Opinione scritta da CogitaBionda
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La consapevolezza salverà il mondo
Non tutti son fatti per i libri di “critica sociale” come l’editore ha classificato I Rothschild e gli altri. Soprattutto se si considera che, spesso, libri di questo genere trattano temi ostici, per la cui comprensione è necessario un background culturale e specialistico che non tutti possono vantare.
Questo libro, tuttavia, è alla portata di chiunque, scritto appositamente in modo che qualunque lettore voglia prendere coscienza dei meccanismi i cui ingranaggi condizionano, e spesso indirizzano, la vita e il destino di intere nazioni, possa farlo. Perché le informazioni che contiene riguardano, sì, dinastie famigliari da mille e una notte, ma le conseguenze delle manovre e delle scelte di questi potenti toccano la vita di tutti.
Innanzitutto è bene chiarire che si tratta di una ricerca storica. Nessuna teoria su nuovi ordini mondiali o complotti massonici cui il nome Rothschild è, a torto o a ragione, solitamente associato. Ciò significa che l’autore ha raccolto una miriade di informazioni - alcune facilmente reperibili on line o su altri testi biografici della famiglia Rothschild (ma difficilmente inquadrabili in un insieme strutturato e coerente), altre letteralmente cavate fuori col sudore da una serie di documenti, notizie e genealogie - e le ha organicamente esposte e collegate fra loro, gettando luce sulla storia di questa potentissima famiglia che, da secoli, col suo smisurato potere finanziario, muove le fila dei conflitti, delle alleanze, delle decisioni di re e governanti. E gettando luce - soprattutto - sull’incredibile, fittissima, inossidabile rete di parentele e alleanze famigliari, suggellate a suon di matrimoni dinastici, con le altre principali famiglie che governano l’economia mondiale. Dalle pagine di questo libro chiaro, ben scritto, elegante, fanno così capolino i Morgan (Morgan Stanley, JP Morgan) i Thyssen (ThyssenKrupp), i Rockefeller, i Roosevelt e i Churchill (che non hanno bisogno di presentazioni) e gli italianissimi Agnelli, solo per citarne alcuni.
L’autore ci prende per mano e ci accompagna nei meandri delle piccole storie personali di queste potentissime famiglie, dalla nascita di un bambino al matrimonio combinato fra i rampolli di dinastie un tempo rivali, mostrandoci come in realtà l’influenza esercitata da eventi, a prima vista così ordinari, spazi dalla finanza mondiale alle tasse che paghiamo, alle leggi che siamo obbligati ad osservare, fino al nostro carrello della spesa.
È un libro che forse agli appassionati del settore non rivelerà molto di nuovo ma che al cittadino normale - dal docente universitario all’operaio, dal medico all’artigiano - schiuderà un universo della cui esistenza ha sempre sospettato ma che è sempre rimasto sfuggente, leggendario. E gli svelerà, per esempio, da dove viene il famigerato debito pubblico che fin dalla nascita grava sulle spalle di ognuno di noi o quali manovre abbiano permesso la nascita della Federal Reserve con conseguenze notevoli sulla vita di tutti noi.
Aprire gli occhi, conoscere la realtà in cui viviamo, prendere consapevolezza dell’universo che ruota intorno a un nome, una notizia, un matrimonio.
Perché se “l’uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura”, se non altro è pensante. Non dimentichiamocelo.
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Il doppio volto dell’istituzione matrimoniale
Attenzione, il testo contiene spoiler.
Scritto da Ibsen nella seconda metà dell’Ottocento, Casa di Bambola è un’opera che in tre soli atti dipinge a tinte vivaci il doppio volto dell’istituzione matrimoniale: quello pubblico, nel quale gli sposi si sforzano di mostrare al mondo esterno (e a loro stessi) di aver costruito un nido di perfetta armonia e felicità, vezzeggiandosi e celebrandosi reciprocamente, e quello privato, celato perfino agli sposi stessi, che non vedono – o non vogliono vedere – le fondamenta farraginose di un legame che non va oltre l’apparenza e la formalità, ma che esplode con prepotenza in tutta la sua drammatica realtà quando la coppia si trova sull’orlo dell’abisso, a contemplare sgomenta una crisi che rischia di travolgere l’immagine pubblica di entrambi e che mette in gioco la morale di ognuno di loro, morale desolatamente personale anziché condivisa.
La crisi dunque è la vera forza, capace di sollevare il velo delle apparenze e scardinare il teatrino sapientemente costruito da Torvald nel quale Nora si muove, danza e canta, recitando perpetuamente la parte della bambolina allegra e un po’ sciocca, perfetta per intrattenere il marito e gli ospiti ma ben lontana dall’avere una personalità, dei pensieri, delle ambizioni, una profondità spirituale propri. Quando il ricatto di Krogstad – a cui Norma si era imprudentemente affidata per ottenere un prestito che la aiutasse a provvedere alla salute del marito – minaccia la perfetta armonia della sua casa, Torvald viene assalito dall’angoscia di veder distrutta la propria immagine pubblica, veder compromessa la propria brillante carriera, vedersi esposto a critiche e giudizi a causa del comportamento sconsiderato di una moglie che egli considerava un grazioso soprammobile e che ha invece osato agire di propria iniziativa, rivelandosi ai suoi occhi come una donna inaffidabile e di scarsa moralità.
Salvato da fortunose circostanze, Torvald si cala nuovamente nel ruolo di marito-guida premuroso e attento alla sua fragile bambolina senza capire che le dure parole che ha usato contro sua moglie hanno risvegliato la coscienza di Norma che, in un attimo, realizza di non avere mai avuto pensieri e desideri propri e che sente, improvviso e irresistibile, il desiderio di vita, di autorealizzazione, di ricerca della propria personalità. In una casa ormai silenziosa e al cospetto di un marito attonito per l’improvvisa dimostrazione di coraggio della sua bambola, Norma decide di lasciare marito e figli (alla cui educazione non si sente più in grado di provvedere), e fuggire alla ricerca di sé.
Se da un lato è stato considerato manifesto del femminismo, in un’epoca in cui il matrimonio era vincolo sacro e inscindibile, per la denuncia della condizione della donna all’interno della società e della coppia, dell’annullamento di ogni iniziativa e di ogni aspirazione personale in nome di quei “sacri doveri” che Torvald rinfaccia a Norma nell’estremo tentativo di dissuaderla dal lasciarlo, dall’altro la stessa riflessione di Ibsen sulla sua opera ci fa capire quanta strada ancora ci fosse da fare: «Ci sono due tipi di leggi morali, due tipi di coscienze, una in un uomo e un’altra completamente differente in una donna. L’una non può comprendere l’altra; ma nelle questioni pratiche della vita, la donna è giudicata dalle leggi degli uomini, come se non fosse una donna, ma un uomo».
Se Kant non è stato invano, sappiamo che non è certo pensabile assegnare un genere alla morale – universale e necessaria – e l’auspicio sottinteso che le donne siano giudicate dalla legge “in quanto donne” e non “come fossero uomini” è quanto di più lontano si possa immaginare dalle rivendicazioni femministe che nel secolo successivo scossero le basi di un’Europa profondamente maschilista e sessista.
Norma, bambolina incompresa perfino dal suo autore (“Credo di essere prima di tutto una creatura umana, come te… o meglio, voglio tentare di divenirlo”), parte alla ricerca di una nuova identità e di una nuova considerazione di se stessa.
Ma ancora non è tornata.
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