Opinione scritta da Misspix

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Misspix Opinione inserita da Misspix    22 Marzo, 2016
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-Il signor Malaussène è desiderato all’Ufficio Rec



Scuola, Parigi, orchi. Daniel Pennac racconta:

"C'era una volta Benjamin Malaussène...."

Benjamin Malaussène non è solo il fratello/padre di un banda di ragazzini stravaganti ma lavora come “capro espiatorio” a tempo pieno presso i Grandi magazzini. Si, avete capito bene. Le sue doti di caprino espiatore consistono nel proporre, come reazione al reclamo dei clienti, un vero e proprio teatrino di lacrime, espressioni facciali disperate e mortificazione acuta, il tutto contornato dagli apocalittici rimproveri del direttore, il vero registra dell’opera.

Una serie di attacchi bomba fa letteralmente esplodere il Grande magazzino e la stabilità ordinaria di Benjamin oscilla tra il terrore e l’inquietudine.

La squadra d’azione composta da due “zie” (rispettivamente una ladra e un omosessuale modaiolo) una sorellina prodigio e un vecchio cane antropomorfo si coalizza per aiutare Benjamin che, trovandosi ogniqualvolta sul luogo del misfatto, desta non pochi sospetti.

C’è da dire che il nostro capro espiatorio rivela se stesso solo nel suo ambiente naturale, la piccola casa nei pressi di Belleville, alla periferia di Parigi, dove la fantasia galoppa ammaestrata dai fratellini. Il quartiere operaio (oggi borghesizzato) si dipinge così di avventure appassionanti impersonate da buffi poliziotti e curiosi personaggi.

Le storie che Benjamin inventa per Jeremy, Therese e il Piccolo sono infatti raccontate con un linguaggio semplice ma talmente coinvolgente da non riuscire sempre a distinguere il racconto dalla trama stessa del libro, la realtà è separata dalla finzione dagli occhiali rosa del Piccolo che di notte sogna gli Orchi.

Perché gli orchi veri non dimorano nelle favole, vivono tra noi vestiti da cigni bianchi, sguazzano in acque pure e non vanno in paradiso.

O almeno me lo auguro.

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Misspix Opinione inserita da Misspix    22 Marzo, 2016
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Dio mio!C’è un essere più infelice di me sulla ter

**Il testo contiene SPOILER**



Catania. 1854

Un epidemia di colera trascina con sé la città e Maria, giovane educanda, ritorna nella casa paterna in campagna presso il monte Illice per trovare riparo.

Affogata piacevolmente nel sogno bucolico Maria, per la prima volta, si bagna le labbra di libertà, assapora il sole e il canto degli uccelli, i picnic e le passeggiate nei campi sono affrontate con l’entusiasmo e la scoperta di un infante ma la malattia da cui fugge la insegue sotto diverse spoglie, quella dell’amore proibito.

Il romanzo epistolare si dispiega su una serie di scritti all’amica Marianna anche lei monaca ma segnata da un diverso destino. Il lettore non viene mai a conoscenza delle risposte di Marianna se non attraverso le sue parole alludendo ad una fusione fantastica tra le due figure. Maria si guarda allo specchio e vede Maria(nna), tutto ciò che desidera sta in quelle lettere di troppo nel nome, senza occhi la differenza l’acceca ma allo stesso tempo vi trova conforto.

Le prime pagine si aprono alla nuova vita della ragazza che passa le sue giornate con il cuore leggero e spensierato ritrovando l’adolescenza negata dall’arida vita monacale ma la pace è spezzata dall’incontro con Nino, il figlio maggiore dei vicini di casa ed unico suo approccio con l’altro sesso. Nino mostra un interesse tenero per Maria, la cerca quando non c’è, le offre il suo amore timido e la incita a ribellarsi al suo destino…Il passo più intenso del libro è quando Maria danza per la prima volta: “ ..quanto soffersi Marianna,..eppure..allorché egli mi prese per la mano..allorchè mi passò il braccio intorno alla vita mi sembrò che la sua mano ardesse,che mi bruciasse il sangue in tutte le vene che mi facesse scorrere un onda di gelo fino al cuore..ma allo stesso tempo parvemi che mi confortasse…”. L’eccitazione nata dal sentimento è assopita da costanti sensi di colpa che mettono in crisi la già vacillante vocazione spirituale: ”se sapessi Marianna, se sapessi il peccataccio che ho fatto mio Dio come avrò il coraggio di dirtelo, a te solo lo confesserò ma all’orecchio veh! non mi guardare in viso..abbracciami e ascolta..” Ascolta.

