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evakant Opinione inserita da evakant    17 Agosto, 2017
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GUERRE ZOMBIE...PERFETTE PER UN FILM

Come definire questo romanzo? Non è possibile annoverarlo in qualche categoria pre-confezionata, non è una commedia (perché è ironico ma non fa ridere), non è thriller (c’è violenza ma non muore nessuno) …
È una narrativa contemporanea non schematizzabile.
La storia è quella di Joshua, un professore di inglese per stranieri in una Chicago dove sembra che di cittadini americani non ce ne siano. Tutti i personaggi, Joshua che è di origine ebraica, la fidanzata Kimiko che è di origine giapponese, l’amante Ana che è bosniaca, così come “l’amico” Bega, sono “stranieri” in terra americana. Tranne il padrone di casa di Joshua, Stagger, un reduce della guerra del golfo armato di katana e Guns N’ Roses sparati a volume assurdo.
E sono tutti uno più squinternato dell’altro.
Joshua insegna inglese a un gruppo di immigrati svogliati e disillusi, nel frattempo scrive sceneggiature per il cinema, ne ha scritte a centinaia, mai finita una, mai venduta una, ovviamente, un po’ la quint’essenza dell’inconcludenza di una certa generazione di trentenni americani. Ogni settimana si riunisce coi suoi colleghi in improbabili workshop che si concludono inevitabilmente in sbronze colossali al bar.
La fidanzata Kimiko al contrario è solida, precisa, sa sempre cosa fare e cosa dire, limpida, chiara, emancipata, un’ancora di salvezza nell’esistenza sconsiderato del nostro protagonista.
Che si fa solleticare dalla sua allieva Ana, bosniaca sposata in secondo nozze con un reduce della guerra jugoslava (anche lui con diciamo grossi problemi comportamentali), con una figlia adolescente e sconsiderata…e proprio questo breve ma inteso incontro sessuale con Ana scatenerà una serie di rocambolesche situazioni, spesso violente, spesso quasi esilaranti, con uno Stagger armato di katana a fare da giustiziere…con scarsi risultati.
Ma nel frattempo prende corpo forse la prima vera sceneggiatura che il nostro Joshua riuscirà a vendere al mondo del cinema…Guerre Zombie… dove un improbabile eroe armato fino ai denti combatterà in una guerra all’ultimo sangue contro degli zombie, con tanto di scene splatter.

Un romanzo interessante, scritto in modo diretto e senza fronzoli, è interessante l’alternanza tra un capitolo della storia di Joshua e una capitolo della sceneggiatura di Guerre Zombie, tanto che alla fine forse ci si chiede quale sia la vera sceneggiatura per il cinema: i pochi giorni di follia vissuti da Joshua o la guerra del maggiore Klopstock?
Non mi stupirei se qualcuno, tipo i fratelli Coen, un giorno ne facessero davvero un film perché la storia si presta come dialoghi, come tempi della narrazione, come luoghi…

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evakant Opinione inserita da evakant    16 Agosto, 2017
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UN PICCOLO BASTARDINO MORDACE...

Un furto nel cuore di una notte d’estate. O no?
Un arresto in flagranza di reato. O no?
Una fuga d’amore da romanzo. O no?

Questa volta il maresciallo Maccadò, in servizio alla stazione dei carabinieri di Bellano non si troverà a dover risolvere ben tre enigmi contemporaneamente (e pure in carenza d’organico), ma anche un quarto, quello domenicale del signor prevosto, che animerà per un’intera settimana il baccano dei suoi quattro figli (e un quinto in arrivo).

È una notte afosa quella tra il 16 e il 17 luglio 1937 a Bellano, e nella notte un grido “aiuto! Al ladro!” farà accorrere più di un volenteroso cittadino, ma ben presto le cose si ingarbuglieranno un bel po’ tra arresti roccamboleschi, ricoveri in ospedale, feriti vari, indagini e carabinieri sotto copertura trasportati esangui in ospedale…
Superlavoro per il nostro “eroe” Maccadò.
Che al fine, nel dipanare il mistero, verrà aiutato da un piccolo bastardino mordace (di cui tra l’altro ha una fifa blu…)

In questo romanzo Vitali torna al periodo d’oro dei suoi lavori precedenti, quel epoca fascista in cui si muovono personaggi tra il serio e il faceto, a volte delle vere e proprie macchiette gonfie solo di amor proprio, o di amor patrio…
Dove i sentimenti, così come le azioni erano semplici se non ingenue.
Si torna ad avere un protagonista, il maresciallo Maccadò, intorno a cui ruotano vicende e personaggi davvero innumerevoli, tanti, non difficili da ricordare, ma tanti, un po’ a significare che il paese è un tutt’uno, un super-organismo in cui mancasse, che so…l’appuntato Misfatti, o il Maestro Crispini, mancherebbe tutto un pezzo di storia di Bellano.
Bellano che è tratteggiato benissimo come paesello di provincia, sonnacchioso, tranquillo, pacioso…apparentemente…anche in un tempo in cui un malinteso banale può portarsi dietro strascichi di vita insospettabili, chiacchiere vere o presunte, leggende metropolitane e storie che da un sassolino diventano un macigno, cosa che solo nei paeselli di provincia possono succedere.

La capacità di Vitali poi di scrivere un romanzo piacevole e scorrevole partendo da un fatto in sé senza troppa importanza è lodevole. Più di 300 pagine che vanno giù bene, narrazione veloce, fresca, a cui ci si affeziona.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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evakant Opinione inserita da evakant    31 Luglio, 2017
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QUESTA ROMA GOTHIC MERITAVA DI MEGLIO

Mescoliamo una Roma da romanzo gotico, un po’ di spunti rubacchiati da thriller già letti o sentiti qua e là, buttiamoci dentro un po’ di religione, un po’ di Vaticano che fa tanto moda…di spunti ce ne sono tanti in questo lavoro di Carrisi…forse però andavano sviluppati con un po’ più di ordine, forse era meglio mettere un po’ meno carne al fuoco.

Ci troviamo in una Roma pre-apocalittica, un’ondata di piogge torrenziali minaccia di far saltare gli argini del Tevere, un black-out programmato farà restare Roma al buio per diverse ore, la profezia tanto temuta da Leone X, che in uno dei suoi ultimi proclami auspicava che Roma non restasse “mai, mai, mai” al buio si sta per avverare…tutto questo crea inquietudine, paura e angoscia nella gente comune, così come nelle forze dell’ordine che hanno organizzato una task force per sventare possibili crimini contro le cose, le persone, l’arte di cui Roma è pervasa.
Ma la polizia non è la sola ad agitarsi in preda all’angoscia, altri personaggi anelano o temono il buio.
Marcus il prete dell’ordine dei penitenzieri, una specie di detective vaticano con frequenti amnesie ed epistassi che proprio poco prima del coprifuoco si trova imprigionato da mano misteriosa nel Tullianum e ne esce illeso, ma dimentico di quanto gli è accaduto prima.
Il vescovo Erriaga vive la sua fervida fede immerso nel lusso e avrà bisogno di Marcus per ripulire la scena della morte di un altro porporato osannato dalle folle, ma morto in circostanze ben poco consone ad un religioso.
Sandra Vega, poliziotta autodeclassatasi dopo una serie di lutti che hanno sconvolto la sua vita, che da qualche anno è amante di Marcus.
Vitali, apparentemente un poliziotto dedito a ricerche e indagini più che futili, ma che chiaramente punta completamente ad altro.
Matilde Frai, una donna senza speranza il cui il piccolo figlio, Tobia, è stato rapito 9 anni prima e mai ritrovato.
Un serial killer di cui nessuno conosce il luogo di prigionia che come un moderno Hannibal Lecter guida Marcus nelle sue indagini…
E poi un Vescovo, un Giocattolaio, un Alchimista, tutti parte della Chiesa dell’Eclissi. E un Maestro delle Ombre al di sopra di tutti.

Il tutto poi riconduce alla scomparsa del piccolo Tobia Frai…cosa aveva di così speciale questo bambino? Chi l’ha rapito e perché?

La roccambolesca narrazione scorre bene e veloce nonostante la trovata iniziale del Tullianum che più che ad un prete dell’ordine della Santa Penitenzieria Apostolica fa pensare ad un incrocio tra James Bond e Mc Gyver (si libera dalle manette vomitando la chiave delle stesse che gli è stata fatta ingoiare…ma non aveva un’amnesia e non ricordava nulla di prima del suo risveglio? Ah no, scusate…le ha “sentite” dentro il suo stomaco…).
Dicevo, scorre bene, verso un finale che non è un finale.
Nel senso che la storia non finisce, il nostro Marcus tornerà sicuramente in un altro episodio.
Così come la sua amata, Sandra Vega.
Personaggi volutamente sgradevoli (Vitali e Rufo lo Scarafaggio) tanto da essere davvero poco credibili, porporati dalla doppia vita (anche qui…non certo una novità), si intuisce abbastanza in fretta che il bambino scomparso è figlio di qualcuno dei personaggi tirati in ballo da Carrisi…
Il pre-finale (perché come dicevo il finale, non c’è) se non altro non è scontatissimo, anche se era chiaro che l’amnesia di Marcus preludesse a qualcosa di grosso…

Non è scritto male, per certi versi mi ha ricordato un po’ Glenn Cooper (che non mi è mai piaciuto), ma se non altro in una salsa italiana un po’ meno sensazionalista e inverosimile. Certo è che mi aspettavo di meglio.

A mio parere sarebbe stato interessante approfondire la “direzione della fotografia”: pensate ad una Roma in versione gothic, al buio, semideserta per il black-out, con solo una pallida luce di luna ad illuminarla: avrebbe meritato delle descrizioni degne di questo nome, e non solo qualche accenno a monumenti sfregiati dai vandali o fugaci citazioni di Chiese immerse nel buio… se non ci fossero state queste brevi citazioni qua e là questo romanzo avrebbe potuto essere ambientato in una città qualsiasi.

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forse Glenn Cooper o chi tratta di roba "vaticana" .. in realtà non lo consiglio...
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evakant Opinione inserita da evakant    04 Luglio, 2017
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47...morta che parla

47…morto che parla.
Anzi, morta.

La morta in questione è stata accompagnata in stazione, ha preso un aereo per Londra, ha scritto la cartolina…
Come è possibile?
E’ ancora tutto frutto della mente del giovane Ernesto Livera, detto il Dubbio?

Ernesto da ragazzino ha rinvenuto il cadavere del padre in riva al lago, mezzo dentro e mezzo fuori, e da allora non è più stato tanto normale, sostiene di vedere il padre in giro per Bellano, di parlargli addirittura…e questo fa impazzire la povera madre, la signora Canterina, e il dottor Lonati, che da tanti anni ha a cuore la sorte di questo ragazzo strano, che non sa prendere una decisione, la cui risposta frequente è “Boh!”.
Non sa che fare del suo futuro, come sbarcare il lunario e mentre la madre si affanna a fargli trovare un’occupazione fissa e degna lui con il suo mestiere di “nolleggiatore” porta in giro turisti sul lago…e si caccia in un mare di guai.

Ma la morta?
Torniamo indietro un attimo, al mercato di Bellano dove il Biagio Riffa detto “truffa” venditore ambulante di scarpe il cartone insidia le giovani del posto, ogni paese è buono per un’avventura diversa…e Riffa è quello che si potrebbe considerare il migliore amico del Dubbio…e oggi ha proprio beccato due belle pollastrelle di Acquaseria, la Valeria e la Tina…la Valeria poi…bionda, bella, esuberante…
Ha combinato un incontro al crotto per la sera stessa…ma gli serve un amico per la Tina, chi meglio del Dubbio?
La serata finirà malissimo per Biagio, Valeria è in partenza per Londra dove affinerà il suo inglese, e comunque non ha nessuna intenzione di stare al gioco del Truffa. Mentre Tina e il Dubbio se ne vanno a casa, Valeria molla lì Biagio come un cucù e se ne va.
Qualche ora dopo il Dubbio, nella sua traversata notturna con la Canterina (la barca…si chiama come la madre) per rifornire alcuni clienti di sigarette non proprio nazionali…urta qualcosa con un remo…punta la torcia e … non crede ai suoi occhi. Il corpo di una giovane bionda, bella…ma è proprio la Valeria? Ha paura Ernesto, riesce a confessarlo solo al dottor Lonati, e penserà lui a chiamare i carabinieri ma…di cadaveri nemmeno l’ombra.
Che si sia ancora sognato tutto? Come quando credeva di vedere il padre in giro per Bellano?
E in più...quella che il Dubbio sostiene sia la morta…corrisponde tramite telefono e cartoline con l’amica Tina!

Da qui tutta una serie di misteri, storie passate, segreti di famiglia sepolti e taciuti da anni piano piano si dipanano, in un’estate bellanese un po’ pazza, calda e afosa come non lo era da anni, che ha come sfondo tantissimi personaggio che tutti insieme fanno IL personaggio: il paese, Bellano.
Tutti insieme sono come un unico organismo fatto di tante piccole sfumatura e volte divertenti, a volte amare, a volte tristi, a volte tragiche.
Questa ennesima storia di Vitali è forse un po’ meno efficace delle precedenti, la storia principale lascia a volte un po’ di spazio a tante piccole storie parallele, quella della Tina, della Supposta, della levatrice Dominetti, dei carabinieri della stazione di Bellano, tutte insieme per risolvere il mistero del corpo visto dal Dubbio…sempre che poi il mistero si risolva.

Tante storie in parallelo che forse rendono un po’ meno scorrevole e fluida la narrazione e la comprensione della vicenda, Vitali normalmente è un po’ più lineare nel dipanare le sue storie, ma ugualmente godibile, con tratti di ironia che lasciano sicuramente il sorriso stampato in faccia.

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evakant Opinione inserita da evakant    29 Agosto, 2016
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QUANDO CI SI IMMEDESIMA TROPPO NELLA VEDOVANZA...

Bellano, ma questa volta a fine anni 50.
Abramo Ferrascini ha “ereditato” la ferramenta del suocero, Bigonio Spotti, sposando una delle figlie, la Rosalba.
Mentre la Fioralba, la minore, ha sposato l’Eraldo, un forestiero, il principe azzurro che l’ha portata via, in Svizzera.
Perché se la Rosalba nella foto della carta di identità appena rinnovata sembra una scappata dal manicomio, la Fioralba non parla, tuba, “forse non toccava nemmeno terra quando camminava, mangiava fiori e sicuramente non cagava”.
Impossibile che sposasse uno di Bellano.

Abramo Ferrascini è anche un ottimo giocatore di bocce, “allevato” dal Mario Stimolo, gestore del Circolo e ex bocciatore, ex perché nel 1955 ha lasciato un braccio sotto una pressa. Ottimo sì, ma non da solo, ci vuole un compare preciso e dal sangue freddo che stemperi il suo temperamento da ganassa.

La semifinale del campionato provinciale è alle porte, nulla deve andare storto, non come quella volta che Abramo ha piantato su un gran casino con il suo compare di allora, il Tontoli, che era il fidanzato della Rosalba…

Ma una telefonata nella notte sconvolge tutti i piani. L’Eraldo sta male, gli è scoppiato qualcosa nel cervello, e i medici svizzeri (loro sì che sono precisi) gli hanno dato 48 ore.
Giusto il tempo di sistemare la 1100, salire su a Lucerna, seppellire l’Eraldo (che dovrebbe fare però il piacere di morire come indicato dai medici) e tornare a casa per il sabato.
L’apprensione di Abramo è tutta per la semifinale, come quella dello Stimolo e di un po’ tutto il paese, un vero e proprio psicodramma, ore di attesa frenetica e tensione che si taglia con il coltello.

