Opinione scritta da Giulia Lisa
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"Storia classica di Vero Amore e Grande Avventura"
Cos’è il vero amore?
Domandatelo a Westley, il garzone, che per anni rimase in silenzio nel suo tugurio, lavorando e studiando ogni ora della sua vita nella speranza che, una mattina, la bella Buttercup si svegliasse e s’accorgesse di amarlo.
Sì, chiedetelo a Westley, che solcò i mari nella ciurma del terribile pirata Roberts, rischiando di rimanere ucciso ogni mattina. A lui, che con la maschera nera scalò il dirupo della follia, affrontò lo spadaccino migliore del mondo, il gigante più forte, le paludi di fuoco, i sanguinari RDTI e la scelleratezza di un Conte, la morte addirittura, solo per rivedere la sua Buttercup.
E la vendetta? Domandatelo allo spagnolo Inigo Montoya, che per anni non smise un secondo di praticare la scherma, giorno e notte, per diventare il miglior spadaccino del mondo. Solo allora avrebbe cercato l’uomo che spezzò il cuore di suo padre con la spada, l’abietto nobile con sei dita che lo sfregiò sul viso quando era solo un bambino.
Vi risponderebbe qualcosa come: “Hola, il mio nome è Inigo Montoya. Tu hai ucciso mio padre, preparati a morire.”
La solitudine? Potreste discuterne con Fezzik, il gigante turco dalla forza titanica e il cuore d’oro, terrorizzato dall'abbandono e innamorato delle rime.
Il dolore? Siete curiosi di sapere cosa sia il dolore? Chi meglio del Conte con sei dita potrebbe spiegarvelo, l’uomo che dello studio del dolore fece una missione.
Se poi foste curiosi di conoscere quale immenso vuoto possa causare la viltà in un uomo, allora dovreste gettare uno sguardo alla vita del principe Humperdick, tanto brillante quanto spregiudicato.
Se credete di non aver bisogno di simili risposte, non datevi la pena di leggere le pagine di questo libro. Tuttavia, se così non fosse, lasciate da parte ogni remora, perché l’eventualità che questa storia vi deluda, per usare l’espressione di uno dei suoi personaggi, è inconcepibile!
Non scoprirete un romanzetto, ma un romanzo grandioso che non potrete fare a meno di adorare e che difficilmente vi capiterà di dimenticare.
E se mai voleste volgere una qualche richiesta a Westley, il ragazzo dagli occhi color del mare dopo la tempesta, lasciate che sia la bella Buttercup a farlo per voi. Perché di qualsiasi cosa si tratti, la risposta del garzone sarà sempre una.
“Ai tuoi ordini”
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Un'opera d'arte
Cosa accadrebbe se un bel giorno, senza alcun preavviso, il diavolo comparisse a Mosca per un breve soggiorno? Probabilmente si tratterebbe di un soggiorno bizzarro, tanto più se il suo seguito fosse composto da tali personaggi: Behemoth, un gatto parlante dalle dimensioni abnormi, l’estroverso Korov’ev dall’abito quadrettato e la lacrima facile, il cupo Azazzello con le sue creme miracolose e una graziosissima vampira di nome Hella.
Come una cosa sottile e contagiosa la follia si dissemina per Mosca, riducendo dignitosi letterati e ottusi burocrati a privilegiati pazienti del dottor Stravinskij, dritti nelle stanze della clinica psichiatrica.
Indurre la pazzia è un divertimento per l’allegra combriccola e sotto gli occhi del lettore si dipanerà una maglia di eventi tanto intricati quanto logici e fascinosi, ma non è solo questo.
Una sola storia non è abbastanza per contenere la bellezza del romanzo, ed ecco che accanto agli eventi di Mosca s’accosta un altro racconto: la storia antica. Sono gli eventi che accaddero a Gerusalemme nel mese primaverile di Nisan, quelli che videro protagonisti uno sfortunato procuratore chiamato Ponzio Pilato e un dolce filosofo di nome Jeshua.
Con un bel po’ di capriole il lettore ascolta gli eventi tormentati accaduti a Mosca e un attimo dopo si ritrova a Gerusalemme, sotto un sole così bollente da far venire l’emicrania. Eppure la storia di Ponzio Pilato non è poi così distante dal presente. Sì perché, se sulla terra la pazzia dilaga causando inaudito scompiglio, in luoghi ben più remoti c’è un ex procuratore che, da molte lune, attende di essere perdonato.
I due mondi si congiungeranno nelle figure di due vittime della verità: il Maestro, scrittore di un'opera sullo stesso Ponzio Pilato e la sua amata Margherita. A loro si riserva un destino particolare, la degna conclusione di una storia meravigliosa, che di folle, in fin dei conti, non ha proprio nulla.
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Il gioiello di Fred Uhlman
Scrivere un romanzo sugli anni dell’olocausto potrà essere un’impresa notevole, ma condensare ciò che di più puro e commovente si possa immaginare in una smilza novella ambientata negli anni più atroci della storia umana, ha dell’impossibile.
Ebbene, Fred Uhlman ci riuscì.
