Opinione scritta da cinecris

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Q
Romanzi storici
 
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cinecris Opinione inserita da cinecris    20 Dicembre, 2016
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De te fabula narratur

Un uomo che ha dimenticato il suo nome tante sono le identità che ha dovuto svestire attraversa come un fantasma senza pace il ferro e il fuoco di quasi quarant’anni di storia del Cinquecento, lasciandosi infine alle spalle la cenere della delusione e trovando il tiepido conforto del disincanto nel giardino d’Oriente.
Quest’uomo è senza nome perché la sua è in realtà la storia di una generazione intera che fortissimamente ha creduto e lottato, e rovinosamente ha perduto. La scommessa era una di quelle che puntano a far saltare il banco: bandire dal mondo l’ingiustizia, rovesciare il governo dei ricchi, raddrizzare il legno storto dell’umanità in nome di Dio per portare il Suo Regno sulla Terra.
Dopo aver abbandonato l’Università di Wittenberg in cui Lutero e i primi riformatori costruiscono l’arsenale teorico che di lì a poco sovvertirà l’Europa non solo religiosa, l’uomo senza nome prima impugna il forcone a fianco dei contadini in rivolta guidati dal predicatore Thomas Muntzer fino all’ecatombe di Frankenhausen, poi, circa dieci anni dopo, sposata la causa anabattista, diventa uno dei protagonisti di quel carnevale dell’Apocalisse che fu il sanguinoso e fugace tentativo di instaurare un governo teocratico basato sulla comunione delle donne e dei beni nella città vescovile di Munster.
Ad ogni giro della Storia aumenta la posta della violenza, e il candore dell’utopista colmo di fede e speranze lascia il posto alla frustrazione dello sconfitto che si illude di soffocare il dolore nel sangue altrui, mentre in cuor suo sa che è il proprio sangue che vorrebbe vedere versato primo: per farla finita con una vita diventata incubo. Eppure, quando la ragione sta per confondersi, ecco che la vita tende la mano: prendere una nave, non per scappare ancora ma per dare un senso ai giorni che rimangono restituendo ai ricchi banchieri la truffa con cui hanno eretto il loro impero di carta moneta che sostiene l’impero dei Principi e dei Papi. Solo per arricchirsi questa volta, bandito ogni ideale, e il tanto che basta a perdersi nell’anonimato di una vita benestante tra l’Olanda e Venezia.
Ma ancora una volta il destino si complica, e prende ancora una volta il nome misterioso di Q…
Queste e molte altre vicende tiene insieme questo romanzo ricchissimo che intesse in una trama fitta i momenti fondamentali della storia della prima metà del Cinquecento fino al 1555, anno che delude definitivamente le speranze di chi aveva creduto nella possibilità di un imminente rinnovamento religioso e sociale. Con un duplice colpo di grazia infatti viene eletto al Soglio Pontificio il Cardinale Carafa, che si serve dell’arma dell’Inquisizione e dell’ideologia potente dell’eresia per stroncare ogni tentativo di rinnovamento all’interno del campo cattolico, mentre la Pace di Augusta normalizza gli aspetti più sovversivi della Riforma riportandola sotto il controllo della spada dei principi tedeschi, estinguendo il carburante della fiaccola rivoluzionaria.
Sorvolando sugli alti e bassi di uno stile diseguale, quasi affrettato in alcuni passaggi, non sempre all’altezza delle ambizioni dell’opera, Q. è un’opera di indubbio valore per la capacità di ricostruire con finezza un’epoca intera, mostrando, attraverso le vicende del suo protagonista senza nome e il controcanto della sua fosca ombra Q., l’impasto di interessi materiali e ideali politici contrastanti, fede cieca e calcolo opportunistico, che sono il lievito della Storia.
Ma forse il merito più grande del collettivo Luther Blisset è stato quello di averci calato in una storia all’apparenza così lontana solo per raccontarci il nostro passato prossimo. Come non vedere nelle vicende del protagonista l’itinerario personale di quei tanti che furono animati di grandi speranze nel Sessantotto, che poi esasperati dalla repressione degli Anni di Piombo presero la strada della lotta armata fino al sanguinoso Settantasette, e infine fuggirono in un lontano Altrove dove dimenticare se stessi e dedicarsi alla cura esclusiva del proprio giardino negli anni del reflusso?
Consiglio il libro non solo a chi è già appassionato alle vicende della Riforma ma anche a chi abbia la curiosità, avvicinandosi il cinquecentenario dell’affissione delle 95 tesi di Wittenberg, di comprendere la ragioni e le vaste conseguenze di un movimento religioso che fece da innesco a radicate tensioni politiche internazionali e infiammò lo scontento popolare di fronte alla prepotenza dei nascenti stati moderni che minavano l’equilibrio di assetti sociali consolidati da secoli: ennesima incarnazione dell’eterna aspirazione degli uomini migliori di ogni epoca a risollevare la condizione dei propri fratelli, rovesciando le ingiustizie per preparare un regno di pace.