Non dello stesso avviso la Rosalba, lei affranta pensa solo all’Eraldo, a quel mezzo bacio dato quando entrambi erano fidanzati…ma non tra di loro! Complice Lascia o Raddoppia di Mike Bongiorno e la Stellina Coque, rimbambitissima moglie del Bigonio.
Rosalba spera di arrivare in tempo per un ultimo bacio, si strugge per non essere lei nei panni della sorella, chissà come sarebbe andata se oltre al Tontoli avesse dato il benservito anche all’Abramo, e avesse infine deciso di sposare l’Eraldo.

Però bisogna fare attenzione a non immedesimarsi troppo nelle disgrazie altrui…perché poi tutto potrebbe avverarsi…come nel racconto di quello scrittore là…quel Kafka, che racconta la storia di un uomo che si trasforma in uno scarafaggio, e da scarafaggio muore…schiacciato.

Già, ma Kafka?
Giocava a bocce? No.
È passato da Bellano? Nemmeno.

A voi la simpatica scoperta…


Come sempre Vitali affronta una storiella per certi versi banale, un piccolo aneddoto perso nella notte dei tempi, per costruire una trama veloce, leggera e divertente.
Che si legge tutta d’un fiato e che non può non divertire, non piacere, per qualche ora di svago in allegria.

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evakant Opinione inserita da evakant    29 Mag, 2016
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JUAN SALVADO

“Con un amico vicino tutto è di nuovo possibile”

Ma chi l’avrebbe mai detto che questo amico potesse essere un buffo pinguino di Magellano?

Negli anni 70 Tom è un giovane inglese in cerca di avventure nelle selvagge terre sudamericane, con il naturale pragmatismo inglese Tom si mantiene insegnando in college per giovani figli di immigrati inglesi in Argentina e nel tempo libero cerca l’avventura con la sua moto e a bordo di improbabili treni su e giù per il Sudamerica, dalla terra del fuoco alle pampas dei gauchos… il suo destino e la sua storia si intrecciano con le vicissitudini politiche del paese sudamericano e con la vita di un giovane pinguino.

Tom è in Paraguay e poco prima di partire per il college di Quilmes dove ripartirà l’anno scolastico si imbatte in una baia marina, poco distante dal suo alloggio, invasa dal petrolio: lo spettacolo è agghiacciante, migliaia di pinguini soffocati dal petrolio, adagiati sulla spiaggia, impotenti, soffocati dalla presunzione e dalla ferocia umana, ma in mezzo a quella massa qualcosa, anzi, qualcuna di quelle bestiole si muove ancora. Tom non ci pensa due volte: cerca alla bell’è meglio di catturare il pinguino, stoico, combattente, non ne vuole sapere e lo ferisce ad una mano, riesce a portarlo fortunosamente in casa e inizia la difficile opera di “ripulitura” dal petrolio e dal catrame. Certo l’animale non è per nulla d’accordo all’inizio, ma poi pare capire e apprezzare, Tom riesce anche a farlo mangiare…ma un nuovo dilemma si presenta all’orizzonte: come passare la dogana con un pinguino al seguito?
Tom prova a rilasciare l’animale alla baia, ma l’animale non ne vuole sapere e lo segue, non gli resterà che portarlo in Argentina.

Assisteremo ad un viaggio divertente, rocambolesco, avventuroso, ma Juan Salvador arriverà finalmente al college di Quilmes.
Juan Salvador, come il Gabbiano Jonathan Livingston anche se per tutti al college il pinguino sarà Juan Salvado e non Salvador.

Assisteremo increduli al ruolo di psicologo, confidente, consigliere che il piccolo Juan Salvado avrà per tutti al college, dal personale ai ragazzi più soli e bistrattati.
Un uccello con un caratterino niente male, che vivrà su una terrazza mangiando sardine e nuotando in piscina, coccolato, amato e vezzeggiato da tutti, college e villaggio adiacente compreso.
Tom si interrogherà su come far tornare al suo ambiente naturale il piccolo pinguino, si spingerà molto lontano nelle selvagge terre del sud dell’Argentina, penserà anche allo zoo di Buenos Aires, ma il cuore non riuscirà a lasciarlo in un posto tanto triste e inadatto ad uno spirito irriverente come quelle di Juan Salvado.

Una storia commovente, divertente e piena di sentimenti semplici e genuini, finale non lieto ma che fa riflettere molto sul ruolo dell’uomo, sul suo impatto sull'ambiente, sull'amicizia che può nascere anche nei modi più inaspettati.

E dopo decenni, Juan Salvado ha ancora qualcosa da insegnare all'ormai invecchiato giovane Tom.

Lo stile è fresco, semplice, la storia di Juan Salvado si intreccia con quella della crescita del giovane Tom, e capitolo dopo capitolo gli insegnamenti del pinguino al ragazzo prendono forma proprio nella maturazione dell’autore.

Volevo inoltre spendere due parole sul titolo del romanzo, o meglio, sulla sua traduzione, a mio avviso del tutto inadeguata, per non dire di peggio…
Il titolo originale è più semplice, più adatto e sicuramente più efficace “The Penguin Lessons” che in italiano diventa “Storia del pinguino che tornò a nuotare” un po’ a fare il verso ai titoli di Sepulveda e forse per attirare un pubblico simile… peccato che questo romanzo non abbia nulla a che vedere con le storie proposte da Sepulveda: né per la tipologia di narrazione, né per il tipo di storia, forse solo il fatto che il protagonista è un animale.

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Racconti
 
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evakant Opinione inserita da evakant    16 Aprile, 2016
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RIDERE DI QUALCOSA CHE RIDERE NON FA

È possibile poter ridere, e ridere da morire, di qualcosa che in realtà non fa poi così ridere? Anzi…
Beh, se si apprezza e se si riesce a capire il tipico humour inglese, sicuramente sì.
Quell’humour caustico, amaro, ma che io personalmente trovo irresistibile.
In una raccolta di sei racconti che sono in realtà dei brevi sketch teatrali.

Alan Bennet, drammaturgo inglese a me, prima di questo “il gioco del panino”, del tutto sconosciuto, parte un po’ in sordina con “La mano di Dio” in cui la rigida rigattiera Celia, per avidità si lascia sfuggire l’affare della vita.

Si prosegue con “Miss Fozzard a piede libero” in cui il rapporto paziente/medico (in questo caso, per essere precisi, Miss Fozzard/podologo) diventa qualcosa di sicuramente insolito… nella sua narrazione, nonostante, per dirla terra terra, si parli praticamente di prostituzione, il tutto prende una piega quasi surreale e quasi “entusiastica”.

“Il gioco del panino”, un lavoro complesso sul tema della solitudine più devastante, arriva come un pugno nello stomaco, si intuisce solo verso la fine quello che succede e come dice lo stesso Bennet nella sua lunga introduzione (citando un altro autore) “E’ questo che bisogna fare per venire isolati: ammazzare bambini. Nient’altro ha lo stesso effetto, perché qualsiasi altro crimine ti farà comunque trovare degli amici. Stuprali, ammazzali e fatti beccare”.
Da qui in poi l’omicidio diventa il filo conduttore dei racconti a seguire.

“Il cane deve stare fuori”: una donna ormai matura, vera “malata di pulito” odia a morte il cane del marito, non lo vuole in casa, sporca, perde peli, deve stare fuori… la sua ossessione non le fa nemmeno vedere che il marito si comporta stranamente, e ogni volta che porta fuori il cane…una giovane donna della zona viene uccisa…

“Notte nei giardini di Spagna”: una donna di mezza età, sposata da 30 anni, senza figli accorre a casa della vicina, che ha appena ucciso il marito. Diventa la sua migliore amica e scopre che la vicina Fran ha solo messo fine ad una vita di soprusi e maltrattamenti da parte del marito…maltrattamenti a cui forse ha preso parte anche suo marito, il timido e dimesso Henry… e si interrogherà se in prigione è Fran (che comunque sconta la sua pena) o lei che finalmente, dopo una vita di lavoro, ha seguito il marito a Marbella…

“Aspettando il telegramma”: qui non viene ucciso nessuno, ma la morte è comunque protagonista con la vecchia Violet che, tra momenti nebulosi e momenti di lucidità, vede andarsene tutti quelli che la sua mente annebbiata ama, in particolare l’infermiere Francis. Aspettando il telegramma della regina che si congratula per il suo secolo di vita, la sua mente prenderà del tutto il largo, ricordando quell'altro telegramma, quello che annunciava la morte in guerra del suo primo amore.

I temi di questi sketch sono largamente spiegati nell'introduzione dell’autore, ma è sicuramente riconoscibile il tema della vecchiaia (nessun protagonista è giovane), della sterilità (nessun protagonista ha figli, solo Violet ne ha uno, ma non lo riconosce), della malattia (ictus, alzheimer, aids) della solitudine, della morte, dell’omicidio…storie che raccontano una cosa, ma in parallelo anche tante altre.
Temi amari, temi deprimenti, per i quali si riesce anche ridere, in puro stile british.
Sei racconti che sono più dei bozzetti, scorrevoli, piacevoli e per nulla scontati.

Guardare è bello,
toccare ancor di più,
ma se lo rompi
dovrai pagarlo tu.

Il marito era disteso su un tappeto, a pancia in su – un tappeto di quelli a pelo lungo – e gli era uscito sangue e non so cos'altro da dietro la testa. La cosa orribile è che per prima cosa ho pensato: non verrà mai via.

Dev'esserci una parola per definire quello che sto facendo, ma… le giro intorno.

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Non conosco Bennet ma se i suoi altri lavori sono simili a questo, sicuramente meritano.
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Narrativa per ragazzi
 
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evakant Opinione inserita da evakant    14 Febbraio, 2016
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UNA LUMACA RIBELLE

Sepulveda è uno scrittore per tutte le età, benché i suoi lavori siano sostanzialmente delle favole, leggibili in poche ore, brevi e dal linguaggio semplice e diretto, un bambino può trovare la storia di animali parlanti e buoni sentimenti, un adulto un messaggio “sottinteso” più profondo, che va a scavare più giù della semplice storia.

Storia di una lumaca che scoprì l'importanza della lentezza è proprio questo.

Una giovane lumaca vive con le altre compagne più o meno giovani all'ombra del calicanto, mangia le le tenere foglie del prato, lenta e serena. Ma come tutti i giovani questa lumaca, che non ha un nome, perché tutte si chiamano lumaca, ha tante domande che i vecchi non riescono a soddisfare.
Perché non ha un nome? Il mondo fuori come è?

E un giorno parte all'avventura, da sola, verso il mondo sconosciuto.
E avrà dei compagni di viaggio: dal gufo alla tartaruga, quella che finalmente le darà un nome: Ribelle.
Ma il mondo sta cambiando, la minaccia del nastro di asfalto caldo e puzzolente si sa avvicinando e sta minacciando la sua vecchia casa.
Ribelle decide di tornare ad avvertire la sua vecchia famiglia...ma è lenta...lenta...farà in tempo ad arrivare? Sul suo cammino avvertirà gli altri animali, grati per poter scappare in fretta, e infine arriverà alla sua vecchia casa, ma come tutti i giovani ribelli troverà tanta indifferenza, persino scherno da parte dei vecchi e dei saggi che “sanno”.
Qualcuna partirà con lei, qualcuna no, verso questo viaggio della speranza,verso questa piccola odissea, questo piccolo esodo, in una corsa contro il tempo (strana una corsa contro il tempo per una lumaca!!) per trovare una nuova casa prima dell'inverno.
E per scoprire che forse, la “terra promessa”, se la sono portate dietro per tutto questo tempo senza saperlo!

Un racconto semplice, persino banale, ma dentro al quale si possono trovare tanti temi più o meno attuali: l'ecologia, il conflitto generazionale, la ribellione, la speranza, il viaggio, tante cose in poche pagine. Che non sono un capolavoro ma che lasciano qualcosa di dolce nel cuore.

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evakant Opinione inserita da evakant    22 Gennaio, 2016
Top 500 Opinionisti  -  

LA SUORA (STORTA) E' LA CHIAVE DI TUTTO

“Non sta mai ferma,
è sempre indaffarata...
e nasconde qualcosa.”


Ormai Vitali è una garanzia:
garanzia di una trama vivace, scorrevole e mai scontata;
garanzia di passare alcune ore staccando la mente da tutto;
garanzia di ironia, acutezza e di una dota innata nel saper raccontare delle vite di tutti noi.
Sono le persone normali quelle che Vitali ci racconta: non improbabili eroi bellissimi e temerari, non improbabili eroine bellissime e soavi, ma donne di mezza età, marescialli dei carabinieri, giovani sfortunati ma che si affacciano con fiducia e buona volontà al futuro.

Siamo nel 1970 e il giovane Sisto sta aspettando dentro la sua macchina alla stazione di Bellano, lui è l'unico tassista del paese e sta per arrivare il treno da Milano.
Dal treno scende una donna, apparentemente vecchia, che chiede di andare al cimitero, non c'è mai stata, Sisto l'accontenta, ma giunto a destinazione si accorge che la donna è morta. Lì, sul suo taxi.
Indispensabile sarebbe identificarla: non ha con sé documenti, non ha detto chi andava a trovare al cimitero, ha scambiato solo pochissime parole con Sisto e nemmeno il ritrovamento della sua borsa, verso sera, sul treno che torna a Milano, da indizi...nemmeno lì i documenti.

Il maresciallo Riversi (e non Pezzati come riportato nel riassunto...) inizia a indagare sulla possibile identità della donna: secondo l'esame del medico aveva la sifilide, e aveva avuto un figlio, o una figlia, e quindi forse da qualche parte qualcuno la sta cercando. Nella sua tasca una foto: la donna da giovane, l'avvocato Agliati e lei, la suora storta, quella che lavorava all'ospedale di Bellano, quando non era ancora suora e non era ancora storta.
Sarà lei la chiave di tutto.

La storia corre parallela a quella del giovane Sisto, orfano cresciuto in parrocchia e avviato nell'officina dello Scaton, burbero e bestemmiatore, di poche parole ma che saprà essere per Sisto quasi un padre.
Parallela anche la necessità del maresciallo Riversi di dare un nome, una storia, di ridare dignità ad una donna sola, morta su un taxi in un paese sconosciuto, e trovare cosa potesse mai c'entrare in tutto questo la suora, quella storta.
Il tutto con il solito stile fresco, un libro divertente, leggero ma acuto.
Lo si legge in un fiato e non ci si annoia mai.
Forse il finale questa volta non è proprio originalissimo, e Vitali non ricorre ai soliti nomi strampalati, ma il titolo “La verità della suora storta” incuriosisce già abbastanza il lettore.

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Narrativa per ragazzi
 
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evakant Opinione inserita da evakant    14 Gennaio, 2016
Top 500 Opinionisti  -  

Mix e Max

CONTIENE SPOILER

“Potrei dire che Mix è il gatto di Max, oppure che Max è l'umano di Mix, ma come ci insegna la vita non è giusto che una persona sia padrona di un'altra persona o di un animale, quindi diciamo che Max e Mix, o Mix e Max, si vogliono bene”

Siamo a Monaco di Baviera, Max, un bambino dolce e curioso, ha come compagno di giochi un gattino di nome Mix, un gattino nero con la pancia bianca, un gattino a cui piace arrampicarsi, saltare da un tetto all'altro, un gattino con un singolare profilo greco, elegante e sinuoso.

