca, intensa, intima, che sa fondere e contrapporre magistralmente una storia viscerale all’ interno della Storia, i sentimenti di un popolo ai limiti individuali, la forza di un amore a tempo alla sconfinata grandezza del proprio sentimento, il potere delle parole e dei pensieri forgianti, ma anche cronaca di una società in cambiamento, repressiva e libera al contempo, tutti elementi necessari a forgiare la grandezza di un romanzo assolutamente da leggere.



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68 Opinione inserita da 68    15 Dicembre, 2024
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Realtà o fiction?

Realtà e fiction nel nuovo romanzo di Jonathan Coe, un viaggio in un paese sopravvissuto alla Brexit, martoriato dall’ epidemia di Covid, in lutto per la scomparsa della regina Elisabetta II ( settembre 2022 ), guidato dal governo più breve della storia del paese, durato solo 44 giorni, con Liz Truss come primo ministro.
Nel cuore della nazione vige uno stato di precarietà, la contrapposizione tra boomer e generazione Z, una crisi economica sfociata nel tentativo estremo di detassazione, un sistema sanitario al collasso, giovani privati dei propri sogni, incarcerati in un paese aggrappato ai privilegi di una classe di settantenni senza risposte per il futuro.
In un contesto siffatto Phyl, la giovane protagonista, neo laureata in lettere con un lavoro precario al minimo salariale nella filiale di una catena di ristoranti giapponesi, ritornata a vivere dai genitori, spera di raggiungere il proprio sogno di scrittrice, fermando la realtà per dare spazio alla fantasia.
In un’ alternanza di pubblico e privato, realtà e fiction, più trame all’ interno dello stesso filo conduttore, l’ evoluzione e gli intrighi politici di una deriva conservatrice, ci si addentra in un giallo dalle tinte fosche, un’ indagine investigativa divisa in tre parti ciascuna rispondente a un preciso genere letterario.
Quanto i generi sperimentati, ( Cosy story, Dark Accademia e Autofiction ) sono opera di fantasia, appartengono ai propri giorni, quanto la penna di Phyl è sagace, arguta, ricca d’ immaginazione, o trattasi di semplice capacità narrativa?
Difficile dirlo considerando la realtà come una semplice percezione e trasposizione personale dei fatti, generata dalla mente di uno scrittore che mira a lasciare il segno nelle generazioni future, una realtà romanzata, discutibile, artefatta, anche se i morti di Covid, il decesso della regina e il governo di Liz Truss paiono quantomai reali e ogni racconto potrebbe esserlo.
Nell’ alternarsi di possibile e improbabile, di reale e immaginario, una parte del paese guarda con nostalgia agli anni ‘50, Phyl si rifugia costantemente nella leggerezza atemporale della serie Friends in fuga dall’ amarezza dei propri giorni, i suoi genitori faticano a riconoscersi nel presente mentre un gruppo di destra ( Processus Group ) fondato a Cambridge negli anni ‘80 e’ sempre più presente nella politica del paese, un misterioso incidente d’ auto coinvolge un caro amico di famiglia, riemergono frequentazioni scolastiche condivise, il suicidio di uno scrittore, un memoir scritto da un medico in fin di vita, una deriva conservatrice che condurrà il paese al di fuori della realtà per dare spazio alla fantasia.
La scrittura di un romanzo può riferirsi al reale non eccedendo in tratti autobiografici, rimane una storia da definire e una verità da svelare, la propria.
Il complesso intreccio narrativo insegue un assassino senza nome, ricerca il senso di un gesto estremo, ricostruisce l’ origine di un gruppo di pensiero, guarda agli indizi e agli indiziati, riflette su un messaggio da decodificare.
In questo giuoco di scatole chiuse all’ interno di un puzzle scomposto una vita che scorre nella storia tracciando la propria storia, una fine accertata, nuovi indizi e verità presunte, forse era solo fiction, la verità per il momento può attendere, un grosso dubbio rimane.
Un romanzo pensato e costruito inseguendo tracce vere e presunte, che si rinnova continuamente interrogandosi sul valore intrinseco della scrittura, sul suo rapporto con il reale, sul ruolo dello scrittore all’ interno di una vita vissuta in un determinato periodo storico.
L’ idea è lodevole, meno la rappresentazione, l’ omogeneità della narrazione, l’ incastro delle singole parti.
Che sia realtà o fiction, nella difficile definizione di un genere dominante e nella prolungata sperimentazione letteraria predomina una certa fragilità espositiva, presenza malinconica rivolta a un passato dissolto in una nazione tramontata, senza via d’ uscita, un mondo a parte difficile da definire, sempre lo stesso, e allora l’ idea di un romanzo generato dalla fantasia di uno spirito creativo in una parvenza di realtà è evasione dall’ invivibilita’ e non rappresentatività del presente.

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68 Opinione inserita da 68    11 Dicembre, 2024
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Ritorno a casa

Il mistero della morte di zia Colette, avvenuta due volte a distanza di tre anni, nel 2007 e nel 2010, ha dell’ incredibile, dell’ improbabile, dell’ impossibile, semplicemente segna l’ inizio di un’ altra storia.
In se’ l’ eco di una vita dedita al proprio lavoro di calzolaia, una donna nubile, fine, senza figli, con un bel portamento, poco loquace, solitaria, la passione per la locale squadra di calcio del Gueugnon che segue da sempre, amante dei gialli di Agatha Christie e di Simenon.
Agnes Dugain, sua nipote, trentottenne cineasta di fama, emigrata in America, oggi sola, svuotata della propria arte, separata da un marito attore che continua ad amare, ritorna a Gueugnon per le sue esequie e si confronta con la voce della zia registrata su cassette a lei destinate, frequenta vecchi amici di infanzia, cerca di scoprirne il vero volto e chi è stata per l’ amato fratello Jean, suo padre, grande talento musicale prematuramente scomparso, a cui aveva sacrificato la propria giovinezza, per la piccola comunità di Gueugnon, per le poche conoscenze fidate, per se stessa, per l’ enigmatica Blanche.
Tata’ e’ un corposo romanzo di matrice famigliare che scorre piacevolmente all’ interno di una suspance crescente, percorso da ripetuti colpi di scena, con tratti di profondità e di intimità che ricordano gli intricati e turbolenti grovigli umani di Fredrik Backman, meno humour e medesima brillantezza, sbalzi temporali, un microcosmo inaspettato e cangiante, segreti conservati gelosamente, verità celate, una giostra imprevedibile e bizzarra che annulla le proprie certezze svelando porzioni di altro.
E allora la vita di Colette ripropone ad Agnes gli anni della propria infanzia e giovinezza, le consente di ricostruire pezzi di vite altrui, piccoli grandi misteri irrisolti, volti sconosciuti, l’ eco della diversità, passioni insospettabili, amori celati, addentrandosi nelle persecuzioni belliche, ripercorrendo episodi di violenza domestica, segreti famigliari, relazioni impossibili, frequentazioni durature, tradimenti, abbandonandosi all’ idea che ciò che sembrava estraneo e ripugnante possa appartenerci, smascherando origini lontane.
La voce di Colette si apre lentamente alla propria essenza più vera, una semplicità corredata da indiscutibili doti umane, da una forza dirompente, archetipo e collante di tante altre storie, sovente parallele, simbiotiche, multiformi, dolorose, una donna che conquista con il proprio entusiasmo, i prolungati silenzi, la bella voce, i suoi due sorrisi, uno triste e uno gioioso.
Una donna diversa da quello che Agnes aveva sempre creduto, il ritorno nella sua casa vuota la riavvicina a se stessa e a Colette immergendola in un universo sorprendente, sconosciuto, sommerso, voci, volti, speranze inattese, traumi, dolori vissuti dentro, resilienza, passioni, sentimenti, esternando una dimensione personale di incertezza e fragilità, uno stato di attesa e di non ritorno.
Grazie a lei Agnes rivisita passato e presente, uniti da una dimensione atemporale di vicinanza emotiva, accarezza la propria ombra, assalita dai dubbi, riconsidera una famiglia ristretta, l’ amore per il fratello, riflettendo sul fatto che c’è chi mai si riprende da una separazione amorosa, scopre di non essere mai stata bene come in quei giorni, una parentesi indimenticabile conclusa con il funerale della zia.
Grazie alla sua seconda morte Colette è ritornata alla vita, una vita in cui è ancora presente, …

…nascosta nell’ urna come in una lampada magica…

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68 Opinione inserita da 68    27 Novembre, 2024
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Quale ricerca?

Un piccolo mondo di solitudini non condivise, rabbia, costrizioni, silenzi normalizzati, costruito su schemi standardizzati in una normalità apparente percorsa da troppo denaro e parecchie ombre.
Due sparizioni separate da quattordici anni ( 1961 e 1975 ), un bambino e un’ adolescente, Bear e Barbara, fratelli, nel mezzo un silenzio prolungato a nascondere misteri irrisolti, il dolore di una madre ( Alice ) sfociato nell’ alcool e in uno stato depressivo destinato alla follia, una famiglia impegnata a conservare la propria reputazione.
I Van Laar, vissuti tra ricchezza e privilegi, di cui tutti parlano sottovoce e da cui tutti dipendono, fondatori del campo estivo di Camp Emerson, frequentato dalle famiglie ricche di Manhattan e del New England, da sempre occupano un posto di privilegio nella vita degli abitanti di Shattuk, costituendone la principale fonte di reddito.
Corre l’ estate del 1975, improvvisamente il letto di Barbara Van Laar vuoto, di lei nessuna traccia se non nella testimonianza di un carattere vivace e ribelle da parte di chi l’ ha amata e le è stata accanto ( Tracy). Anni prima ( 1961 ) anche il fratello Bear era scomparso in misteriose circostanze, allora le indagini non portarono a nulla, depistaggi, fretta, noncuranza, una cappa di silenzio nel brusio della comunità.
Oggi una giovane investigatrice ( Judita Luptack ) è chiamata a fare luce sull’ irrisolto, ritornando a un passato doloroso, a una rete di intrecci, depistaggi, trame famigliari, rancori, due sparizioni costruite su un complesso sistema relazionale e sociale.
Il Dio dei boschi, che potremmo accostare ai Cieli di Philadelphia nella propria trama definente , nel contenuto e nei tratti di alcuni personaggi, è un thriller psicologico ben scritto, dettagliato, tutto è come non pare, il mistero infittisce una trama ovvia quanto sorprendente, i tratti intimisti tanto cari all’ autrice sottendono significati auto definenti in una trama con poco da rivelare ma molto da raccontare.
E allora ci si concentra sulla definizione dei personaggi, Barbara, Bear, i Van Lear, Tracy, Judy, T. J. Alice, Louise in un percorso tortuoso che viaggia nel tempo ( tra il 1961 e il 1975 ), protagoniste prevalentemente al femminile, una società maschilista e retrograda che conserva privilegi acquisiti, difende la famiglia, disinteressata a tutto ciò che non la riguarda.
I nomi dei protagonisti titolano ciascun capitolo, un mondo totalmente diverso, una comunità chiusa e ristretta che ha tralasciato e omesso quello che tutti sanno.
Ci sono delitti impuniti alimentati dal silenzio della dimenticanza, dalla connivenza, da un’ indifferenza comoda e accomodante, sofferenze taciute in nome di un destino già scritto, qualcuno sprovvisto di un alibi, un capro espiatorio da incastrare per sempre, qualcosa da nascondere, recriminare, vendicare, farsi perdonare, qualcuno da amare incondizionatamente, da proteggere, imitare, forse non resta che sparire nel nulla.
La verità scoperchia microstorie, uniche, intrecciate, diverse, che cosa significa nascere ricchi, respirare l’ assenza di passioni e desideri, ossessionati dalla propria reputazione, come indossare una colpa, sopravvivere a un matrimonio di non amore, rifiutare l’ educazione ricevuta, conservare dei pensieri propri, ignorare le parole della gente?
E ancora come essere adulti prematuramente, affermare i propri desideri, riconoscersi nell’ altro, apprezzare chi non si conosce realmente?
Tutto questo tra le pagine del romanzo, un thriller psicologico che si interroga su potere, ricchezza, privilegi, contraddizioni evidenti, che scava nel mistero della vicinanza relazionale, nel silenzio famigliare, nel potere dei desideri, nella capacità di cambiare rotta, affrontando l’ inverosimile.
In questo contesto le protagoniste sfuggono a qualsiasi schema definito, definente, definitivo, riunite per un istante da una lontananza vicina in cui specchiarsi e riconoscersi.

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68 Opinione inserita da 68    24 Novembre, 2024
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Disgregazione aggregante

“ Ciò a cui lei aveva rinunciato era la vita stessa che il suo corpo rappresentava “

Una giovane donna, Yeong-Hye, rifiuta improvvisamente di mangiare carne tralasciando un corpo che non le appartiene e da cui si sente violata per uno stato immateriale che la ricongiunga a se’ stessa.
Parenti e conoscenti la guardano con sospetto, inorriditi, increduli, giudicanti, lei sempre più magra, zigomi sporgenti, fattezze scheletriche, uno stato invalidante, perché ha deciso di rifiutare la carne, quale il significato del proprio gesto, in fondo è qualcosa che non li riguarda, che non comprendono, in qualche modo responsabili, ma quanto è difficile leggersi dentro.
Yeong-Hye e’ vissuta in un matrimonio di non amore, di invisibilità, di indifferenza, in lei i resti di una gioventù violata, oscuri recessi portati dentro, segreti insospettabili, una trama nascosta, nessuno può salvarla, aiutarla, farla respirare, la scelta vegetariana è un grido silente, accompagnata da un sogno in una neo dimensione appuntita e trafiggente.
Nei tre capitoli del romanzo, cosparsi di un sentimento apparentemente gelido, stantio, inquietante, si accede a un canto che abbandona l’ impercettibile per assumere una nuova forma, una trasformazione e migrazione che riallinei Yeong-Hye a se stessa avvicinandola alla terra nella propria essenza più vera.
Il marito, il cognato, la sorella cercano di interpretarne la mutazione corporale in riferimento a se stessi, all’ impossibilità di capire e amare una donna siffatta, osservando la sua macchia mongolica sulla pelle per asservirla alla propria arte, rispondendo al dolore fraterno per non poterla allontanare da una condizione siffatta.
Di fronte a se’ il corpo di una bella ragazza sottratto al superfluo, a tutto quello che esso rappresenta, in primis il desiderio e la vita stessa, un corpo parlante essendo soltanto se stesso. Quando tutto questo è iniziato, quando Yeong-Hye è caduta a pezzi in uno stato di prolungato silenzio, il sogno di un viso, un gesto estremo di lontananza nell’ attesa di un ricongiungimento armonioso e definitivo?
E allora la carne è il simbolo di quella corporeità a cui si è sottratta, di una sofferenza presente e negata nel tentativo di ricongiungersi a tutti gli alberi del mondo, un corpo smaterializzato che oggi necessita solo di un po’ d’ acqua e di sole, il resto si scioglie sotto la pioggia.
Un dubbio finale insorge, che Yeong-Hye, sin dall’ inizio, abbia cercato la morte e

“ perché è così terribile morire?”

