Opinione scritta da katia46
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Vittime della propria vita
Libro gradevole, si legge velocemente.
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L'attesa parla al cuore
Non ti muovere, il romanzo di Margaret Mazzantini, è una storia forte e struggente. La storia di un uomo che si confessa, a se stesso, alla figlia, alla vita.
Parlare di un romanzo del quale si è già detto tanto non è facile. Lo faccio a modo mio, con quello che il romanzo mi ha regalato.
Il romanzo, come sappiamo, si apre con un gravissimo incidente: una ragazza di quindici anni scivola sull'asfalto bagnato e cade dal motorino. Una corsa in ospedale. Lo stesso ospedale dove il padre lavora.
In quel tempo che è l'attesa, un'attesa che sembra sterile, ma si riempie di domande, di pensieri, di rimpianti, Timoteo legge dentro se stesso. Per la prima volta con assoluta sincerità. Parla alla vita, all'amore, alla figlia. Affonda, a mani nude, dentro la sua anima. Ricorda l'amore per Italia, una ragazza del Sud che ha amato tanto. Quello che è struggente, dopo il dolore per la figlia, è questo amore ai margini. Timoteo è un noto chirurgo, vive una vita ben corazzata, ma l'amore per Italia lo scardina, gli toglie la corazza. In realtà all'inizio la mente scaccia questa passione. Ma il corpo no. Il corpo la cerca. Il corpo, più della mente, sa riconoscere l'amore. La mente, i suoi filtri, sono spesso una barriera, un limite. Il corpo parla da solo, in maniera istintiva e veritiera. "Avevo faticato ad amarla, l'avevo respinta, allontanata". Forse il protagonista rimane troppo vittima di se stesso, dei suoi sensi di colpa. Ma il viaggio dentro se stesso, la sua preghiera intima e dolorosa, è commovente.
Lo stile della Mazzantini fa il resto, rende la storia toccante. Le parole sembrano sgorgare da una fonte di dolore, sono vere e pregnanti. Secche, senza traboccare. È uno stile unico quello della Mazzantini che, a mio avviso, ha il difetto di arricchire troppo. Le sue arguzie letterarie a volte sono ampollose, eccessive. Rendono l'emozione meno fluida, meno diretta. Si deve entrare nella metafora, nella parola, e poi uscirne, a volte svuotati dell'emozione. Toglierei più che aggiungere.
L'emozione, a volte, non ha bisogno di tante parole.
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Non esiste un tramonto dei sentimenti
Piangi pure è una struggente storia che ha tutta la grinta di chi non vuole arrendersi. Non c'è un'età per abbandonarsi ai sentimenti, non c'è un limite. Esiste forse solo una primavera dell'eros, dove tutto è concesso? E poi un inverno gelido del desiderio? Dove fermarsi e ricordare, dove solo la memoria può intiepidire? No, questo romanzo è il testamento delicato e ironico di chi non chiude le finestre al desiderio.
Iris, la protagonista, ha 79 anni. Vive da sola, ma per risolvere i suoi problemi economici vende la nuda proprietà della casa. Dal quel momento comincia a pensare alla morte. È grazie al suo amico Carlo, psicologo, che lavora al pianterreno, con il quale ogni mattina prende il caffè, un'abitudine,di quelle che consolidano i rapporti, che Iris comincia a scrivere un diario: dapprima solo pensieri frivoli, poi si lascia andare e nelle parole che scrive si scopre innamorata di Carlo.
Quando credi che le tue stagioni sono finite allora scopri che il tuo cuore è ancora capace di battere, di agitarsi. Perché, lo sappiamo bene, è nell'amore che è contenuto il mistero della vita.
Il romanzo si apre con un diario, la voce narrante parla in prima persona, poi il diario diventa un romanzo, come se dal diario stesso la vita prendesse forma.
Con uno stile pulito, intelligente, ironico, movimentato e mai scontato, Lidia Ravera tratteggia un personaggio che non si può non amare, che ci commuove, e ci consegna una storia romantica, equilibrata, senza sdolcinature. Con discrezione Iris e Carlo ci insegnano che possiamo sempre sperare, che non esiste un tramonto dei sentimenti e quel groviglio che abbiamo lasciato spesso irrisolto negli anni, forse possiamo anche provare a dipanarlo, perché ne abbiamo la forza e la consapevolezza. Un regalo degli anni.
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Il vuoto dietro la perfezione
Le belle immagini sono quelle che circondano la protagonista, ma sono vive e attualissime ancora adesso, seppure il romanzo sia stato scritto nel 1966.
