Opinione scritta da Jo_March

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Jo_March Opinione inserita da Jo_March    16 Dicembre, 2015
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Tutto torna, come un cerchio che si chiude

Questo romanzo di Giulia Carcasi s'intitola "Tutto torna" ed io lei già la amo per il modo in cui scrive: le sue parole ti arrivano dritto al cuore e ti sconvolgono nella loro semplicità e purezza.
E non a caso parlo di parole, dato che in questo libro sono fondamentali: inscatolare la realtà nei barattoli delle parole è ciò che fa il protagonista maschile, occupandosi della revisione - quasi in maniera maniacale - di un vocabolario.
Il libro racconta di un lui, Diego, e di una lei, Antonia, che s'incontrano e s'innamorano, ma non lo fanno in maniera banale: sono due che si riconoscono nelle loro rispettive mancanze, cercando di colmarle, insieme.
Per quasi tutta la metà del libro, siamo indotti a pensare che il cattivo sia lui, Diego, il quale, a mano a mano e grazie all'amore di Antonia, cambia e migliora.
Poi, alla fine, tutto si capovolge e ci si rende conto che forse in realtà le cose non stanno realmente così e che il carnefice forse è un altro. Ma, alla fine, non è corretto parlare né di carnefice né di vittima: nelle ultime pagine si capisce che l'amore, quello autentico, permette d'essere realmente se stessi, senza trucchi e maschere; senza bugie di alcun tipo.
Con dolcezza e tenerezza, Giulia Carcasi ci regala un altro bel romanzo e che scorre via veloce, con tante bellissime frase da sottolineare e da imprimersi in testa e nel cuore.

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Gli altri romanzi della Carcasi ("Ma le stelle quante sono", "Io sono di legno") e li ha amati.
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Jo_March Opinione inserita da Jo_March    13 Dicembre, 2015
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Stereotipi d'acciaio

La verità (non quella assoluta, ma la mia, relativa) è che la Avallone aveva un gran potenziale tra le mani, ma che non ha saputo ben gestire. Il romanzo è composto da diverse storie e personaggi: vari fili che, al termine, la Avallone non riesce a gestire e che perde strada facendo. Non ci dice cosa succede, ad esempio, ad una serie di sventurati che popolano questa storia; li lascia così: appesi in una bolla che potrebbe essere tutto o niente.
Ho visto invece - non so perché - un po' della scrittura cannibale di Ammaniti, soprattutto nelle ultime pagine, anche se a questo modello l'Avallone ha aggiunto particolari truci che poteva anche evitare (ho finito di leggere il libro a notte inoltrata e mi sono un po' suggestionata, ad esser sincera). Non mi è piaciuto questo finale perché - da romantica quale sono - mi aspettavo qualcos'altro: magari il lieto fine o una redenzione, ma tant'è che lei ci ha riservato tutt'altro.
Per quanto riguarda le due amiche inseparabili, alla fine la scrittrice ci lascia intendere, supporre. Anche qui, però, aveva tra le mani due personaggi che avrebbe potuto gestire meglio; dando loro maggior spessore, invece si riducono ad essere delle macchiette, degli stereotipi. In realtà, è la sorte che tocca un po' a tutti i personaggi del romanzo.
Non so, penso che il tutto poteva esser gestito in maniera differente, magari con una conclusione con salto temporale e che ci mostrasse la vita a Piombino una decina, o meglio ancora, una ventina d'anni dopo.
Mi aspettavo molto da questo romanzo - vincitore del premio Campiello per l'Opera Prima - ma le aspettative sono state, quasi completamente, deluse. Inizialmente si faceva leggere di corsa, poi, mano a mano, il tutto diventava una corsa in un labirinto: stancante ed inutile.

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Come dicevo nella mia recensione, lo consiglio a chi ama Ammaniti. Però questo libro mi ha ricordato altri romanzi sul disagio giovanile, passando dal celebre "Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino" al più recente "Il rumore dei tuoi passi".
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Romanzi storici
 
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Jo_March Opinione inserita da Jo_March    13 Dicembre, 2015
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La Resistenza

Di quanto l'amore possa farci diventare folli e ciechi. Così Milton, moderno Orlando, si mette alla ricerca della verità che riguarda Fulvia, la ragazza della quale è segretamente innamorato e che ha saputo essere legata sentimentalmente al suo amico Giorgio, partigiano come lui, ma molto più bello ed affascinante di lui. Giorgio, però, è stato rapito dai fascisti e Milton non si ferma neppure di fronte a ciò: la sua diventa una folle corsa alla ricerca di una verità che è evidente, ma che lui non vuole vedere, valutare. In queste Langhe, che fanno da scenario angosciante, Milton non raggiungerà alcun esito.
Romanzo incompiuto? A detta di molti critici, no: era questo il finale che Fenoglio voleva dare al romanzo.