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cinecris Opinione inserita da cinecris    01 Novembre, 2016
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La strega di Zardino

Per Vassalli la Storia possiede le smisurate fauci di un organismo che impersonalmente crea e distrugge se stesso con volontà impassibile e ostinata, concedendo alle comparse che siamo l’illusione di sentirsi protagoniste di trite vicende che non possono guidare.
In questa circolare danza di vita e di morte ad essere stritolati per primi sono i figli più innocenti ad opera dei più avidi e cinici, pronti a dilaniare e dilaniarsi per rimanere aggrappati ai bordi del tempo un secondo più degli altri, prima di essere annegati a loro volta nel silenzio.
Vassalli dirada le nebbia dell’alta padana novarese per fare riemergere, effimera come l’abbaglio del sole nell’acqua delle risaie, la storia vera e dimenticata di una giovane innocente che per poco fu sulla bocca di tutti come la strega di Zardino. Antonia è la vittima della macchina spietata che tiene insieme la grandi ruote della storia del Seicento, gli Spagnoli, la Controriforma, l’Inquisizione e i cardinali riformatori, ma anche i minuti ingranaggi del potente di provincia che si sente legibus solutus e l'ignoranza invidiosa del piccolo uomo, che gode della disgrazia rovinosa di una ragazza le cui uniche colpe sono la bellezza della gioventù e l’esuberante intelligenza. Una storia antica, di cui Antonia rappresenta solo una delle innumerevoli variazioni che sono state, e che saranno.
Il romanzo ha uno stile linguistico pulito, a volte secco ma mai piatto, che risente anche della parlata regionale. Felicissimo poi è l’uso dell’ampio sguardo del narratore onnisciente in cui si palesa lo scrittore stesso, riuscendo nella bella impresa di portare il lettore dentro e fuori del racconto, attraversando metaforicamente la nebbia che separa gli uomini e le donne che abitarono Zardino dalla nostra civiltà rumorosa, dove, ignari di ciò che è accaduto, distratti automobilisti inseguono i loro affanni sulla Torino-Milano. In queste efficaci emersioni nel presente le parole di Vassalli si fanno amare, venandosi di un pessimismo sciopenauriano che non s’impone al lettore ma rimane discreto contrappunto a questa storia semplice, cui fanno da sfondo le vicende di un secolo determinante per la storia italiana.

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cinecris Opinione inserita da cinecris    26 Dicembre, 2015
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La tragedia poco seria di due amici perbene

Clive e Vernon vivono lo struggimento di avere perso definitivamente una di quelle donne che ci è stato solo concesso di sfiorare, creature chimeriche nate per lasciare dietro di sé una lunga scia di agrodolci rimpianti.
La storia prende avvio durante la celebrazione del funerale di Molly dove, fra una miriade di amanti risaputi, presunti o mai nemmeno sospettati, i due amici giurano di assistersi reciprocamente e di darsi dolce morte nel caso capiti loro di essere invasi da un male fosco e ottenebrante come quello che aveva confuso nella ragione, prima che uccisa nel corpo, l'amata Molly.
Di questo romanzo all'apparenza dai toni crepuscolari presto s'impadronisce uno spiritello dissacratore e sulfureo, che si diverte a mettere i due protagonisti di fronte a dilemmi morali che ne saggeranno l'integrità morale.
E' eticamente corretto che il direttore di giornale Vernon contravvenga alla sua deontologia professionale e usi foto private per porre fine alla carriera di un pur spregevole candidato primo ministro, xenofobo e reazionario?
E cosa pensare dell'"omissione di soccorso" di cui si rende protagonista il compositore Clive, che per preservare un momento di ispirazione creativa rinuncia a difendere una donna minacciata fisicamente da un uomo misterioso?
Le loro scelte saranno dettate da un egoismo tanto più evidente quanto più viene giustificato con nobili ideali. Ciechi sulle proprie responsabilità ma molto attenti a non perdonare niente all'altro, i due amici si trasformano in giudici spietati, le cui scelte finali non potranno essere più imprevedibili, frutto della radicale incapacità di comprendere e simpatizzare con gli altri.
Il romanzo, scritto con penna affilata e asciutta come si conviene alla satira, rappresenta dunque in chiave ironica quel "deserto morale" di cui si parla dalla fine del secolo ventesimo, e che altro non è se non il trionfo dell'egoismo più banale e pusillanime mai visto affacciarsi sulla scena della storia, da quando il trionfo integrale del sistema capitalistico impone un solo modello di uomo, di economia, società e cultura.
Il testo è di facile lettura e divertente. Lo consiglierei come lettura da spiaggia e, in generale, per momenti di svago in virtù dei capitoli brevi e la scrittura scorrevole: alternativa di sostanza ai romanzi da ombrellone, "Amsterdam" fa riflettere e passare un paio di piacevoli pomeriggi.

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