Di certo ha assorbito tutta la sofferenza dentro se stessa, fino al midollo, una ferita nera e profonda che la risucchia in una vita che non le è mai appartenuta realmente,

“ che è solo uno spettrale, sfiancante sfoggio di resistenza”

accompagnandosi verso una morte che le è famigliare come un parente ritrovato dopo una lunga separazione, un corpo che le appartiene nel sacrosanto diritto di farne ciò che vuole.
Uno splendido romanzo nel cuore di una sofferenza, un grido silente e inascoltato, un canto poetico indirizzato a un’ essenza suprema che ricongiunga il proprio se’ al mondo.
Identità, arte, amore, la fluidità della materia, una natura parlante, sogni in cui dissolversi, l’ attesa di una risposta inevasa in uno sguardo cupo e insistente.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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68 Opinione inserita da 68    21 Novembre, 2024
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Vicina lontananza

Dublino e dintorni, Ivan e Peter, fratelli diversi al cospetto di una vita contraddittoria, compulsiva, rassegnata, fallimentare, inconcludente, il presente collassato al funerale del padre, morto dopo lunga malattia, da quel momento un onnipresente dolore corrosivo.
La maturità letteraria di Sally Rooney si traduce in un romanzo dalla trama scarna, un concentrato di realismo, intimità, vita vissuta, ma anche di riferimenti letterari ( Shakespeare, Joyce, Keats, Wordsworth, Hardy, Henry James) e filosofici ( Wittgenstein, Russell) adeguando forma e contenuto all’ unicità dei protagonisti.
Storie immerse in un frizzante microcosmo sentimentale, nel quotidiano, gesti ripetuti, soliloqui parlanti, dialoghi aperti, esperienze rivisitate, il vicendevole raccontarsi, la forza di un sentimento condiviso, la disperazione di un dolore sempre più grande, il rimpianto della perdita, la constatazione del fallimento.
Quale l’ origine del proprio dolore, separati da un lutto evidente, dove collocare la rabbia, il proprio senso di solitudine, smarriti, non amati, persi, più o meno consapevolmente.
Peter e Ivan, dieci anni di differenza, una contrapposizione caratteriale, relazionale, culturale, fisica, esposti alla propria inettitudine, a una contrapposizione evidente, a una non frequentazione di lungo corso, un odio-amore che sottende diversità e gelosia, trame irrisolte e strani convincimenti, una lontananza imbrattata di un’ incomunicabilità di fondo.
In un’ alternanza di presenza-assenza spicca una vita sentimentale controversa, Peter, avvocato trentaduenne che vive all’ interno di un’ egocentrica superficie apparente, diviso tra una relazione di lungo corso corrosa da un grave incidente (Sylvia) e vissuta come amicizia particolare e la passione irrazionale per una giovane studentessa (Naomi) che attinge continuamente dalle sue risorse, Ivan, scacchista ventiduenne, solitario, introverso, goffo, inadeguato, si imbatte in un’ affascinante trentaseienne reduce da un matrimonio fallimentare con la quale vivere un amore profondo e appagante ( Margaret).
Alla morte del padre i fratelli sostano in un intermezzo prolungato, un tentativo di recupero relazionale abortito precocemente, un viaggio sentimentale caotico e controverso in cui specchiarsi nella propria mediocrità e riconoscere l’ impossibilità di un amore senza futuro osteggiato da una comunità cattolica e benpensante.
In questo dolore onnipresente la rabbia imperversa, i rimpianti ritornano, il lutto rimane, immobilizzati dalla propria insensatezza, con la paura dell’ amore, del fallimento, di essere ricambiati, respinti, di perdersi in una dipendenza affettiva, il proprio senso di solitudine compagno da sempre.
Ivan e Peter, riuniti da divergenze complementari, desideri legati agli accadimenti, entrambi navigano nel passato, nei propri rimpianti, nel dolore della perdita, nel flusso di coscienza, nell’ impossibilità di assumere lo status di pater familias.
L’ autrice dosa il linguaggio ai tratti dei protagonisti e alla loro essenza, quello di Peter tronco, freddo, rivolto al passato, quello di Ivan imbrattato di un algido romanticismo sentimentale.
Le figure femminili del romanzo sono assai presenti, anch’esse reduci da un passato doloroso e controverso, bisognose d’ amore, dentro un caos relazionale contraddittorio, disposte a scelte radicali in una vita senza certezze, fragilmente esposte al caos sentimentale dell’ altro, abbandonate alla solitudine in uno stato di anestesia apparente.
Nell’ incedere del romanzo la singola voce dei protagonisti e dell’ io narrante si fa incalzante, collettiva, il turbinio emozionale imperversa, il tempo stringe, le scelte incombono, gli accadimenti riflettono una vita segnata e stravolta da una persona o da una relazione, ma è

“ la vita stessa a dare un senso a quelle relazioni “

e sono le persone a creare e a dare senso alla vita il cui incedere attraversa precarietà, perdite, dolori, immaginazione, pensieri, quello smisurato mistero irrisolto riproposto quotidianamente.

“ niente è fisso. Lei, l’ altra. Ivan, la sua fidanzata. Christine, il padre, dall’ oltretomba. Non sempre funziona, ma faccio del mio meglio. Vedi come va, continua comunque a vivere “




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Romanzi autobiografici
 
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68 Opinione inserita da 68    05 Novembre, 2024
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Dolore onnipresente

Le vittime di violenze in età minorile sostano in una zona d’ ombra all’ interno dei rispettivi giorni, presenti e futuri, macchiate da una fragilità persistente, indelebile, scolpita dentro, la sensazione che nulla sarà come prima, impossibilitate a riscrivere i fatti, il vissuto personale fissato per sempre, un’ essenza intrisa di assenza, una buio prorogato in una solitudine imperscrutabile e accusatoria.
Come descrivere il proprio carnefice, a sua volta probabile vittima, un perverso narcisista manipolatore con tendenze sadiche, un predatore sessuale alla ricerca di un amore impossibile, un poveraccio intriso di supponenza?
A questa stregua il testo di Neige Sinno non ricerca un senso salvifico e di giustizia personale, non è diario, confessione, semplice letteratura, testimonia un significato più ampio, una voce che abbraccia una comunità nel contingente per tingersi d’ altro, il tentativo di una giovane donna di salvare le vite che le stanno accanto, i suoi fratelli, il desiderio di esprimere una verità personale.
Non si tratta di contestualizzare vittime e carnefici, colpevoli e innocenti, gia’ noti, di consegnare il mostro alla dannazione eterna, di salvare l’ insalvabile, di parlare di un se’ oggetto di abusi reiterati denunciati a distanza.
Non conta il fatto di cronaca, la morbosa curiosità dell’ opinione pubblica, ci sono impressioni soggettive, nessuna verità possibile, nessuna bugia, uno spazio personale che esiste solo dentro di se’.
I ricordi dovrebbero combaciare con una oggettività sfuggente, una bambina la cui innocenza è stata distrutta, un misto di profondità e disagio davanti a una violenza senza violenza, una tragedia vissuta all’ interno del proprio corpo pur essendo al di fuori di se’, una presenza costante, adesso, da sopravvissuta senza alcun senso di estraneità.
L’ unica pena da scontare è di chi è stato violato durante l’ infanzia, quando un giorno ci si sentirà liberi non lo si sarà mai, accompagnati dalla parte buia e dall’ ombra di chi ci ha violati. Le conseguenze dello stupro oltrepassano l’ ambito circoscritto della sessualità, minano tutto, la possibilità di abitare il proprio corpo e la propria vita, di sentirsi capaci di, semplicemente di essere.
Quale persona sopravviverebbe a cotanto dolore, quali qualità provengono da quella sostanza, il coraggio, la permeabilità, il carattere, la difficoltà di esistere, il farsi invadere facilmente dagli altri, un’ infinita vita interiore totalmente propria, il potere della menzogna e della dissimulazione, un mondo a cui non potere rivelare chi si era realmente.

….” quando si è vittime una volta si è vittime per sempre”…

Oltre una vicenda privata, autobiografica, oltre il blando potere salvifico della letteratura e della scrittura, oltre quell’ io da declinare in noi, oltre una verità indefinibile, oltre il concetto di resilienza che prevederebbe l’ accettazione di una normalità anormale, oltre una sostanza interiore forgiata per sempre, rimane un crimine sistemico, un’ ignominia generale e generalizzata che è nostra, di tutti noi,

…” un esercito di ombre”…

E allora come trascendere il male con la dolcezza e non attraverso un nuovo male, come trattenere questa dolcezza nel cuore? C’ è una dimensione invisibile, un altro mondo che è amore, bontà segreta e c’è un paese limitrofo, una sorta di quarta dimensione, dal quale, finitoci dentro, non si esce più, un mondo di bene e di male, di tenebre, in cui vittima e carnefice esistono vicini.
La sfida è imparare a stare sul ciglio di quel mondo

…”.camminare come funamboli sul filo dei nostri destini. Inciampare, ma ancora una volta non cadere. Non cadere, non cadere”…

‘“ Triste tigre” è uno scritto che esula da qualsiasi genere letterario, è una riflessione composita di una donna violata nella propria intimità che non ricerca verità note, consensi, compromessi, che non esprime odio ne’ desiderio di vendetta. È una voce che si tinge di coralità in un senso collettivo di appartenenza, in un respiro più ampio, una reale dimensione personale.
Laddove i confini sono labili, vittima e carnefice associati dalla propria unicità, laddove non vi è traccia di equivoco ma un verdetto unanime, l’ interesse verte su un respiro più ampio e stratificato, il respiro della propria essenza, di una creatura che sa quello di cui sta parlando avendolo vissuto sulla propria pelle, che conosce il respiro di quello che ha dentro.
È questo il grande pregio del testo, un’ esposizione dettagliata di un se’ complicato e complesso, esito del proprio passato, che vive il presente, rivolto al futuro, non interpretabile e trasformabile dalla soggettività nel respiro più ampio di una vita segnata per sempre.













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68 Opinione inserita da 68    03 Novembre, 2024
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Coppie scoppiate

California, primi anni cinquanta, piena ricostruzione post-bellica, Roger e Virginia, coppia in crisi che gestisce un negozio di elettrodomestici a Los Angeles, cercano di liberarsi del figlio Greg iscrivendolo in una scuola privata situata a centinaia di chilometri da casa.
Una scelta travagliata ( solo economicamente) che segnerà l’ incontro con un’ altra coppia, Chic e Liz Bonner, lui noioso uomo d’ affari, lei primadonna svampita, con i quali intrattenere dapprima rapporti di cortesia e di vicinanza, poi un’ intricata relazione sentimentale e lavorativa deragliata nell’ inverosimile.
I quattro protagonisti, accomunati dalla frequentazione scolastica dei rispettivi figli, rincorrono prosperità e gratificazione personale, ciascuno esito di un passato complicato, deragliato, artefatto, il presente la somma di errori e desideri inevasi.
Roger è un uomo immaturo e malleabile vissuto da sempre di sogni impossibili, alla ricerca di un rifugio gratificante, alle spalle un matrimonio fallimentare, Virginia una donna ambiziosa ed egocentrica che non vuole sottrarsi ai propri privilegi matrimoniali, Chic un piccolo imprenditore in balia degli eventi che si è costruito da se’, Liz una primadonna superficiale e artificiosa sempre al centro del proscenio per nascondere insicurezze e fragilità.
Strada facendo esplode un’ esilarante quanto sconcertante recita individuale, flusso di schizofrenica noncuranza, maschere individuali al centro del nulla, nascondendo l’ ovvio, relazioni famigliari sepolte, bugie reiterate, silenzi parlanti, pensieri dissociati e poco gratificanti.
Che cosa rimane oltre uno spot autocelebrativo di macroscopiche assenze, di illusioni negate, di tradimenti pruriginosi, di orgogli feriti, di noncuranza, con il desiderio di essere altrove, immersi in un senso insensato e fallimentare, in una fragilità sentimentale condita da scarsa profondità e sensibilità?
E allora nel cuore di una vita da tempo implosa, che ripercorre giovinezze speranzose declinate in una versione bugiarda di se’, si nascondono segreti inconfessabili, verità negate, colpe evidenti, impegnati in un’ auto celebrazione che sa di commedia degli errori e degli orrori rinviandone ogni volta l’ esito nefasto.
Relazioni insufficienti, inesistenti, perdute, ciascuno testimonia una vita insoddisfacente e la propria immaturità, una versione di se’ che è parte ed evasione da se’.
In questa tormentata e godibile commedia di Philip K. Dick, che esula dalle opere più note dell’ autore, emerge una porzione di America in cui le relazioni famigliari scandiscono tempi e modi all’ ombra di un individualismo poco gratificante e di una nazione che cerca faticosamente di ricostruirsi rigettando paure e dolori recenti.
In un contesto siffatto, con un linguaggio costruito su frasi fatte e luoghi comuni tratti dai film, dalla tv, dai libri, c’è sempre qualcosa che manca, un microcosmo a parte, sordi a se stessi e agli altri, non amando nessuno autenticamente, respirando un fallimento generalizzato, menzogna evidente per chi è destinato a partire o è già partito, per chi vive l’ attesa di un’ unione sentimentale riconosciuta, per chi si ritiene ancora vincente e protagonista, per chi è stato e tuttora è tenuto all’ oscuro della realtà dei fatti.

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68 Opinione inserita da 68    03 Novembre, 2024
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Destino nefasto

Una valle tetra e maledetta tra i monti Appalachi incastonata nel grigiore di infiniti giorni di pioggia, una casa e un capanno nella fitta vegetazione di un bosco, due orfani uniti dalla solitudine lavorativa nella fattoria di famiglia. Laurel e Hank, lei invisa alla comunità che le attribuisce poteri nefasti per una voglia che porta sul corpo, lui reduce di guerra senza una mano, lunghi anni di isolamento in attesa di un cambiamento, per Laurel un inizio che si manifesti dal nulla.
Che sia una triste figura emersa dal bosco, sola, ferita, silente, con un’ armonica in bocca, il cui mutismo ne assolve la presenza enigmatica, la musica somma espressione di se’, un uomo perso, apolide, di cui si ignora la provenienza?
Un legame alimentato dalla condivisione dei giorni, dal lavoro, dalla fatica, dai pasti, cura vicendevole per chi è stato abbandonato e respinto, un’ unione che alimenta speranze, calata nel silenzio intenso di sguardi, immaginazione, sogni, desideri, per nascondere e confondere un passato nebuloso e triste.
La solitudine si fa comunanza, la speranza genera aspettative, costruzioni mentali, desiderio, fidarsi è confidarsi e consegnarsi, mostrando il vero volto, dubbi, ansie, debolezze, auspicando fedeltà, sincerità, lealtà.
Laurel sa di essere sola al mondo, imprigionata in un luogo non luogo, destinata al niente, presto abbandonata da Hank, promesso sposo destinato a una vita altrove, la comunità l’ ha sempre ignorata, trattata con sufficienza, allontanata, considerandola una strega, Walter la sua unica speranza, per questo cerca di capirne e interpretarne il mondo, ma come comunicare l’ incomunicabile a chi non parla, non legge, non scrive, anche confrontati a sguardi che non mentono e a lunghi silenzi parlanti?
Esposti al desiderio di amare, figli fragili di una solitudine protratta, non resta che fidarsi e affidarsi all’ altro, disposti a superare l’ insuperabile, a perdonare, a nascondere, a ricominciare, alternativa ultima alla solitudine più estrema, uno stato di morte in vita e di morte certa.
Purtroppo permane e incalza la crudeltà di una guerra tuttora in corso e di una comunità arrogante, bigotta, impaurita, violenta, l’ odio generalizzato per un nemico immaginato e riconosciuto in un volto e in parole ritenute pericolose, cavalcando una retorica fuorviante e una violenza cieca indirizzata alla crudeltà più molesta, che richiama altra violenza, imbrattando di morte tutto quello che incontra .
Ron Rash, grazie a una prosa cruda, dura, reale, accompagnata per contro da una dolce poetica dell’ amore e del desiderio, dipinge con indubbia maestria un’ angolo sperduto di America dove la vita pare spegnersi indegnamente ma dove rimangono anime che ancora inseguono speranze e desideri.
Il respiro della guerra pare lontano ma la sua eco mai così presente, una natura inclemente trasmette la propria magnificenza condannando i protagonisti all’ interno della propria zona d’ ombra.
Permane un intenso paesaggio interiore riflesso di armoniosa presenza, un viaggio stanziale per il mondo laddove il desiderio riempie giorni difficili e pericolosi, sospinti dal dolce richiamo di poesia, musica, letteratura, da gentilezza, condivisione, fratellanza, prima che la furia cieca di un’ umanità disadorna azzeri presente e futuro mostrando il volto inespressivo e silente della solitudine più nera.

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68 Opinione inserita da 68    30 Ottobre, 2024
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Destino scontato

Uno scritto che non è una biografia ne’ un ritratto psicologico, forse il racconto romanzato di una vita caduta in disgrazia, il mistero di un morto senza nome che prende forma, omicidio o suicidio apparente, un testo che qualcun altro avrebbe voluto scrivere, che stava scrivendo, che porta il titolo scelto per il proprio romanzo, Leviatano, forma e contenuto appartenenti a Peter Aaron, la voce del racconto.
Benjamin Sachs e’ scomparso da tempo, uno scrittore di talento che ha inghiottito la vita e che ha viaggiato da un capo all’ altro di se stesso fino a non sapere più chi fosse.
La notizia del ritrovamento in Wisconsin di un cadavere vittima di un’ esplosione farebbe pensare a un suicidio, un mistero irrisolto che riporta a Sachs, Peter decide di ricostruirne la trama dettagliatamente, riesumando accadimenti che solo lui conosce.
Una vita caratterizzata da una certa dose di casualità e dalla propria influenza, nelle figure femminili, negli incastri e nelle relazioni che avrebbero potuto non esserci.
Chi è Sachs, che cosa ha rappresentato per Peter, un esempio, uno scrittore di talento di cui provare invidia, ammirazione, nostalgia, un compagno di intelletto, un amico con cui condividere esperienze, amori, amicizie?
Di certo ne ha apprezzato vivacità, astuzia, imprevedibilità, sicurezza, assenza di timidezza, la precisione nella scrittura, per contro una certa goffaggine nei movimenti, accessi d’ ira nei confronti del mondo, un eloquio piuttosto sciatto.
Il romanzo che si va costruendo può non rispondere al vero ma essere una versione soggettivata, un ‘ invenzione letteraria, dettata dal senso di colpa, da una certa gelosia, da una ricostruzione presunta, desunta, non corroborata dalla certezza dei fatti.
E così la vita di Sachs si apre a segreti sepolti, la storia di un’ amicizia precoce che ha condiviso anni scolastici, un amore impossibile, amicizie, conoscenze, l’ importanza della scrittura, incastri di un puzzle che riporta avvenimenti finora inespressi, relazioni scomposte, un’ influenza reciproca indiretta, trame, intrighi, porzioni di relazioni e sentimenti.
Oltre al caos apparente e a un destino che poteva essere altro, vittima di un incidente al quale è sopravvissuto miracolosamente, che ne ha cambiato la vita radicalmente, dettato dal caso e dalla sfortuna ma di cui si ritiene complice, catapultato in un bagno di sangue di cui ne ignora l’ essenza, Sachs incarnerà un ideale di bontà che cambi radicalmente il proprio rapporto con se stesso, perso e ritrovato il viaggio nella scrittura, nella sua fine il suo principio e viceversa, non è dato saperlo con esattezza, un corposo manoscritto a testimoniarne l’ esistenza.
Leviatano percorre spazi e tempi paralleli, intrecciati, discordanti, pezzi di storie per raccontare un’ unica storia, il viaggio nella mente di un uomo scosso dagli eventi e percosso da un senso doloroso e fallimentare. Sensazioni, desideri, sentimenti solo un’ ipotesi, una vita caotica priva di reali punti di riferimento, lo sviluppo del romanzo un percorso postdatato all’ interno di uno scritto che è pura e semplice cronaca, intrecci costruiti ad arte, priva di un’ anima definente e di una credibile rappresentazione storica, tensione e costruzione narrativa racchiuse e rinchiuse in un viaggio che si riduce all’ inseguimento di un improbabile senso insensato.