E’ esattamente nel momento di maggiore consapevolezza del sentimento che la realtà l’ investe con la sua mano gelida. Il colera è sparito, il convento l’aspetta e la clausura l’invita a sedersi sulle sue gambe stanche. Maria non trova la forza di alzarsi, di sollevarsi contro l’ingiustizia della sua condizione e piomba in uno stato di cupa infelicità..”Dio mio! C’è un essere più infelice di me sulla terra?..”

La cerimonia di iniziazione alla clausura frantuma ogni speranza, il taglio dei capelli rituale la relega per sempre in un luogo di emarginazione. Per uno scherzo beffardo Nino sceglierà la libertà nella donna e la donna nella vita stessa.

Da questo punto in poi del romanzo le parole di Maria diventano opprimenti, paranoiche, folli, sintomo di un dolore sempre più profondo.

Le lacrime di gioia che colano sulle prime lettere che scrive a Marianna si trasformano in veleno amaro che corrode tutto: la giovialità, l’energia, la dolcezza e infine l’anima che si spegne tra le mura grigie del convento.

Il romanzo, denuncia di una pratica diffusa nel XIX secolo è in realtà la storia intima di una adolescente. Verga non commuove quanto immedesima il lettore in questa piccola donna fragile e piena di vita. L'immagine della capinera impossibilitata a migrare è la realizzazione poetica dello stile di Verga, crudo e sensibile nel delineare personaggi all'interno di un contesto storico difficile ma allo stesso tempo attuale. Maria siamo noi.

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Madame Bovary Flaubert
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Misspix Opinione inserita da Misspix    18 Gennaio, 2016
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L'INSOSTENIBILE PESANTEZZA DI ESSERE K.

Sono passati due mesi da quando ho finito di leggere "Il castello" del nostro benemerito Kafka ma scrivere di getto un commento non si può. Nel suo caso, proprio non si può.

Ma riassumiamo in breve la trama: il signor K giunge in una misteriosa città con una lettera di convocazione per un lavoro: quello dell’agrimensore. La città si presenta come un velo opaco sovrastato da un imponente castello e ornato da un numero esiguo di abitanti ostili agli stranieri e diffidenti nei confronti di chiunque non faccia parte della piccola comunità. K aspetta di ricevere l’incarico ufficiale ma la situazione è ambigua. Non c'è dubbio che il vero centro del potere è il castello, un macchina perfetta di burocrati che parlano, scrivono e vivono immersi in piramidi di carte. Buttandosi il velo alle spalle K. tenta di comunicare con il misterioso signor Klamm, unico suo contatto di rilievo. Ogni tentativo però fallisce miseramente, ogni volta che K allunga il braccio per toccare Klamm egli si allontana istantaneamente e il senso di frustrazione aleggia nell'aria inerme. Determinato a risolvere la sua attuale situazione K. si adopera affannosamente ma scopre ben presto di essere vittima di un errore di valutazione, il lavoro di agrimensore non è più disponibile (lo è mai stato?), in cambio gli viene offerto un posto come bidello della scuola dove viene costantemente umiliato dal maestro che lo disprezza profondamente. K. è disorientato e amareggiato, unica sua consolazione è l'amore per Frida, ex amante di Klamm e capocameriera presso la Locanda. E' solo per lei infatti che decide di accettare il lavoro da bidello e di trasferirsi a vivere nella scuola, pur non mostrando particolare interesse né per la posizione lavorativa né tantomeno per le persone che vi dimorano.
Anche su questo punto si aprono più porte, con il passare del tempo la certezza dell’amore di K. per Frida diventa incertezza, l’autore ci trasforma in esseri sospettosi che seguono le vicende di K con livelli di attenzione non sempre adeguati.
Il libro scorre lentamente, a tratti con picchi più intensi. Con Kafka non possiamo prendere punti di riferimento, l’ambientazione fuori dallo spazio colloca il protagonista in una dimensione astratta dove il centro pulsante è l’angoscia, l'uomo perso nel mondo incapace di collocarsi.
K. (abbreviazione dello stesso Kafka?) è determinato ad avere un ruolo nella società, ad essere rispettato dalla comunità ma nella sua corsa ossessiva inciampa più volte nella sua afflizione lasciandosi dietro la meta agognata.
Se la Metamorfosi mi aveva appassionato per l’ironia dell’assurdo il Castello è una pietra che tenti di sollevare dal piede destro per poi ricadere miseramente sul sinistro. Va bene l’alienazione dell’uomo, va bene lo sgomento esistenziale ma perché indugiare nel dettaglio, in descrizioni fini solo a se stesse? Kafka è un maestro della parola in grado di creare ambientazioni uniche ma avrei apprezzato una sintesi maggiore in alcuni tratti e più spazio alla sfera introspettiva di K.


