Opinione scritta da tris73
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“A volte l’uomo è straordinariamente, appassionata
La trama basilare è nota a tutti quindi procedo direttamente con la mia opinione.
Innanzitutto è fondamentale che questo libro vada letto in un momento di tranquillità perché richiede davvero impegno, è una storia basata essenzialmente sulla vita di Raskolnikov, alla quale però si intrecciano tantissime storie secondarie. Conosciamo infatti in un secondo momento quelli che diventeranno i personaggi essenziali nella vita del protagonista (come per esempio Sonja o Razumichin) e ci saranno dei momenti in cui la nostra attenzione sarà completamente sviata da Raskolnikov, perché come ho già letto anche in diverse recensioni, loro non saranno solo delle comparse, ma dei veri personaggi a tutto tondo. L'intento di Fedor comprendeva qualcosa di più dell'analizzare semplicemente la mente del personaggio principale e le cause che lo hanno spinto a oltrepassare il limite, lo scrittore è riuscito a dipingere un quadro così realistico della società russa ottocentesca da far sentire il lettore stesso parte integrante della storia.
Il cuore del libro è rappresentato dall'evoluzione di Raskolnikov, dal momento in cui capisce che si credeva erroneamente un uomo eccezionale, capace di compiere anche l'azione più oltraggiosa se essa era opportunamente giustificata e convivere con essa. Il bello di "Delitto e castigo" è rappresentato soprattutto dalla visione e dalla mentalità di Raskolnikov, ho trovato infatti interessante e sorprendente il fatto che lui non si pentirà mai di aver ucciso due persone (nonostante abbia spesso dato dimostrazione di essere una brava persona), ma si pentirà di non essere riuscito a convivere con questa azione.
Libro intenso e impegnativo anche se inizialmente ad alcuni tratti mi sembrava lento nella narrazione, ma poi questa impressione è scomparsa. In ogni caso ho amato in particolare l'ultimo centinaio di pagine, e il finale non mi ha affatto delusa.
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una lettera di vero amore
“Lettera a un bambino mai nato” è un monologo autobiografico della scrittrice Oriana Fallaci, nella quale si rivolge direttamente al suo futuro bambino, che come anticipa già il titolo, non nascerà mai. La protagonista è una donna giovane e in carriera, ma ecco che un giorno capisce di essere incinta, così comincia il soliloquio. Racconta al bambino le sue ansie, le sue paure, i suoi ragionamenti e ogni tanto condizionata dalle emozioni del momento gli impartisce lezioni di vita abbastanza spietate raccontandogli della propria vita, come quando da bambina ha visto una donna morire, o il padre torturato, oppure di come è rimasta delusa la maggior parte delle volte che era speranzosa di qualcosa. Si rivela tuttavia, una madre protettiva sin dalle prime pagine, i suoi dubbi sul tenere o meno il figlio non sono affatto legati ad una superficialità, come sembrerebbe inizialmente, ha avuto un’infanzia difficile, segnata dalla guerra e dalle ingiustizie, allora perché far nascere un bambino in un mondo crudele come il nostro? In un mondo dove le armi sostituiscono le parole e l’egocentrismo sostituisce l’altruismo?
Nonostante questo suo pensiero, non pensa nemmeno lontanamente ad abortire perché non è suo diritto porre fine alla vita di qualcuno, un bambino non è “un dente cariato da estirpare appena si presenta”.
Questo è il primo libro della Fallaci che leggo, e per iniziare non potevo sceglierne uno migliore. Il suo linguaggio è semplice e scorrevole ma conciso e diretto, così da restare impresso nella mente del lettore. Inizialmente dubitavo della protagonista e delle sue idee, ma ben presto mi sono ritrovata a comprenderla e quasi ad ammirarla, ho confrontato spesso i miei pensieri ai suoi e ho capito che questo scritto insegna. Insegna cos’è l’amore e il coraggio. Mi ha colpita il modo in cui la Fallaci descrive il dolore, un dolore vero di cui non si può fare altro che accettare con il tempo, mi ha colpita il modo schietto e deciso con cui spiega al bambino che la vita non è tutta rose e fiori, che bisogna lottare per una libertà che probabilmente neanche esiste. Mi piace proprio perché è un libro vero, lontano da inganni, è la prima madre che vedo (che sia in un libro, in un film o nella realtà) che racconta al proprio figlio le cose come stanno; come le ricorda anche il figlio lei non gli ha mai raccontato una favola, ma solo storie in cui la morale era sempre il dolore.
Il pezzo che più mi ha commosso è quello in cui per la prima e ultima volta a parlare è il bambino che cerca di consolare la madre esprimendo l’impressione che ha di lei. “Non è vero che non credi all’amore, mamma. Ci credi tanto da straziarti perché ne vedi così poco, e perché quello che vedi non è mai perfetto. Tu sei fatta d’amore. Ma è sufficiente credere all’amore se non si crede alla vita?”
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Silenzio prima di nascere, silenzio dopo la morte,
"Paula" di Isabel Allende, pubblicato nel 1995, è stato scritto in un momento particolare della sua vita, un momento in cui ha dovuto mettersi alla prova e confrontarsi con la realtà: sua figlia si ammala improvvisamente a causa della porfiria, malattia genetica rara che non è mai stata studiata approfonditamente, e subito dopo entra in coma. Così dopo diversi giorni passati in ospedale incomincia a scrivere. Scrive per sentirsi vicino a sua figlia, per farle compagnia, e soprattutto per sfogarsi. La scrittura diventa per lei un vero e proprio mezzo di salvezza. Mentre è accanto alla figlia scrive sul suo solito blocco di fogli gialli e riflette nel libro le sue ansie e riflessioni attuali, e contemporaneamente racconta la sua storia. Presto quella che inizialmente sembrava una lettera si trasforma in un romanzo autobiografico. Ora non vediamo più Isabel Allende come una scrittrice, ma come una madre protettiva, che racconta alla figlia tutti i suoi segreti più intimi, tutti i suoi sbagli, le pene sofferte, gli amori finiti... Tutto questo con un pizzico di nostalgia per il passato. Nel corso del libro vediamo un'evoluzione: dalla speranza sempre presente per il futuro della figlia si passa alla rassegnazione. I giorni passano, ma nulla cambia così piano piano la Allende si prepara mentalmente a ciò che sta per accadere. Una delle cose che più mi ha colpita è la visione del rapporto tra morte e vita con cui la Allende affronta la situazione. In questo caso la morte è sicuramente una perdita dolorosa per i parenti e gli amici ma è una liberazione per l'anima di Paula, una liberazione per la sua anima che continuerà a vagare e a fare compagnia nei momenti difficili alla sua famiglia "Per favore non siate tristi. Sono sempre con voi, più vicina di prima"
Questo romanzo è qualcosa di veramente unico, prima ti coinvolge e poi un attimo dopo ti travolge, lasciandoti alla fine dell'epilogo un vuoto interiore. Finisci con il piangere insieme alla Allende e a condividere il suo dolore per il destino tragico della figlia, quella giovane ragazza a cui nel frattempo ti eri affezionata tanto da sentire di conoscerla come una sorella. Che dire, assolutamente consigliato.
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