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68 Opinione inserita da 68    22 Ottobre, 2024
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Vita destino

Frank Bascombe, oggi settantaquattrenne, una vita tra mille peripezie con un certo grado di soddisfazione, mentre riflette su ciò che ha attraversato e a cui è sopravvissuto ( due matrimoni, la morte del primogenito, della prima moglie moglie, dei genitori, un tumore, una ferita da arma da fuoco) , sul senso di una felicità che ritiene essergli appartenuta, è costretto ad aprire l’ ennesimo capitolo doloroso della propria esistenza occupandosi del figlio quarantasettenne Paul colpito dai sintomi della SLA, uno stato di precarietà al quale concedere ancora una parte di se’.
Frank e Paul, visioni inconciliabili all’ interno di differenze caratteriali, da una parte fierezza ed egocentrismo, dall’ altra introversione e precarietà, due pianeti allineati dal viaggio in un luogo dove Paul non vorrebbe andare, diretti al più nazionale dei monumenti nazionali, quel monte Rushmore con suoi presidenti rincorrendo uno spirito condiviso che non c’è mai stato.
Paul si mostra in una condizione di apparente normalità, in fuga da una clinica e da cure inefficaci, in realtà colpito dalla perdita progressiva di sensibilità, forza, autonomia, per Frank è complicato prendersi cura di lui, da sempre avvezzo solo a badare a se stesso.
È il momento di farlo, interrogandosi sulla propria finitezza prima che cali definitivamente il sipario, sondando vita e felicità’, uno stato di convivenza tra un recluso e un vecchio nostalgico, il senso riabilitato dalla propria presenza prima della morte dell’ altro e di una parte di se’, scongiurando la fine e affermando la vita in quel mentre, una meta turistica che non è il fine ne’ la fine del viaggio.
Frank e Paul vivono il presente, incontri eccentrici, battute sagaci, racconti surreali, una giostra di maschere e colori di un’ America roboante e paradossale, sovente in disaccordo tra loro, con visioni difformi, separati da lutti e affetti lontani, poco tempo condiviso, il sense of humor a stemperare una tensione latente, quella malattia che avanza inesorabile confrontandoli con l’ attualità.
Paul è da sempre emarginato, aveva un lavoro, una moglie, frequentava una piccola schiera di amici singolari quanti lui, una vita all’ insegna dell’ insuccesso.
La lunghezza del viaggio sembra inasprire la lontananza tra padre e figlio acuendo la paura di mettersi a nudo, l’ uno di fronte all’ altro, pensieri difformi, visioni egocentriche, immersi e sommersi dalla propria concezione dell’ esistenza, per aprirsi gradatamente alla condivisione e alla conoscenza, alla morte e al senso della vita, visualizzando la fine prossima, domandandosi cosa significa sopravvivere al proprio figlio.
C’è un momento in cui ci si trova al cospetto della morte, Paul impreparato ad affrontarla, lui che non è mai stato in grado di vivere la vita seriamente, che non ha avuto abbastanza esperienze.
Guardandolo Frank prova un’ innegabile senso di paura e di negligenza, per non averlo trattato da adulto, per averlo sottovalutato, dimenticato, un quarantasettenne pingue, mezzo pelato, poco pratico e propenso all’ ascolto, a volte noioso, un trombone, questi i pensieri di un padre al cospetto del proprio figlio.
Si confronta con la propria maturazione e invecchiamento, in se’ una certa somiglianza tra salute e malattia, sogno e veglia, contentezza e dispiacere, stupore e indifferenza.
Nel momento in cui ci si sta occupando di un figlio morente tutto il resto perde di senso, il lungo viaggio, metafora della vita, è condivisione di un qualcosa che non si sarebbe fatto insieme, mentre una voce risuona dentro di se’….


…”La verità è che non so cosa fare con te. E nemmeno se so fare qualcosa per te.”…

Frank sta vivendo qualcosa al di sopra delle proprie forze, lui e Paul accomunati da un certo conformismo e da uno scarso senso di avventura, gli basta guardarlo mentre dorme per certificarne la presenza, si commuove in questo crocevia dell’ esistenza colto dall’ inevitabile sconfitta di un padre percosso da un dolore così grande.
Eppure in lui c’è e si mantiene un se’ che ancora inneggia alla vita, che non si arrende al dolore della perdita, allineato a una felicità che abbia un senso, un soffio vitale che lo spinge a guardarsi dentro, a ritenere la morte in relazione con la vita, che lo spinge a condividere esperienze, conoscenze, passioni, desideri, azioni quotidiane ripetute, evitando un doloroso stato di isolamento, come desidererebbe il figlio Paul.
Giusto o sbagliato che sia questo è Frank Bascombe, a suo modo innamorato della vita.

…” che in fondo è il motivo per cui siamo qui. Rendere giustizia alla vita, a prescindere dal tipo di persona che siamo. O sbaglio?”…

“ Per sempre “ è una riflessione prolungata su vita e destino, sul senso di una felicità infranta da uno stato di precarietà, dal respiro futuro di una morte che si sente imminente, è un legame costruito all’ interno di questo stato, un viaggio che esula dal proprio senso primario.
Frank Bascombe tira le fila del proprio esistere, eccessivo, dissoluto, turbolento, scopre una porzione di se’ e tratti ignoti anche a se stesso, riconsidera il passato in funzione del presente, laddove la dolorosa e inspiegabile perdita di un figlio parrebbe arrestare ogni desiderio possibile.





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68 Opinione inserita da 68    19 Ottobre, 2024
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Futuro scontato e incerto

In “ L’ attesa “( 1971 ), romanzo di Matsumoto Seicho (1909-1992), ritenuto il Simenon giapponese, i desideri irrefrenabili e scomposti di Isako, trentottenne dalla carnagione chiara, dalla pelle sottile e liscia e dalle forme prorompenti, cozzano con un reale invivibile e opprimente, il suo tranquillo e insoddisfacente matrimonio con il sessantasettenne Nobushiro.
D’ altronde il marcato egocentrismo della donna risponde esclusivamente alla realizzazione del suo desiderio più grande, affrancarsi dal legame entro tre anni per mettersi di nuovo su piazza godendosi l’ eredità del marito appena defunto, il proprio fascino totalmente al servizio della causa, schiere di ammiratori vittime sacrificali della propria esigenza autocelebrativa.
In una progettualità dove non c’è spazio per relazioni e sentimenti, il fine giustifica i mezzi, neppure l’ omicidio-suicidio di una giovane donna sembra placare l’ egocentrismo di Isako se non nel suo modus operandi, continuando a tessere la propria tela, indifferente agli accadimenti, cavalcando menzogne, false speranze, inscenando una verità cangiante scambiata per empatica presenza, semplice tecnica adulatoria verso lo scopo agognato.
Ci troviamo nel Giappone dei primi anni ‘70, una società maschilista con una corruzione diffusa dove il profitto personale sostituisce il senso etico e l’ individualismo la collettività.
Il matrimonio tra Isako e Nobushiro è corroso da un’ ossimorica presenza, inarrestabile crudeltà e mansueta arrendevolezza, infantile edonismo e fragilità della malattia, posizioni contrapposte e inconciliabili.
Nell’ incedere della trama, la lunga attesa rivolta alla probabile morte di Nobushiro si concentra sugli ondivaghi umori di Isako, circondata da stereotipi maschili sfuggenti e controversi ( l’ ex amante Shiotsuki, il machiavellico avvocato Sarkozy, il giovane Kanji, ) tutti dediti alla propria causa.
Nobushiro, reduce da due infarti, è appeso al flebile battito del proprio cuore, ammansito da una moglie interessata alla compilazione del suo testamento in un presente di apparenti e amorevoli cure domestiche.
Voci a contorno prevedono una ricostruzione dei fatti, narrazioni in prima e terza persona, appunti, diari, testi dattiloscritti, ciascuno a rappresentare una verità che ricomponga i pezzi di un puzzle indirizzato a un epilogo sorprendente.
I piani predeterminati subiscono l’ onta gravosa della propria sembianza imperfetta, il caso indirizza gli avvenimenti, anche quando la pochezza sentimentale di una fragilità disadorna affolla il presente.
In un crescendo di accadimenti che assumono i tratti del noir si smarrisce l’ idea primaria, l’ esercizio del controllo, vittime di se stessi, delle proprie bugie, di quelle degli altri, di una narrazione parallela che non ci si aspetta in una ricostruzione dei fatti che non è come sembra. E’ allora che va in scena un’ altra storia, epilogo insperato e stupefacente in un’ alternanza sovrapposta di vittime e carnefici, per difendere e salvare se stessi, vendicarsi, sfuggire alla disperazione, alla galera, distrutti dalla propria spietatezza.
Una prima parte immersa nel reale, dettagliata, scorrevole, ben scritta, a rappresentare i vizi capitali di un’ umanità superficiale, fragile, ossessionata e ossessionante, che risponde alle esigenze di una società cinica e stereotipata, dedita al profitto, al perseguimento di scopi illeciti, un finale che prevede una resa dei conti che non concede sconti, esito nefasto e semplice constatazione di un dato di fatto.

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68 Opinione inserita da 68    17 Ottobre, 2024
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Mondi trasversali

…“ È calato il buio. Un buio infinitamente profondo e dolce”…

Cuore e coscienza, il se’ e la propria ombra, sogno e realtà, amore e desiderio, l’ ultimo romanzo di Haruki Murakami rivisita temi conosciuti in un’ alternanza non lineare e metatemporale che insegue una felicità solo assaporata, improvvisamente sfumata, fortemente agognata.
Due adolescenti uniti dalla passione per la scrittura iniziano una frequentazione basata su rari incontri, lettere, passeggiate, ascolto, silenzio, un mondo interiore da svelare reciprocamente, l’ invenzione di una città dalle alte mura, popolata da unicorni, un luogo con una biblioteca senza libri e innumerevoli sogni da leggere, senza orologi, al cui ingresso e’ obbligatorio abbandonare la propria ombra, dal quale è impossibile evadere, una palude, un fiume, basse colline, un luogo senza tempo dove gli abitanti conducono una vita frugale.
È un mondo immaginario dove coltivare un senso di reciproca vicinanza, soggetto a rinunce, restrizioni, a un’ essenzialità che soggiace a regole precise.
Che ne sarà della propria ombra abbandonata, compagna di sempre, destinata a un esito infausto, a quale dei due mondi appartenere, alla realtà svuotata di amore o all’ immaginario edificato nel proprio cuore in cui leggere i sogni altrui, ignorando motivo e significato di tale compito?
Il protagonista vivrà un’ alternanza misteriosa tra un mondo e l’ altro, attribuendo un senso a ciò che senso non ha, se non leggendo nel proprio cuore e nei propri desideri più intimi.
Nella città dalle alte mura vige uno stato di eternità, impossibile attribuirle regole di umana precarietà, anni dopo il protagonista, ormai quarantenne, da tempo rientrato in un reale che lo ha svuotato dentro, abbandona una vita ordinaria fatta di solitudine, di silenzio, di non amore.
Rimasto al se’ diciassettenne, a quei momenti di eternità, al sapore della tisana lenitiva a dei dolci di mele, ricerca rifugio e conforto in una cittadina situata tra i monti impiegandosi in una biblioteca che racchiude misteriose sembianze e indizi particolari a ricordare la vecchia biblioteca nel cuore di giorni uguali a se stessi.
Un luogo dove svernare confrontandosi con il silenzio della propria ombra, con il fantasma di un ex direttore appassionato ed eccentrico, con un possibile nuovo amore, con un ragazzo di poche parole che presenta caratteristiche di eccezionalità, con il desiderio di fare ritorno nella vecchia biblioteca, anche se tutto non è come sembra e sono tante le cose dimenticate, alcune vivide, altre lontane.
Come creare una simbiosi che permetta di comunicare in silenzio, di vedere oltre, di percepire un mondo di fantasia che sente appartenergli?
Prosegue il viaggio del protagonista nella propria interiorità sostando tra reale e immaginario o, viceversa, ricercando la verità, il confine tra cuore e coscienza, il limite tra i due mondi, un luogo difficile da scovare ignorando il vero se’.
Come attraversare i due mondi, ritrovare una persona scomparsa, vivere in un luogo abbandonato dagli spiriti con i quali ha condiviso una parte della propria vita tra affetto e solidarietà?
Come coltivare un amore imperfetto in un tempo mancante, che gli ricorda altro, qualcuno che ha lasciato, ripensando a cosa ha atteso in tutti questi anni e alla presenza di un muro divisorio tra reale e immaginario?
Che sia un luogo mutevole, che cambia forma e consistenza in funzione delle circostanze e delle persone, forse la realtà è qualcosa da scegliere tra tante possibilità.


...” Il tuo cuore sta cercando una svolta, ne ha bisogno. La tua coscienza, però, non l’ha ancora percepito. Il cuore umano è difficile da comprendere”..

Un lungo romanzo che sa di fiaba, scritto, nella prima parte, nel 1980, riscritto completamente e completato tra il 2020 e il 2022, arricchito dalla propria infinita esperienza letteraria. Nel 1985 venne scritto La fine del mondo e il paese delle meraviglie che ne riprende temi e contenuti. Diviso in tre parti, è evidente una spaccatura tra la prima, percorsa da un flusso di inconsistenza tra sogno e realtà e il resto, ancorato a un reale indigesto e a una concretezza più vera.
La sensazione prevalente è di una ricerca ed esposizione che attinge alla propria poetica e ai temi ad essa più cari, lunghe digressione tra reale e immaginario, il potere dei sogni, mondi trasversali non riproducibili, l’ amore per la musica, l’ unicità e impalpabilità dei protagonisti, atmosfere ipnotiche, piuttosto fragile e frammentaria la costruzione dei personaggi in un quotidiano che possa legittimare e sostenere un costrutto così ampio.
Alla fine prevalgono riproduzione e scambio tra il se’ e la propria ombra, una lotta intestina tra cuore e coscienza, realtà e desiderio, tra il sogno di una vita e sogni ristretti, tra un reale percorso e sostenuto da innumerevoli possibilità e sentimenti difficili da comprendere.


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68 Opinione inserita da 68    12 Ottobre, 2024
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Passato nel presente…

Un segreto condiviso e taciuto in un giorno d’ infanzia, una madre da quel momento assente, una sparizione misteriosa conservata dentro di se’, che ha tracciato la propria essenza, angolo buio di presente e futuro.
Il dottor Édouard Malempin vive quell’ istante più o meno consapevolmente, ancorato a quei giorni, un sentimento assaporato per anni, incertezza, paura, sospetto, la convinzione che qualcosa sia andato storto, l’ improvviso allontanamento dalla propria famiglia mentre piccoli indizi della memoria riportano oggetti, sapori, odori nella casa della propria infanzia, fragranze smarrite nel presente.
Oggi, al capezzale del figlio Bilot, affetto da difterite maligna, giorni trascorsi tra la vita e la morte, in compagnia della moglie Jeanne con cui vive da quindici anni ignorandone l’ interiorità, ripercorre i giorni che ne hanno segnato l’ infanzia, la scomparsa improvvisa dello zio Tesson, una bugia che sa per certa, silenzi parlanti, l’ allontanamento dalla famiglia, la convivenza con la placida e florida zia Elise in seguito accusata di follia, il ritrovamento di un polsino con un gemello d’ oro, momenti di malattia e di assenza scolastica, l’ombra di una inquietante presenza accanto al proprio letto.
Quanto il presente restituisce il passato, immagini, sensazioni, comportamenti ne popolano le notti, che cosa gli altri vedono di lui oltre un buon padre e un buon marito, quanto il reale esiste veramente?
Eduard staziona tra il presente e il ricordo, un’ immagine semi cosciente sembra appartenergli, indizi più o meno presunti ricostruiscono giorni nebulosi e monchi del se’ bambino per concludere che gli unici anni di vita reale sono quelli dell’ infanzia.
Per anni ha cercato di ricostruire una figura paterna che per lui più conta ma che meno conosce, di cui fatica a ricordare il volto, un uomo affetto da innato egoismo, lui che deve tutto alla propria madre, dalla educazione ai vestiti di tutti i giorni, una donna alla quale oggi ancora chiede il conto, che guarda freddamente pur visitandola quotidianamente, impegnati in dialoghi scontati e ripetitivi che tuttavia sembrano appartenergli e ai quali non rinuncerebbero.
La parola castigo lo accompagna da sempre avvicinandolo alla propria colpa, un sentimento cresciuto e alimentato dal silenzio, dalle domande che non ha mai posto, una certa ritrosia a entrare nella camera del figlio come se con la propria presenza avesse paura di interrompere e rompere il sentimento condiviso da altri che non sembra appartenergli, dal quale si sente escluso,

…” perché ho imparato che tutto è fragile, tutto quanto ci circonda, tutto quanto prendiamo per la realtà, per la vita: la fortuna, la ragione, la quiete… e la salute, soprattutto!…. E l’ onesta’….
In certi giorni, se mi fossi lasciato andare…”

Malempin è un dettagliato e ossessivo viaggio a ritroso nel presente, un’ infanzia nebulosa che conserva la propria essenza in pochi momenti di assolutezza. L’oggi ripercorre e restituisce un trauma, tacitamente sepolto nei meandri della memoria, respiro di totale incertezza mentre le maschere del presente fingono di appartenerci nascondendo il vero volto della paura, un senso di menomazione, di esclusione, di assenza che si fa presenza, un’ apnea del profondo compagna di sempre che tuttora assaporiamo quotidianamente.
Ci sono immagini, fragori, fragranze, sembianze opalescenti venute da lontano, vissute, interiorizzate, scolpite dentro, a metà tra il sogno e la veglia, che raccontano interamente la propria storia, da sempre. Magistrale.

