Opinione scritta da Ettoremar

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Ettoremar Opinione inserita da Ettoremar    25 Settembre, 2016
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un bel romanzo, davvero un bel romanzo…

Cominciato al mattino e finito dopo poche ore: impossibile staccarsene, dopo i primi capitoli ti cattura come un giallo, perché come in un giallo, anche qui c’è un mistero, che si svela alla fine, il cui detentore è il Professore, 75enne psicoterapeuta di fama internazionale, che da due anni ha deciso di rinchiudersi in una clinica, dopo che una sua paziente, Anna, 13 anni, si era suicidata “anche” a causa sua.

A cercare di curare il Professore viene chiamato Giulio, il dottor d’Aprile, come ci tiene ad essere chiamato, un 40enne separato cin due figli, che è stato ex allievo del Professore.

Giulio ha una vita complicata: padre a solo 23 anni, una figlia, Roberta, arrivata appunto troppo presto, il matrimonio che va a rotoli; e non serve a nulla fare un altro figlio, Simone, dieci anni dopo la prima, che, anzi, diventa il colpo di grazia del matrimonio stesso …

Interessante il rapporto conflittuale con la figlia: Roberta ha capito di essere stata la causa della separazione dei genitori, lo vive come un senso di colpa, li definisce “quello stronzo di mio padre, e quella puttana di mia madre”. E un giorno che Giulio porta fuori a pranzo la figlia, si crea un’atmosfera tesissima perché lei non ha alcuna voglia di rispondere alle domande del padre ( che ha ricevuto dalla preside della figlia una lettera ritrovata nel cestino dal bidello, indirizzata al suo ragazzo, a cui confessa di essere incinta…), e Giulio, persa la calma e preso dall’ansia – soffre di attacchi d’ansia – dimostra di non riuscire ad essere un buono psicologo, che è il suo mestiere, proprio con lei...

Nel romanzo, a dare un po’ di piccante, anche due belle scene di sesso di Giulio con Chiara, descritte benissimo, senza mai trascendere nel volgare, ma mantenendo sempre l’eleganza della prosa, che è una delle qualità sia di questo che degli altri romanza di Francesco Carofiglio; Chiara che rivela a Giulio di non ricordare niente della sua infanzia eccetto le volte che suo padre la portava a vedere delle albe fantastiche…

Il finale, a sorpresa, con il mistero che finalmente si chiarisce, ha un effetto catartico sia sul Professore, che su Giulio stesso: la terapia ha successo perché Giulio è stato bravo, e finalmente ha giocato non da mediano ma da mezzala, fornendo al Professore un assist invidiabile, come lui confesserà alla fine.

Si, un bel romanzo, davvero un bel romanzo…

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per vivere emozioni forti, un romanzo psicologico
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Ettoremar Opinione inserita da Ettoremar    31 Marzo, 2016
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Perché “2084 LA FINE DEL MONDO” mi ha deluso


2084 LA FINE DEL MONDO di Boualem Sansal, trad. dal francese di Margherita Botto, ed. NERI POZZA, è il continuo di 1984 di George Orwell: lo dichiara l’autore a pag.221:
“Come Ati avrebbe poi saputo da Toz in persona… l’unico paese a contrastare le forze dell’Abistan, perché governato da un dittatore pazzo di nome Big Brother che aveva gettato nella battaglia tutto il suo arsenale nucleare, era stato il Socing…o Sokin, ma alla fine lo avevano sconfitto e annegato nel suo sangue.”