Tutto ebbe inizio nella Germania degli anni trenta, a Stoccarda. Hans è un adolescente ebreo della media borghesia tedesca, piuttosto annoiato dalla solita vita e dalla solita gente. In classe non c’è nessuno che corrisponda alla sua idea romantica di amicizia, nessuno per cui dare volentieri la vita. C’era “il Caviale", un gruppetto di ragazzi dotti e simpatici fieri della propria superiorità intellettuale, gli aristocratici orgogliosi dei loro nomi e una serie interminabile di visi poco interessanti e dalle aspirazioni troppo pratiche.
Poi un giorno, senza preavviso, arrivò. Il sorriso appena accennato, lo sguardo vagamente altezzoso, i capelli dorati e quella naturale eleganza che ammutolì la classe intera. C’era qualcosa di diverso in lui, “non ricordo esattamente quando decisi che Konradin avrebbe dovuto diventare mio amico, ma non ebbi dubbi sul fatto che, prima o poi, lo sarebbe diventato.”
Ma come conquistare l’amicizia del ragazzo che, con estrema grazia, aveva già rifiutato quella del Caviale o degli aristocratici? Come far comprendere al discendente di una delle stirpi più nobili e antiche dell’intera Germania, di essere diverso da tutti gli altri e di meritare attenzione? Probabilmente si trattava di destino e infatti, neppure tre giorni dopo, sarà lo stesso Konradin ad avvicinarsi a lui e da quel momento iniziò tutto.
Sarà una di quelle rare amicizie che ogni uomo spera di ricevere dai suoi giorni, un idillio lungo una vita, ma Hans è un ragazzo ebreo e Konradin un nobile tedesco, nell’epoca in cui il mondò impazzì. Nonostante i tentativi di Konradin di nascondere più a lungo possibile la realtà, Hans scoprirà le tendenze antisemite della famiglia dell’amico. Konradin lo pregherà di non accusarlo per le colpe dei suoi genitori, per circostanze del tutto indipendenti dalla sua volontà e Hans non lo farà, ma entrambi i ragazzi lo sanno bene, sanno che la loro vita e la loro amicizia non sarà più la stessa.
Hans partirà per l’America, prima che sia troppo tardi, ma l’idea che Konradin possa aver preso parte a quegli orrori, lo tormenterà per il resto della sua vita.
La fine del romanzo, che lo consacra a vero e proprio capolavoro, svelerà ad Hans la sorte del suo amico, concedendogli, in un certo senso, di ritrovarlo.
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Il ragazzo dei vicoli che vinse il premio Pulitzer
Il racconto disperato di un’infanzia infelice? Assolutamente no. Una storia vera raccontata per bocca del bambino che l’ha vissuta, dove il senso dell’umorismo e la schiettezza rapiscono il lettore, portandolo già dalla prima pagina (cosa rara e inaspettata) al fianco del protagonista, dietro i suoi occhi, fino quasi a fargli perdere la cognizione della realtà.
Quando la famiglia McCourt lascia l’America per tornare in Irlanda, Frankie è un bambino ignaro di cosa lo attende aldilà del mare.
E’ una terra fredda l’Irlanda, l’umidità si annida nelle ossa e la pioggia è un rumore a cui si finisce per fare l’abitudine, negli squallidi vicoli di Limerick.
Frankie sa come nascono i bambini: è l’angelo del settimo scalino che li consegna ai genitori. Sa anche che a volte l’umidità se li viene a portar via, questo però accade per davvero.
Poi ci sono i maestri che non perdono un’occasione per picchiarti di brutto, i preti che ti chiudono le porte in faccia perché sei povero e hai tutte le ginocchia sbucciate, la nonna che non finisce di insultarti per quella zazzera da irlandese del nord e quello sguardo strano che ti è toccato in sorte perché sei figlio di tuo padre.
E poi c’è la fame. Una delle più vive sensazioni evocate dal libro, è quella della fame: l’improvvisa scoperta da parte del lettore di essere una creatura fortunata, solo per la grazia di potersi nutrire ogni giorno a sazietà.
Entrati nell’ottica del romanzo, si vive al fianco di Frankie, quando ancora piccolo spinge la carrozzina dei gemelli piangenti per la fame, con i poppatoi pieni di acqua e zucchero e il barista impietosito li rimbocca di latte. Quando Michael, il penultimo dei fratelli, porta a casa un segugio più grande di lui e informa la madre di voler cedere la cena al cane e la mamma risponde: “Ma quale cena?”.
La vita di Frank cresce nella povertà, nel continuo terrore di sentirsi inadeguato, con un contorno onnipresente di sensi di colpa. La vita a Limerick lo soffoca, la miseria lo svilisce.
C’è solo un modo per salvarsi: fuggire, fuggire in America. Anche a costo di lavorare per la strozzina del posto, scrivendo lettere minatorie destinate a clienti inadempienti.
O magari, di tanto in tanto, rubacchiare una boccia di latte e una pagnotta consegnati dal fattorino sulle porte dei ricchi, perché: “mi dispiace per i ricchi che la mattina si alzano , aprono la porta e il pane è sparito ma io mica posso morire di fame.”
Frank Mccourt partì per l’America, ma le vicissitudini della sua vita non finirono qui.
Sta di fatto che il ragazzo povero dei vicoli di Limerick fece strada, divenne insegnante, un brillante insegnante con tutte le insicurezze che quella maledetta infanzia gli lasciò d’eredità. L’autore di un romanzo amato da milioni di lettori in tutto il mondo.
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