Mix e Max crescono insieme, Mix segue Max quando si trasferisce in una mansarda da studente, segue il suo ingresso nel mondo del lavoro, Max cresce e Mix invecchia. E diventa cieco.
Non potrà più salire sulla scala che Max ha messo in bagno e saltellare sui tetti.
Max è attentissimo a tenere la casa in ordine, a non spostare nulla in modo che Mix non si faccia del male, non vada a sbattere, si senta sempre a su agio.
Ma ormai Mix è vecchio e passa quasi tutto il suo tempo seduto vicino al termosifone, fino a che un giorno un piccolo topo messicano, scappato da una gabbietta nel piano di sotto, entra nella sua vita.
Il topo è molto pauroso, ma molto affamato, e Mix, convinto dalla sua parlantina furba e incessante, lo lascia mangiare un po' di muesli dimenticato sul tavolo, a patto che il topo diventi i suoi occhi, si affacci alla finestra e gli descriva il mondo che non vede più.
Il povero topino non ha un nome, e Mix lo battezza Mex.

Mex sostituirà i suoi occhi, sventeranno insieme un furto in casa di Max, Max che (siccome per Mix è un amico, di quelli veri) accetterà di buon grado anche Mex, e metterà una ciotola piena di muesli a fianco a quella piena di croccantini di pesce...anche Mex diventa parte della famiglia.
Un giorno accade l'incredibile, grazie a Mex, Mix riuscirà di nuovo a tornare sul suo amato tetto tutti vedranno un elegante gatto dal profilo greco stagliarsi sui tetti con in groppa un piccolo topo marrone.

La storia è stata ispirata a Sepulveda dal suo amore per i gatti e da suo figlio Max.
Una storia semplicissima, molto dolce e molto bella di un'amicizia senza confini né tra uomini, né tra animali. Una storia di amicizia universale.
Si legge in 20 minuti, la consiglio, è molto carina, anche da leggere ai vostri figli, così tanto per cambiare rispetto alle solite favole.

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le altre favole di sepulveda, bello da leggere ai bambini e con i bambini.
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Gialli, Thriller, Horror
 
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2.3
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evakant Opinione inserita da evakant    09 Dicembre, 2015
Top 500 Opinionisti  -  

24 ore per morire

AVVISO: è presente una anticipazione sul finale, che non svela nulla, ma c'è. Eventualmente non leggete le ultime 5 righe.

Sono lontani i tempi della Cornwell in cui i casi appassionavano, raccontavano una storia, raccontavano le vite delle vittime e le vite del carnefici.
Sono lontani i tempi in cui Kay Scarpetta cercava di ridare un volto, una storia, un'anima a dei corpi freddi, mutilati o di cui era stato fatto scempio.
Sono lontane le corse conto il tempo per acciuffare assassini e serial killer che hanno una storia, che hanno forse dei motivi, per quanti beceri, per fare quello che fanno.

Oggi Kay Scarpetta, sopravvissuta ad un tentativo di omicidio da parte della serial killer pazza psicopatica, sadica quale è Carrie Grethen, una sorta di fantasma riemerso dal passato visto che la si credeva morta da anni...è alle prese con una sorta di “24 ore per morire”.

Partiamo dal presupposto che questa pericolosissima serial killer è ancora viva: lo sa Kay, lo sa il suo amico e collega di lunga data Marino, lo sa l'FBI, lo sa la CIA, lo sa la nipote di Kay, Lucy Farinelli (che è stata sua compagna)...lo sa tutto il mondo, ma questa è libera di scorrazzare per il mondo a sua discrezione: ruba identità, si intromette in qualsiasi data base, server, posta elettronica che sia dell' FBI o della difesa. Rapisce e ammazza poliziotti, agenti e persone comuni come se rubasse caramelle, senza lasciare traccia e in modo assurdo, senza fare un solo rumore, le vittime si dissolvono nell'aria cose fumo.
E ovviamente nessuno fa nulla.

In queste 24 ore di racconto (sì 400 pagine per 24 ore) “Carrie la pazza” (forse un riferimento a King?) prende di mira direttamente la nostra Kay, per prendere di mira indirettamente la nipote Lucy...ma anche qui non è ben chiaro se ce l'abbia con una o con tutte e due.

La base di partenza è sempre un omicidio efferato che porta poi a tutta una serie di ragionamenti e alla “corsa contro il tempo” finale. Comunque inutile.

Dunque: la trama è inverosimile, irreale. I personaggi sono ormai delle caricature di se stessi.
Lucy Farinelli è una donna ex agente FBI, ex tutto, che vive blindata e armata fino ai denti con compagna e figlio adottivo, sembra un rambo in gonnella, capace di guidare aerei, elicotteri, barche, qualsiasi tipo di mezzo a motore, e ovviamente sfondata di soldi.
Kay Scarpetta è il capro espiatorio di tutta l'intelligence statunitense, integerrima, fredda, meticolosa, che in situazioni estreme sta 3 capitoli a fare analisi assurde.
Benton Wesley, marito di Kay e capoccia dell'FBI è una specie di monaco buddista che nulla e nessuno riesce a smuovere, nemmeno se in pericolo c'è la sua famiglia.
Pete Marino è l'unico che è ancora uguale a se stesso, per fortuna.
Carrie la pazza invece c'è e non c'è. Aleggia su tutta la storia ma non compare praticamente mai, se non in video registrati 15 anni prima.
Sarebbe stato molto più interessante offrire un'analisi della mente di questo soggetto, perché lo fa, cosa la spinge, vedere il suo “punto di vista”, avrebbe arricchito molto la storia.
Invece no, l'eroina senza macchia e senza paura è Kay Scarpetta. Sempre.

Il finale è frettoloso, richiama un po' la conclusione de “Il silenzio degli innocenti” con la caccia al serial killer di Clarice Starling negli interrati della casa del mostro, attraverso stanze e cantine segrete, solo che qui è come dicevo frettoloso (forse 2 paginette) anche se molto simile (cantine e stanze segrete di una casa antica, al buio, con una vittima ancora in bilico tra la vita e la morte).

La caccia non porta alla cattura della preda, banale espediente per iniziare il prossimo romanzo della nostra Cornwell. Si era già capito a pagina 50 che non si sarebbe arrivati a nulla.
Lo stile è anche abbastanza accattivante e la storia sembrerebbe avvincente, se portasse ad una conclusione.

Insomma: mediocre.

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Romanzi
 
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evakant Opinione inserita da evakant    07 Dicembre, 2015
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La sgangherata banda di paese

Andrea Vitali non scrive in modo ricercato e non cerca di fare l'intellettuale e il professorone a tutti i costi, ma "parla come mangia", come parleremmo noi, di cose che conosciamo e di storie quotidiane, vicine, divertenti e che ci illustrano sempre personaggi comuni, come noi, con pregi, difetti, manie, molto molto umani.

Il romanzo "Almeno il cappello" è ambientato ancora una volta a Bellano, città natale del Vitali, nel periodo del fascismo, una Bellano che sicuramente non c'è più, ma che è stata sicuramente un po' simile a tutti i nostri paeselli in quel periodo con leproprie figure portanti: il podestà, il prevosto, gli osti e i loro avventori.
In questo romanzo il ragionier Geminazzi, trasferitosi suo malgrado a Bellano, prende in mano le redini della futura banda del paese, fa audizioni e raccoglie a sè i vecchi componenti della fanfaretta del paese...un più caratteristico dell'altro...
E tra mille e mille peripezie e battibecchi con il podestà e il segretario del partito si batterà per avere la divisa della banda...tra drammi, situazioni buffe ed accadimenti di tutto il paese...

Conosceremo molti personaggi: l'energica moglie di Geminazzi, che ha appena dato alla luce altri 2 gemelli, la tirannica neomoglie di Nasazzi che lo comanda a bacchetta seppur lui abbia 20 anni in più, l'Armellina, prosperosa ragazza da marito, e poi il podestà, il segretario del partito Bongioanni innamorato pazzo dell'Armellina, persone di paese, persone come noi, macchiette che possiamo riconoscere in tanti nostri compaesani.

Il tutto con uno stile semplice, scorrevole, frasi e capitoli brevi come da consuetudine di Vitali, storia che scorre veloce, un libro piuttosto lungo, ma che non ti accorgi quasi di aver finito.
Soprattutto sarà interessante capire se il corpo musicale di Bellano riuscirà ad avere la sua divisa...o se un evento del tutto imprevedibile farà naufragare il tutto...

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Gialli, Thriller, Horror
 
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3.3
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evakant Opinione inserita da evakant    03 Dicembre, 2015
Top 500 Opinionisti  -  

La fine...o forse no?

Dopo aver lasciato “sedimentare” un po' i primi due capitoli, dopo aver preso in mano ed abbandonato l'ultimo capitolo “La regina dei castelli di carta” attratta da altro, un po' per il poco tempo, un po' per chissà che cosa, finalmente qualche settimana fa ho ripreso tutto in mano e ho deciso fermamente di arrivare alla fine.

Tirando le somme, posso dire senza indugio che il primo capitolo resta il migliore in assoluto.
Abbiamo lasciato la nostra hacker Lisbeth Salander ferita gravemente con una pallottola alla testa, ferito anche il famigerato Alexander Zalachenko (alias Alex Bodin). Dopo violenze di ogni tipo, sparatorie e inseguimenti vari i due antagonisti vengono portati in ospedale e ricoverati a poche porte uno dall'altra, mentre lo psicopatico Ronald Niedermann è in fuga e lascerà dietro di sé un'agghiacciante scia di sangue.
Artefice del salvataggio di Lisbeth è il solito Mikael Blomkvist, che come tutti gli eroi che si rispettino è sempre al posto giusto al momento giusto, cosa che lo aiuta molto visto cheè è un giornalista d'assalto oltre che amico di Lisbeth.

Posso affermare che in questo volume, dalla ragguardevole mole di più di 600 pagine, non accade granché. Si passa dal ricovero dei due antagonisti, all'assassinio di Zalachenko per mano di un agente segreto sotto copertura (che ben presto viene smascherato e che non è chiaramente il delirante psicopatico malato terminale che sembrerebbe essere), per arrivare sino al processo che vede imputata Lisbeth, assistita dalla sorella di Mikael, processo in cui tutti i vecchi amici di Lisbeth si danno un gran da fare per smascherare la cospirazione ai suoi danni, incriminando la famigerata “sezione speciale” dei servizi segreti svedesi.
Non c'è nulla di più ma il brodo viene allungato (direi al limite della sopportazione) nella prima parte e con un salto indietro di anni per spiegare la nascita della sezione, tanto che il volume è difficilissima digestione almeno sino a pagina 250.
Poi si riprende grazie all'introduzione nella vicenda di un nuovo personaggio oltre al duo Salander-Blomkvist: l'agente Moniga Figuerola, un'altra sorta di wonder-woman dal fisico scolpito, che già al primo incontro con il nostro reporter d'assalto finisce nel suo letto mettendo a rischio tutta l'inchiesta e portando avanti una storia di sesso (o forse amore?) con il nostro allegro reporter...allegro perchè nel frattempo lui continua la sua relazione anche con la ex redattrice di Millenium Erika Berger, amante storica, che è sposata da anni ma da anni tiene anche il piede in due scarpe.
La narrazione prende un po' di vita, se non altro per il fatto che accade almeno qualcosa.
Si arriva al processo, che a differenza di tutto quanto accade prima viene descritto quasi frettolosamente, anche se in modo efficace, e grazie al cielo senza perdersi in miriadi di digressioni, e senza colpo ferire si arriva alla sentenza e all'epilogo.
Nel frattempo Niedermann è sparito dalla faccia della terra e ricompare nelle ultime 30 pagine per fare una fine alquanto scontata.
Ovviamente non vi dirò se la nostra Lisbeth sarà dichiarata colpevole o innocente, ma non serve essere dei geni per intuirlo.

Nel mezzo indagini complicate, pedinamenti, appostamenti, telefoni sotto controllo, scandali vari, Blomkvist che si muove come un moderno James Bond che non si fida di nulla e di nessuno e riesce a seminare i cattivi (che ricordiamolo, fanno parte dei servizi segreti) come se fossero teppistelli alle prime armi.
I buoni sono buonissimi e integerrimi, i cattivi sono cattivissimi e idioti, ricordiamolo, fanno parte dei servizi segreti, ma vengono messi nel sacco esattamente, idem come sopra, come se fossero dei teppistelli alle prime armi.
Il tutto in un ambiente torbido e alquanto mafioso per essere nalla ridente e civilissima Svezia.

Finalmente assistiamo alla fine di innumerevoli e tristissimi pasti tipici svedesi a base di tramezzini e caffè. E a dialoghi intricati, notizie scottanti, rivelazioni più o meno scabrose, la cui conclusione finale è sempre la stessa laconica risposta: “Aha”.

Che posso dire: non mi è piaciuto, ma non mi è nemmeno dispiaciuto, lo stile è quello solito di Larsson, freddo, efficiente, lineare, allunga il brodo molto bene, le pagine avvincono, ma alla fine non resta molto.
Diciamo che in questo romanzo la storia è in funzione dei personaggi, se non ci fossero stati Lisbeth e Mikael sarebbe rimasto ben poco, personaggi comunque sempre e molto uguali e se stessi: il nostro reporter d'assalto che ha una fortuna, ma una fortuna...è sempre nel posto in cui accadono i fatti, ed è immischiato fino alla testa, anche troppo e anche in modo poco credibile.
La nostra hacker con un palmare e un cellulare in mano è in grado di entrare in tutti i computer del mondo, carpire indagini secretate dei servizi segreti, manco fosse Mandrake.

Va letto giusto per arrivare alla fine della trilogia.

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va letto se non altro per terminare la trilogia.
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Gialli, Thriller, Horror
 
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3.8
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evakant Opinione inserita da evakant    25 Novembre, 2015
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Lisbeth&Blomkvist la vendetta

In questo secondo capitolo troviamo ancora i personaggi che abbiamo lasciato nella prima parte.
Mickael Blomkvist, Lisbeth Salander ecc...ma diciamo che i protagonisti sono sempre loro.
Molte cose sono cambiate nell'anno trascorso dopo la bufera dell'affare Wennerstrom e la scomparsa ed il ritrovamento di Harriet Vanger...Blomkvist è diventato una sorta di celebrità nel jet set scandinavo per il suo libro-denuncia, è tornato alla direzione di Millenium e la sua carriera è ancora in forte ascesa.
Lisbeth Salander è sparita nel nulla...da quando è diventata improvvisamente più che benestante grazie alla sua abilità di hacker ha girato il mondo, si è rifatta il seno, ha comprato una casa nuova e un'auto.
Ma i guai per lei non sono lontani.
Millenium nelle sue inchieste scomode si sta occupando del "traffcking" e dello sfruttamento della prostituzione in Svezia...commercio fiorente che investe non solo criminali spietati, ma anche poliziotti, politici e giornalisti.
È proprio nel momento in cui Lisbeth viene a sapere di queste indagini che iniziano i guai (e la parte avvincente del romanzo)...Una criminologa e un giornalista free lance che collaboravano con Milleniun vengono uccisi... e si sospetta che la colpevole sia proprio la bizzarra Lisbeth...
Chiaramente la vera parte interessante del libro inizia qui.

Prima, se devo essere sincera, l'autore si perde un po' in chiacchiere...dalle vacanze di Lisbeth ai Caraibi sino alle varie digressioni su chi mette le corna a chi all'interno di Millenium...oltre a spiegare molto brevemente di cosa tratta la nuova indagine di Millenium...
Diciamo che le prime 250 pagine del libro sono un susseguirsi di fatti più o meno interessanti, ma senza che succeda nulla degno di nota...anche se si intuisce subito a naso che il misterioso "Zala" che spunta qua e là nelle indagini di Blomkvist e soci sulla prostituzione sarà in qualche modo chiaramente legato a Lisbeth Salander.
Sicuramente un testo che, pur contando quasi 800 pagine, si lascia leggere, avvince grazie alle capacità narrative dello scrittore e presenta lo spunto della nuova indagine di Millenium come una trovata abbastanza originale.