Naturalmente la storia riportata da Toz è imprecisa: il paese in cui era ambientato 1984 si chiamava Oceania, e il Socing (Socialismo Inglese) era il Partito unico al potere; Big Brother era il Grande Fratello, che spiava e controllava la vita pubblica di tutti i cittadini di Oceania e quella privata, in casa loro, attraverso un teleschermo…
Anche la lingua parlata in Abistan (paese di Abi), la “abiling” o lingua di Abi, deriva dalla Neolingua: eliminando una parola se ne elimina il concetto, e gli abitanti di Abistan non possono neanche pensare quel concetto perché non avrebbero la parola ( o le parole) per esprimerlo: era già tutto ben codificato in 1984 di George Orwell ( non a caso considerato da Boualem Sansal suo maestro, e a lui si rifà proprio nel titolo), che arriva a immaginare nella sua Oceania l’uso della Neolingua, a cui dedica addirittura un’appendice al libro, “I principi della neolingua”, in cui stabilisce che:
“Fine della Neolingua non era solo quello di fornire un mezzo di espressione per la concezione del mondo e per le abitudini mentali proprie ai seguaci del Socing (Socialismo Inglese) ma soprattutto quello di rendere impossibile ogni altra forma di pensiero. Era sottinteso come, una volta che la Neolingua fosse stata definitivamente adottata, e l’Archelingua, per contro, dimenticata, un pensiero eretico ( e cioè un pensiero in contrasto con i principi del Socing) sarebbe stato letteralmente impensabile, per quanto almeno il pensiero dipende dalle parole con cui è suscettibile di essere espresso.”

Scrive infatti Sansal (pag. 241):

“…l’abiling costringe al dovere e alla stretta obbedienza. La sua concezione si ispira alla neolingua del Socing. Quando occupammo quel paese, i nostri governanti di allora hanno scoperto che il suo straordinario sistema politico si fondava non solo sulle armi ma sulla fenomenale potenza della sua lingua, la neolingua, una lingua inventata in laboratorio che aveva il potere di annichilire in chi la parlava la volontà e la curiosità. All’epoca i nostri capi presero come base della loro filosofia i tre principi che hanno presieduto alla creazione del sistema politico del Socing: “La guerra è pace”, “La libertà è schiavitù” , “L’ignoranza è forza”, e vi hanno aggiunto tre principi di loro invenzione: “La morte è vita”, “La menzogna è verità”, “La logica è l’assurdo”. E’ questo l’Abistan, un’autentica follia.”
Quindi 2084 riprende da 1984 sia la teoria della lingua che i principi base, aggiungendone di nuovi; ma dopo aver letto entrambi, mi rendo conto che il secondo non è che il tentativo di sfruttare la fama del primo, e l’aver sostituito al Partito unico, il Socing, un regime religioso basato sull’obbedienza e la sottomissione ad una divinità, Yölah, e il suo Delegato, Abi, inserendo l’attualità della minaccia che – secondo alcuni- rappresenterebbe l’Islam per l’Occidente, non mi ha per niente convinto. E il perché è presto detto: se in 1984, scritto da Orwell nel 1948, la tecnologia e i computer erano agli albori, e nonostante ciò Orwell preconizzava già un televisore in ogni casa, chi scrive oggi, nell’era di Internet, non può prescinderne. I fanatici dell’ISIS organizzano attentati stando in contatto fra loro grazie a Whatsapp e Facebook, ma Sansal non inserisce nel suo romanzo alcuna tecnologia, forse perché non c’era in 1984: quindi, per essere il più possibile “fedele” al mondo di 1984, ne rispecchia anche i limiti…

Dal punto di vista letterario, poi, tutta la prima parte del romanzo è molto lenta, la seconda è più viva con qualche colpo di scena, come le rivelazioni di Toz su alcuni “misteri”, ma siamo sempre ad un livello di letteratura di Serie B; mi meraviglio, quindi, dell’enorme, e per me IMMERITATO, successo che 2084 ha avuto in Francia, tanto da meritargli il Grand Prix du roman de l’Academie Francaise…

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1984
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Ettoremar Opinione inserita da Ettoremar    05 Gennaio, 2016
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La morte, solo la morte