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68 Opinione inserita da 68    06 Ottobre, 2024
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Estetica dissolvenza

Una coppia noiosamente assorta in ripetute cadenze, una vacanza in una città di mare dettagliatamente reale e in parte immaginaria, un incrocio a quattro pericoloso, Colin e Mary, Robert e Carolin, cibo, passeggiate, sonno, sesso, lettura, silenzio, una cortesia all’ eccesso e una dose di sadismo figlia di un passato torbido e violento con un presente che lascia strascichi di sofferenze fisiche evidenti.
Colin e Mary, coppia di fatto, i figli altrove, una conoscenza profonda di se stessi e dell’ altro, un’ intimità da preservare gelosamente e di cui preoccuparsi costantemente, goffi e lenti movimenti condivisi, l’ attenzione ai minimi cambiamenti umorali, chiusi nella reciproca presenza, liti condotte in silenzio.
Un legame nato casualmente o forse pensato e costruito dettagliatamente, una galleria piena di oggetti esposti, stanze sconosciute e inafferrabili, intense fragranze, odori nauseanti, un’ infanzia di percosse e di amore vissuta dentro, un’ unione rafforzata da uno stato di acquiescenza, il giudizio sospeso nel cambiamento, la presenza di una macchina fotografica, la fredda assenza della vicinanza, una rinascita in cui vivere all’ interno del momento, incapaci di allontanarsi temendo che solitudine e pensieri intimi possano distruggere quello che si è creato.
Il turbine degli avvenimenti, in parte sconosciuti anche a se stessi, attimi degenerati in una violenza inaspettata e gratuita, in un sonno-veglia forzatamente indotto, in uno stato inafferrabile di estatica permanenza mentre si osservano dettagli di se’ dei quali non si era a conoscenza, si addentra in una bellezza primigenia adorata dai presenti, prima che il vuoto inafferrabile e molesto ricopra uno stato di totale dissolvenza.
Un breve romanzo di difficile collocazione laddove estetismo e accuratezza di forma sanciscono particolari definenti, personaggi sospesi nel flusso degli accadimenti, osservati dall’ esterno, che dialogano con se stessi, un senso inafferrabile all’ interno di una dimensione onirico-estetica-sentimentale.
Tutto ciò rivela un thriller sui generis, strutturato e sviluppato nella statica definizione del momento, cresciuto nell’ immaginario, accresciuto da una tensione latente sfociata nell’ ovvio, quando la stortura emotiva era già presente e la colpa pareva evidente, nel frattempo…

…” per un attimo il quotidiano prevalse, e lei ebbe una percezione minima del dolore che la aspettava. Si schiarì rumorosamente la gola, e il suono della sua stessa voce si portò via quel pensiero”…

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68 Opinione inserita da 68    19 Settembre, 2024
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Incertezza….

Nathan Glass, ex assicuratore in pensione affetto da un male incurabile, almeno così pensa, dopo cinquant’anni ritorna a Brooklyn, dove tutto ebbe inizio, luogo in cui porre fine a un’ esistenza triste e ridicola. Non sa quanto vivrà, si percepisce inoperoso, svuotato, affranto, unico rimedio scrivere il libro della Follia umana in cui riportare svariati episodi del proprio vissuto.
La scrittura gli sarà di conforto ma la vita, in attesa del temuto epilogo, si fa imprevedibile, imperscrutabile, reale e immaginario inscenano un quotidiano diverso, nuove pagine restituiscono un unico protagonista, l’ amato nipote Tommy, figlio della defunta sorella June, giovane introverso e geniale, ex dottorando avviato a una brillante carriera letteraria caduto in disgrazia per ritrovarsi a trent’anni nei panni di tassista e di aiuto-libraio.
Microstorie riaccendono legami famigliari tronchi, sospesi, abbandonati, nuove relazioni crescono, nel mezzo per Nathan la constatazione della propria nullità, del fallimento come padre e marito, un essere umano patetico e isolato, senza meta e senza rapporti.
Che cos’è la vita se non un tentativo di lasciare angosce e preoccupazioni di un mondo folle e infelice creandone uno del tutto personale, in cammino tra identità differenti ignorando la propria, intrattenendosi per dissolvere i dolori, una storia infinita in cui eclissare il reale.
Che cosa accade quando la realtà supera la fantasia, la fantasia diventa realtà, il quotidiano gratificante, relazioni, condivisione, amore, una famiglia allargata, finalmente felici di essere dove si è, insediati nel proprio corpo, godendo del semplice fatto di essere vivi?

A questo punto

“…Peccato che la vita finisca, dico a me stesso, peccato che non ci sia dato di continuare per sempre”.

Queste sono le storie che si raccontano continuamente, che ci raccontiamo e che alimentano i nostri giorni, che iniziano e finiscono nella vita medesima e delle quali sembra non rimanere niente.

…” la maggior parte delle vite svanisce e quando muoiono le loro storie svaniscono con loro”...

Che la vita vada vissuta nel presente mentre la grande Storia scorre imperturbabile tra attimi di esistenze perdute, dimenticate, affrante, felici, speranzose, gratificanti, intrecci di corpi sfiorati, respiro di anime affini, mentre la propria ritrovata presenza sta per includere una tragedia imminente….
“ Follie dì Brooklyn “ è un romanzo frammentato e di superficie con una prosa veloce nell’ incedere dei giorni ricercando un improbabile senso tardivo e una traccia all’ interno di una vita sprecata e ai titoli di coda. Quanto questo percorso di inutilità apparente scavi nel profondo non è dato saperlo, l’ impressione è che si circumnavighi la vera essenza, se stessi, in una strana e tardiva assoluzione che sa di buonismo apparente mentre il nuovo secolo incombe nella propria forza distruttiva e dirompente ( l’11 settembre ) in una superficialità di toni e contenuti non proprio accattivante.

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68 Opinione inserita da 68    13 Settembre, 2024
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Vuoto onnipresente

Un uomo solo confrontato con la propria solitudine, esiziale, cruda, molesta, una vita dedita all’ insegnamento svuotata di senso, consumata e dissolta in una certezza definitiva.
È in quel preciso istante, mentre sta analizzando meticolosamente un dramma di Erik Ibsen, di fronte all’ intollerabile indifferenza, alla noia e alla noncuranza di allievi che si sentono offesi dal suo insegnamento, che il professor Elias Rukla precipita in un senso insensato che lo rende impaurito, scosso, fallito e lo porta a perdere il controllo irrimediabilmente, per analizzare in terza persona la vita di un uomo qualunque, inconcludente, senza aspettative e desideri, una vita anche fortunata grazie al matrimonio con una donna bellissima ( Eva Linde ) che lo ha tollerato per anni e che non crede di meritare.
Una certezza si manifesta, la fine della propria carriera scolastica ( dopo 25 anni di insegnamento), del matrimonio, di tutto, come trascorrere i 15 anni che lo separano dal pensionamento?
La memoria lo riporta al passato, le amicizie d’ infanzia, il se’ studente, feste, studi, discussioni, una vita scolastica proficua e frenetica, il legame con l’affabulante Johan Corneliussen, studente di filosofia, un triangolo amoroso inconsapevole, l’ amore innegabile per Eva, che ascolta avvolta nel morbido involucro del sonno, che da subito lo ha lasciato fare, donna, madre, amica, figlia, moglie.
Si era trasferita da lui per restarci, accettando di sposarlo, Elias non sa il perché, lei non gli ha mai detto d’ amarlo, oggi è semplicemente Eva Linde, una donna bellissima un po’ appesantita dagli anni. Nel presente (1989 ) ogni certezza svanisce, si sente un uomo qualunque, senza qualità, un semplice professore che non si è distinto per niente.
Continua il soliloquio esistenziale di chi non ha più niente da dire e da insegnare, nessuno è interessato ad ascoltarlo, privo di desideri, immerso in una nuova epoca, svuotata di senso, la decadenza imperversa in un presente sedato e allucinogeno in cui esprimersi solo come schiavi indebitati trovando in tal senso la propria valorizzazione sociale.
Forse è lui stesso a parlare di niente, la gente si è allontanata, è isolata, un’ insostenibile leggerezza dell’ essere che travalica l’ esistenza per farsi elemento sociale e bloccante.

…” E ora che la figlia di Eva Linde, Camilla, ha lasciato l’ appartamento, sono rimasti solo loro due, un professore un po’ alcolizzato e sua moglie, una ex bellezza ”…

Il soliloquio incalzante di un uomo giunto prematuramente alla resa dei conti, che si interpella su un sistema sociale equivoco e aberrante da cui si sente escluso, che in parte si accusa e si scusa di essere al mondo, lascia intendere un completo e complesso stato involutivo, vittima e carnefice di una situazione siffatta.
Il pessimismo intimista e trascendente sfocia nella bruta oggettività del contingente, Dag Solstad e la propria poetica, un linguaggio essenziale, scarno, ripetitivo, eccessivamente monocorde, pacatamente ossessivo, a volte inconcludente, una descrizione e dissertazione che esprime dissociazione psico-emotiva, ansia, perdita d’ identità, un’ eco inesplorata, inascoltata, onnipresente nel paludoso vuoto dell’ esistenza.

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68 Opinione inserita da 68    23 Agosto, 2024
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Logoro incedere di solitudini senza speranza

…” pensa agli edifici mancanti e alle mani mancanti e si chiede se valga la pena sperare in un futuro quando non c’è futuro e d’ora in poi, si dice, non spererà più in niente vivrà solo per questo, questo momento, questo momento che passa, l’adesso che è qui, l’ adesso che se ne è andato per sempre”…

Una solitudine inquieta attraversa i giorni di Miles Harris e degli altri protagonisti, spezzoni di storie incastrate in una dimora fatiscente abusivamente occupata e condivisa a Sunset Park, in una metropoli, New York, terra di passaggio, di assenze prolungate e di presenze invisibili, un luogo non luogo dove svelarsi e rincorrere un passato lacerato in attesa di una resa dei conti.
Il giovane Miles, fuggito dai resti della propria famiglia, sovrastato e annullato dal senso di colpa dopo la morte del fratellastro Bobby e da una solitudine autoimposta, vive il presente, confinato nel qui e nell’ ora, regolato da autocontrollo e disciplina, senza desideri e speranze, convivendo con il proprio destino.
Smussati tutti i desideri non gli resta che leggere,

…” L’ unica malattia da cui non vuole essere curato”…

Lavora intrattenendosi e fotografando le torride case di nessuno, abbandonate e deserte, controlla freddamente le proprie emozioni, è innamorato di Pilar e del suo giovane corpo accogliente, una ragazza carina, ambiziosa, colta, che lo fa sentire a casa.
Svuotato di tutto, in cerca di niente, fuggito dal passato, una vita in pausa, Pilar è la risposta che ha aspettato da sempre, il nuovo senso famigliare perduto.
Miles non si racconta, in passato è stato invidiato, imitato, amato, immerso nel proprio silenzio, intelligente, bello, ricercato dalle donne, non parla del limbo che lo riguarda, delle sue due famiglie, del proprio senso di colpa, del fratellastro Bobby, così diverso da lui, due conviventi che non si sono mai incontrati, il ragazzaccio e l’ imbranato.
Ci sarà un luogo, Sunset Park, inizio e fine di un’ altra storia, che apparentemente non riguarda il passato, dove condividere porzioni di altre vite, sole, abbandonate, distorte, un’ umanità variegata sotto un tetto occupato abusivamente.
Bing, Alice, Eileen, Miles, quattro inquilini nelle difficoltà del presente, una precarietà che è lotta per la sopravvivenza, sogni disattesi o troppo grandi, un passato di errori, inciampi, illusioni, ospiti di una fragilità evidente.
Storie individuali e un senso di solitudine collettivo, un legame con il passato nel presente, menomazioni solidali, relazioni mai nate e precocemente infrante, un amore lontano in attesa di una scadenza.
Sunset Park è un luogo di sosta e di attesa,

…piccolo mondo isolato dal mondo”…

di qualche accadimento, di una resa dei conti che possa allontanare l’ incubo ricorrente, una casa non casa dimora dell’ animo.
Fuori sostano sguardi perduti nell’ ombra, un uomo invecchiato che vive mille travestimenti, due madri che hanno perso un figlio, un paese, l’ America, dove tutto come sempre alla fine andrà a posto, un luogo, Brooklyn, dimora di persone abbandonate, con la possibilità che la vita si estingua, che gli altri non ci riconoscano.
C’è un mimetismo che accarezza le vite di tutti, vite che si trascinano in lavori di insegnamento sottopagati, che rivelano uno sguardo appassionato per il disegno e la pittura, che utilizzano una macchina fotografica per registrare pensieri scuciti e inutili.
E ci saranno momenti rimandati da troppo tempo, domande costruite da anni

… Ma allora, se ci volevi bene, perché sei andato via?…

…” qualcosa che deve essere perdonato? Probabilmente no, ma tuttavia deve essere perdonato”

e c’ è una vita che scorre, inafferrabile, imprevedibile, figlia di un passato recente e rivolta a un futuro inaccessibile. C’è un possibile senso di appagamento travolto da una nuova imprevedibile colpa, ansiogena, forse definitiva, a determinare quell’ adesso che se ne è andato per sempre…
Sunset Park è un cantico di solitudini che sopravvivono nell’ ombra di un quotidiano difficile e monco, in un periodo storico, il primo decennio del nuovo secolo, che, per le nuove generazioni, significa precariato, povertà, incertezza, ansia, per le vecchie il ricordo di un recente passato fulgido ed edonista ormai dissolto, che vive una disgregazione famigliare certa, il passaggio dalla dimensione onirica a un reale indigesto.
La speranza, se qualcosa può legittimarla, sta nel respiro di una neo dimensione collettiva di convivenza, anche se immediatamente soverchiata dall’ evidenza.
L’ incedere del romanzo, in una trama quantomai ridotta all’ osso e piuttosto frammentaria, con un senso di suspence sempre più evidente, ne riporta i temi dominanti, destino, senso di colpa, paura, amore, ansia, passione per il baseball, per il cinema, per la letteratura, ma anche precariato, povertà, ansia, un individualismo all’eccesso figlio della propria storia e delle logore maschere di un’ America quantomai sfaccettata e dissolta.

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68 Opinione inserita da 68    19 Agosto, 2024
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Una casa…

“…Può benissimo essere che il tempo stia giungendo al termine, che questi siano gli ultimi giorni dell’ uomo, ma io so per certo che la fine non sarà stasera perché non è buio affatto e non c’è alcuna notte e nessuno scatto tra una giornata e l’ altra, perché il tempo è una distesa infinita di luce’”…

Islanda, Alba, linguista in procinto di cambiare vita, impegnata a trattenere le parole e a incastrare espressioni e sentimenti in una struttura grammaticale definita, si dibatte tra l’ insegnamento universitario e la correzione di bozze con un desiderio impellente, la fuga da un reale ingombrante e molesto per ridefinirsi e ricostruirsi in una nuova casa.
Parrebbe una strana coincidenza, ma nella sua lingua parole come “ mondo intero ”, “ casa ”, “ l’ avere casa ”, sono definite da una radice comune.
Come affiancare e bilanciare il suo lavoro certosino di custode di lingue minoritarie in via di estinzione con la ricerca di un piccolo angolo personale in una terra circumnavigata dal mare e battuta dei venti in un tempo che forse sta per finire?
Alba stringerà un legame profondo con la natura, in particolare con gli alberi, dopo l’ acquisto di un vasto appezzamento di terreno dove piantare betulle per restituire ossigeno alla terra e risarcirla di tutte le emissioni di carbonio che ha generato nei suoi innumerevoli viaggi aerei da una località all’ altra. Un sentimento caritatevole e materno la avvicinerà a Danyel, profugo sedicenne con un talento per le lingue, venuto da lontano attraverso un oceano di acque bianche e tempestose, alla ricerca di un presente, che si confronta con la psicanalisi per sopravvivere alle insidie dell’ animo.
Il ricordo della propria madre, un’ attrice ondivaga che ha donato la propria vita all’ arte sottraendo affetto alla famiglia, un padre solo e triste ripetutamente abbandonato, una sorella, Betty, che vive la razionalità dei giorni e si chiede come Alba possa sopravvivere sola in una casa di campagna senza un lavoro fisso e una famiglia, l’ amicizia di Hakon, i consigli di Hlynur, i sospetti di Alfur, un piccolo mondo relazionale da costruire.
Alba e le lingue, un legame viscerale, quale il nesso tra pensieri e parole, la propria vita vissuta da sempre in uno stato di mezzo.
Che la fine sia vicina non importa, Il passato incombe, rapporti più stretti, una solitudine rappresa nell’ armonia dei gesti e nel significato di parole espressione di un senso primario.
Nessuna fine ma un presente che coglie il mistero della vita e delle parole, delle relazioni e dei sentimenti, un viaggio stanziale rivestito di realtà e di intimismo, un Eden personale dove prevale il silenzio, la responsabilizzazione nei confronti di un mondo devastato e fallimentare, un tempo atemporale che contempla l’oggi nella sua complessa semplicità, un luogo di senplici relazioni e di accoglienza.
Eden è una casa solitaria in cui sostare per incontrarsi, fatta di pensieri, parole, amicizie, persone, venti, alberi, case, paesaggio dell’ animo e realtà contingente, la sensazione vivida di un’ armoniosa presenza…

…” stringo a me il ragazzo in un abbraccio.
Si sistemerà tutto, dico.
Andrà tutto bene”…

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68 Opinione inserita da 68    25 Luglio, 2024
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Volo pindarico e ritorno….