Quello che non è più originale, a mio avviso, sono i personaggi che diventano o grotteschi nelle loro caratteristiche, oppure molto simili l'uno all'altro. E quindi poco credibili.
Lisbeth Salander diventa una specie di cyborg in grado di entrare nel computer di chicchessia e carpirne i segreti praticamente solo col pensiero, di sgominare due energumeni enormi e armati a mani nude...lei che è un metro e cinquanta per 40 kg, di entrare in qualsiasi proprietà privata senza difficoltà alcuna, di neutralizzare qualsiasi sistema di allarme.
La sua personalità qui appare ancora più deviata, disturbata e dark, cosa che non succedeva nel primo capitolo, in cui si evinceva che fosse una ragazza molto particolare e introversa, ma non così disadattata e compiaciuta dell'esserlo, insomma un ritratto psicologico del personaggio che è diventato un po' troppo uguale a se stesso e che cerca nel sensazionale di portare qualcosa di nuovo.
Mickael Blomkvist in questo volume passa un po' in secondo piano ma come sempre è invischiato in diverse relazioni amorose, gliene capitano di tutti i colori, tutte a lui, dal trovare i cadaveri dei collaboratori fino a ad imbattersi in aggressioni ed inseguimenti ai danni di Lisbeth Salander...insomma sta sempre al posto sbagliato al momento sbagliato (o narrativamente parlando al posto giusto al momento giusto).
Insomma troppe coincidenze, troppo forzate.

Per il resto una serie di altri personaggi che si somigliano un po' tutti, i buoni sono buoni, i cattivi sono cattivi ma 90 su 100 veramente ingenui e disorganizzati, un po' degli idioti, diciamocelo... solo Lisbeth sembra cattivissima ma in realtà non lo è...o meglio, non del tutto.
A mio avviso poi per leggere questo secondo capitolo non è nemmeno necessario aver letto "Uomini che odiano le donne" visto che il succo viene riportato in diverse parti del romanzo, diversi sono i richiami, ma non criptici.
Forse solo il personaggio di Mickael Blomkvist è tratteggiato meno bene che nel primo capitolo e quindi potrebbe sembrare una mancanza dell'autore.

In definitiva... è comunque una lettura piacevole, ben strutturata e avvincente (soprattutto da pagine 350 in poi) ma che scade un po' nel trash e ricama un po' troppo sulle "doti" dei personaggi che in questo modo perdono di credibilità, cosa che non succede nel primo capitolo della trilogia.

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il primo capitolo
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Romanzi
 
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evakant Opinione inserita da evakant    10 Novembre, 2015
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QUANDO LE FAMIGLIE SONO TROPPE

Vi è mai capitato, la sera, mentre siete in viaggio in macchina o in treno, di passare davanti alle case , notare le luci accese all'interno e sorprendervi a sbirciare all'interno per catturare pezzi di vita di perfetti sconosciuti?
Beh, a me capita spesso, magari di osservare situazioni, scenari che non durano più di due secondi ma che ci fanno fantasticare su come è la vita di chi vediamo anche solo per un istante intento nella sua vita, nella sua intimità domestica.

Il tema è certo affascinante e il titolo di questo romanzo del 2010 scritto dall'autrice romana Chiara Gamberale evoca scenari interessanti.
La storia poi francamente non è quello che evoca in me la frase “le luci nelle case degli altri” ma è sviluppata diversamente.
Forse a farci indentere che la vita vista dalle finestre illuminare delle “case degli altri” non è mai come la si potrebbe immaginare se fosse vissuta da dentro.

Mandorla ha 6 anni quando la madre Maria, amministratrice (un po' sui generis..) del condominio di via Grotta Perfetta 315 muore in un incidente stradale.
Maria non ha parenti, non ha un compagno, il padre di Mandorla è ignoto, non ha genitori, o parenti prossimi che si possano curare della piccola, che viene così affidata in prima battuta alle cure di Tina, la maestra in pensione che sta al primo pianto del condominio di via Grotta Perfetta.
Tina trova una lettera, scritta da Maria il giorno in cui la piccola Mandorla è venuta al mondo, lettera in cui Maria rivela che il padre della bambina è uno dei condomini che in una sera di marzo “un po' per noia un po' per curiosità” è stato con lei e insieme hanno concepito la bambina.
La situazione di fa spinosa: i possibili padri sono 5: Samuele Grò del secondo piano, marito di una concreta e pratica avvocatessa e già padre del piccolo Lars, Paolo o Michelangelo, i due omosessuali che convivono al terzo piano, lo scrittore Lorenzo, marito di Lidia del quarto piano e l'integerrimo ingegner Barilla che è il capo di una famiglia agiata e perfetta del quinto piano (non a caso il cognome...la famigliola perfetta degli spot Barilla).

La riunione straordinaria di condominio arriva ad un epilogo quanto mai assurdo: il test del DNA non verrà fatto, la bambina verrà adottata ufficialmente da Tina ma vivrà 2 anni ad ogni piano in modo che tutti siano un po' la sua famiglia.
E, di conseguenza, in pratica, al di là delle teorie strampalate dei condomini, crescerà con la sensasione che nessuno sia davvero la sua famiglia, che nessuna di quelle casa è la SUA casa.
Da qui il lettore entra subito nella spirale del Totopadre: chi sarà? “un po' per noia un po' per curiosità”...noia di Lorenzo, annoiato dalla vita in generale? Noia dell'ingegnere, per la sua vita perfetta? Noia di Samuele, che alle prese con una moglie in carriera vive praticamente facendo il casalingo e padre? Curiosità di Paolo o Michelangelo, che sono gay...ma si sa cha la curiosità è sempre in agguato, soprattutto in Michelangelo che era il migliore amico di Maria?

Mandorla intanto cresce e 11 anni dopo la ritroviamo in carcere, per un non meglio precisato reato, assistita dall'avvocato Luciano Pavarotti, nuovo compagno dell'avvocatessa Grò.
Negli anni Mandorla ha vissuto 2 anni per piano, prima con Tina, poi ogni 2 anni saliva di un piano.
Ha potuto osservare le vite di tutte le sue “famiglie”: vite tutt'altro che felici, vite piene di solitudine, di bugie, di sotterfugi, di noia, di meschinità, vite tristi, in generale molto tristi.
Anche se all'apparenza perfette.
Nella notte che trascorre in cella Mandorla ripercorre tutta la sua vita, dal primo amore fino all'arresto, dal momento in cui ha scoperto che uno dei suoi padri è uno dei condomini, fino alla consapevolezza di volerlo sapere, di volere il test del DNA, per poi concludere che no, non lo vuole sapere, fa lo stesso, lei sarà Mandorla indipendentemente da chi è suo padre, in fondo non sarà poi così importante.
Sapremo alla fine chi è il padre biologico di Mandorla, epilogo non scontato, ma che si potrebbe anche immaginare.

Il libro contiene spunti di riflessione davvero interessanti, forse non troppo originali, forse un po' troppi luoghi comumi ma ben sviluppati.
Si percepisce il disagio di questa ragazzina nel crescere in contesti così diversi, così insoliti, sempre in balia degli eventi, mai sicura della propria identità, delle sue origini, fino a capire che forse non è poi così importante.
La narrazione è scorrevole, con alcuni flashback che aiutano a chiarire meglio la storia delle 5 famiglie di Mandorla, ma ben presto diventa irritante.
La Gamberale, per rafforzare determinati concetti, ripete all'infinito determinati termini, a mio avviso in modo del tutto inutile. Come se non sapesse come rafforzare certe situazioni in altro modo.
Il “Voglio saperlo subito” diventa “Voglio saperlo subito, subito subito”
Mamma mamma mamma.
Davvero davvero davvero.

E non accade ogni tanto.
Accade all'inizio in quasi tutti i capitoli, per poi ritersi anche ogni pagina.
Ogni volta ripete la stessa parola per 3 volte. Se non 4, se non all'infinito, come accade a pagina 326-327 dove per una pagina e mezza compare solo la parola “innocente” ripetuta non so quante volte (non le ho contate) cosa che non è irritante, di più. Oltre che inutile a mio avviso.

Per concludere, spunti interessanti, sviluppati piuttosto bene, ma stile narrativo in fin dei conti fastidioso.
Peccato. Personalmente non so davvero se consigliarlo o meno. Non è una lettura indispensabile, questo no.

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evakant Opinione inserita da evakant    04 Novembre, 2015
Top 500 Opinionisti  -  

CINQUE RACCONTI, UN FILO CONDUTTORE

Affrontando per la prima volta la scrittrice Camilla Lackberg non sapevo bene a cosa sarei andata incontro. Forse un volume di racconti (oltretutto molto piccolo in termini di “mole”) non è significativo per conoscere un autore, ma questa raccolta ha un sottile filo conduttore: la vendetta.
Solo pensata, sfiorata, possibile, diabolicamente compiuta.

SOGNANDO ELIZABETH
Malin e Lars sono due quarantenni che cercano di ricucire il loro rapporto con una vacanza in barca. Quando Lars, incurante della tempesta in arrivo decide di infilarcisi dentro, la lucidità già precaria
di Malin scompare del tutto: Lars ha assassinato in questo modo anche la prima moglie Elizabeth?
Vuole fare lo stesso con lei? L'epilogo è amaro e tragico.

IL CAFFE' DELLE VEDOVE
Marianne ha esaudito il sogno di una vita: aprire un piccolo caffè, Il Caffè delle Vedove deve il suo nome non alle abituali frequentatrici ma...
Un luogo accogliente che per certe donne, complice la specialità della casa, diventa fonte di vendetta e liberazione. Proprio come per Marianne.

UNA MORTE ELEGANTE
Cosa non si è disposte a fare per denaro? Se poi mamma possiede capi vintage del valore di svariate migliaia di corone...beh...tutto può accadere.
Ma la beffa è dietro l'angolo. Esiste una giustizia divina...

UNA GIORNATA INFERNALE
La storia di un adolescente vittima di bullismo si intreccia con quella del detective Hedstorm, la cui vita sta andando a rotoli. Non lo sa, ma il suo breve colloquio su una panchina con il giovane, ha sventato una strage. Qui la vendetta non ha luogo. Per fortuna.

TEMPESTA DI NEVE E PROFUMO DI MANDORLE
Questo racconto, il più lungo, da il titolo anche al volume.
Il canovaccio è quello classico: una casa isolata dalla tempesta, una famiglia con tanti, troppi segreti, riunita. Un omicidio, anzi due. Il colpevole non può che essere dentro quelle mura e il nostro Martin Molin, giovane collega di Hedstorm, trovatosi lì quasi “per caso” dovrà sbrogliare la matassa.
Il profumo di mandorle non lascia dubbi: il vecchio patriarca è stato avvelenato e tutti hanno un movente.
Ma come in tutte le farse che si rispettino, nulla è come sembra.

Lo stile della Lackberg è sobrio, asciutto ed efficace, molto “scandinavo” pochi fronzoli, le storie scorrono veloci, avvincenti e non scontate. Anche se non originalissime a dire il vero.
Sicuramente piacevole, un'autrice che mi piacerebbe approfondire.

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altri autori scandinavi (ad esempio Mankell)
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evakant Opinione inserita da evakant    20 Ottobre, 2015
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Luci ed ombre

In questo breve volume sono raccolti dodici racconti scritti da Matheson tra il 1950 e il 1970.
Matheson è un vero e proprio maestro del thriller e dell'horror, dai suoi racconti hanno attinto a mani basse molti autori, tra cui Stephen King.

Il filo conduttore è una tensione psicologica che riesce a creare un'aura di paura, di angoscia e riesce a farci riflettere sulla psiche umana, i veri mostri siamo noi (non tanto alieni o esseri soprannaturali, non ne troverete in questi racconti di Matheson), che con i nostri comportamenti spesso sacrifichiamo la dignità umana in cambio di un preciso scopo.
Ma anche altri temi si affacciano tra le righe: il classico tema del vampiro, gli scambi di coppia, la dominazione del mondo da parte di una città che sembra viva...
Il tutto è piuttosto eterogeneo e non sempre del tutto unitario.

THE BOX
Una coppia riceve “in dono” una misteriosa scatola di legno con un pulsante. Premendo quel pulsante riceveranno un milione di dollari, ma da qualche parte, nel mondo, qualcuno morirà.
Il racconto è talmente breve che non ha senso riportare la trama senza evitare spoiler...
L'epilogo è quantomai inatteso, e lo devo riconoscere, da anni non mi capitava di stupirmi del finale, che potrebbe anche essere prevedibile per chi è avvezzo a certi tipi di thriller, ma la battuta finale mi ha stupito molto. Sicuramente il racconto che più merita all'interno della raccolta.

UNA RAGAZZA DA SOGNO
Non pensiate che si parli di una ragazza eccezionalmente bella che fa "sognare" gli uomini. Tutt'altro. Qui si specula sulle doti medianiche di una donna, speculazione pericolosa, come ovvio che sia: l'avidità e la brama di denaro portano ad una brutta fine.

UNA STANZA PER MORIRE
La stanza della morte...un cesso, o meglio ancora, qualcosa che comunica con un cesso.
Due coniugi si fermano ad un bar sperduto nel deserto per rinfrescarsi, ma gli avventori non sono quello che sembrano...

SCAMBI INDECENTI
Nell'era post moderna gli scambi di coppia ti vengono proposti direttamente a domicilio...saprai resistere?

NULLA E' COME UN VAMPIRO
La dolce Alexis è vittima di un vampiro che nulla riesce a fermare: niente crocifissi, niente aglio, niente acqua santa...questo vampiro torna tutte le notti a far visita ad Alexis e il marito medico è disperato...o forse finge solo di esserlo, forse non esiste nessun vampiro e la spiegazione è quanto più banale e scontata..

PARADIGMA DI SOPRAVVIVENZA
Questo racconto non mi è chiaro...autore, produttore ed editore di una qualche storia meravigliosa sembrano la stessa persona...ha lasciato un po' il tempo che trova, lo ammetto.

MUTO
Questo è un altro racconto a mio avviso tra i migliori del volume.
Un esperimento “scientifico” volto alla creazione di una razza umana capace di comunicare solo telepaticamente, senza l'uso della parola... è possibile?
E se un bambino capace di parlare solo attraverso la mente fosse all'improvviso catapultato nel nostro mondo, dove le parole a volte sono davvero troppe?

IL TERRORE STRISCIANTE
Los Angeles è viva. E in pochi anni dominerà il mondo.
Questo racconto più che thriller è bizzarro e a tratti comico.
Interessantissimo.

ONDA D'URTO
Una particolarità di Matheson è quella di scegliere titoli che ti fanno pensare ad una cosa...e invece sono tutt'altro. Come in questo racconto...niente esplosioni, niente inondazioni...proprio no.

L'ABITO FA IL MONACO
Cosa succederebbe se il vostro abito prendesse vita propria e iniziasse a vivere al vostro posto?

LA MACCHINA DA JAZZ
Un uomo inventa una macchina che “registra” la musica e la traduce in parole.
Il racconto è scritto a livello metrico come se fosse una canzone...

L'AMORE AL TEMPO DEL FINIMONDO
Divertente racconto non-sense su una proposta di matrimonio... al tempo del finimondo, quando tutto (anche i corpi) cadono letteralmente a pezzi.

