Opinione scritta da Lalli
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Superiore ai precedenti, ma non perfetto
Il romanzo conclusivo di questa (per me) sudatissima serie si pone un gradino sopra i precedenti tre capitoli, ma continua ad avere tanti nuovi difettucci.
Viene finalmente accennato alla causa della catastrofe che porta Cetus a spazzare via ogni forma di vita su Nashira, ma tutte le cause e le implicazioni non vengono chiarite a sufficienza. Sono arrivata a considerare questo ultimo capitolo come una frettolosa conclusione di tutti gli eventi dei precedenti romanzi, nel quale la Troisi ha voluto concentrare tanti, troppi eventi e informazioni, rinunciando conseguentemente ad un loro approfondimento. In sostanza: avrebbe potuto benissimo saltare alcuni tediosi e fini a se stessi punti dei precedenti romanzi a favore di un’analisi e una spiegazione più esaudente del tutto.
Non viene spiegata l’esatta motivazione dell’immortalità dei Shylar, la razza di Verba, né perché sottoterra la pietra dell’aria non sia dannosa alla salute mentre in superficie sì, non sapremo mai perché Saiph è tornato in vita e sinceramente, nonostante l’abbia riletto tre volte, ho ancora dei dubbi sul finale.
A questo si aggiungono diverse piccole assurdità: la superficialità delle motivazioni di Grele che, ricordiamo, guidano il suo odio contro Talitha fino all’ossessione; una persona che può vedere ogni luogo di Nashira in uno specchio, ma invece di cercare il suo avversario (che gli ha sottratto qualcosa) e raggiungerlo, cerca un nemico del suo nemico (e quindi suo amico) e lo ingaggia per cercarlo al posto suo; l’azione isolata di un singolo individuo contro il nemico che, nonostante abbia un esercito pronto a combattere alle sue spalle, fa tutto di testa sua senza nemmeno provare a coordinarsi alle forze armate.
Passando ai pro: non mi aspettavo nulla di ciò che la Troisi ha svelato sulla catastrofe, è stata una spiegazione interessante, che miscela il fantasy classico con la fantascienza (peccato per il poco approfondimento però!)
Secondo pro sono i personaggi che, nonostante le loro piuttosto intricate vicende amorose, si mostrano pronti a fare la cosa giusta per quanto dolorosa e spaventosa. Sono molto più adulti rispetto a quelli che ci sono stati presentati nel “Sogno di Talitha” e finalmente dimostrano pienamente la loro età e ne hanno una conseguente maturità.
E in ultimo: i martiri. Leggendo qualche recensione mi pare di capire che i morti di questo ultimo romanzo non siano stati molto apprezzati, anzi, hanno scatenato perplessità. Io, dal canto mio, li ho trovati giusti. Non si esce da una guerra, una ribellione, una contro-ribellione ecc.. senza perdere delle vite. E non è giusto salvare dei personaggi solo perché nella rosa dei principali. Nella realtà nessuno è protetto dal lutto, anzi, più si partecipa alla storia più si diventa facili bersagli.
In conclusione: questa serie purtroppo non mi è piaciuta. Forse ne sarebbe valsa la pena anche solo per questo ultimo romanzo, ma purtroppo manca della perfezione che avrebbe risollevato le sorti del tutto. Forse l’autrice avrebbe dovuto prendersi più tempo per riallacciare meglio le fila del discorso, ma ormai questo rappresenta, per me, il suo primo vero fallimento.
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Una fiaba moderna e ammaliante
“Il castello errante di Howl” è una lettura rapida e non troppo impegnativa, eppure, appena giunta alla fine, mi ha presa la voglia di ricominciarlo immediatamente daccapo.
Come molti, mi sono avvicinata al libro dopo aver visto il film dello Studio Ghibli, ma mi sono presto resa conto che, a parte le prime trenta-quaranta pagine, c’era ben poco di corrispondente. Al gentile ed educato Howl del film corrisponde un capriccioso, vanesio e superficiale mago che tuttavia non perde il suo fascino e la sua centralità nella trama. È ciò che più ho apprezzato di questo romanzo: la caratterizzazione a tutto tondo dei suoi personaggi, ricchi di difetti più che di pregi, e capaci di evolversi in maniera naturale anche nelle sole 243 pagine.
Non credo si possa scrivere una vera recensione senza fare dello spoiler, quindi mi limiterò a semplici considerazioni: questo è il libro perfetto per chi cerca un po’ di incanto e di magia, per chi è capace di raccogliere tutti i micro-indizi e i dettagli e metterli insieme, per chi riesce e vuole leggere l’allegoria dietro ogni azione o rassegnazione dei personaggi e per chi pensa di aver fallito ancor prima di cominciare.