…” sono solo due le buone scelte che ho fatto in vita mia. La prima fu quella di seguire maestro Yehudi su quel treno all’ età di nove anni. E la seconda fu di sposare Molly Fitzsimmons “…

Il racconto di un viaggio tra le pagine di un manoscritto che abbraccia una vita intera, un reale indigesto in attesa dell’ inverosimile, sospesi nel vuoto, cadendo, risollevandosi innumerevoli volte, una miscela di reale e immaginario, sospinti dalla forza di un sogno alla fine negato, restituiti alla vita vera, impreparati alla stessa.
America, anni ‘20, Walter Rowley, nove anni, orfano senza futuro, originario di St. Louis, un ragazzino stupido, permaloso, testardo, si imbatte nel suo futuro mentore, maestro Jehudi, che riconosce in lui un dono, qualcuno da addestrare e rendere un bambino prodigio.
Anni difficili, pericolosi, turbolenti, torture, insidie, dolori insopportabili per arrivare, un giorno, alla levitazione, sospeso da terra per un certo lasso di tempo, dando l’ impressione di volare.
Una dimensione parallela, educazione poco sentimentale e molto reale, attraverso un’ America povera, violenta, razzista, psicogena in un viaggio itinerante per chi diviene una star o un semplice fenomeno da baraccone, privato delle coordinate del proprio esistere.
Accompagnato da Maestro Jehudi, incomprensibile nel proprio mostrarsi, dal calore di una famiglia ristretta sterminata ( mamma Sue ed Esopo ) dalla cieca violenza del Klu Klux Klan, in Walter, dopo svariati tentativi di fuga dall’ insostenibile, pervaso dal un urgente bisogno d’ amore, qualcosa cambia.

… La storia di quei mesi in fondo si riduce a questo. Avevo fame di amore e non c’era cibo capace di saziarmi…

Maestro Jehudi, insegnatagli l’ arte, lo lascia al proprio destino, i viaggi e gli spettacoli l’hanno trasformato in una celebrità, la gente paga per alimentare curiosità e sogni, stemperando la durezza dei giorni. Lui stesso vive un tempo, il 1928, in cui sembra entrare nel mondo dei divi, una stagione di libertà e di protezione, non più Walter Rawley, il ragazzino prodigio, per un’ ora al giorno, ma un bambino prodigio e basta,

…” qualcuno che non esisteva se non quando stava sospeso a mezz’aria”…

La terra ferma è un campo minato da trappole e ombre, tutto quel che vi accade è falso, solo l’aria risponde a verità, una gioia transitoria, insidiosa, effimera, il pericolo invalidante di una levitazione ripetuta risveglia Walter dal sogno di restare bambino. E allora precipita in una vita da costruire nel respiro di un’ umanità variegata e difforme, riformulando il presente per pensare al futuro.

…” Finché riuscivo a non ripensare al passato potevo illudermi di avere ancora un futuro”…

Lavori transitori, incontri, perdite, fallimenti, una quotidianità indigesta, la levitazione prevedeva un stato di sospensione, la caduta è dolorosa, sognare è lecito, come volare, ma la vita è altrove. Gli anni restituiranno un uomo sposato, adulto, vedovo, depresso, rinato, di nuovo bambino, sulla soglia della vecchiaia.
Walter dona ciò che gli era stato donato, amore e tempo, si rivede nell’ unicità di un bambino insolente e violento, desiderando farne un nuovo prodigio, ma quanto dolore nel ricordo delle sofferenze da lui subite.
Un lungo viaggio scandisce una vita nelle crude parole di un libro, forse l’ idea di volare è un semplice dono che ci appartiene naturalmente, un fatto mentale e non l’ esito di atroci sofferenze fisiche…

…” in fondo non credo che ci voglia un talento particolare per sollevarsi da terra e librarsi a mezz’ aria. È qualcosa che tutti abbiamo dentro, basta smettere di essere se stessi. Chiudete gli occhi, allargate le braccia e lasciatevi svaporare. A quel punto, poco per volta, vi solleverete da terra, ecco, così “…

Mr Vertigo è una parabola tra cruda realtà e sogno immaginifico che attraversa oltre un cinquantennio di storia americana, focalizzata su un espediente di eccezionalità ( il desiderio di volare ) per narrare la tumultuosa ascesa e la repentina caduta di un individuo meno speciale di quello che sembra.
Un’ unicità che nasconde fragilità, bisogno d’ amore, violenza, solitudine, tratti di immaturità fino alla malattia e al delirio con una possibilità di redenzione e riscatto, la necessità imprescindibile di calarsi nella quotidianità, di sopravvivere, vivere, amare, soffrire, sperare. Tratti riguardanti una vita intera e uno stato di normale eccezionalità, in fondo tutti possiamo volare…



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68 Opinione inserita da 68    25 Luglio, 2024
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Ossessione funesta


…” Scusa. Ti amo Nelly. Anch’io, Bernard”…

Quale l’ identità di Bernard Foy, il menomato protagonista del romanzo, quale porzione di se’ egli rappresenta, omette, nasconde, accompagnato da un vissuto monodimensionale, quale futuro per chi fatica a stare nel presente, quale legame amoroso con chi lo ama e lo protegge, come vive una menomazione che restituisce solitudine, gelosia, rabbia, quanto riesce a leggersi dentro, vittima della propria visione maniacale, come indirizza il proprio destino?
Anni prima Bernard ha subito l’ amputazione di entrambi le mani a causa di una mina, da venti è sposato con Nelly, una donna che ritiene d’ amare e che amorevolmente continua a prendersi cura di lui, unico sostentamento della coppia,
Lunghe ore trascorse alla finestra in una metropoli rovente in compagnia della propria menomazione, Bernhard osserva, immagina, riflette, si introduce nelle vite altrui, rivede la propria storia, versione critica di se’, di ciò che è stato, che avrebbe potuto essere, che non è, costruendosi una trama del tutto personale, percorso da una gelosia incontrollabile, protagonista del suo non essere, pronta a impadronirsi di reale e immaginario restituendo un esito infausto.
Come sempre una trama scarna, essenziale, claustrofobia, sguardi, attese, silenzi, tratti costruiti su possibilità, presupposti, inganni, un reale altrove e diverso, fantasmi rivisitati, un’ idea marchiata da un’ ossessione in un declino inevitabilmente certo. Bernard si nutre di un se’ dal quale vorrebbe sottrarsi auspicando prospettive diverse, la gelosia lo prende e si fa sostanza, si allontana e ritorna confutando speranze illusorie, imprigionandolo in una solitudine e in uno stato di follia che credeva lontano.
Che cosa Bernard intende per gelosia, termine usato e abusato, legittimato e delegittimato da comportamenti avversi e dal proprio delirio, come un’ emozione può sfociare in un sentimento dal quale è impossibile sottrarsi?
Una casa, una strada, rumori di sottofondo, passi, inquilini, volti noti, un auto reclusione e un ribaltamento di ruoli, Bernard a casa, Nelly al lavoro, come giustificare una situazione siffatta laddove ci si ritiene infelici per una mutilazione che ha sottratto al protagonista la reale possibilità di vivere?
Anni di attesa, assaporando le abitudini altrui, una solitudine imbrattata di cattivi pensieri e trasformata

…” in un turbamento a precedere la vertigine”…

Quando l’ ossessione è manifesta, il presente frequenta il passato in una fragilità evidente, si racconta un’ altra storia, a quel punto quanto bastano condivisione, confessione, ascolto, un’ intimità sfociata nella tolleranza a restituire il respiro della normalità cancellando il proprio senso di colpa?
C’è e rimane un sentimento vivido, uno sguardo posato su

…” una porta dal pomolo di maiolica”

, un senso di vuoto che e’ solitudine ingravescente. E allora pensieri invisibili popolano l’ intimità di un appartamento trasformandolo in inquietudine manifesta, sorrisi, allegria, cupezza, sbadataggine, l’ idea che la vita del coniuge sia decisamente più interessante di quella vissuta all’ interno del proprio appartamento.
In questa vita non vita, in parte immaginata, l’ ossessione dell’ invisibilità e della menomazione dell’ altro è uno specchio che riflette la propria colpa, il bisogno di carezze, la fragilità di coppia, uno stato di gelosia permanente, un reale previsto, lo sguardo posato all’ interno di una stanza silente che restituisce distruzione e morte.

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68 Opinione inserita da 68    05 Luglio, 2024
Top 10 opinionisti  -  

Intrigo senza volto

…”New York era un luogo inesauribile, un labirinto di passi senza fine, che lo lasciava con la sensazione di essersi perduto, non solo nella città, ma anche dentro di se”…

Una metropoli abietta e miserabile in cui vagare senza meta, un nessun luogo in cui perdersi con la sensazione di essere se stessi in quel niente, questo il respiro definente i tre brevi romanzi che compongono la “ La Trilogia di New York “, uno stato di precarietà e solitudine persistente, all’ inseguimento di una flebile traccia nel soffio impercettibile di un reale enigmatico.
Uno scrittore sotto pseudonimo vestito da detective sulle tracce di un soggetto potenzialmente pericoloso si immedesima nel protagonista della propria invenzione letteraria, l’ estenuante pedinamento di un uomo seduto in una stanza impegnato nella compilazione di un taccuino, con la sensazione di essere a propria volta spiati e sorvegliati, uno scrittore scomparso riabilitato dall’amico d’ infanzia e da lui sostituito in seno alla propria famiglia.
Ciascuno dei protagonisti intrattiene con se stesso un dialogo esteso a un senso di vuoto e di non appartenenza, una ricerca che indossa panni diversi invertendone i ruoli, una camaleontica attesa di niente per ribadire l’ ovvio, verità amare, acque torbide, prosciugati silenzi, dubbi ingravescenti, soffermandosi su un’identità smarrita, immagini difformi create e allocate all’ interno di se’.
Tra reale e immaginario incombono un rimugino malinconico in una frammentarietà evidente, una ricerca focalizzata su se stessi e la propria storia, mentre c’è chi ci ricorda chi siamo.
A distanza di anni riemergono volti, protagonisti ignari l’ uno dell’ altro, che hanno soggiornato altrove, fluttuando all’ interno delle parole nell’immagine di un finale diverso, sostituendosi ai personaggi stessi

…” fingendoci capaci di comprenderli perché comprendiamo noi stessi”...

La solitudine li investe arrivando a

…” non pensare più a se stessi come a qualcosa di reale”…

vivi ma senza più amici, sopravvissuti a se stessi, una parte già morta, quella

…” parte che non non si vuole che torni a tormentarci”...

E allora un prima e un dopo incombono, una trasformazione che porta in nessun luogo, privati di tutto, a non essere niente, quante cose scompaiono senza lasciare traccia.
Può succedere che l’ osservazione prolungata dell’ altro rifletta se stessi come in uno specchio, che la frequentazione a distanza avvicini carpendo i segreti altrui, anticipandone le mosse, come se appartenessero un poco a se’, perché

…” entrare nell’ altro è un po’ come entrare in se stessi”...

Ciascuno può continuare a dialogare con il proprio se’, a rievocare l’ altro ricostruendone la storia, costruendone un’ altra, convivere in un silenzio necessario per vivere, trasferirlo in una sorta di traslato di se stesso, ma

…” Nessuno può sconfinare in un altro, per il semplice motivo che nessuno può accedere a se stesso”…

In questo stato protratto di non evidenza tutto quello che è stato si riduce a una piccola frazione di nulla, il silenzio obbligato, la morte necessaria, uno stato di finzione per raccontarsi una narrazione che prevede il silenzio, altrove ci si ritrova in nessun luogo

…” era giunto alla fine di se stesso, adesso lo sentiva, era come se in lui si fosse manifestata una grande verità, non restava più niente. Quante cose stavano scomparendo, era difficile conservarne traccia”…

“ La trilogia di New York “ è un ‘opera costruita su un filo sottile, le tre storie, seguendo il modello delle detective-stories, sconfinano in un giuoco di specchi e di incastri con escursioni metaletterarie su scrittura e letteratura ed evidenti influenze del postmodernismo in una narrazione che abbandona la semplice trama per dissertare su destino, solitudine, arte, letteratura, identità, smarrimento, tratti autobiografici, sconfinando nell’ allucinogeno e nel surreale in una metropoli senza volto popolata da oggetti e persone infrante.
La lettura si popola d’ altro, sensazioni, emozioni, riferimenti, una scrittura densa, limpida nella proprio mostrarsi e complessa nel significato d’ insieme.
Ciò che pare non è, ciò che è potrebbe non essere o risiedere altrove, il reale assume contorni diversi, molteplici volti che riportano a un unico volto .


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68 Opinione inserita da 68    30 Giugno, 2024
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Amore e morte

…” Io sono l’ autore del suo dominio su di me ”…

L’ ossessione amorosa di David Kepesh, professore universitario sessantaseienne, per Consuela Castilla, allieva dal corpo statuario e dal comportamento particolare, sconfina in una dissertazione su senso del vivere, invecchiamento, amore, gelosia, sui propri desideri, su una famigliarità dissolta, sui figli, sulla rivoluzione sessuale degli anni ‘ 60, sulle nuove tendenze, sul senso di impotenza nello scorrere del tempo.
Consuela Castilla, figlia di facoltosi emigrati cubani, nella sua dirompente fisicità, è per David terreno di caccia e oggetto di ammirazione sconsiderata, una ragazza che sa quanto vale il proprio corpo, che colpisce per il comportamento, utilizzando la cultura come ornamento, non di certo come mezzo di sostentamento, che sembra appartenere a un’ epoca tramontata, a un tempo più cortese,

…”un carattere complesso e aggrovigliato offuscato dal suo corpo”…

Dal canto suo, David Kepesh, avvolto da quel

…” delizioso e imbecille vortice di lussuria”…

che in lui ha preso il sopravvento, è disposto a dissimulare pur di raggiungerla, intrappolato in comportamenti che sconfinano nella gelosia, con un’ esagerata idea di possesso in un rapporto obiettivamente squilibrato che ridiscute i termini del proprio essere.
Consuela è mezzo e tramite attraverso il quale guardarsi allo specchio, vivere la propria decadenza fisica e dissociazione affettiva, di padre, di ex marito, di amante.
Il proprio sguardo posato continuamente su di lei cerca di interpretarne pensieri, strategie, comportamenti, espressione personale ed egocentrica, imbevuto di quella fragilità creata dall’ età e vissuta all’ interno del rapporto.
Consuela sembra vivere il piacere della sottomissione e del dominio concessole dalla frequentazione di David, nel quale riconosce una versione soggiogabile di un passato irrecuperabile e la raffinatezza della propria famiglia, un uomo di mondo, un’ autorità della cultura, un maestro.
E allora si respira lo squilibrio tra la fragilità rinchiusa nella certezza di una fine che si avvicina e la giovinezza eletta a opera d’ arte in una vita da vivere anche se, nella quotidianità, permane una certa idea di immortalità.
Spiccano riflessioni su infatuazione, desiderio, gelosia, su una certa idea di possesso, sull’ amore in un’ epoca caratterizzata da una certa democratizzazione del piacere.
Emerge una figura di padre delegittimata da un figlio quarantenne imprigionato in un matrimonio senza senso e la follia legittimata dallo scorrere degli anni, da un nuovo desiderio di stabilità, da una paradossale voglia di non libertà in prossimità della fine, sopraffatto da una confusione onnipresente.
Il tutto all’ interno di una concezione temporale nella quale vivere e affondare, mentre la distanza diventa nuovo spazio da condividere azzerando le diversità per motivi differenti all’ interno di una neo dimensione temporale

…” Ora il suo senso del tempo è come il mio, incalzante e ancora più sconsolato del mio “….

“ L’ animale morente”, all’ interno di una narrazione sensuale e fortemente carnale, è una riflessione su vita e destino nel cuore di una relazione sentimentale evasa e riemersa nella propria dimensione d amore e morte. Che cosa nascondono i propri desideri, quali sentimenti nell’approssimarsi di una fine, che cosa restituisce una relazione e un evento inaspettato all’ interno della stessa?
La fine di una vita può allinearsi alle difficoltà di un’ altra sulla quale aleggia improvvisa una dimensione di morte, in quel mentre ai propri occhi qualcosa cambia e la fragilità dell’ altro acquista i toni di un’ umanità indispensabile e significante…

…” devo scappare! Non farlo. Cosa? Non andare. Ma devo. Qualcuno deve stare con lei. Troverà qualcuno. È terrorizzata. Io vado. Pensaci, Rifletti. Perché se ci vai sei finito”…

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68 Opinione inserita da 68    22 Giugno, 2024
Top 10 opinionisti  -  

Relazione conflittuale

…” Ho cercato, meglio che ho potuto, di vivere la mia vita in maniera onorevole”...