Lo stile di Matheson è sempre asciutto, essenziale, diretto: non ci si perde in descrizioni dei personaggi o dei luoghi, l'importante è altro, è la sottile tensione psicologica o il non-sense delle situazioni. Il risultato non è sempre dei migliori, ma la sperimentazione dell'autore offre spunti interessanti. Va considerato che questi racconti sono stati scritti più di 40 anni fa, tutti potrebbero essere delle ottime sceneggiature per film, anche per la loro struttura che si basa principalmente sui dialoghi e sulla tensione psicologica.

Per finire un breve escursus dei racconti che mi hanno colpito maggiormente (o che non mi hanno colpito)
I racconti migliori: the box, muto, il terrore strisciante.
I racconti peggiori: paradigma di sopravvivenza, la macchina da jazz
Interessanti: una ragazza da sogno, nulla è come un vampiro, l'abito fa il monaco, l'amore al tempo del finimondo.

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evakant Opinione inserita da evakant    06 Ottobre, 2015
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IL PRIMO TASSELLO DELLA TRILOGIA DI MILLENIUM

La carriera di Mickael Blomkvist, giornalista, sembra essere ad un punto di non ritorno, sta per colare a picco…caporedattore della famosa rivista Millenium ha pubblicato delle rivelazioni sul finanziere Wennerstorm che si sono rivelate frutto di un abile bluff e viene quindi condannato per diffamazione dallo stesso finanziere. E rimedia per questo tre mesi di carcere. Nel frattempo il giornale stesso è messo sotto accusa e rischia di chiudere per mancanza di inserzionisti e quindi di fondi.
Nello stesso tempo Mickael riceve una proposta strana quanto assurda.

Un magnate dell’industria svedese, Henrick Vanger, ormai anziano e ritiratosi a vita privata lo contatta per portare avanti le indagini sull’omicidio, avvenuto ormai circa quaranta anni prima, della nipote adorata Harriet…un mistero che la polizia e lo stesso Vanger in tanti anni non sono riusciti a scoprire, un mistero che sembra il delitto perfetto: nessun movente apparente, nessuno corpo ritrovato, una ragazza sparita e naturalmente nessun assassino.
Solo qualcuno che ogni anno, all’anniversario della scomparsa di Harriet manda a Vanger un quadretto con un fiore essiccato, come era solita fare la nipote da ragazzina.

Mickael è disilluso, più volte cerca di far capire a Vanger che questa è un’assurdità, ma alla fine si lascia convincere a lavorare per un anno al caso non tanto dal compenso, pur molto alto, ma piuttosto dalla proposta di Vanger di portargli la testa di Wennerstorm su un piatto d’argento: ovvero le prove per inchiodarlo in maniera definitiva e svelare il suoi loschi traffici.

Parallelamente scorre la storia di Lisbeth Salander, giovane hacker ventiquattrenne, un personaggio che definire borderline è poco, una ragazza solitaria, asociale, apparentemente del tutto priva di scrupoli o sentimenti, dall’aspetto inquietante per la maggior parte delle persone: piercing, tatuaggi, sempre vestita di nero…
Nella vita fa la ricercatrice…ovvero conduce le ricerche su determinati personaggi, indicatigli dal suo datore di lavoro, e conosce tutto di loro, grazie alle sue doti di hacker, vita morte e miracoli…un giorno si ritroverà ad indagare su Mickael Blomkvist.

Le loro strade si incontreranno quando Mickael arriverà, nelle sue indagini, ad una svolta sulla morte di Harriet… e avrà bisogno di qualcuno che sappia scoprire anche il più piccolo segreto…
Le indagini quindi proseguono, nel frattempo la rivista Millenium rischia sempre di più, per salvarla Henrick Vanger decide di entrare a far parte del consiglio di amministrazione…alla notizia di novità sulla scomparsa di Harriet accusa un malore, ma nel frattempo Mickael e Lisbeth stanno scoprendo segreti, misteri e altarini della numerosa e facoltosa famiglia Vanger che nemmeno nella loro più torbida immaginazione potevano concepire…la realtà sta superando in modo macabro e inaspettato la fantasia…
Tutti in famiglia hanno segreti, scheletri nell’armadio che stanno saltando fuori grazie alle capacità di Lisbeth e dei suoi amici hacker.

Il finale è un crescendo di avvenimenti tragici, macabri e inaspettati…fino al finale a sorpresa…la fine di Harriet di saprà a circa 100 pagine dalla fine, poi l’attenzione sarà rivolta al caso Wennerstorm e alla rivinciata di Mickael.

Ma gli uomini che odiano le donne chi sono?
Che cosa c’entrano?

In realtà il titolo di questo romanzo (dalla ragguardevole mole, 676 pagine) esce fuori da alcune considerazioni di Lisbeth a proposito di molti (quasi tutti) gli uomini che ha incontrato nella sua vita.
Primo tra tutti il suo nuovo tutore (Lisbeth infatti è sotto tutela benché maggiorenne a causa di alcuni piccoli reati e della sua tendenza asociale) che si rivelerà un pazzo sadico, per poi arrivare a diversi membri della famiglia Vanger, tra filonazisti, sadici e serial killer c’è solo l’imbarazzo della scelta, tutti però sembrano odiare le donne per come le maltrattano, seviziano e, a volte, uccidono.
E Lisbeth non sopporta questi individui…e sa come sistemarli…


Un romanzo che nonostante la mole scorre veloce, intrigante e avvincente, queste quasi 700 pagine volano via veloci e per nulla pesanti, i contenuti sono vari, la narrazione non si focalizza troppo su particolari o scene troppo scadenti nel macabro (e ce ne sarebbero…) ma cerca piuttosto un ritmo e una suspense in grado di incollare il lettore al libro.
Nella parte iniziale si resta un po’ perplessi forse fuorviati dal titolo che presagisce un certo tenore della storia, che invece parla di frodi finanziarie e affari loschi…la narrazione decolla quasi subito, per poi rallentare e conoscere un attimo di stanca a metà del volume, nel finale recupera con colpi di scena veloci e inaspettati.

La trama non è originalissima…diciamo che già all'inizio si intuisce cosa c’era dietro all’invio annuale dei fiori secchi a Vanger… e parallelamente il personaggio di Martin Vanger (fratello di Harriet) non mi era sembrato così innocuo e pacioso…
Nonostante ciò un romanzo avvincente, ben scritto, che ho letto con piacere.

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evakant Opinione inserita da evakant    02 Ottobre, 2015
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UN LUNGO WEEKEND DI PAURA

Ellen e David sono due coniugi di mezza età, sposati da più di vent'anni, figli ormai adulti ed indipendenti, in procinto di diventare nonni, ma il loro matrimonio è in crisi, a causa di un tradimento da parte di David.
Per rimettere insieme i pezzi della loro relazione decidono così di passare una seconda luna di miele a Logan Beach: tante cose sono cambiate, la casa dove erano stati è stata distrutta da un uragano, ma trovano comunque una villetta direttamente sulla spiaggia, l'atmosfera è grigia e cupa, il freddo intenso, Logan Beach è una ridente località di villeggiatura, ma in inverno il paese è deserto, il clima proibitivo, ma questo isolamento forse potrebbe essere quello che ci vuole per Ellen e David per scandagliare la loro relazione ormai al capolinea e cercare di salvarla.

David non ha però fatto i conti con Marianna: una giovane di poco più di vent'anni dalla bellezza sconcertante, che abita nei dintorni, che dal nulla si materializza dentro la casa e ben presto lo seduce.

Per David inizia un vero e proprio stillicidio angoscioso ed altalenante tra sensi di colpa, euforia sessuale, esaltazione e prostrazione fisica e mentale. Dopo i suoi amplessi con Marianna si ritrova sempre svuotato fisicamente, distrutto e con la gola riarsa.
E nella sua mente iniziano ad insinuarsi i dubbi: Grace Brentwood, un'anziana vicina, approfittando dell'assenza di Ellen (che nel frattempo è ovviamente ignara di tutto quello che accade tra David e Marianna), mette in guardia David dalla vera natura di Marianna...è un fantasma, un fantasma malvagio, un essere che è stato depravato nella vita ed altrettanto dopo la morte...che cerca solo uomini per farli suoi, sedurli e portarli alla pazzia.
David chiaramente non le crede,ma ben presto dovrà interrogarsi sulla natura delle apparizioni di Marianna, sulla sua sempre più crescente depravazione, della sua condotta quasi animalesca.
In un crescendo di tensione, angoscia e frustrazione il matrimonio di David rischia di naufragare definitivamente, a rischio della sua stessa vita e di quella di Ellen.

Matheson è un maestro della tensione e del thriller, in questo caso la tensione è quasi esclusivamente psicologica, non accade nulla di particolare nel lungo weekend di paura dei coniugi Cooper a Logan Beach, se non la comparsa della bellissima Marianna.
La narrazione è asciutta, lineare e precisa, senza fronzoli ed efficacissima: la tensione tra David ed Ellen e ancora tra David e Marianna, si può toccare con mano, in un crescendo di intensità sino all'epilogo finale.

Un romanzo breve, ma tagliente, raffinato, pervaso di tensione mentale ed erotica.
Un mix perfetto tra thriller, mistery ed erotismo.

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evakant Opinione inserita da evakant    29 Settembre, 2015
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UN TEMA SUCCOSO MA POCO ORIGINALE

Perdersi nel bosco.
Credo sia una della paure ataviche di molti esseri umani.
Dalle favole di secoli fa fino ai racconti contemporanei, questo tema affascina diversi scrittori tanto da scriverci racconti o romanzi.

Il pensiero di essere soli, di notte, in un luogo sconosciuto, senza punti di riferimento, magari anche inseguiti da due killer professionisti il cui unico intento è ucciderti … beh non è un tema originale, ma appetitoso per chi scrive horror/thriller e compagnia bella.

È questo il caso di “I corpi lasciati indietro” romanzo di Jeffery Deaver, il primo che leggo di questo autore.
La trama si potrebbe riassumere in:
“una donna poliziotto, dopo un duplice omicidio, scappa insieme all’unica superstite e si perde nel bosco inseguita dai due killer”

Solo che Deaver per sviluppare tutto questo impiega circa 500 pagine.
Che altro posso dirvi (senza svelarvi troppo e togliervi il gusto della lettura, nel caso voleste cimentarvi)…

All’inizio, totalmente digiuna dell’autore, ho pensato che questo “perdersi nel bosco” di poliziotta e sopravvissuta fosse una sorta di antefatto per introdurre tutto il resto della storia. Ma a circa 200 pagine di antefatto mi è venuto il dubbio che il romanzo sarebbe stato tutto così, è un po’ sono rimasta delusa, e sconcertata. 500 pagine sono tante anche per un romanzo dove accadono un sacco di cose…anche qua ne succedono molte ma stringi stringi…queste due stanno sempre a scappare nel bosco, un bosco che diventerà più affollato di una metropoli.

Intendiamoci, il libro non è scritto male, l’alternarsi del racconto tra il “punto di vista” delle inseguite e quello degli inseguitori è interessante, ma davvero esageratamente prolisso.
Penso ad un libro che mi era piaciuto molto “La Bambina che amava Tom Gordon” di Stephen King (eh lo so che parliamo del re…) in cui una ragazzina si perde nel bosco durante una gita coi genitori e il fratello, romanzo lungo circa un terzo e tre volte più avvincente…e non posso non fare paragoni.

I personaggi di questo libro di Deaver sono ben descritti e caratterizzati ma ahimè sono degli stereotipi triti e ri-triti: la poliziotta wonder-woman, molto piacente, di mezza età, matrimonio fallito alle spalle, uno che potrebbe fallire da un momento all’altro, con un sacco di problemi familiari vari, che anche con pallottole in corpo e mezza assiderata riesce a percorre chilometri in mezzo al bosco più fitto, la donna di città dal passato (e anche dal presente) misterioso che nessuno conosce e che con gli stivali ultima moda tacco 12 e caviglia slogata pure lei riesce a percorre chilometri in mezzo al bosco più fitto e che si rivelerà non essere quello che sembra, il killer assetato di sangue che una volta ucciso chi deve uccidere, anche lui con pallottole in corpo, insegue la poliziotta perché deve ucciderla a tutti i costi e massacra qualsiasi cosa gli capiti a tiro, che siano uomini, donne o bambini pur di raggiungerla.
Dietro ovviamente un intrigo con uomini d’affari / di potere corrotti.
E un dipartimento di polizia di beoti che dopo 4 ore che la collega (ufficialmente uscita solo per verificare una chiamata al 911 poi “revocata”) non torna alla centrale e non torna nemmeno a casa… non si preoccupano.

Verso pagina 250 comincia a cambiare qualcosa. Ma diciamo che sullo stesso filone delle 250 pagine precedenti i colpi di scena sono piuttosto prevedibili e stereotipati : la poliziotta wonder-woman riesce a fare cose al limite dell’umano (ricordate sempre che è ferita da una pallottola), finalmente la polizia si da una mossa e inizia le ricerche, e non poteva mancare il marito della poliziotta che consumato dai sensi di colpa si lancia pure lui alla ricerca in mezzo al bosco (lui è un architetto di giardini che al bisogno pare diventare superman).
A 350 pagine una leggera svolta, il ritmo comincia a farsi più serrato e i colpi di scena si susseguono benché non siano così incisivi e forse nemmeno così necessari.
Le due escono dal bosco ma la caccia continua in un alternarsi di prede / inseguitori e inseguitori / prede e si va verso il finale, un po’ troppo sbrigativo e a mio avviso banalotto.

Inoltre scompare del tutto il rapporto difficile tra poliziotta e figlio adolescente che viene introdotto nella prima metà del libro e non viene più sviluppato nella parte successiva…

Come dicevo, il libro non è affatto scritto male: la prosa è semplice, gli avvenimenti si svolgono in ordine cronologico e non serve grande attenzione per seguire la storia, lo stile è avvincente, le descrizioni ben fatte ma la prima parte, quella della “fuga” nei boschi, è veramente troppo lunga, a mio avviso poteva essere ridotta di molto senza inficiare lo scorrere della storia, mentre la seconda parte diventa quasi troppo sbrigativa, come se l’autore, raggiunto il numero di pagine che si era prefissato, abbia deciso che era il caso di concludere…dando vita ad un finale piuttosto banale...insomma, da l'impressione che dovesse proprio chiudere e l'abbia fatto nel minor tempo possibile.

Lo consiglio? Non so.
Non è brutto, non è nemmeno bello.

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Fantasy
 
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evakant Opinione inserita da evakant    27 Settembre, 2015
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L'anti-eroe Bilbo

Da qui inizia la storia dei Baggins che attraverserà migliaia di pagine in un capolavoro della letteratura fantasy e che ha confermato il genio di Tolkien, che non era certo uno sprovveduto, ma un uomo che ha fatto della letteratura la sua vita, e ha reso le nostre più piacevoli facendoci perdere nelle sue pagine evocative, affascinanti e spesso anche divertenti.

Bilbo Baggins è uno hobbit: gli hobbit sono esseri pacifici, tranquilli, che trovano la loro pura realizzazione nella tranquillità della loro caverna hobbit, a fumare la pipa e fare anelli di fumo, a rilassarsi a fianco ad una cuccuma fumante, a consumare svariate colazioni a base di torte, focacce e altre delizie in quantità.
Gli hobbit non sono avventurosi, le avventure procurano solo guai e portano lontani dalle loro comode e calde caverne. Non garantiscono cibo e sonno a sufficienza, non garantiscono la loro comoda routine che tanto adorano.
Così quando il vecchio stregone Gandalf, con un sottile inganno convoca una riunione inaspettata proprio a casa Baggins, con ben 13 nani affamati e assetati, proponendo Bilbo come il quattordicesimo (13 porta sfortuna...) e lo “scassinatore” il povero hobbit è disperato.