Questo è un romanzo sulla morte, sulla vita, su una ragazza, Maria, "nata due volte", ("Fillus de anima. E' così che li chiamano i bambini generati due volte, dalla povertà di una donna e dalla sterilità di un'altra") e su una anziana donna, "Tzia" Bonaria Urrai, che tutti in paese sapevano essere l'accabadora, ossia colei che dà la morte, la morte dolce, ai moribondi. E non solo a loro...
Morte dolce. eutanasia, in Italia è da decenni che se ne discute, ma non è servita neanche la morte dolce "assistita" di Piergiorgio Welby (20 dicembre 2006) ad acceleare i tempi di una legge sul fine vita, che ancora non c'è.
In questo bellissimo romanzo, la Murgia affronta alcuni temi, che per lo più sono tabù, o quasi, e lo fa con un italiano perfetto, sebbene infarcito di termini della sua "lingua " madre, il dialetto sardo delle parti dove è nata lei, Cabras; a me il romanzo è piaciuto moltissimo, mi ha fatto conoscere aspetti della cultura sarda che non conoscevo affatto, mi hanno impressionato tutti i personaggi del libro, sia le protagoniste, da Maria, a Bonaria, alla maestra torinese, che i protagonisti maschi, da Nicola, ad Andrìa a Piergiorgio; mi ha fatto riflettere su quanto certe tradizioni siano importanti per mantenere in piedi certi tessuti sociali, fondati su valori che a noi sembrano sorpassati, ma il nostro progresso non ha saputo sostituire con valori altrettanto forti.
Mi è piaciuto molto che Michela Murgia non abbia preso posizione su civiltà contadina, di se "era meglio allora" o adesso, ma si è limitata a riportarci, con grande maestria, un pezzo di storia italiana, degli anni '50, e di una cultura a noi continentali del tutto "straniera".

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Memoria del vuoto di marcello Fois
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Ettoremar Opinione inserita da Ettoremar    04 Gennaio, 2016
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"Io so cosa si prova quando si uccide un uomo, lo

Appena finito di leggere "La volpe meccanica", ci ho messo due ore, perché come tutti i noir scritti bene non riesci a staccarti fino alla fine; e l'ho scelto perché nel pomeriggio avevo letto - della stessa scrittrice, Mariolina Venezia - Maltempo, che mi era piaciuto moltissimo, e volevo vedere se anche questo manteneva le promesse.
In questo noir, molto molto particolare, la vicenda si gioca fra tre figure: la protagonista, di cui NON SAPPIAMO il nome, suo marito, che per tutto il romanzo è "suo marito" e basta, e il fratellastro di suo marito, Andrea, l'unico personaggio di cui sappiamo il nome.
Non sto a riassumervi la trama, lo ha già fatto bene Bruno Elpis, che l'ha recensito per primo; a me del libro mi ha colpito lo stile, è tutto un discorso fatto in prima persona dalla protagonista, stile intimistico-introspettivo, filone di cui il capostipite è stato Arthur Schnitzler (Doppio sogno, Il ritorno di Casanova ecc.) ; e riguardo al contenuto, spiccano le descrizioni, che il marito chiede a sua moglie, degli amplessi tra lei e Andrea, descrizioni che di cui il marito vuole sapere i più minimi particolari: quante volte, come l'hanno fatto, in quali posti, chi ha cominciato, ecc. Ne viene fuori un misto di romanzo tra il noir e l'erotico, l'unione di eros e thanatos, che si realizza al culmine di un amplesso, in cui lei taglia le vene a lui e al momento dell'orgasmo, "La vita e la morte uscirono a fiotti dal suo corpo, e io le accolsi dentro di me". Alla fine, avendo ancora in testa maltempo, ho la sensazione che questo breve scritto di 80 pagine, sia sto per Mariolina Venezia più un "esercizio letterario", che altro, un voler mettersi alla prova a scrivere su un copione già scritto da altri, e manca del tutto l'ironia, le trovate che avevano reso Maltempo così divertente.

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Doppio sogno di arthur Schnitzler
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Ettoremar Opinione inserita da Ettoremar    03 Gennaio, 2016
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Nulla è come appare a prima vista...