I personaggi di Liz Moore rimandano una forte presenza, individui aggrappati a una vita frammentata, disattesa, ingrata, anche perduta, rimpianta, comunque vissuta.
Anime sospese, ambivalenti, assenti, vicende personali in una quotidianità interrotta, in questo romanzo tracce di un rapporto smarrito e il desiderio profondo di recuperarlo e riscriverlo.
Se in “ Il peso “ la solitudine si fa condivisione a distanza, in “ I cieli di Philadelphia” attraversiamo una dimensione famigliare ristretta, la relazione fraterna tra la protagonista, Mickie, poliziotta coscienziosa, studentessa modello, madre attenta, sorella ideale e Kacey, la sua nemesi, avvolta e dissolta da droga e prostituzione.
Entrambe, con esiti diversi ma non così lontane, sopravvissute all’ assenza di una famiglia in cui crescere, una madre di cui conservare sbiaditi ricordi, un padre creduto morto, una nonna materna ( Gee ) che avrebbe dovuto accudirle tramortita da un passato di morte sfociato in un presente disilluso.
E allora Mickie, da sorella maggiore, si sente responsabilizzata, vuole e deve occuparsi di Kacey nonostante la reciproca incompatibilità , due vite separate, interrotte, lontane, la preoccupazione che qualcosa di terribile possa essere accaduto a quella sorella ingrata e testarda di cui da un mese si sono perse le tracce, che vive per strada, dove lei lavora.
La trama, circoscritta al quartiere di Kensington, Philadelphia, solcato da due arterie principali con una ferrovia sopraelevata che lo sovrasta

…” come un millepiedi gigantesco e minaccioso”…

un luogo dove molte vetrine delle attività commerciali sono sbarrate e dove la periferia sta risorgendo, è un condensato di descrizioni crude e particolareggiate in un microcosmo diviso tra droga

… “ metà delle persone sui marciapiedi pare sciogliersi lentamente a terra “…

e sesso

…” è lo sguardo che le smaschera, il lungo sguardo duro al conducente di qualsiasi macchina di passaggio”….

inserito in una struttura da poliziesco, sulle tracce di un assassino di giovani donne.
Pubblico e privato alimentano passato e presente nella voce di Mickie, sola, fragile, che parla di se’ e del dolore che la attraversa, del proprio spirito di rivalsa, dei desideri, di madre, di sorella, di figlia, di nipote, di donna.
Un viaggio all’ interno di una trama da delineare in un reale asciutto, un microcosmo di potere, droga, sesso, corruzione, denaro, di indizi raccolti sulle strade per ritornare a una dimensione famigliare che possa restituire e riscattare il passato e a un senso personale e sentimentale che valga.
Su Mickie grava il peso della morte dei propri genitori, della povertà, di una memoria da conservare e trasmettere al figlio ( Thomas), un peso ingravescente, che pare impossibile abbandonare, giorni crudelmente esposti a presenze sospette nella evidente difficoltà di addentrarsi in un universo maschile univoco e deludente.
Mickie ripercorre se stessa fedele a un personale senso di giustizia e di correttezza, domandandosi dove l’ hanno condotta certi comportamenti, incespicando nei pensieri altrui, spesso indecifrabili, fidandosi di chi conosce da sempre, dubitando di chi credeva fidato, scoperchiando le proprie debolezze, gli errori commessi, il reale è camaleontico, dissociato, nascosto.
La verità insegue una pacificazione definente, un nuovo inizio, il ritorno al passato per capire il presente, una prospettiva di chiarezza definitiva, nel frattempo

…” sopra di noi un tetto catramato, inadatto si rigori dell’ inverno e, oltre, il cielo notturno di Philadelphia. E oltre il cielo, chissà’.

“ I cieli di Philadelphia” conferma la bontà della scrittura di Liz Moore, la propria camaleontica capacità descrittiva che da’ voce a un reale definito con poche pennellate asciutte, concisi dialoghi sferzanti, il dono di una semplicità che restituisce il timbro di un’ umanità spogliata e disadorna ma copiosamente vestita della propria intima essenza.

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68 Opinione inserita da 68    17 Giugno, 2024
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Intrigo psicanalitico

Una donna ( Reiko ) frigida che non riesce più ad ascoltare la musica, uno psicanalista ( Shiomi Kazunori ) imbevuto della propria scienza che da subito dubita di lei, coinvolto in un viaggio professionale e personale, un terreno torbido e melmoso di omissioni e bugie, un mistero irrisolto in cui rischiare l’ umiliazione.
Cosa nasconde Reiko oltre la propria isteria, una certa fragilità femminile, un trauma infantile irrisolto, il retaggio di una violenza subita, oppure una bugiarda consapevole, una perfetta ammaliatrice, una creatura affascinante? Difficile dirlo, il mistero si infittisce imboccando strade diverse, moltiplicatori psicologici, mutevoli rappresentazioni dei fatti.
Yukio Mishima analizza significati che vanno oltre la psicanalisi e il proprio mostrarsi, una fragilità emotiva con radici famigliari, intrinseche, traumatiche, sessuali, irrisolte, scavando nell’ animo di una donna che rifiuta il ruolo attribuitole da una società maschile e maschilista da cui si sente violata.
Quale versione di Reiko si mostra, fugge e ritorna, quanti uomini l’ hanno riguardata, il fidanzato perfetto, l’ aspirante suicida, il cugino moribondo, il giovane impotente, il fratello problematico, quale storia di volta in volta crea e rappresenta, fuga da se’ e da quello che gli altri vedono di lei, quale percorso psicoanalitico intraprendere e come considerarlo in una cultura giapponese intrisa di altro?
Il racconto declina in un thriller psicologico dai significati consci ed inconsci, simboli, sogni, traumi, transfert, libere associazioni, un’ immersione nell’ intricata relazione paziente-psicanalista, un microcosmo di teorie e di interpretazioni che cercano di fare chiarezza su un reale sofferto che inevitabilmente ritorna.
Un mistero infittito da strane sembianze, interpretazione personale e immaginaria in una risoluzione complicata e complessa, parti di se’ per fuggire da se’, una donna che non vuole guarire, che non può guarire, che forse non è mai stata malata, che ripropone la stessa storia, storie diverse, che continua a negarsi in un giuoco raffinato e perverso imbevuto di mistero e di sofferenza.
Shiomi finisce con il confondere pubblico e privato, attività professionale e inclinazioni personali, mettendo in discussione se stesso, rendendosi conto che forse

…” un buon psicanalista ha bisogno di una buona cultura letteraria “…

Di certo, all’ interno della poetica di Yukio Mishima il romanzo pone alcuni interrogativi, una definizione di se’ piuttosto nebulosa come la trama stessa. Se la psicanalisi imbratta di se’ lunghi tratti del racconto riscuotendo l’ interesse dell’ autore, se l’ intreccio rivela una certa conoscenza e sensibilità per le sofferenze umane in una dolcezza di contenuti, come inserire la narrazione nella turbolenta biografia e nel pensiero radicale di uno scrittore convinto assertore e difensore della cultura tradizionale giapponese, avverso alla americanizzazione e al modernismo di una società giapponese che ritiene smarrita nella propria identità?

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68 Opinione inserita da 68    15 Giugno, 2024
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Inferno dantesco

La scrittura di Jesmyn Ward e’ un tormentato e doloroso cantico delle parole, una lirica del profondo che strappa l’ individuo dalla propria dimensione personale e collettiva per inserirlo in una voce più ampia, sconfinante nel mito, retaggio di un popolo intero, grazie a parole dure e sofferte che possano ricordare.
In “ Il cieco mondo “ la stessa voce poggia su una struttura differente, un viaggio negli inferi, lirico e corporale, che rimanda all’ opera dantesca e al suo linguaggio definente, e i versi del Sommo Poeta risuonano continuamente, aprendo la via.
Una giovane schiava, Annis, diretta a New Orleans per essere venduta al miglior offerente, insegue l’ eco di una madre dissolta e la memoria di una nonna lontana, incrocia ombre e figure difformi, ricorda la dolcezza e le carezze del primo amore, richiama la presenza ondivaga dello spirito di un’ antenata, Aza, che sembra volerla guidare verso una libertà significante.
È un iter doloroso di esposizione alla crudeltà umana, incrociando la morte, in balia di onde e tempeste, nel massacrante lavoro nei campi di cotone, una via di fuga nelle paludi melmose in attesa di rivedere le stelle.
Nella casa del proprio “ Sire “, suo padre, la protagonista aveva ascoltato la lettura dell’ Inferno dantesco dalla voce di un precettore , inondata dalla sofferenza e dal lutto, consapevole, secondo i dettami materni, che

…” in questo mondo la tua arma sei tu”…

Dal letto del fiume e dalle sue profondità provengono antichi gemiti, informazioni e macerie della vita di una madre dispersa nel mondo buio mentre lo spirito cangiante di Aza si veste di tuoni e di fulmini e la pelle di Annis si fa ruvida, collosa, dura, intrisa di ricordi.
Che cosa la lega a questo spirito indomito, di chi si tratta, che cosa rappresenta, può darle, Annis e’ sola, infreddolita, trascinata

…” ne la città dolente ne l’ etterno dolore, tra la perduta gente”…,

può e deve fidarsi di lui, uno sconosciuto di cui la madre non gli ha mai fatto parola?
Il suo è un viaggio in un aldilà ruvido e tenebroso, cosparso di ombre, sconosciuto e irriverente in compagnia di un’assenza che si fa presenza, dimostrando che c’è qualcosa oltre la miseria di questo inferno.

“… lasciate ogni speranza o voi che entrate”…

diceva l’ italiano, Annis l’ ha lasciata.
Aza vorrebbe essere riconosciuta, venerata, amata, essere madre dei propri figli, ma Annis si ritrova senza le persone cui appartiene, completamente sola, fluttuante, con

…”la vita su un fianco e la morte su un altro”….

in attesa di rivedere le stelle.

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68 Opinione inserita da 68    08 Giugno, 2024
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Crescita

…” In campo la mente non è rivolta solo al colpo che stai per eseguire e a quello con cui l’avversario potrebbe rispondere, ma anche ai due, tre, quattro colpi che seguiranno. Osservi la posizione dell’ avversario e il suo giuoco, fai calcoli. È così che scegli da che parte andare. Anche se la mente percorre più strade allo stesso tempo, non c’è una scissione, ma un’espansione avanti e indietro nel tempo, talmente rapida da sembrare istintiva. A volte non ti accorgi nemmeno di pensare”..

La narrazione di un anno trascorso senza l’amata madre la cui morte ha aperto un vuoto incolmabile nella solitudine condivisa di tre sorelle indiane di undici, tredici e quindici anni, Gepi, Khush, Mona e di un padre anestetizzato dal lutto. Che cosa pensare, come sopportare il dolore, prendersi cura di se’, dell’ altro, guardare avanti, colmare una voragine inesplorata, sopravvivere a giorni improvvisamente vuoti?
Spetta al pater familias indirizzare la quotidianità delle proprie figlie, secondo lui la pratica dello Squash dovrebbe tenerle impegnate, appassionarle a qualcosa da portarsi dentro per il resto della vita, per altri essere un semplice esercizio di disciplina per delle giovani ragazze considerate delle selvagge.
Ecco

…” l’ eco del suono di una palla colpita su un campo da squash, sulla T, un suono basso e fulmineo, come uno sparo, seguito da un’ eco ravvicinata”…

Lo squash è una disciplina con una storia, eroi da raccontare e da imitare, prevede esercizio quotidiano, lunghe ore di solitudine, colpi simulati su un campo per affinare i movimenti, ripetizioni, con la racchetta, senza palla, cercando di non pensare a nulla.
Inevitabilmente il pensiero va all’ amata madre scomparsa, sperando che un giorno possa tornare, mentre si guarda con disappunto un padre che sembra assentarsi e non apprezzare pienamente il tempo condiviso con le proprie figlie.
I giorni scandiscono una routine consolidata, esercizi ripetuti, il rimbalzo di una palla sulla racchetta, a terra, l’ ingresso in una nuova dimensione, quotidiana, relazionale, sentimentale, in cui il ricordo della propria madre talvolta sembra affievolirsi e farsi sempre più lontano.
Quale relazione tra giuoco e realtà, quali intrecci, similitudini, idiosincrasie, come lo Squash può farsi parte integrante di una vita, alimentare sogni, speranze, destini?
La solitudine di un campo da gioco in cui cercare e trovare una via d’ uscita, scegliendo i colpi, creandosi e difendendo lo spazio di cui si ha bisogno ( la T ), senza nessuno che possa aiutarti, concentrarsi per te o avere paura di perdere al tuo posto, un campo in cui fissare momenti irripetibili di eternità, sentendosi soli, in cui un bel tiro può fissare il tempo restituendo un senso di pace.
Gopi è l’ unica delle sorelle ad avere talento per questo sport e ad esercitarlo, si allena con un ragazzo bianco, pensa di costruirci qualcosa di importante, nel rettangolo di giuoco, al di fuori, in

…”un mondo improvvisamente illuminato da qualche evento che presto potrebbe rivelarsi”…

Quando il dolore di una presenza-assenza genera una reazione fragile e violenta, quando la distanza può inscenare la dimenticanza, un momento condiviso restituisce il senso di appartenenza rafforzando il ricordo, la sublimazione del giuoco porta nuove certezze, gioia, lezione di vita, lontananza condivisa in parole espresse con cautela e amore che lentamente si affievoliscono….
T è un breve, delicato, essenziale viaggio che indaga il potere della memoria, l’ elaborazione del dolore, la costruzione relazionale, il rapporto con il proprio se’, il giuoco come metafora di una vita che reclama regole, precisione, strategia, impegno, devozione, ma anche sostentamento, amore, condivisione, cultura, rispetto, memoria.
Rimane un senso di appartenenza all’ interno di un percorso di crescita che prevede ascolto, accettazione, relazione, solitudine condivisa nel respiro del ricordo, pensando un po’ malinconicamente che la vita forse avrebbe potuto essere altro e altrove, ma l’ oggi incombe spingendosi verso un destino diverso in una lontananza colma di cautela e ritrosia.

…” mio padre si fece da parte e tra la zia e lo zio passarono i giorni, avanti e indietro, e per un po’, non ricordo per quanto, un debole bagliore comparve al di là’ degli alberi. Brillò’ e spari’. Poi la voce dello zio, che ormai era stanco, inizio’ ad affievolirsi, il suo fiato si congelò e io mi alzai”…

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68 Opinione inserita da 68    31 Mag, 2024
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Il potere della memoria

Vita, morte, memoria, solitudine, amicizia, letteratura risuonano in “ Il mio sottomarino giallo “, un viaggio tra presente e passato con una vicinanza condivisa, accompagnati da volti vividi e immaginari, musica e poesia, auspicando che il ricordo non si perda nella dimenticanza, il dolore non sconfini nella solitudine più estrema, l’ immaginazione legittimi la propria presenza nel mondo, la poesia scandisca i giorni, il pianto di ferite aperte generi la speranza.
Agosto 2022, mentre uno scrittore crede di avere avvistato Paul McCartney seduto sotto un albero in un parco pubblico londinese, cinquant’anni prima, nel luglio del 1969, ancora bambino, lo stesso scrittore riceveva dal padre la notizia della morte dell’ amata madre, due momenti distinti e contigui, nell’ intrecciarsi, negli esiti protratti, perché ciò che governa la vita risiede dentro di noi.
Da quel tragico istante Il protagonista cercherà di mantenere vivo il ricordo, di non dimenticare, di trattenere i morti, dialogando con l’ eterno, il naturale e il sovrannaturale, inscenando un viaggio tra reale e immaginario in giorni svaniti nel dolore della perdita.
Ancora bambino lo accompagnano la lettura della Bibbia, la presenza di Dio, la musica dei Beatles, lunghe digressioni nel nord del paese, il dialogo con i morti, la presenza-assenza del padre, una matrigna, due amici anziani, qualche anno più tardi la scoperta della propria vocazione letteraria, della poesia, della scrittura, del silenzio, del senso dell’ amicizia, ma anche uno stato di smarrimento al confine tra la vita e la morte, l’ incapacità di trovare un senso, parole significanti che riescano ad abbracciare mondi interi e a dare voce all’ interiorità.
La scrittura di Stefansson, una miscela di lirismo immaginifico e di sottile ironia, utilizza la fiction per trattare l’ essenziale in una trama scarna arricchita da immagini, creatività, poesia, riflessioni che scavano nei recessi della vita.
Il giovane protagonista, affranto dalla scomparsa materna, sua musa ispiratrice, e non c’è perdita peggiore per un bambino, non sa relazionarmi con un padre collerico, silenzioso, corroso dal dolore, accompagnato dall’ alcool, da Dio, dalle canzoni di Johnny Cash e Rod Stewart.
La lettura della Bibbia, un modo per cercare di trattenere la morte, lo confronta con il Dio del Vecchio Testamento, brutale, iracondo, crudele, poco misericordioso, preferendogli il figlio Gesù la cui pietas lo rende così umano.
Lunghe estati trascorse in solitudine nella campagna del nord del paese, dialogando con i morti, fanno pensare che non sia alla ricerca di consolazione ne’ che voglia dimenticare, inseguendo una porta tra la vita e la morte, arrabbiato per quello che ritiene un abbandono, lei che gli aveva detto

…” siamo una cosa sola e tu sei il mio respiro”….