Dopo una serata faticosissima a servire te e torte ai suoi ospiti, la mattina si sveglia crede di aver sognato tutto, ma Gandalf lo riporta alla realtà e Bilbo è suo malgaro costretto (ma anche un po' curioso...) a partire all'avventura in fretta e fuoria, dimenticandosi addirittura di prendere anche qualche fazzoletto.
Qui inizia l'avventura di Bilbo che aiuterà il manipolo di nani alla riconquista del loro tesoro sotto la montagna, tesoro depredato dal malvagio drago Smog.
Bilbo in definitiva sarà fondamentale, una sorta di eroe che è però un anti-eroe. Bilbo è un essere pacifico, mite e niente è più lontano dalla sua indole.

È piccolo, più piccolo ancora dei nani, e la sua pochezza fisica in realtà è una grandezza d'animo, di onestà, di ragionevolezza. Sarà sempre lui, volente o nolente (più spesso nolente...) a tirare fuori i nani da situazioni pressochè disperate, e sarà lui a mettere pace tra l'avido Thorin, re dei nani, gli Elfi Silvani e gli umani del fiume allorchè il tesoro, liberato da Smog, farà gola a tanti...
L'unico rammarico sarà tornare a casa e scoprire che gli altri hobbit lo considereranno sempre stravagante, bizzarro e da evitare.

Ma poco importa, Bilbo alla fine sarà sicuramente soddisfatto della sua avventura...anche perchè prima di riuscire ad uscire dalle spaventose caverne degli orchi ha trovato un misterioso anello che lo rende invisibile...ha dovuto contenderlo a uno strano e spaventoso essere di nome Gollum a suo di indovinelli...ma questo anello lo tirerà fuori dai guai molte volte... e porterà...come ben sapete, ad altre favolose avventure.

Questo romanzo fantasy scritto negli trenta da Tolkien è come tutti ben sapranno una pietra miliare della letteratura del genere: destinato ad un pubblico di ragazzi è in realtà un romanzo vivace, scorrevole, veloce adatto a tutti, tutti potranno amare le sue pagine scorrevoli, le avventure ed i mondi fantastici, terrificanti e meravigliosi al tempo stesso, i suoi personaggi fuori dagli schemi e anche la sua sottile ironia.
Personaggi umani, molto vicini a noi, con forze e debolezze, in un'esaltazione della natura che ci regala pagine davvero suggestive.

Io l'ho letto tardi...ma sono convinta che questo romanzo debba essere letto dai ragazzi il prima possibile: è un romanzo senza tempo, sufficientemente lungo per affascinare ed avvincere, ma non troppo lungo da annoiare, la dose di mistero e di magia giustamente calibrata nel complesso. Personaggi ben tratteggiati, quel tanto che basta per capirli senza perdersi in descrizioni inutili.
Un lavoro a mio avviso perfetto.

L'unica pecca (pecca...se vogliamo chiamarla così) ma che mi ha fatto un po' dispiacere : non c'è traccia di personaggi femminili. Nemmeno uno.

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evakant Opinione inserita da evakant    15 Settembre, 2015
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UN MISTERO IN RIVA AL LAGO

Vitali è un vero concentrato di storie tra le più divertenti e bizzarre ambientate in quel di Bellano, ridente paesello sulla sponda orientale del lago di Como (quella meno vip, per capirci, quella di Lecco) che ho avuto il piacere di visitare più volte e che sento molto vicino al mio paese, non tanto geograficamente (c'è comunque una buona ora di strada) ma per tante similitudini di tradizioni, usi e consuetudini, solo che qua dove sto io non c'è il lago.
È sempre bello leggere un libro e ritrovarsi a leggere di qualcosa che si conosce bene, ci si sente a casa, e Vitali ha davvero il grande pregio, con le sue storie, di farmi sentire “a casa”.
Dall'abitudine della minestra di riso e prezzemolo alla sera (la fa sempre anche mia mamma!!!) fino al modo di condire l'insalata ...in barba a tutti gli chef stellati del mondo... in modo erratissimo, rigorosamente nell'ordine: sale, olio e aceto, possibilmente tanto, tantissimo!

Come in tanti altri lavori di Vitali, siamo a Bellano, in pieno fascismo, quando il Brigadiere Mannu si trova di fronte ad un vero e proprio enigma. Un enigma che ha per protagoniste delle antiche monete d'oro. L'Olghina, la giovane, bella e svampitissima mogliettina del Professor Cerretti vuole farsi realizzare da un orafo un collier speciale, un pezzo unico, fatto con una antica moneta d'oro che il facoltoso marito ha estratto dalla gola dell'undicenne figlio del muratore Campesi...che c'è di strano? Beh, come è venuto in possesso di una moneta di tale inestimabile valore un ragazzino, figlio di uno spiantato e perdigiorno muratore che si licenzia un giorno sì e l'altro pure?
Dall'interrogatorio del ragazzo ne esce che quella non è l'unica moneta d'oro, Campesi ne ha ben 5, e una il ragazzo la voleva usare per comprarsi una bicicletta..

E Livio Cerevelli? Sedicente geometra e impresario dell'omonima impresa che altro non ha in testa che la bella Helga, la svizzerotta che in una notte d'estate gli ha rubato il cuore? Che tanto è diversa dalle fredde e impalate ragazze di Bellano? Anche lui ha un gruzzolo di monete d'oro da portare oltreconfine, per cambiare vita, per andarsene da Bellano, dall'asfissiante madre e dalla iattura di dover per forza sposare la nipote del Cerretti, tanto brutta, ma tanto brutta da far venire il mal di stomaco!
Quando in paese arriva Il Nero, un comandante dell'OVRA allora tutto è chiaro. C'è sotto qualcosa, qualcuno sta per trasportare oltre riva un “lumagot” un lumacotto, un carico segreto, ci sono contrabbandieri, cospiratori in agguato e il partito deve vigilare e indagare.
Un grattacapo per il povero Mannu ma anche per il povero Maresciallo Maccadò, che sarebbe in licenza, e non vorrebbe fare altro che starsene a casa a rimirare il suo nuovo nato e la giovane moglie che come una Madonna lo allatta ogni tre ore...e invece...e invece deve accollarsi un grattacapo dietro l'altro.

In un turbine di vicende, bizzarre ed esilaranti, di personaggi tratteggiati in poche righe ma in modo efficace viene fuori un intreccio di segreti, di sotterfugi e di pettegolezzi che forse al giorno d'oggi, complice la tecnologia che ci segue praticamente ovunque e ci rende rintracciabili in qualsiasi momento non sarebbero più possibili...si legge di queste storie con un po' di nostalgia, quanto forse era tutto più semplice, anche se non mancavano come oggi tradimenti, imbrogli, malefatte, spesso più ingenue che fatte per nuocere.
Un libro di quasi 400 pagine che si legge in poco tempo, d'un fiato, senza intoppi, grazie anche ai capitoli brevi, concisi, lineari e allo stile frizzante e semplice al tempo stesso, Vitali non si “arrotola” su se stesso per far vedere che è bravo, scrive in modo sincero, diretto. Naturale.
Per come la vedo io è un grosso pregio.

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un po' tutto il repertorio di Vitali
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evakant Opinione inserita da evakant    09 Settembre, 2015
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UNA STORIA CUPA E TRISTE, MA CHE FA RIFLETTERE

La casa delle farfalle nere è un riformatorio disperso su un'isola finlandese.
Juhani Johansonn via arriva poco più che bambino, ha una storia triste alle spalle, come tutti gli altri ragazzi presenti sull'isola.
I suoi genitori, benché non delinquenti né ignoranti (si evince più in là nella lettura che sono entrambi laureati) sono dediti all'alcool e la madre è spesso preda di crisi depressive.

ATTENZIONE, CONTIENE LA TRAMA PRESSOCHE' INTEGRALE, ANCHE SE NON ESPLICITA.

Il romanzo si apre con un omicidio, Tyyne Amanda Koskinen viene trovata morta sul pavimento del pollaio di un riformatorio dell'isola N (il nome è appositamente omesso).
Da qui si passa alla storia di Juhani.

La storia di Juhani parte con un primo lungo flash back nel quale, partendo da quando adulto sta per diventare direttore di un'impresa di costruzioni, si torna indietro ad un gelido pomeriggio in cui si svolge il funerale del suo cane Baltazar, i genitori decidono di celebrare le esequie dell'animaletto in modo un po' bizzarro, il padre inscena un discorso funebre delirante e sconnesso, la madre accusa il padre di avere preso a calci l'animale e di averlo lasciato morire senza portarlo dal veterinario, litigano, a tutto questo assiste Juhani che ha allora solo 5 anni e con lui l'ancora inconsapevole Sauli, suo fratello minore di pochissimi mesi.
Nella notte la madre di Juhani, in preda ai fumi dell'alcool esce di casa con in braccio Sauli e lo posa dentro il ruscello, Juhani assiste sgomento e in modo fortuito riesce a tirare fuori il fratello dall'acqua, riesce a scaldarlo e sfamarlo con del latte avanzato dalla ciotola de gatto...in casa non c'è altro e Sauli piange a squarciagola...
il giorno dopo arrivano a casa una donna e un poliziotto che interrogano Juhani, i genitori minimizzano e cercano di plagiare il bambino. Ne esce un quadro desolante. Una mezza pagina triste e avvilente.

Da lì Juhani verrà tolto ai genitori, così come Sauli, ed affidato ad un'altra famiglia, poi ad un'altra ancora fino a che, combinato qualcosa di troppo, non verrà portato sull'isola, nel riformatorio di Olavi Harjula, un uomo, padre e padrone di mezza età, convinto che il lavoro durissimo, le pene corporali e nessuna pietà possano restituire a questi ragazzi perduti una esistenza normale.
La prima cosa che Juhani nota e che lo getta nello sgomento e nella disperazione è che il mare non è blu. È di un grigio sporco e triste. Juhani oltre che essere un ragazzo sfortunato è anche molto sensibile e vivrà a suo modo la vita nel riformatorio.
Risulterà simpatico ad Olavi, ma dovrà conoscere la crudeltà degli altri ragazzi che percepisce come “un'unica, enorme bestia feroce”.
Conoscerà la fatica e le imprese al limite dell'umano portate avanti da Olavi più per disperazione che per vero spirito d'avventura: come quella di allevare bachi da seta. In Finlandia, in un clima rigidissimo.
Eppure questa impresa contagerà tutti. I ragazzi e anche la triste moglie di Olavi, madre di 5 figlie, ognuna con il nome di un fiore, che crescono per forza di cose separate dai ragazzi, loro senza disciplina alcuna, vittime di un padre che non esiste, perché assorbito solo dai suoi ragazzi.
Nel frattempo i genitori di Juhani muoiono in un incidente stradale in Italia.

Parallelamente scorre la storia di Tyyne, la vaccara dell'isola che lavora per il riformatorio, cura gli animali, ma la sua esistenza è impregnata da un fanatismo religioso e un'odio verso tutti i ragazzi, che vede come esseri immondi, perduti, fallati, irrecuperabili e malvagi.

Dall'inizio dell'allevamento dei bachi tutto precipita: Juhani fa amicizia con una figlia ma viene presto scoperto dalla signora Harjula e per punizione viene da lei letteralmente innaffiato di diserbante, passando i mesi successivi in ospedale, la povera Anemone viene sottoposta ad una imbarazzante visita ginecologica per appurarne la verginità, la signora Harjula intanto, trascurata dal marito inizia una relazione con un ragazzo del riformatorio, all'incirca 20enne...
I loro incontri avvengono nella serra dei bachi, e quando le crisalidi si schiudono e ne escono delle farfalle nere, la maledizione cade su di loro, la donna, delirante non vuole più avere nulla a che fare col ragazzo, presa dai sensi di colpa, ben presto pericolosamente dimenticati.
Tyyne impazzisce quando il gatto dell'isola muore in circostanze macabre e incredibili, praticamente impazzisce e annega in mare. Tyyne nel delirio da la colpa ai ragazzi, che sono malvagi, e comincerà ad uscire la notte per sorvegliare il pollaio.
Ma vedrà qualcosa che non deve vedere, e verrà uccisa.
Juhani sa benissimo cosa è accaduto, ma alla polizia non dirà nulla.
Ormai è stato ammesso al liceo sul continente e la sua vita cambierà.
Forse troverà la sua strada.

Dopo anni ritroviamo Juhani adulto, marito di una delle figlie di Olavi (se la stessa Anemone di anni prima non è dato sapere) lui ancora alle prese con Olavi, che osteggia l'impresa di costruzioni per la quale lavora e che lo odia per aver tradito la sua fiducia innamorandosi di una delle sue figlie. Nell'atto finale consegnerà a Juhani una valigia con gli effetti personali dei suoi genitori, all'interno delle quali Juhani troverà diari e lettere che chiariranno la loro triste vita e la loro triste morte.

È un libro tristissimo, cupo, grigio come il mare d'inverno finlandese, scritto in modo asettico e freddo, in terza persona, spesso omettendo persino il nome dei personaggi: la madre di Juhani è la madre, il padre è il padre, la figlia di Olavi sposa di Juhani non ha un nome e non è dato sapere se sia la stessa fiamma dell'adolescenza. Forse per sottolineare il fatto che non è quello che veramente importa della storia.

Vengono descritte le tragedie e le speranze dell'adolescenza, di un Juhani che è un ragazzo difficile ma non cattivo, solo provato da una vita che è andata a rotoli (non per colpa sua) già quando era un bambino.
Due genitori giovani, istruiti ma che non riescono a vivere la vita con serenità, cercando nello stordimento qualcosa che manca.
Una donna trascurata, madre insoddisfatta di 5 figlie, che cerca sollievo nella passione carnale per un ragazzo.
Un uomo convinto che delle imprese al limite dell'assurdo siano un modo per “superare se stessi” e redimersi.
Una donna sola, triste e mentalmente disturbata, fanatica religiosa, che in passato ha rapito una bambina (a cui faceva da baby sitter) pensando di poterla tenere con sé, di averne il diritto perchè in famiglia era maltrattata e che per il suo morboso scrutare gli altri troverà una morte triste e banale.

Insomma, non certo una lettura semplice e spensierata.
Non è un libro che si può definire bello, ma un libro che fa riflettere.
Che lascia un velo di tristezza.

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evakant Opinione inserita da evakant    06 Settembre, 2015
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QUESTIONE DI MUTANDE

E' il maggio del 1936 e l'Italia fascista conquista l'Impero d'Africa.
Questo avvenimento non può che essere festeggiato come si deve anche dalla delegazione di Bellano, che vede come suo segretario Fulvio Semola.

Il Semola non ha in mente una manifestazione banale di bande, discorsi e raduni, ma un vero concerto di campane...a Bellano, tra chiese, asili, orfanotrofi e santuari le campane sono ben 20.
Un avvenimento senza precedenti come senza precedenti è la conquista dell'Impero.

Il nostro Semola, benché tiepidamente osteggiato un po' dalla moglie, un po' dal parroco, un po' dai compagni, riuscirà finalmente nell'evento...ma...ma a Bellano dalla mitica notte del 9 maggio 1936 in cui finalmente anche l'Italia ha un impero di colonie...ci saranno ben altre battaglie da portare avanti, e gli antagonisti del nostro buon Semola saranno ben altri.