Un ultimo avvertimento: sulla parola dell’ultima pagina del romanzo lancerete un imprecazione.
Tutto ok.

Siete giunti al castello.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Misspix Opinione inserita da Misspix    18 Gennaio, 2016
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No, quello che mi irrita di più nei vostri romanzi

Uno dei più folli romanzieri tedeschi del Novecento sforna un romanzo crudo come carne da macello tagliata a pezzi. La favola di Cappuccetto rosso si tinge di amaro in una Svizzera che sa di cenere e natura selvaggia. La bambina con le trecce bionde e il cestino in mano attraversa il bosco ma incontra il lupo, o meglio, il gigante dei porcospini. L'investigatore Matthai deve partire per una nuova terra ma fa una promessa che mette in gioco tutta la sua vita: trovare il gigante e fare pace con la sua umanità.

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Racconti
 
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Misspix Opinione inserita da Misspix    07 Gennaio, 2016
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L'innocenza dei bambini è una menzogna.

Perfetto. Non è il romanzo migliore di Golding ma è difficile trovare studente che non abbia sfogliato le pagine di questo libro.

Partiamo dal presupposto che in questa sua produzione non c’è nulla di rassicurante. Non il titolo, né tantomeno la trama.

Che l’autore fosse convinto della malvagità insita nei bambini ce ne eravamo accorti dal famoso esperimento portato avanti durante gli anni dell’insegnamento.
Lascia un gruppo di bambini soli in classe a discutere di un argomento e ci scapperà il morto.
Non si è arrivati a questo punto ma come rivelato da un testimone dell’epoca la verità non è molto lontana.

Da questa convizione nasce il Signore delle Mosche. E’ un idea che ossessiona lo scrittore a tal punto che passa ogni momento libero a scrivere, a casa, a scuola, in ogni occasione possibile

Partorisce Ralph, Piggy ,Simon, Jack, i gemelli e sopratutto "L’isola", luogo di meraviglie e bestie oscure. Cosa succederebbe se gli unici sopravvissuti di un disastro aereo fossero dei bambini?

Il romanzo ha il pregio di guidarci dal sogno all’incubo con naturalezza. I personaggi sono definiti anche se incastonati in maschere stereotipate che ne appiattiscono lo spessore emotivo.

Lo stile non entusiasma ma non annoia. L’azione negli ultimi capitoli del romanzo si fa serrante e sfocia in un finale che a mio parere poteva essere maggiormente curato, soprattutto nei dialoghi conclusivi. Ho avvertitola stanchezza dell’autore nella chiusura della vicenda.

Nonostante queste considerazioni consiglio sicuramente la lettura di questo romanzo per la capacità di turbarci, inquietarci e infine farci riflettere sulla parte buia che vive in ognuno di noi. Quella stessa parte che Golding non fa fatica ad accettare come parte di se stesso.

“Con la mancanza di sonno e con molta intelligenza sono cresciuto un po' pazzo, penso, come tutti gli uomini che vivono sul mare molto vicini gli uni agli altri, e così vicini tuttavia a tutto ciò che è mostruoso sotto il sole e sotto la luna.“ (W.Golding)


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"La fattoria degli animali" di G. Orwell
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