Questo anno 2016, da punto di vista letterario, è cominciato bene, anzi benissimo: il 2 gennaio, visto il tempo che c'era fuori, ho cercato un libro che si ispirasse alla pioggia battente dalla mattina, e ho trovato Maltempo, e lo aperto senza averne letto nessuna recensione (era nella mia libreria di e-book da molti mesi, chissà perché lo avevo comprato...) e devo ammettere che MAI una scelta legata al meteo si è rivelata più azzeccata! Si, perché Maltempo è scritto, dalla prima pagina all'ultima, in uno stile molto spiritoso, che ne ha reso la lettura PIACEVOLISSIMA; se poi ci mettiamo che essendo un thriller, come tutti i thriller che si rispettano, ti tiene inchiodato alla poltrona finché non scopri l'assassino... E, oltre a essere scritto benissimo, con stile brillante e IRONICO, e la trama è ottima, in più c'è TUTTA la Basilicata, con i suoi PROFUMI, i suoi COLORI, i suoi TRAMONTI, le sue RICETTE, i suoi abitanti, le sue CONTRADDIZIONI: il suo PETROLIO, o GAS, e la sua POVERTA', come poveri sono gli abitanti del paese di Donata, la ragazza con due laure e qualche master che per trovare lavoro si adatta a tutto, anche a partecipare come una pin-up nelle feste dei ricchi a Roma...
Essì, perché oltre ad essere un ottimo thriller, con sorpresa finale sull'assassino, che non è nessuno dei sospettati, c'è lo sfondo del petrolio in Val d'Agri, che invece di portare ricchezza alla gente gli ha portato inquinamento, falde acquifere distrutte, specialità locali che con gli inquinanti nell'aria, nessuno si fida più a mangiarle, gli interessi delle multinazionali che coi soldi, tanti, si comprano politici, controllori dell'ARPA, ecc.
Insomma, cominciato ieri e finito stamattina, e non avrei più smesso di leggere le vicenda di questa PM d'assalto, Imma Totaianni, che mi è restata simpatica, mooolto simpatica, fin dall'inizio!
Per concludere, questo Maltempo mi ha così assorbito che il maltempo fuori della finestra non mi pesava... Brava Mariolina Venezia!!!

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Ettoremar Opinione inserita da Ettoremar    02 Gennaio, 2016
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Mantiene le promesse, ma...

Appena finito di leggere, premetto che l'ho ricevuto in regalo perché avevo inviato una recensione di poche righe, avendo ricevuto un invito; i toni entusiatici, con cui viene presentato dall'editore, si addicono a questa opera-prima, che si rivela essere un ottimo prodotto commercialmente parlando.
Come molti dei thriller che ho letto negli ultimi anni, e penso ad autori come Costantini Roberto (Tu sei il Male"), o Dazieri Sandrone ("Uccidi il padre") si legge voracemente dall'inizio alla fine, e la maestria dell'autore sta tutta nel tenerti incollato al libro, che finché non lo finisci non riesci a staccartene, o quasi; si legge "tutto d'un fiato", insomma, ma, poi, cosa ti resta? Si, il libro è scritto, bene, in buon italiano (e, con tutta la paccottiglia che c'è in giro, non è poca cosa, è vero) ma ciò basta per farne "un esordio travolgente, scritto con maestria inedita", "una sfida irresistibile", come viene presentato da Longanesi?

La mia risposta è: NO, ma auguro sia allo scrittore, che all'editore, un successo travolgente, magari di superare Fabio Volo, che con il suo "è tutta vita" è testa alle classifiche di vendita nazionali; che è tutto dire...

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Ettoremar Opinione inserita da Ettoremar    29 Dicembre, 2015
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Le pietre profumate per attraversare il torrente d

Un romanzo che si legge tutto d'un fiato, scritto benissimo in un ottimo italiano (Elena Rausa insegna Lettere in un Liceo scientifico in Brianza, dove vive). In esso il tema dominante, quello che accomuna Marta, bambina di sette anni che non vuole accettare la morte della madre, e si chiude in un mutismo ostinato, e la psicologa a cui il giudice l'affida, Emma Donati, è il SILENZIO: anche Emma, infatti, non riesce a parlare dell'esperienza vissuta ad Aushwitz, dove ha vissuto un trauma da cui dopo 50 anni (la storia si svolge nel 1982, l'anno dei mondiali di calcio in Spagna, vinti dall'Italia) e da cui non riesce a venirne fuori. Comprimari, ma non meno importanti, sono il marito di Emma, un medico, e il nonno di Marta, che non avendo più visto la propria figlia, la madre di Marta, da oltre 10 anni, non aveva conosciuto la nipote. Tutto il romanzo è attraversato da flash-back delle protagoniste, Emma ripensa a quando entrò nella Resistenza, in Val d'Aosta, e si rifugiò con Giuliana e due giovani in uno chalet di montagna, Marta ripensa all'infanzia vissuta in Liguria in una pensione a picco sul mare....
Il finale, a sorpresa, ma non tanto, vedrà le due protagoniste uscire dal silenzio, una grazie all'altra, ma...c'è di più: la figura di Emma si ispira ad una donna realmente esistita, Luciana Nissim Momigliano, come realmente esiste lo chalet in montagna... Basta così, se ho incuriosito qualcuno gli consiglio caldamente di leggersi il libro, che è uno dei più belli che abbia letto quest'anno!