È una questione di mutande. Da donna. Sparite, ben 3 paia.
E le iniziali VCM lasciano senza dubbio pensare che la biancheria sia della moglie del perfido Malversati: Eudilio Malversati, una carogna, e pure superbo ispettore di produzione del cotonificio.
Ma quelle mutande, della bella Verzetta Cece in Malversati...che ci fanno nella tasca del Semola?
E come sono arrivate nella tasca dello stesso Malversati, vittima di un agguato che col favore delle tenebre lo ha coperto di lividi e legato ad un albero in piazza?
E il terzo paio? Che fine ha fatto.
Su tutto questo, per evitare lo scandalo, dovrà indagare appunto il nostro povero Semola.

La narrazione si svolge come una commedia: a tirarne le fila non sarà l'investigator Semola, ma il maresciallo dei carabinieri Maccadò che in tour de force di interrogatori di personaggi di paese al limite dell'esilarante riuscirà a sbrogliare la matassa di una situazione insolita quanto forse banale...
Reati non ne sono stati commessi...forse le mutande nemmeno sono stare effettivamente rubate...insomma, come si fa ad indagare su un crimine che non è un crimine?
Sullo sfondo una serie di personaggi sempre efficacissimi ed esilaranti: il Dolcineo, personaggio di dubbia mascolinità che è tornato dalla campagna d' Africa con un esotico “servitore” nero, il “Balabiot” che fungerà da capro espiatorio della faccenda mutandifera...
La Verzetta Cece, mogliettina del Malversati, la di lei mamma Orbetta Cece, che, come due topoline, ballano quando il gatto Malversati non c'è...
I carabinieri della stazione di Bellano: Misfatti, Caldiluna, Defendini.
Selina, la moglie del Semola.
Il Volantino, l'ubriacone di paese che per un pasto (che magicamente si tramuta sempre in vino) segue, spia, informa chi gli chiede aiuto.

Un volumetto svelto, diretto e divertente, in uno stile fresco, ironico di un'ironia garbata tipica di Vitali.
Non è un capolavoro ma è sicuramente una lettura piacevole, che racconta un'Italia d'altri tempi, che poi in fondo in fondo non è così diversa da quella di oggi.

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gli altri lavori di Vitali, come Galeotto fu il collier
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evakant Opinione inserita da evakant    30 Agosto, 2015
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Di cosa ha paura Montalbano?

La Paura di Montalbano è una raccolta di sei racconti di cui 3 brevi e 3 più lunghi.

Giorno di febbre
Ferito a morte
Un cappello pieno di pioggia
Il quarto segreto
La paura di Montalbano
Meglio lo scuro
I racconti brevi, davvero poche pagine, si alternato a quelli più lunghi, di circa 5-6 capitoli.

GIORNO DI FEBBRE
Montalbano di piglia l'influenza...nel delirio della febbre non trova il termometro e dovrà per forza andarselo a cercare di notte, in farmacia...come andrà a finire?

FERITO A MORTE
L'omicidio di Gerlando Piccolo è avvolta dal mistero: in casa solo lui e la giovane nipote, l'assassino scappa dalla casa ma è chiaramente ferito. Le indagini partono, Piccolo era un usuraio e quelli che avrebbero voluto farlo fuori sono in tanti...ma il mandante dell'omicidio sarà certo la persona più insospettabile, come ancora più insospettabile sarà l'esecutore materiale.

UN CAPPELLO PIENO DI PIOGGIA
Montalbano deve recarsi a Roma per lavoro, all'aeroporto viene smarrita la sua valigia e costretto a girare per Roma per rifarsi il guardaroba incontrerà un vecchio compagno di scuola, uno che era un bel delinquente già allora, che lo invita a cena. Montalbano non è persuaso ma accetta, e, recandosi in serata dal vecchio amico viene sorpreso da un forte temporale e trova sulla sua strada un cappello rovesciato che sta riempiendosi di pioggia...non farà in tempo a toccarlo che il proprietario reagirà con inaudita violenza...

IL QUARTO SEGRETO
Le morti sul lavoro, specialmente nei cantieri edili, sono un fatto tristemente all'ordine del giorno, anche a Vigata, dove un operaio albanese di nome Puka muore cadendo da un'impalcatura... o forse era già morto prima, o forse non era nemmeno operaio e nemmeno albanese (un operaio edile immigrato che fa regolarmente la pedicure?) …
Il mistero si infittisce e Montalbano indaga, un'indagine un po' sui generis visto che deve condurla con un comandante dei carabinieri...


LA PAURA DI MONTALBANO
Riluttante in nostro Montalbano accetta di fare una vacanza in montagna con la storica fidanzata Livia...in montagna?! Montalbano?!
Mi ha fatto molto sorridere l'approccio del commissario ad un ambiente così diverso dal suo e così ostile per lui (quanto familiare per me). Ne scaturisce proprio la sua angoscia per essere un pesce fuor d'acqua.
Anche qui Montalbano vivrà la sua avventura: salverà una donna da un incidente a causa del quale stava per precipitare in un dirupo. Ma è proprio tutto così? Cosa nasconde il marito della donna?


MEGLIO LO SCURO
Una vecchia ospite di una costosa casa di riposo in punto di morte confessa una verità scomoda al suo confessore, il prete contatta subito Montalbano e lo coinvolge nell'indagine.
Un indagine vecchia di 50 anni, un avvelenamento che avvelenamento non era.
O forse sì.
Il prete sa che Montalbano non potrà resistere e indagherà fino a sapere la verità.
Anche se invece della luce della verità, al momento di comunicare come sono andate veramente le cose alla vittima innocente, Montalbano preferirà l'oscurità del non sapere, la verità a questo punto è inutile, non ha più molto senso, dopo 50 anni, dopo che tutti i protagonisti (o quasi) sono morti.


È il mio primo romanzo di Camilleri e a parte il lessico non proprio agevole per una “nordica” come me devo dire che tutti i racconti sono stati piacevoli, scorrevoli e interessanti.
In tutti il filo conduttore è l'incontro di Montalbano con un personaggio diverso che per tutto il racconto è protagonista, nel bene e nel male.
In “Giorno di febbre” è l'insolito barbone.
In “Ferito a morte” è la giovane nipote della vittima, tanto coraggiosa, o forse solo impudente nella presunzione di sembrare anche lei vittima di riflesso dell'omicidio.
In “Un cappello pieno di pioggia” è l'ex compagno delinquentello, redento lui stesso, ma purtroppo non il figlio, che non si salverà.
In “Il quarto segreto” è il carabiniere suo alleato di indagini, che prende la risoluzione del caso come una questione di principio. Ma è anche il mitico Catarella, che merita una menzione a parte.
In “La paura di Montalbano” è la donna in pericolo di vita, che si ostina, anche dopo il salvataggio, a tenere gli occhi serrati.
In “ Meglio lo scuro” è il prete “ingannatore” e la Ciccina, una sorta di archivio vivente delle disgrazie e dei fatti di Vigata da circa 100 anni a questa parte, una sorta di “gazzettino padano” trasposto in terra siciliana.


Ma veniamo a Catarella, appunto. In questi racconti è in grande spolvero, la sua parlata pittoresca ci accompagna “di pirsona pirsonalmente” diventando sempre più esilarante e al tempo stesso efficacissima.
Nel racconto “Il quarto segreto” diventa una egregia spalla del nostro Montalbano.
“Catarè, quello che stiamo facendo deve restare un segreto tra me e te, non lo deve sapere nessuno.”
Caterella fece 'nziga di sì con la testa e tirò su col naso.
Il commissario lo taliò. Due grosse lacrime stavano calando sulla sua faccia verso la bocca.
“Che fai, chiagni?”
“Commozionato sono, dottori.”
“Perchè?”
“Dottori, ma vossia ci penza? Tri segreti teniamo in comune! Tri! Quanto a quelli della Modonnuzza di Fatima! Anzi, dottori, datosi che siamo propriamente dintra a questo terzo segreto, mi spieca la sua consistenza?”
“Stiamo andando a vedere una cosa che debbono fare i carrabbinera, spero qualche arresto.”
Catarella parse strammato.
“Scusasse dottori, ma, rispetto parlanno, che ce ne catafotte a noi di quello che fanno i carrabbinera?”
“Se te lo dico che segreto è?”
“Vero è” fece Catarella fulmineamente pirsuaso.

Stile ironico, un'ironia tipica siciliana, che se conoscete un siciliano avrete avuto modo di apprezzare...è proprio uno stile di interpretare le cose e di trasporla in parole.
Una narrazione frizzante e diretta che però lascia sempre in sospeso una certa analisi della personalità umana, quella delle vittime, quella dei delinquenti e di chi ci gira intorno.
Personaggi veri, reali, non supereoi da film ma gente comune, con le sue debolezze e le sue stranezze.

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evakant Opinione inserita da evakant    23 Agosto, 2015
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Se King avesse ancora le energie e l'ispirazione d

Poco tempo fa mi sono lasciata tentare e ho acquistato questo Joyland incuriosita dalla trama che prometteva un ritorno ai vecchi temi cari a King.
Una storia ambientata in un parco divertimenti americano dove la storia di un ragazzo si intreccia con un mistero, con un bambino dai poteri paranormali e altri temi cari a King come l’infanzia, la giovinezza perduta, l’adolescenza che si porta dietro le sue magie e i suoi dolori apparentemente insormontabili.

Devin Jones è un giovane studente universitario che per la stagione estiva decide di lavorare in un parco divertimenti per racimolare qualche soldo, parte con pochi soldi in tasca e triste perché ha la sensazione che non rivedrà più la sua ragazza Wendy che invece è partita anche lei per lavorare, ma altrove... e forse anche con qualcun’altro…
A Joyland Dev conosce il personale del parco, i suoi compagni/colleghi Tom ed Erin e stringe una profonda amicizia con loro, un’amicizia che durerà tutta la vita. Come sempre King è molto preciso e puntuale nel tratteggiare i personaggi che ruotano intorno a Dev, dagli inservienti del parco all'anziano proprietario Easterbrook.
A Joyland come in tanti luoghi c’è un mistero…il mistero della giovane che è stata uccisa all'interno del tunnel del terrore molti anni prima e il di cui fantasma pare infesti il parco, tanto che Madame Fortuna, una semi-ciarlatana (o forse no?) che predice il futuro poco lontano dal tunnel, ha paura anche solo ad avvicinarsi…
Le sparate di Madame Fortuna pare inizino ad avverarsi…Dev è molto perplesso e il suo amico Tom lo prende in giro…sino a quando vede il famigerato fantasma.
L’estate è agli sgoccioli, tutti i ragazzi stagionali se ne vanno, ma Dev deve rimanere, deve vedere il fantasma e decide di fermarsi lì un altro anno, una sorta di anno “sabbatico” dallo studio, anche un po’ per dimenticare Wendy.
Dopo poco tempo conosce due persone che cambieranno sensibilmente la sua vita: Ann e Mike Ross, madre e figlio, lui affetto da distrofia muscolare e prossimo alla morte, ma dotato di un “dono” paranormale.
La vita di Devin non sarà più la stessa e lo porterà alla ricerca dell’assassino della ragazza del parco (Linda Grey) aiutato anche da Erin che con le sue ricerche si avvicina alla risoluzione del caso.
Ovviamente non vi svelo il finale.

Questo romanzo è piuttosto breve, si legge agevolmente in 3-4 giorni e diciamo che è un po’ una macedonia dei temi classici di King:
• L’adolescenza come età perduta, età di grandi sogni e di grandi ideali
• Un ragazzino dai poteri paranormali: come in Carrie e molti altri romanzi
• Disabilità / disagio: qui è addirittura una malattia mortale, in IT era la balbuzie piuttosto che il non essere “popolari” tra i coetanei.
• Fanatismo religioso: il padre di Ann Ross è un predicatore, la mamma di Carrie era una fanatica religiosa.

In più possiamo mettere l’ambientazione un po’ diversa dagli altri lavori (sud Carolina e non Maine, anche se il protagonista ovviamente è del Maine) e la ricerca di un assassino in stile più poliziesco che thriller.

Come vedete la macedonia ha molti ingredienti, ben mescolati, ben assemblati ma solo accennati e credo che se King avesse ancora le energie e l’ispirazione di un tempo questo romanzo sarebbe stato lungo il triplo.

È godibile e ben scritto, piacevole e sicuramente un lavoro discreto, certo non è al livello di lavori passati e non è certo irresistibile, non rappresenta uno dei romanzi di King che bisogna assolutamente leggere, ma è gradevole.

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evakant Opinione inserita da evakant    12 Agosto, 2015
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ASPETTATIVE DELUSE

“La più grande scrittrice vivente di lingua inglese”

“Philip Roth ha ragione. Edna O'Brien è la più grande e Ragazze di campagna è un libro bellissimo, bellissimo, bellissimo.”

“Ragazze di campagna ha un fascino senza trucchi, un'originalità spontanea”

“Un manuale di anatomia dell'anima. Ogni parola, ogni aggettivo, ogni frase sono così essenziali che non riesci mai a distrarti neanche per due righe”
“O'Brien è stata la grande innovatrice dell'immaginario irlandese”

“Uno scandaloso puzzle di desideri femminili”

“Un tesoro di potenza, intelligenza e ironia”

“Tra i maggiori geni della nostra generazione”

Normalmente non mi accingo a leggere un libro “lusingata” dai commenti sul retro della copertina.
Lo faccio per non crearmi aspettative esagerate, perchè diciamocelo, sulle copertine vengono, ovviamente, messi solo i commenti più entusiastici.
Addirittura questa Edna O'Brien è definita niente meno che la più grande scrittrice vivente di lingua inglese e un genio.
Ovviamente le aspettative che si sono create nella mia mente erano altissime.
E sono puntualmente andate deluse.

Questo libro non mi ha lasciato nulla. Nulla.
Non ha aggiunto niente alla mia vita, non mi ha lasciato passi o tratti da ricordare.
Prima di parlarvi della trama, che è molto semplice e lineare devo fare alcune premesse.
Non si può capire questo libro senza conoscere un minimo il background di questa signora irlandese.

Questo libro è stato scritto nel 1960 ed è ambientato nelle campagne irlandesi, pregne di fanatismo religioso, di povertà, di ignoranza come di paesaggi meravigliosi.
Essere donna in un periodo del genere non deve essere stato facile e forse la distanza tra la vita di oggi e quella di allora non mi ha fatto comprendere questo “capolavoro”.
Forse...anche se nelle descrizioni le situazioni e la cultura di quel tempo non mi sembrano poi così diverse dalla vita di campagna che sento raccontare dai miei genitori.

Caitleen nel 1960 è una ragazzina molto povera, con una padre alcolizzato e violento, una madre rassegnata alla sua vita di negazione, ha un'amica Baba, che poi tanto amica non mi è mai sembrata visto che la trattava malissimo, la umiliava in tutti i modi non solo alla scuola di paese, ma per tutto lo svolgersi del libro, che copre un arco di alcuni anni.
La famiglia di Cait ha una fattoria che ormai è in rovina, portata avanti da un ragazzone che è praticamente l'unico (oltre alla madre) che si prende cura di lei.
Un pomeriggio, dopo svariati giorni di pellegrinaggio alle varie osterie dei dintorni, il padre di Cait torna a casa ubriaco e nuovamente picchia la moglie, che decide così di andarsene e tornare per un po' dalla sua famiglia di origine, senza portare la figlia (che forse avrebbe dovuto raggiungerla più tardi... ma non è dato a sapersi...) senonché ha un incidente e muore.
Cait viene a sapere il tutto la sera a casa dell'amica Baba (che ha anche lei una famiglia piuttosto disastrata, una madre del tutto indifferente che le fa fare tutto quello che vuole e vive solo rimpiangendo la sua bellezza ormai sfiorita, e bevendo, e un padre talmente indaffarato da non esserci mai).
Nel frattempo è venuta a sapere che ha vinto una borsa di studio per un prestigioso collegio di religiose e dopo un'estate passata in una sorta di apatia parte insieme a Baba per il collegio.
Nel frattempo il padre di Cait smette di bere e cerca di riprendere in mano la fattoria, ma è troppo tardi e deve venderla al proprietario dell'emporio di paese, caro amico di famiglia (e probabilmente pure l'amante della defunta madre di Cait).
Cait ha una sorta di repulsione verso suo padre, chiaramente lo incolpa della morte della madre, ma ogni tentativo dell'uomo di riavvicinarsi alla figlia è da lei rifiutato, tanto da praticamente dimenticarsi dell'uomo per tutto il tempo che starà via, disinteressandosene proprio.