"Davvero sono splendida?"
"No, non sei splendida".
"Ah, non lo sono?"
"Sei tutto lo splendore".
"Tu, tu tu, - fece lei, - tu hai una maniera di metter fuori le parole... Ad esempio, è stato come se sentissi pronunziare splendore per la prima volta".
"Non è strano. Non c'era splendore prima di te".

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Ovviamente a chi ha letto il romanzo d'esordio di Calvino, "Il sentiero dei nidi di ragno"
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Jo_March Opinione inserita da Jo_March    13 Dicembre, 2015
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Mandami tanta vita

“Mandami tanta vita” non è un romanzo storico né tantomeno una biografia: si tratta di un’opera romanzesca – un’elegia potremmo definirla – che viene solo ispirata dalla figura storica di Piero Gobetti, anche se costanti e fedeli sono i riferimenti all’intellettuale antifascista. Il giovane editore torinese diventa semplicemente un personaggio: non è più Gobetti ma solamente Piero, di cui si raccontano gli ultimi quindici giorni di vita.

Piero, a 24 anni, ha una vita già piena: ha sposato la fidanzata dei tempi del liceo, Ada, che lo ha reso padre da poco tempo. Ha inoltre fondato delle riviste da lui dirette, a cui ha affiancato una casa editrice che segue in ogni singolo aspetto e che lo impegna, quattordici ore al giorno, in un’attività febbrile. La narrazione si apre con la decisione di Piero di abbandonare la sua Torino per muovere alla volta di Parigi, ma il suo è un esilio forzatamente volontario: in Italia – dove il regime fascista ha eliminato ogni forma di libertà d’espressione – non può più proseguire con la sua attività di editore e giornalista.

Moraldo – coetaneo di Piero – arriva dalla provincia al capoluogo sabaudo per una sessione d’esami alla facoltà di Lettere. Si accorge d’aver inavvertitamente scambiato la propria valigia con quella di uno sconosciuto. All’interno vi trova una copia di ”Illustrazione”, una macchina fotografica e una boccetta di profumo: immagina che la valigia appartenga ad un fotografo e che il profumo sia un pegno d’amore ricevuto dalla propria amata. Sarà invece sorpreso quando – grazie ad un annuncio su un quotidiano – scoprirà che la valigia appartiene a Carlotta, giovane fotografa di strada e donna fortemente emancipata e libera, di cui resta affascinato.

Si tratta di un libro di ricerca: il giovane Moraldo insegue il grande Piero e la speranza di individuare la propria strada, mentre Piero rincorre il desiderio di realizzare un grande progetto culturale. Il sogno di entrambi si infrange di fronte al tribunale della Storia: l’antifascismo di Piero sarà la sua condanna, mentre pene inesorabili per Moraldo saranno la propria fragilità e l’incapacità per timidezza di slanci eroici.

La giovinezza – sembra dirci il romanzo – diventa età dai contorni incerti, ma è anche il tempo in cui è lecito “sprecare tempo”: sprecarlo per provare a leggersi dentro e per individuare la propria strada. La giovinezza, infine, evapora per schiudere l’età matura: si cessa di essere giovani quando si smette di guardare lontano, verso un divenire che – nell’istante della giovinezza – è ancora verosimile e possibile.

Un romanzo sicuramente ben riuscito e che consente anche un parallelismo con il presente e con l’incertezza che interessa i giovani di oggi: Gobetti viene presentato alle nuove generazioni come figura su cui riflettere e da tenere come riferimento. L’attualità la ritroviamo anche nel personaggio di Moraldo, che sta sempre un passo indietro a Piero e in questo è come i giovani contemporanei: totalmente bloccato dall’incertezza perché sente le prospettive che gli si chiudono addosso. Piero, al contrario, ce la fa – nonostante la sua sia una breve esistenza – perché è acceso dalla passione.

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