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Ettoremar Opinione inserita da Ettoremar    27 Dicembre, 2015
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Una storia affascinante

AVVISO: La recensione contiene anticipazioni sul finale

E’ di certo un piccolo capolavoro, uno dei più affascinanti dello scrittore cileno, che in questa breve storia di 90 pagine comprese quelle di disegni, adotta due strumenti stilistici di non poco conto, e cioè:

1)usa la prima persona mettendosi, però, nei “panni” di un cane, che è il protagonista assoluto del racconto; infatti l’incipit suona così:

“Il branco di uomini ha paura. Lo so perché sono un cane e fiuto l’odore acido della paura.”

2)usa spesso termini in lingua mapuche, popolo vissuto nel Sud del Cile, in una regione chiamata Auracanía o Wallmapu, termine composto dall’unione di due parole – mapu, terra, e che, gente – la cui traduzione corretta è Gente della Terra; l’incipit, infatti, prosegue così:

“La paura ha sempre lo stesso odore e non importa se la prova un uomo spaventato dal buio della notte o se la prova waren, il topo che mangia finché il suo peso diventa una zavorra, quando wigña, il gatto delle montagne, si muove guardingo fra gli arbusti.”
La trama, molto semplice, narra di un cagnolino appena nato che viene salvato da un giaguaro, nawel, che lo porta nella sua tana e lo nutre e lo cura. Poi un giorno il giaguaro prende il cagnolino cresciuto e lo porta fino ad un villaggio mapuche dove viene adottato. Cresce insieme a un bambino, Aukamañ, ubbidisce agli ordini del vecchio del villaggio, Wenchulaf, finché un giorno arrivano alcuni uomini bianchi che uccidono il vecchio capo-tribù e incendiano il villaggio, cacciandone gli abitanti, perché quelle terre interessavano a una multinazionale del legname.

Il racconto si apre con i bianchi che danno la caccia a un giovane indio, che è proprio Aukamañ cresciuto, per ucciderlo, e usano il cane per inseguirlo nel bosco, avendolo ferito di striscio a una gamba.

Il cane, che si chiama Aufman – in mapuche vuol dire fedele e leale-, invece di seguire le tracce del giovane indio porta i bianchi in tutt’altre direzioni; alla fine muore per salvare l’amico, dimostrando di essere “Aufman” di nome e di fatto; e da cui il titolo.

Se la veste grafica del libro, come i disegni, i caratteri grandi, e la copertina stessa, appartengono al genere letteratura per bambini, il contenuto della storia, che appartiene alla tradizione mapuche, – e Sepulveda la apprese da un suo prozio che la raccontava ai bambini mapuche in lingua mapudungun – mi sembra adatta anche a un pubblico adulto. Infatti tutti i libri di Sepulveda che raccontano storie di animali – la gabbianella e il gatto, il gatto e il topo, la lumaca ecc., seppur appartenenti al genere letteratura per bambini, piacciono anche agli adulti, come a me è piaciuta questa storia. Ciò, perché dietro ogni storia c’è come sfondo il contrasto bianchi civilizzati e distruttori vs indigeni che vivono in armonia con la natura rispettandola. La ferita degli spagnoli che hanno distrutto le etnie in centro e sud america, come pure gli yankees che hanno quasi del tutto annientato i nativi dell’ America del Nord, è ancora aperta…

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