Laurence è una donna che tutti potrebbero definire perfetta: un marito architetto, due figli, un lavoro gratificante. Una vita alla quale sembra non mancare nulla. Eppure qualcosa si scatena nell'animo di Laurence. Quante volte ci siamo dette che il malessere che sentivamo ci sembrava ingiustificato nei confronti della nostra vita. Tutto sembra perfetto, "ma non cambia il colore della vita". Ma qualcosa poi irrompe, è li. da sempre, lo abbiamo solo nascosto bene. Ma non possiamo nasconderlo per troppo tempo. Possiamo provare a nasconderle, seppellirle, ma le nostre inquietudini, i nostri mali, prima o poi irrompono. Non si può mentire con ciò che siamo. Così la protagonista, in un viaggio molto femminile, intimo, attraverso una scrittura palpitante, ha la consapevolezza di vivere una vita fatta di belle immagini: vuote di valori e di verità.
Modernissimo come tema: viviamo di immagini e per una bella immagine siamo disposti a tutto, a non accettare gli anni che passano, a modificare il tempo.
Quando si vive una vita che non è quella che si vorrebbe allora si indossa una maschera che lentamente ci rende estranei a noi stessi: un giorno ci si guarda allo specchio e non ci si riconosce più.
Come sempre, nel suo stile profondo, attraverso un uso dei tempi verbali dinamico, dialoghi tutt'ora attualissimi, attraversato da flussi di coscienza che entrano nella scena continuamente, avvalorando le inquietudini della protagonista, rendendole più forti e profonde, la de Beauvoir analizza la società borghese di quel tempo, vuota e arrogante. Forse questo potrebbe essere il punto debole del romanzo: un esercizio ozioso per criticare la borghesia francese. Ma la società borghese è il guscio delle dinamiche di ipocrisia che anelano le pagine del romanzo.
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Intrecci lunghi una vita
Correva l'anno del nostro amore, di Caterina Bonvicini, è una bella storia d'amore, tratteggiata con raffinatezza attraverso i due protagonisti; Valerio e Olivia. Lui figlio del giardiniere della famiglia Morganti, Olivia l'erede di una famiglia di costruttori, i Morganti appunto. Cresciuti insieme, le differenze sociali non sono mai state un problema, un ostacolo per loro. A cinque anni si danno il primo bacio, ma presto la vita, il destino, li costringerà a dirsi addio: Valerio si deve trasferire con la madre a Roma. Si ritroveranno per la festa dei diciotto anni di Olivia, intatto ancora quel sentimento, quella voglia di vivere che li ha uniti da bambini. Ritrovarsi innamorati è quasi inevitabile. Valerio si trasferisce a Bologna per stare vicino alla ragazza che ama. Nonostante il legame forte i due protagonisti non riescono a congiungersi mai completamente, quasi che le differenze sociali creino discrepanze anche nei sentimenti. Valerio è un ragazzo che desidera riscattarsi dal suo passato, Olivia troppo viziata per appassionarsi a qualcosa con sincerità. Ed è un peccato, perché questo loro amore non supera le differenze. E' questo il vero problema? Le differenze non attraggono, ma dividono? Attraverso uno stile pulito, preciso, ma profondo, capace di farci entrare dentro la storia, che è anche la storia dell'Italia del terrorismo, dell'ascesa di Berlusconi, la scrittrice ci lascia una lieve malinconia: poteva essere, ma non è stato. Nonostante un legame che si intreccia negli anni, incapace di spezzarsi, i due protagonisti non sono capaci di fidarsi del loro amore, vittime del destino delle loro nascite. Ci si può mai riscattare completamente dal proprio destino? I due protagonisti si inseguiranno per tutta la vita, ma saranno sempre incapaci di lasciarsi andare completamente. Non sono forti abbastanza per scommettere su loro stessi.
Attraverso una scrittura lieve, matura, resta alla fine della lettura un sottile velo di tristezza. Perché ci si può amare tutta una vita, ma senza riuscire a congiungersi completamente.
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Piccolo gioiello
La ragazza perduta di Salvatore Mannuzzu è un piccolo gioiello da custodire, da tenere sempre a portata di mano e sfogliare, con calma.
E' un breve racconto: un regalo di compleanno di un marito alla moglie che lo accusa di non amarla più. Quando scende la sera, quella del tempo interiore, quella che chiude il giorno e anche le stagioni della vita, un uomo legge alla sua amata una storia d'amore che ha appena finito di scrivere. Cercando nelle parole di riannodare l'intesa di un tempo.
E' una scrittura elegante quella che snoda i ricordi, che parla di Zezi, la moglie inquieta, ma non ampollosa, al contrario. Non sfocia in un sentimentalismo sdolcinato. Lo stile ricercato si muove leggero, con venerazione, non appesantisce quella che più di un racconto è una splendida lirica. Si respira una leggera nostalgia, a tratti anche malinconia, " di quanto si vorrebbe richiamare in vita, e non si può, e di quanto invano si vorrebbe non fosse stato". Il tempo scolora e consuma, cambia le cose, lascia rimpianti e consapevolezza. "Ho imparato: nessuna cosa rimane se stessa, né mai è stata se non nel groviglio delle altre; da esso forse si può riprendere lo posta che sembrava perduta".
La memoria come un ponte per congiungersi a quel "prima" scintillante, che non si dimentica, che non scolora.