Il collegio si rivela un vero carcere, un posto pessimo dove le ragazze sono malnutrite, umiliate e represse (mi ricorda Ludlow di Jane Eyre, peccato che la Bronte come stile di narrazione è proprio su un altro pianeta) ma non mi dilungherò troppo in questo.
Cait e Baba sono stufe e si fanno espellere dopo 3 anni e si trasferiscono da sole a Dublino.
Cait farà la commessa e Baba non si è capito bene cosa (credo nulla, se non la mantenuta).
Le ragazze in città sono entusiaste della vita piena e varia, cercano incontri con ragazzi del posto per divertirsi (per poi fini squallidamente con due ricchi cinquantenni) e Cait alla fine instaura una relazione clandestina con un uomo del suo paese che già prima che partisse per il collegio delle monache l'aveva “insidiata” pur in modo piuttosto discreto: tale Mr Gentleman, oriundo francese facoltoso, danaroso e con moglie esaurita “corteggia” già la ragazzina quando lei ha 14 anni (e lui sembra sui 50) e va avanti fino a quando lei è in città e ne ha circa 18.

Il lieto fine? Non c'è perchè non c'è nemmeno una fine.
Non esiste finale, la narrazione si interrompe e basta.
Più che per un espediente letterario per lasciare lo spazio aperto agli altri due volumi della “trilogia”.

Lo stile narrativo è asciutto, essenziale e questa cosa la trovo apprezzabile. Non molto invece tutta la storia che ho trovato molto reale, molto umana, molto cruda (e probabilmente molto autobiografica) ma che non mi ha lasciato nulla.
Questa Cait (e questa Baba) pur essendo diverse si dibattono in un mondo tutto maschile, corrono dietro ad un'emancipazione che si riduce nello scappare da un collegio, fumare, avere una vita dissoluta e cercare la compagnia di uomini ricchi...anche se nel caso di Cait il tutto è mascherato sotto una vena di romanticismo dipingendo Gentleman così come lo si identifica (un gentleman appunto) quando in realtà è un vecchio triste infatuato di una minorenne, che pone fine a tutto in modo molto vigliacco appena viene scoperto dal padre di lei e dalla moglie.

La letteratura è piena di giovani sfortunatissime, di giovani che vivono in periodi storici in cui le donne non contano nulla, ma questa davvero è la meno emancipata e la meno coraggiosa che abbia mai visto, una Jane Eyre o una Elisabeth Bennet sono, pur calate in un periodo storico ancora più buio per le donne, mille volte più emancipate, sagaci e intelligenti di questa ragazzetta che negli anni 60 vuole giustamente vivere la sua vita come vuole, ma è anche così ingenua da farsi sballottare dall'amica, dall'amante, da tutto.
Forse è voluto, ma questo libro non ha una morale, a me non ha fatto riflettere su nulla, se non sul fatto che questi scritti definiti “femministi” descrivono in realtà situazioni che non fanno trasparire nulla di edificante su queste fantomatiche “femministe”. Cait non si è emancipata in nulla se non nel vivere e lavorare mantenendosi da sola, per il resto subisce le decisioni altrui.

Gli stati d'animo della ragazza non sono nemmeno descritti così bene...a parte il frangente in cui la madre muore, la narrazione è un susseguirsi di fatti presentati cronologicamente, le descrizioni non sono per nulla scandalose, ma nemmeno lontanamente, nemmeno per il periodo in cui è stato scritto il libro (anni 60)...
Insomma, se questa signora è la più grande scrittrice di lingua inglese vivente, non immagino le altre.

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Romanzi storici
 
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evakant Opinione inserita da evakant    11 Agosto, 2015
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LIBERA DI ESSERE NUDA AL MONDO

Santa Chiara di Assisi è una delle sante più popolari un po' perché sempre affiancata all'amatissimo e famosissimo San Francesco, un po' perché anche lei, come il santo di Assisi, si è “spogliata” di tutte le sue ricchezze per abbracciare una vita di povertà e di preghiera... non dimentichiamo che Chiara è la fondatrice di un “ordine” quello delle Clarisse che sono monache di clausura, che rifiutano la vita comune come la intendiamo noi per dedicare tutta la loro esistenza alla preghiera, senza mezze misure.
Biografie sulla santa ce ne sono a bizzeffe, questo romanzo (se poi è un romanzo) della Maraini punta l'attenzione su un altro aspetto: quello della disobbedienza.
Chiara per il tempo disobbedisce a tante regole, in primis le regole dettate dagli uomini.
Uomini intesi come genere.

Bisogna rammentare che nel medioevo le donne non avevano nessun diritto ed erano considerate alla stregua dei bambini: senza capacità giuridiche, senza capacità di scelte consapevoli, senza nessuna “intelligenza” e con un handicap in più rispetto ai bambini: i bambini sono puri, le donne (ma anche le bambine) erano esseri immondi, colpevoli del peccato originale di Adamo, tentatrici, interlocutrici dirette del diavolo, impure, una sorta di mostri.
Queste tesi sono avvalorate dagli scritti di tanti santi riportati dalla scrittrice. Tesi francamente agghiaccianti (come se questi santi non avessero avuto perlomeno una madre!!).

“Se gli uomini potessero vedere quel che si nasconde sotto la (loro) pelle, la viste delle donne causerebbe loro solo il vomito. Se rifiutiamo di toccare lo sterco anche con la punta delle dita, come possiamo desiderare di abbracciare una donna, creatura di sterco?” Oddone di Cluny.

“Ogni donna dovrebbe camminare come Eva nel lutto e nella penitenza, di modo che con la veste della penitenza essa possa espiare pienamente ciò che le deriva da Eva, l'ignominia, io dico, del primo peccato e l'odio insito in lei, causa dell'umana perdizione”

“Non sai che ti sei Eva? La condanna di Dio verso il tuo sesso permane ancora oggi: la tua colpa rimane tutt'oggi. Tu sei la porta del Demonio! Tu hai mangiato dell'albero proibito! Tu per prima hai disobbedito alla legge divina! Tu hai convinto Adamo, perchè il Demonio non era coraggioso abbastanza per attaccarlo! A causa di ciò che hai fatto, il Figlio di Dio è dovuto morire!” Tertulliano

Non è il caso che io continui, e non commento neppure il tenore di quanto sostenevano questi eminenti religiosi.

Nel medioevo quindi la donna non poteva che obbedire, prima ad un padre, poi ad un marito oppure farsi monaca, la scelta di farsi monaca in effetti, conoscendo la cultura fortemente misogina del tempo a mio parere è capibile.

Con il matrimonio si doveva obbedire in tutto al marito, essere obbligate a soddifarlo quando lui voleva, essere obbligate a procreare circa una volta all'anno (difatti anche qui, l'unico atto sessuale tollerato era quello per procreare, un atto ritenuto purtroppo inevitabile per mantenere la specie...solo per questo era tollerato e solo per questo il matrimonio era concepibile).
Farsi monaca era già disobbedire.

Farsi monaca rinunciando a qualsiasi proprietà o lusso era disobbedire ancora di più.
Come ha fatto Chiara, come ha fatto Francesco.
Hanno rinunciato a tutto, hanno predicato che i religiosi debbano essere poveri (pensiero molto sovversivo anche oggi) e vivere solo di quanto strettamente necessario, e non possedere nulla.
Regola che viene approvata da Papa solo quando ormai Chiara è in punto di morte, regola che viene ribaltata a favore della Chiesa pochi giorni dopo obbligando i conventi ad avere di quanto sostentarsi senza chiedere aiuto a Roma...cosa che Chiara non voleva...per Chiara lei e le sue monache di San Damiano non possedevano nemmeno il loro letto, non possedevano nemmeno i topi che infestavano il convento, nemmeno i gatti per cacciarli.
Non dovevano possedere nulla, dovevano essere libere di essere nude al mondo.

Un concetto molto sovversivo anche oggi, forse soprattutto oggi.

Ma non vorrei dilungarmi troppo, questo libro è un concentrato di tante cose, di tante informazioni, uno studio sui principi della regola di Chiara, sulla sua vita ma senza scadere in aneddoti romanzeschi, si analizza criticamente la scelta della santa di essere povera e monaca di clausura.

La Maraini per iniziare parlare di Chiara usa un espediente (cosa piuttosto tipica in letteratura) cioè la lettera di una fantomatica ragazza siciliana (Chiara, appunto) che le chiede di scrivere un romanzo su Chiara. Insiste, la incalza e sparisce per poi tornare a fine del volume riferendo di una decisione piuttosto scontata...

Il romanzo parte come epistolare (tra Chiara e la scrittrice), diventa diario e poi torna all'epistolare, una tecnica che aiuta molto la lettura che si sviluppa quindi per brevi capitoli.
La lettura è veloce e semplice se escludiamo alcune parti di riflessione un po' troppo teologica ma non vi aspettate un romanzo “gossipparo” il rapporto con Francesco è solo vagamente accennato, la sua vita non è approfondita se non in merito alla sua scelta di povertà, di clausura e alla sua malattia.
La vita del convento è raccontata a grandissime linee, questo romanzo più che informare sulla santa da degli spunti di riflessione.
Sicuramente sarebbe meglio, prima di leggerlo, farsi una certa cultura sulla vita di questa donna.

Mi è piaciuto?
Mediamente sì, anche se mi aspettavo tutt'altro, anche se l'epilogo della Chiara siciliana è molto prevedibile, sicuramente offre spunti di riflessione, riflessione di un laico, capiamoci, che se (forse) non crede, comunque si interroga su alcuni fatti storici.
Stupenda invece l'immagine di copertina, molto evocativa.
Lo consiglio ad un pubblico adulto e se vi interessa il tema, diversamente forse lo trovereste un po' pesante.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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evakant Opinione inserita da evakant    10 Agosto, 2015
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UN GIALLO A QUATTRO MANI

Siamo sempre a Bellano, teatro di tutti i lavori di Vitali, più precisamente a Lezzeno, amena contrada che ospita un santuario eretto in onore ad una Madonna che pianse lacrime di sangue , ma stavolta i fatti si svolgono alla fine dell'ottocento, e non nel consueto periodo fascista.
Il santuario esiste davvero: è il Santuario della Madonna delle Lacrime che è stato costruito in memoria del miracolo del 6 agosto 1688 quando Bartolomeo Mezzera, un contadino del posto, mentre rientrava dal lavoro durante un forte temporale, rifugiatosi nei pressi di una cappelletta dove era posto un tondo in gesso con l’immagine della Madonna, si fermò per recitare una preghiera e vide che la Madonna piangeva lacrime di sangue. È proprio lì che due anni dopo, il 6 agosto 1690, venne posata la prima pietra del santuario, che fu ultimato nel 1694.
Si occupa del rettorato e del santuario una coppia di mezza età con tre figlie. Arcadio e Serpe hanno già sistemato le prime due, manca solo la terza, Birce, che però sembra destinata a restare a vita coi genitori: è nata storta, ha una voglia color blu chiaro sulla guancia, e quando questa diventa rossa Birce “si perde via” diventa muta, o parla in una lingua sconosciuta (forse latino?) e non ricorda più nulla di dove va o cosa fa. Capite che è un bel problema, soprattutto per quella pettegola della Persegheta che aspira al posto di perpetua e si attacca a tutto pur di denigrare la coppia.

Intato a Bellano, a villa Alba, arriva una misteriosa signora bionda che ogni settimana sale al santuario, che sia lei che sistemerà la strana Birce? Serpe coglie al volo l'occasione proprio la vigilia della festa per il miracolo delle lacrime della Madonna, che sia un miracolo? O solo la furbizia di trovarsi al posto giusto al momento giusto (e origliare i discorsi del rettore con la misteriosa signora)?

La narrazione si sposta a Torino, dove si susseguono fatti di sangue misteriosi: due giovani donne vengono trovate morte per strada, la loro “autopsia” rivela le stesse ferite, e lo stesso misterioso biglietto con una strana equazione o formula matematica, stesso biglietto che tempo prima è stato recapitato al celebre medico Cesare Lombroso.
È qui che entra in scena il contributo di Massimo Picozzi.
Lombroso è noto ai più per le teorie che si basavano sul concetto del criminale per nascita, secondo cui l'origine del comportamento criminale era insita nelle caratteristiche anatomiche del criminale, persona fisicamente differente dall'uomo normale in quanto dotata di anomalie fisiche e cerebrali che ne determinavano il comportamento socialmente deviato. Chiaramente Picozzi non può che essere un esperto della filosofia di Lombroso, che nel libro viene giusto accennata, ma dove viene trattata con maggiore dettaglio la sua adesione a certe teorie sullo spiritismo in collaborazione con la medium Eusapia Palladino, altro personaggio controverso del tempo. Insieme a Lombroso e alla Palladino troviamo anche la figlia di Lombroso, Gina, ed il suo assistente Ottolenghi.

I casi della vita porteranno a Bellano, in particolare a Villa Alba, sia la Palladino, amica della misteriosa signora bionda, che Lombroso, oltre ad un giornalista d'assalto di Como e un giovane medico suo amico, Politti, grande ammiratore delle teorie di Lombroso.
Dopo una rocambolesca seduta spiritica in quel di villa Alba, che vedrà protagonista in particolare la nostra bizzarra Birce, un altro fatto di sangue sconvolgerà la piccola e tranquilla Bellano: una giovane novizia viene trovata morta per strada con le stesse ferite delle povere donne di Torino.
Che il serial killer abbia seguito Lombroso fino a Bellano?

Al di là della trama, che in questo volume di Vitali è un po' più sfaccettata del solito, l'influenza di Picozzi a mio avviso è minima, è giusto una consulenza che approfondisce un po' la narrazione che non perde certo di ironia. Chiaramente, nonostante i personaggi di Lombroso, Ottolenghi, Palladino ecc...siano reali, i fatti sono pura fantasia, senza scadere “nell'accademico “ e nella troppa serietà la lettura è come sempre ironica, non si capisce bene alla fine se Lombroso (e chi gli gira intorno) sia un luminare o un ciarlatano, resta a noi l'ardua sentenza, e il titolo “la ruga del cretino” è un chiaro riferimento a quella “fisiognomica” che Lombroso applicava alle sue teorie.
La narrazione è sempre veloce, con capitoletti brevissimi, scorrevoli, i personaggi a mio avviso sono trattati un po' meno efficacemente del solito, a mio parere i personaggi della Birce e dell'assassino avrebbero potuto essere trattati forse in modo più approfondito.
Resta il fatto che il volume è divertente, un po' diverso dai soliti lavori di Vitali...ma neanche tanto, non perde comunque il suo marchio di fabbrica fatto di ironia, personaggi sgangherati e nomi irresistibili (Serpe, Persegheta, Birce...). Sempre molto umani e molto vicini a noi.

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