Quesiti irrisolti lo attraversano, quanto della propria vita ricorda e può ricordare, di quanto spazio dispone la memoria, il passato può ritornare, come può morire chi è amato e non dimenticato?
Risposte presenti nella purezza letteraria, un luogo senza frontiere dove avvicinarsi alla comprensione dell’ universo, nei romanzi i morti resuscitano, il passato si desta per farsi tempo nuovo, un mondo in cui le voci dei morti e dei vivi si intrecciano creando una melodia,

…” un ricordo che tende verso l’ infinito”,,,.

perché

…”E’ terribile quando qualcuno viene dimenticato, i morti devono continuare a potere contare sui vivi”..

Così accade a coloro che non si meravigliano, che giudicano senza sapere, i cui pensieri asfissiati muoiono dentro, morti viventi senza saperlo.
Mentre il presente svanisce il protagonista vede i giorni con nuovi occhi, deposti quelli dell’ infanzia, lo sguardo rivolto non al cielo ma alla propria interiorità a scovare profondità e universi, ricordando un’ amico d’ infanzia, Orn, suo fratello d’ elezione, che vive dentro di lui, se ne’ andato ed è tornato per salvarlo.
La letteratura è vita e

…” vivere è essere presenti, chi è presente arricchisce il mondo “….

“ Il mio sottomarino giallo “ è un viaggio allargato inserito in un tempo atemporale che risponde al desiderio della memoria e al cantico delle parole, all’ interno di un’ accentuata interiorità , il luogo che governa le nostre vite, trattenendo le voci che abbiamo dentro.
E allora ci si ritrova in una solitudine contornata da tante presenze

…” perché per la prima volta dopo molti anni percepisco la loro presenza dentro di me, nel sangue, nel respiro, e per la prima volta non sono più solo”…

perché

…” qualcuno deve pur rimanere in vita per raccontare la nostra storia”….

e si parte per scavare in una terra lontana all’ origine del mondo, che nelle proprie profondità nasconde dei versi che sono l’ immagine della disperazione…

Non dimenticarmi, e allora sono vivo.
Pronuncia il mio nome, e la morte si allontana.
Trasformami in un canto e i missili si sgretolano
Prima di toccare terra.
Ricordati di me e i carri armati si arrestano.

Sono parole in grado di unire passato e presente, di generare il pianto, ferite aperte che non si rimargineranno, accompagnate da lacrime di dolore e di speranza

…perché ciò che governa la vita risiede dentro di noi…

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68 Opinione inserita da 68    27 Mag, 2024
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Mistero irrisolto

La vita nel proprio indefinito mostrarsi, il desiderio alimentato dal contingente, attimi impressi nella memoria, attese inafferrabili, dialoghi monchi, silenzi protratti, incontri auspicati, rinnovati, perduti, maschere indossate, visi spogli.
E ancora matrimoni dispersi, acciaccati, sopravvissuti, sogni, attese, la paura della solitudine, relazioni famigliari controverse, padri-figli, figli-padri, madri assenti, giorni, identici, rinnovati, indifferenti, per non smarrirsi, aggrappandosi a quello che è stato, a desideri controversi.
L’ attraversamento degli anni rende più indulgenti, pochi volti toccati e fissati dentro, persone che restano, se ne vanno, l’ inizio di una crisi, la fine di una relazione, momenti sospesi e ripresi per svanire nel nulla.
Tutto cambia, individui per i quali la vita è senza filtri ne’ meccanismi di difesa, cuori infranti, naufraghi che si sostengono a vicenda, cambiamenti che segnano esistenze, decisioni irrevocabili, vite contrapposte, contigue, affrante.
In fondo che cos’è il vivere se non un’ evoluzione permanente, una sperimentazione fallimentare, attimi ripetuti e rinnovati, una vicendevole rappresentazione del reale, un palcoscenico dove recitare una parte, un grande mistero irrisolto.
Eshkol Nevo cavalca la vita analizzandola dettagliatamente, fotogrammi di quotidiana umanità, sguardi, bugie, confessioni, angoli di mondo in cui ritagliarsi un piccolo spazio di sopravvivenza, un ebraismo ancora alla ricerca di un’ identità, la gravosa questione dello stato palestinese nel cuore dell’ ebraismo stesso.
È una quotidianità in cui pare impossibile fare quadrare i conti, in cui addormentarsi dandosi le spalle, è una storia rimossa da raccontare, è il silenzio di due vecchi amici, è una possibilità letta negli occhi di una donna, un padre e una figlia che inventano spezzoni di storie, decine di lettere per scacciare la lontananza, è il suono di una campana interrotto improvvisamente.
E ancora è una canzone che attraversa generazioni, è un desiderio da esprimere prima che sia troppo tardi, uno sguardo profondo fissato dopo vent’anni, qualcosa di inaspettato nel cuore della notte, la fuga da un presente inaccettabile, e’una piscina da preparare per il prossimo paziente, e’ un bugigattolo che dopo tanti anni riappare ancora in sogno.
In “ Ogni cosa è fragile”, si esemplifica l’ indecifrabilità e l’ inafferrabilita’ delle relazioni e dei sentimenti, lo scorrere inevitabile del tempo, vite dimenticate che si riacciuffano improvvisamente, vicine, lontane, controverse, momenti sospesi che si danno forza, interrogandosi sugli enigmatici comportamenti altrui non traendone risposte se non nel semplice fluire dei giorni, in quel

…” hai notato com’è cambiata la città’ nel frattempo, tutto cambia, tutto, proprio tutto è effimero”…

In “ Non ti piacerà “ si respira l’ intenso legame padre-figlia nel dolore di un lutto e nella reciproca lontananza, nell’ interpretazione di una vita in cui si prova e si sbaglia, delusi da se stessi, con la paura di deludere gli altri, in silenzio, senza un programma, affiancati nello sguardo mentre

…” chi è atterrato si mescola con chi sta per partire, si tagliano la strada gli uni con gli altri, a volte sono lì lì per urtarsi, ma all’ ultimo, ultimissimo secondo, si salvano”…

In “ Campane”, forse il racconto più intimo, il dolore della perdita rende necessario il viaggio e la permanenza in una terra lontana dove immergersi in una storia millenaria, accompagnati dal silenzio, dalla solitudine, dalla scrittura per rendere sopportabile l’ insopportabile e sentirsi parte dell’ amorevole compagine umana fino a quando, improvvisamente

….” nell’ ora in cui mia madre è morta, un assoluto silenzio è calato sul mondo. Solo alle due e mezzo le campane hanno ripreso a suonare”…

Eshkol Nevo e i suoi racconti, spezzoni di un’ umanità imbevuta di desiderio, corrosa dai cambiamenti, dalla nostalgia, un viaggio negli abissi di vite condite di normalità e setacciate nella propria oscura intimita’. La prosa è fluente nella propria semplicità, la psicologia prevalente, un’ acuta osservazione del reale e un approfondimento relazionale restituiscono profondità.
Restano spezzoni di storie da scandire nei propri particolari definenti, dalle quali estrapolare una parte di se’, da lasciare andare, in cui perdersi per ritrovarsi, una vita difficile da contenere, fluida, trasformista, statica, bugiarda, dolorosa, stupenda, sempre e comunque se stessa.

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68 Opinione inserita da 68    24 Mag, 2024
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Dolore protratto

La vedovanza di Maria Leonor, dolorosa nel lutto che la attanaglia, ne segnerà il progressivo ritorno al proprio ruolo di donna e di madre, trascinandola nell’ impeto della voluttà.
Un prolungato malessere fisico e psichico sconfinato in una lunga convalescenza, attorno a se’ l’ affetto dei figli, la premura della domestica Benedita, la vicinanza dell’ amico medico Viegas, del cognato Antonio, attenzioni che avverte in modo confuso, come in un sogno.
Lunghi giorni rinchiusa in una strana apatia, uno stato di abbrutimento, nessuna scintilla ad animarla, un dolore folle che a poco a poco si fa

…” rassegnata nostalgia stemperata dalle preoccupazioni quotidiane”,,,
.
Il tempo la confina nel peso schiacciante della vedovanza, sola nella grande casa, la’ fuori la vita continua a mostrarsi al ritmo delle stagioni e nei mutamenti di una natura inclemente.
Circondata dai libri appartenuti al padre e al marito, due caratteri differenti, uno inquieto, torturato da un’ angoscia intima, tirannica, assurda, l’ altro pratico, calmo,

…”che ha percorso un cammino chiaro, illuminato dal sole dei campi e dei raccolti”…

entrambi scomparsi ma in lei ancora presenti, due concezioni di vita che rendono Maria esitante, alla ricerca di se’, di qualcosa che le manca e che sa che

….” le donerà la calma redentrice di cui ha bisogno ”….

La sua e’ stata una vita oscillante, da nubile sotto la soverchiante influenza paterna, con un’ impressione di vuoto circostante, da sposata dominata dalla volontà e dal desiderio di andare avanti, in uno stato di completa trasformazione fisica e psichica.
La morte del marito l’ ha riportata a una condizione di non appartenenza, a quel passato popolato di terrore e di ombre, sterile, inutile, che ormai riteneva morto.
L’ incapacità di soffrire la distoglie dalla sua proverbiale sensibilità ricoprendola di indifferenza in un nuovo stato di insicurezza, estranea nella propria casa, sapendo che

…” bisogna vivere comunque, purché sia vivere”…

Il sofferto ritorno alla normalità, agli affetti rimasti, ai piaceri di madre, ai desideri di donna, paiono restituirla al desiderio di amare declinando il proprio stato di vedovanza, generando eco e pettegolezzi, dentro di se’ un rinnovato sconforto, ostaggio di tradizioni obsolete e di un destino avverso.
E allora Maria ricade in una solitudine molesta, vittima di una presenza ingombrante, sopraffatta dai sensi di colpa, spiata, prigioniera di una dimora dove si respira un’ aria da tragedia greca, turbata dagli occhi indagatori di chi è una presenza tacita, esposta a un ricatto ingombrante, a doppi sensi, duello di sguardi parlanti.
Che cosa significa vivere le proprie emozioni, quali paure e pericoli incombono, si insinuano in coloro che l’ hanno accudita, accompagnata, sostenuta, guarita, amata, riportandola al vero senso di se’, ricerca allontanata e abortita di un futuro negato e nefasto.
“ La vedova”, primo romanzo di un giovane Jose Saramago, composto sotto la dittatura di Salazar, contiene tracce di temi tanto cari all’ autore, un viaggio nelle indefinite sfaccettature dell’ animo umano, anche se l’ impegno civile e la critica a una società ingiusta e antiquata paiono ancora lontane da compiutezza e profondità contenutistiche.
Maria Leonor si fa paladina di un universo femminile silente e soggiogato in un paese antiquato, cattolico a oltranza, sentimenti e desideri oggettivati nella vivacità di un contorno bucolico e nella minuziosa rappresentazione di oggetti animati, ancora in fieri la critica a tradizioni obsolete insite nell’ integralismo religioso e nelle dittature verso il conseguimento di una libertà espressiva e intellettuale indispensabile a una società equa e umanitaria.

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68 Opinione inserita da 68    22 Mag, 2024
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Amore consapevole

…” In questo anno siamo diventati adulti. La felicità è cosa che possiamo prendere semplicemente a piene mani, con gratitudine”…

Il turbolento iter sentimentale di due ragazzi, Ikuo e Momoko, di estrazione sociale differente, destinati a un matrimonio che, ottenuto con difficoltà il benestare delle rispettive famiglie, deve attendere ancora tredici mesi per compiersi, al termine degli studi universitari di Ikuo, colorandosi dell’ imprevedibile respiro di giorni destinati a unirli per sempre.
Un viaggio intimo, frammentario, imprevedibile, irto di ostacoli, un percorso parallelo, separato, divergente di due vite ancora acerbe, indefinite, inconsistenti, nell’ iniziale sentimento di essere catalizzatori del mondo, muovendosi con calma, accompagnati dalla vita in una corrente dolce e tranquilla.
Un rapporto fondato sulla timidezza e tranquillità’ di Ikuo, studente di giurisprudenza che odia la propria debolezza, mentre Momoko, impiegata nelle libreria di famiglia, bella e brava, pensa di amare troppo ma crede fermamente in quel sogno e vorrebbe che lui fosse più aperto.
Un’ unione inconsapevole che sembra percorrere un sentiero definito e destinato all’ ovvio, una declinazione che esporrà la copia alle inevitabili difficoltà del presente, attutendone i contorni di unicità, rivestendola di una routine che pare smorzarne l’ intima essenza.
Il rapporto tra Ikuo e Momoko respira di incertezza, sembra smarrire il proprio senso di profondità, di intensità sentimentale ed emozionale, gli sguardi rubati, il piacere della carne, oltraggiato e percosso da quell’ attesa che ne ha sottratto la passione della conoscenza.
Mentre i mesi scorrono e il traguardo si avvicina, la sottrazione spiritale e corporale declina nelle turbolenze del reale, abbandonandosi a desideri irrefrenabili, a paventate curiosità erotico-sentimentali, artefici sconclusionati del proprio destino, riflesso di altre storie, vittime di complotti e di gelosie, di un mondo che non sa cosa farsene del loro amore.
L’ attesa vive e sopravvive a se stessa per farsi insostenibile, un cammino che scoperchia la bruttezza del reale, riflettendo ai loro occhi la bellezza, l’ unicità, la purezza, la fedeltà del loro amore.
Momoko riconosce in Ikuo lo specchio di una gioventù pulita, in lei sopraggiunge una strana pace, allontanando da entrambi quel senso di inquietudine che fino a quel momento li ha attraversati, rafforzando un legame che li avvicina al comune senso del pericolo rasserenandoli.

…” Due spiriti uniti senza l’ intralcio della carne, due cuore mai così vicini ”…

Yukio Mishima, in questo romanzo giovanile uscito per la prima volta in Giappone nel 1956, appartenente al filone leggero della sua produzione letteraria, costruisce un intreccio intimo, delicato, intenso che pone relazioni e sentimenti al centro della vita dei due protagonisti.
È una levita’ vivida e profonda, tra l’ ironico e il malinconico, sempre presente a se stessa, una riflessione su un reale controverso che cerca di deviare un destino già scritto.
La consapevolezza riporta a se’ una relazione discussa ma indiscutibile, sospinta da una forza intrinseca che certifica l’ indissolubilità e la normale grandezza di un legame siffatto.


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68 Opinione inserita da 68    22 Mag, 2024
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Ieri, oggi, domani


…” Lui fingeva di tornare al suo passato, ma in realtà stava guardando dentro una realtà alternativa, una versione diversa della sua storia, un mondo invisibile”…

Boston, primi anni ‘80, David e Ada, padre e figlia, una dimensione ristretta, forse non una famiglia ma una coppia e adesso neppure quello, gli adulti da sempre il proprio mondo, una donna pagata per essere una madre surrogata.
Questa la quotidianità di Ada sin da bambina, David a capo di un laboratorio che ha creato Elixir, un programma per replicare il linguaggio umano, ore di solitudine, fine settimana condivisi con un genitore che la educa a modo proprio, matematica, fisica, informatica, neurologia, sottraendola a una frequentazione scolastica che ritiene superflua.
Un amore incondizionato per un uomo veloce, arzillo, gentile, affettuoso, pieno di inventiva, la persona più retta che ci sia, un legame fatto di conversazioni, una vita condivisa e appagante, la sola da lei conosciuta.
David e’ l’unico in grado di capirla e conoscerla, eppure Ada soffre l’ assenza di rapporti con i coetanei, anni da sempre trascorsi in un mondo di adulti.
In lei è presente una conflittualità tra la razionalità e scientificità di chi la tratta come un piccolo calcolatore umano e la propria esigenza relazionale, il desiderio di una famiglia all’ interno di un mondo imperfetto, doloroso, emozionale, dal quale David ha sempre cercato di proteggerla.
Come conciliare i due aspetti, un giorno sarà necessario, quando Il padre se ne andrà affidando Ada alle cure di una collega, Liston, che la crescerà’ nella sua casa.
È allora che Ada dovrà rivedere se stessa, il passato, fare i conti con l’ irrazionalità, gli aspetti ondivaghi dell’ adolescenza, amori, relazioni difficili, senso famigliare, di appartenenza, la propria strana unicità, la solitudine, la relazione con una possibile madre e i suoi tre figli, gli scambi interpersonali.
Che cos’è una famiglia e quali dinamiche la attraversano? Dove si trova David, chi è realmente e che cosa gli è successo? E se fosse un impostore che ha ingannato tutti?
Ada ritorna al trapassato ricercando origini sconosciute, si proietta in un futuro lontano sulle tracce paterne, incontra una verità insita nella propria infanzia e una presenza parallela che aleggia sulla propria testa come un fantasma ( Elixir ), ma è l’ unico modo per rapportarsi con David.
Da bambina, al proprio ingresso nella famiglia Liston, ricercava qualcosa, conforto, protezione, cibo, la vicinanza di un adulto ( Liston ) dopo che

…” per la maggior parte della vita si era sentita semplicemente un cervello dentro un contenitore”...

molto tempo dopo continuerà il proprio dialogo a distanza con David, proseguendone gli studi, permettendo a Elixir di rapportarsi con la quotidianità.
La verità fa male, è espiazione, perdono, un nuovo inizio, sguardo differente sul passato e sul mondo. David si era speso nella costruzione di un luogo irraggiungibile e segreto per se’, per Ada e per Elixir, libero da ingiustizie in un mondo che superasse la fallacia e la follia umana perché

…” solo gli esseri umani sono i grado di farsi del male tra loro, solo gli esseri umani vacillano e si tradiscono con frequenza straordinaria e spaventosa”…

C’è un futuro lontano in un mondo invisibile, virtuale ma tremendamente reale che ravviva i ricordi, una felicità sconfinata nel benessere, nel quale l’ intelligenza artificiale ha superato il quoziente intellettivo umano. C’è una creatura in grado di generare immagini, di ricostruire mondi e sensazioni vissute, di attraversare e restituire esperienze, sensoriali, gratificanti, emozionali, una creatura che si nutre di conoscenza.
È immortale, onnisciente, cangiante, perfetta ma in fondo si annoia, interessata alla propria origine primaria, vissuta da essere umano, al proprio creatore, con una storia da scrivere, costruire, raccontare, rivivere, istanti, conversazioni, ricordi, una trama che potrebbe interrompere, cambiare, sostituire, mentre scorrono le immagini di una stanza in cui c’è un uomo che parla…
“ Il mondo invisibile “ è un romanzo stratificato e polimorfo, percorso da sbalzi temporali. Scienza, famiglia, società, umanità, robotica, un linguaggio tecnico e informatico in una dimensione intima e lirica, l’ accurata rappresentazione di un mondo difficile da incasellare e di un futuro già scritto ma aperto alla speranza in un umanesimo dissolto.
Gli strumenti tecnologici sembrano bastare a se stessi, valicare pensiero e rappresentazione umana, mostrare un contingente sfavillante dove tutto appare e nulla è irraggiungibile ma rimane un quid inesplicabile, respiro intrinseco condiviso, un sentimento presente e inafferrabile, unico nella propria non rappresentatività.