La brevità del racconto è in parte un pregio, i dialoghi sono serrati, ma al tempo stesso un difetto, perché si perde il presente: sappiamo come si sono conosciuti, come il giudice è arrivato in Sardegna, ma del presente non sappiamo nulla, come se solo la ricerca di un tempo ormai perduto, nostalgico, avesse valore, possibilità di ricreare, di riannodare.
E' comunque un piccolo capolavoro.
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Scene di vita quotidiana
Smamma, di Valentina Diana, un romanzo con il quale ho avuto un rapporto di amore e odio. L'ho cominciato con entusiasmo. Finalmente, mi dicevo, una madre che racconta le difficoltà di crescere e di vivere, soprattutto, con un figlio adolescente. Io, madre di un quattordicenne, mi ci sono fiondata tra le pagine. Come tutte le madri anche la protagonista e voce narrante ha un modello con il quale confrontarsi, quello di madre perfetta, ma non lo siamo e forse è proprio questo il nostro problema. Dovremmo smetterla di sforzarci, di tendere alla perfezione. Guardiamo le vite degli altri, la protagonista lo fa, i figli degli altri, come fossero la perfezione, ma nelle pieghe della loro vita spesso poi ci rendiamo conto che non è così. La protagonista compra Il manuale dello Specialista Tedesco, con la speranza di leggere e imparare come essere una madre "normale", brava, attenta. Quale madre non l'ha fatto? non l'ha sperato? Ma i figli sono un'altra cosa da quello che noi speriamo, da quello che noi progettiamo. Con una scrittura fluida, a tratti esilarante, senza nessuna pretesa di dire massime universali, la scrittrice ammette quello che ogni madre almeno una volta nella vita vita ha confessato a se stessa. "Chi diavolo siano queste creature impenetrabile che avete generato, e soprattutto come sia possibile che non vi assomiglino neanche un po'; da quale pianeta provengano e perché si aggirino per casa modificando lo spazio e il senso di tutte le cose, compreso quello della vostra esistenza..."
Il romanzo scorre leggero e brioso, scene quotidiane, semplici, vita di tutti i giorni che si dispiega nelle pagine: una torta da preparare, la tavola apparecchiata, il colloquio con le insegnanti, scene ordinarie, che con un figlio ribelle e scontroso, diventano straordinariamente complicate, ci mettono in difficoltà. Non mi è piaciuta la figura del figlio: non viene fuori. Resta ai margini del racconto, sebbene ne sia il protagonista. Non sono riuscita a sentirlo, a partecipare alle scene, che a tratti mi sono sembrate piatte, quasi che la guerriglia quotidiana sia più uno stereotipo che una realtà di fatto. Una cosa è certa: l'adolescenza e tutti i suoi problemi, è un'affare femminile. Siamo noi mamme che la subiamo di più. Anche se il compagno confessa una grande verità: "Non c'è un lieto fine nel rapporto tra una madre e un figlio adolescente,- ha detto G mentre girava lo zucchero nella tazzina.- Il lieto fine è la fine dell'adolescenza".
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L'incapacità di elaborare
Attratta da titolo, dalla copertina, l'ho comprato e letto con troppe aspettative. In fondo riesco anche a vedermi riflessa nella storia di Aurora e Giovanni, nei sogni, nell'amore, ma soprattutto nell'incapacità di elaborare gli anni che passano, che non le loro sconfitte, le delusioni, le aspettative mancate. Perché essere coppia è complicato, quando c'è chi sta in piedi e chi non si regge, chi si aggrappa, come Giovanni. Non sono riuscita però a trovare continuità, tutto mi è sembrato frammentato. Non riesci neanche a capire perché Giovanni sia così: deluso, fragile, arrabbiato. La scrittura è come se restasse in superficie, senza spessore: vediamo i protagonisti ma si ha l'impressione di non comprenderli completamente. Nel complesso si legge bene, soprattutto nella seconda parte del romanzo, dove la scrittura sembra entrare nel cuore dei personaggi.
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Giovani, forti e fragili
E' un romanzo che ti entra dentro. Per lo stile, fluido e profondo, per il linguaggio, quello che riconosci, perché ti appartiene, perché sei nato in un Quartiere, perché la vita l'hai trascorsa nei rioni, per strada. Non puoi non amarli. Non puoi non fare il tifo per Valentino, sperare che riesca a riscattarsi, con la potenza dell'amore. Non puoi non commuoverti per Alan, sentirlo tuo fratello, detestarlo come fratello ma amarlo proprio per questo. Ti entrano dentro, come la polvere che si respira leggendo. Stile spigoloso, ruvido, potente. Sei nella Fortezza, respiri il degrado, la noia, la paura. Il desiderio di riscatto, difficile, sempre in salita. E tu sei con loro. Merito di una scrittura che non si avvale di ricercatezza, ma proprio per questo arriva dritta al cuore. Un ritmo veloce, incalzante, mai noioso. Un linguaggio giovane come la storia che racconta, forte, doloroso e fragile, come la vita che si dipana tra le pagine.
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