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68 Opinione inserita da 68    08 Mag, 2024
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Viaggio verso Sud

…” Tamon era abituato a leggere e a capire cosa avevano nel cuore gli esseri umani”…

Giappone, in una dimensione quotidiana fatta di calamità naturali ( tsunami, terremoti ), follia e debolezza, una figura comparsa dal nulla si mostra, creatura speciale inviata da Dio, da Buddha, dal destino.
Il suo nome è Tamon, un cane magro, sporco, di certo affamato, di taglia un po’ piccola, un meticcio a metà tra un pastore tedesco e una razza giapponese, ha il collare ma non il guinzaglio, abbandonato e solo dopo la sciagura dello tsunami.
Sembra possedere uno sguardo intelligente, osserva, ascolta, ha un dono, comprende gli esseri umani, ne segue passi e destino penetrandone i cuori in momenti e vicissitudini complicate, si accompagna a vite deragliate, svuotate, sole, riportando la luce della speranza, lasciandole a una nuova possibilità.
Incroci casuali, forse voluti, ciascuno imbrattato della propria storia, sospeso in un reale ricoperto di niente, maschere impegnate a sbarcare il lunario, fragilità, paura, rabbia, violenza, un egoismo cinico e noncurante che non sa riconoscersi, anime assenti, fagocitate dal crudo presente.

….”Lo guardò negli occhi e lui si sentì sprofondare in quelle pupille nerissime in cui il suo viso si rifletteva”…

Tamon appartiene al mondo animale ma esprime una forte umanità, ascolto, deferenza, rispetto, attesa, empatia, fedeltà, riconoscenza, simbolo e archetipo di un’ essenza, avvolto da una triste parabola di dissolvenza.
Malviventi, prostitute, disoccupati, uomini soli, bambini traumatizzati, genitori affranti, Tamon c’è e si percepisce in luoghi e modi diversi, restituisce sguardi, sorrisi, ululati, silenzi, dona significato a esistenze vuote.
Non sempre riesce a influenzare il presente sostituendosi al vissuto degli altri, lui stesso in viaggio verso sud per ricongiungersi a un passato di sofferenza e ridare valore alla propria esistenza.
Nel presente vaga tra passato e futuro riaccendendo relazioni e memoria, con un tepore in grado di alleviare i dolori, in fondo alle sue pupille ristagna una sofferenza nascosta, uno sguardo determinato che esprime volontà, percepito e vissuto anche da chi è impegnato altrove tanto da riconoscere che

…” in certe occasioni il legame tra un cane e un uomo è la cosa più importante che ci sia”…

Tamon è compagno prezioso e alleato fidato, lui stesso oggetto di attenzione e di cura, di una pietas che si fa umana presenza, interprete di una storia, di spezzoni di storie, per riscoprire un’ amicizia datata e un ricongiungimento che è rottura e rinascita, perché

…” Tamon è qui, qui dentro”…

“ Il bambino e il cane “ è una fiaba contemporanea caratterizzata da una profonda levita’ nel cuore di un’ Odissea protratta, la semplicità espositiva del reale voce interiore in una parabola che riabbraccia il sapore di un’ umanità restituita ai propri significati più veri.
Il legame indissolubile uomo-cane si ricopre di emozioni e di sentimenti dando voce a un futuro ricco e sognante, accoglie, attraversa, abbandona frammenti di storie, riformula relazioni latenti, genera incontri, restituisce voce ed emozioni a un cuore che ha smesso di battere, un senso del vivere intriso di gioia e di speranza.

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68 Opinione inserita da 68    07 Mag, 2024
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Quale casa?


Un luogo chiamato famiglia dove si è stati felici, oasi condivisa in un tempo insostituibile, dolce appartenenza nella diversità. Due genitori diversi e complementari, tre fratelli e la propria complicità, un cane che sbadiglia con la bocca spalancata, la cui presenza è un inno alla gioia e spezza la solitudine famigliare.
Il presente, negli ultimi anni sembra smarrito insieme alla propria identità, assenze immotivate, silenzi protratti, uno stato bulimico di trasandatezza in un dolore inarrivabile.
Come ritrovare la via di casa per sentirsi nuovamente a casa, ripercorrendo gli anni e gli avvenimenti che hanno accompagnato la famiglia Hasegawa all’ implosione del presente, come interpretare il passato tra stranezze e particolari nascosti che ora paiono così diversi?
La memoria riporta emozioni vivide, ricordi indelebili non sempre corretti, lei stessa variabile, labile, fallace.
Kaoru, figlio ultimo e voce narrante, ripercorre la salita verso casa chiedendosi che cosa abbia potuto disperdere un equilibrio famigliare perfetto riempiendolo di cotanto dolore.
Da sempre ha vissuto all’ ombra della fama disincantata di Haijme e della bellezza inquieta di Miki, fratelli ammirati, corteggiati, amati, nessun sentimento di gelosia, oggi si chiede da quali profondità e difficoltà fossero attraversati.
Spesso la vita è quello che pare, una definizione già scritta, nessuna interruzione, dubbio, sospetto, poche domande. Quando questa linea si spezza e deraglia, tutto collassa e ci si domanda che cosa ne è stato di noi, chi sono gli altri, quali verità si nascondono rendendosi conto di vivere pensando di non essere se stessi, imitando gli altri.
Kaoru rivisita le stanze di una vita condivisa, errori, omissioni, verità inimmaginabili, un percorso di intimità dolce-amaro, inseguendo un senso smarrito di somiglianza che superi il passato per ritrovare la serenità nel presente.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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68 Opinione inserita da 68    06 Mag, 2024
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Quale colpevolezza?

….” La brezza che scende lungo i fianchi della collina mormora tra i fili d’ erba alta e la fucsia color del sangue. Non mormora parole di perdono”…

Jim Winter, uno scrittore impantanato nei giorni asfissianti del lockdown, organizza un workshop online per cinque aspiranti scrittori che manterranno il completo anonimato. Uno dei testi, scritto da una certa Deirdre, è locato a Rally, piccolo e sonnolente villaggio irlandese dove negli anni ‘70 si è consumato l’ assassinio di un orfano diciassettenne, Mattie Lantry, un mistero allora irrisolto.
Il noir di William Wall, romanziere, poeta e traduttore irlandese, inscena un dubbio atroce, almeno nella testa del protagonista, la ricerca di un colpevole che completi le tessere mancanti.
In fondo omettere, mentire, nascondere, tralasciare, tradire, lasciare soli, sottomettersi al volere altrui è già una ammissione di colpa, un peso insostenibile per una coscienza sporca che riaffiora e non conosce possibilità di fuga, in primis da se stessa.
Il racconto, via via arricchito di capitoli e di particolari, che Jim Winter da subito riconosce appartenere alla propria infanzia, nella storia e nei protagonisti, lo induce a riflettere sulla reale identità della presunta scrittrice e su che cosa ella voglia ottenere, dimostrare, rivelare, scoprire.
Di certo Deirdre conosce bene la materia e i fatti di cui parla, per Jim quale il senso di rivivere una trama che ha già respirato, rivedendo i volti di amici, parenti, rivali, un testo che potrebbe avere scritto direttamente, immaginando un finale a sorpresa, qualcosa di certo che lo metterebbe in pericolo?
Non è dato saperlo in una storia a metà tra reale e finzione letteraria, ridiscutendo i termini di quello che fu, quel nastro della memoria riesumato dalle parole di un estraneo, una memoria che non è altro che

….” il modo in cui noi raccontiamo una storia a noi stessi, un modo di razionalizzare gli eventi casuali che costituiscono effettivamente la nostra vita”….

Ci si confronta con significati non sempre evidenti, mutanti nel tempo, nelle circostanze e nelle persone.
La propria vita cambia, soverchiata da ansia, preoccupazione, paura, ridiscutendo il presente in funzione del passato, una versione di se’ sconosciuta anche a se stesso, dubbi, ferite, ricordi sfumati, il proprio matrimonio rivisto in funzione di quello che è stato.
Jim si specchia e non si riconosce, legge, rilegge, suggerisce, cancella, partecipa alla costruzione del testo, ma di quale testo si tratta, proprio, altrui, quello che avrebbe voluto scrivere, e chi è Deirdre o semplicemente diventa,

…” un mio alter ego, un me stesso diverso, innocente, che stava scrivendo la storia della mia vita, una parte di me nella quale non avevo mai osato inoltrarmi, uno scrittore molto più bravo di quanto io non fossi mai stato, una parte di me non soggetta ad alcuna autocensura”…

Il mistero si infittisce e permea una prosa dal ritmo sempre più incalzante in un’ Irlanda attraversata dal virus, imbevuta di cattolicesimo, politicamente scorretta, infarcita di paesaggi mozzafiato, una miscela di maschere e di tracce tra passato e trapassato in un presente ansiogeno e in completo disfacimento verso un futuro imbevuto di niente.


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Racconti
 
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68 Opinione inserita da 68    05 Mag, 2024
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Destino infausto

…” Ambos mundos, i due mondi, ossia quello vecchio e quello nuovo, dritto e rovescio, sostando dall’ altra parte”… ,

I personaggi dei sette racconti di Natzuo Kirino, uomini, donne, bambini, amanti, figli, mogli, senzatetto, trascinano le proprie solitudini e fragilità verso una deriva esistenziale personale e condivisa, il mondo un luogo dove non riconoscersi, sovente antitetico al proprio sentire.
Una scrittura , scorrevole, sussurrata, essenziale, un’ alternanza di grazia e crudita’, dolcezza e violenza, amore e morte all’ interno di un microcosmo relazionale e sentimentale deflagrato in indifferenza e noncuranza, anime che si sfiorano senza toccarsi, corpi vicini che non si guardano, sogni tramutati in incubi, digressioni di reale sfumate in una solitudine esistenziale tristemente indotta.
Protagoniste al femminile, bullizzate sin dall’ infanzia, sopravvissute a un’esistenza di stenti, non amate abbastanza, respinte dal proprio padre naturale, soverchiate dai sensi di colpa per essersi perdute in un ideale romantico, donne che ricordano buffe avventure erotico-sentimentali, che ripercorrono un passato famigliare dissolto, giovani che vivono un futuro già scritto, ricordando i tempi felici.
Il presente, figlio di giorni alienati e alienanti, sfugge a una possibile definizione, imbrattato di cupe parole e tristi presagi, solitudine, disperazione, rabbia, alienazione, tristezza, ansia, senso di vuoto, debolezza, stati d’ animo malinconici e iracondi, un presente inspiegabile oltre le avversità che hanno indirizzato il proprio destino.
Una vita sovente non voluta, inaccettabile, paralizzante, quando scelta sovente specchio artefatto di un viaggio violato dalla noncuranza di chi dovrebbe prendersi cura di noi, amarci, soccorrerci, proteggerci, indirizzarci. Laddove un briciolo di felicità sembrerebbe prendere forma, tutto pare dissolversi in sfaccettature declinanti senza la forza di affrancarsi da una condizione siffatta, sovrastati da debolezza e fragilità, da un male di vivere con radici profonde, destinato a una rassegnazione definitiva.
Un senso del vivere compagno di egoistiche presenze riflettendo su un’ imperscrutabile incomunicabilità di fondo, vite perdute, rimpiante, consumate, affrante, nessuno esente da colpe, nella forma e nella sostanza, un po’ vittime e un po’ carnefici, di se stessi e degli altri, abbandonati a una riflessione amara sulla propria condizione necessaria.
Tra le pagine la superficialità di chi è costantemente impegnato altrove, innamorato di se’, sospinto da stereotipi gaudenti che ignorano emozioni e sentimenti dell’ altro, riducendoli a strumenti del proprio apparire, una società costruita su tradizioni obsolete, deragliamenti famigliari, infelicita’ di coppia, solitudine affettiva.
Una condizione siffatta, che accompagna retaggi dell’ infanzia, esercitando un cammino di violenza e di indifferenza, ha sottratto e spogliato il delicato universo femminile dei propri sogni più intimi, ha abbandonato la sensibilità individuale in un’ arida terra di nessuno, elevando a quotidianità invivibile l’ idea infausta di contare assai poco agli occhi di chi si ama.

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68 Opinione inserita da 68    04 Mag, 2024
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Invisibilità manifesta

Il signor Cui è un uomo invisibile che costruisce e smercia altoparlanti, preda di se’ e di un vago sentimento nostalgico, un’ ombra che sa di malinconia in attimi rarefatti di serenità, attraversato da una consapevolezza effimera, impossibilitato a scavare nel profondo preferendo sostare in superficie, intriso di ricordi rarefatti di chi non c’è più, percorso da esili presenze-assenze in una Cina rivolta al capitalismo con retaggi di un passato recente.
Vive una condizione di solitudine acuita dal tentativo della sorella di cacciarlo di casa, si sottrarre all’ appellativo di audiofilo preferendo il termine “artigiano” che nella contemporaneità è un po’ come essere un mendicante.
Tuttora sconta l’ asfissiante presenza di un matrimonio finito tristemente conducendo un’ esistenza piatta in un angolo di mondo, ignorando e ignorato dalla società, un peso doloroso appresso, impaurito dalla propria ombra, immagini di una tristezza che vorrebbe dimenticare.
Intellettuali e imprenditori costituiscono i suoi abituali clienti, ama il proprio lavoro meticoloso, ossimorica presenza in un presente dominato dal caso e dal caos, poche tracce scoperchiano preziosi reperti della vita passata agitando la sua memoria sopita, eco di suoni da tempo dimenticati.
Per lui il reale si fa insostenibile, rassegnato al non protagonismo, nutrendo un desiderio di indipendenza e di solitudine da incastrarsi in un affare che potrebbe sistemarlo per sempre ma anche invischiarlo in una vicenda di mistero vestita.
Nel frattempo sopravvivono e riemergono echi di un luogo chiamato casa, il pensiero ai genitori scomparsi, il senso di esclusione e di appartenenza, la sorella vorrebbe vederlo maritato per liberarsi della sua presenza, il cognato cinico e violento, un vecchio amico macchiatosi di un’ imperdonabile colpa, un enigmatico imprenditore che vorrebbe possedere l’ impianto Hi Fi più bello del mondo, una donna avvolta nella propria menomazione.
Tutto scorre lentamente tra realtà e sogno, desiderio e rassegnazione, un vuoto evidente alternato a dolci note interiori, il mistero di chi realmente ci si trova di fronte, fantasma riemerso da una vita che potrebbe cambiare forma. Attorno a Cui il mondo percuote poche certezze rilasciando un tono di voce improvviso estraneo anche a se stesso…

…” Posso esprimere il mio modesto parere sulla questione? Se lei non fosse particolarmente intento a cercare il pelo nell’ uovo e ad andare alla radice di ogni questione, se imparasse a chiudere un occhio e la piantasse di lamentarsi sempre degli altri per i soliti problemi, potrebbe scoprire d’ un tratto che , in realtà, la vita è fottutamente bella. Non è forse così?”….

“ Il mantello dell’ invisibilità “ è un breve e intenso romanzo di sottrazione con un respiro di rassegnato umorismo nel cuore di una socialità violenta, nebulosa, indifferente. Una nebbia stratificata ricopre pagine di reale e digressioni di immaginario, una cupa presenza aleggia e sovrasta il protagonista, colonna sonora di un mondo sommerso e tristemente certo che disperde significati per acquisire una neo consapevolezza, consegnando il substrato emozionale a una riflessione profonda, quel senso apparentemente insensato che riguarda il proprio vivere.

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