Questa è una storia di coraggio, sarcasmo e fragilità.
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un po' meglio
Dopo due libri abbastanza strazianti, questa serie sembra finalmente aver preso un po’ di spinta.
Probabilmente è principalmente dovuto al fatto che la protagonista Talitha sembra finalmente essere maturata e dimostra i suoi diciannove anni, non dodici. Il cambiamento è piuttosto brusco, ma rende il suo personaggio più sopportabile e umano.
Piuttosto irritante è invece la posizione dell’autrice –e di Saiph- nei confronti di Talitha stessa. Tutti i suoi errori e le sue malefatte vengono giustificate e nemmeno valutate come uno sbaglio. “Tu non hai sbagliato. Hai fatto ciò che ritenevi giusto. E ti sei fermata in tempo, prima che fosse troppo tardi”. Talitha HA sbagliato, si è comportata come un’assassina, nemmeno come una guerriera, e si è fatta dominare dall’odio e dalla sete di vendetta. E si è fermata in tempo rispetto a cosa? No, la ragazza ha sbagliato di grosso, che poi d’ora in poi cerchi di redimersi sicuramente è ammirevole e per questo ho apprezzato il suo voto di non uccidere.
Ma il vero personaggio che rende questa storia migliore a questo punto è proprio Saiph, che prende in mano la sua vita, assumendo finalmente una personalità nettamente distaccata da quella di Talitha. Il ragazzo sceglie alla fine di sacrificare i suoi progetti per il bene degli abitanti di Talaria e le sue scelte gli rendono onore. Certo, tutta la storia del messia ricalca pesantemente le vicende di Gesù Cristo in persona e il giovane sembra più seguire l’ombra della profezia che la propria volontà, ma ho molto apprezzato il suo altruismo e la sua prontezza.
Altro aspetto positivo: i personaggi sembrano staccarsi un po’ dai loro alter ego del Mondo Emerso, apparendo indipendenti. Un po’ tardino, ma meglio tardi che mai.
Tornando alle debolezze che hanno caratterizzato tutti e tre i romanzi: anche questo pecca di mancanza di realismo in diversi punti (mi sembra dura distinguere il giorno del proprio compleanno quando si è fuggiaschi da mesi) e di esagerazione negli ostacoli che trovano i protagonisti, spesso dovuti alla loro stessa stupidità (se vi intrufolaste in un luogo proibito, lascereste la porta aperta ad indicare al mondo che ci sono intrusi?)
Ormai manca un solo romanzo a completare la serie quindi non credo di poter valutare positivamente la quadrilogia, tuttavia il prossimo volume potrebbe essere ancora un gradino sopra a questo e rientrare nei canoni della Troisi ai quali sono avvezza.
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Prosegue male
Speravo che il secondo episodio di questa saga risollevasse un po’ le sorti della storia, ma sono rimasta delusa. Già nel primo romanzo avevo individuato una lunga serie di difettucci intervallati da qualche raro e interessante barlume di genialità ma devo ammettere che la situazione non è cambiata di una virgola nemmeno nel secondo.
Partiamo, di nuovo, dalla protagonista Talitha, la giovane Talarita che rinnega le sue origini e si schiera al fianco degli schiavi liberati, i Femtiti. Pare sempre più una copia sputata di Nihal, protagonista delle Cronache del Mondo Emerso, con qualche sostanziale differenza: è sciocca, superficiale e immatura. Condivide con Nihal l’amore per la spada e la battaglia, ostentato al punto che in diversi momenti mi sono ritrovata a chiedermi se per caso la Troisi non ci stesse narrando la storia dal punto di vista del cattivo. Talitha è assetata di sangue e violenza, la adora, non vede l’ora di combattere e uccidere tutti i Talariti che incrocia sul suo cammino e questo è un atteggiamento che ho trovato agghiacciante. Certo, qualcosa di simile era già stato proposto in Nihal, ma mai portato a simili livelli e non credo che possa essere giustificato con la semplice rabbia che Talitha prova nei confronti dei suoi simili, massacratori di schiavi.
La giovane affianca i ribelli nella loro lotta, ma nel proclamare i suoi ideali si contraddice spesso e volentieri. Verso la fine del romanzo afferma che la sua battaglia è sempre stata per l’uguaglianza tra Femtiti e Talariti, invece per tutta la durata di esso la giovane non fa che eseguire ciecamente gli ordini dei capi ribelli, massacrando a sangue freddo soldati e civili Talariti. E non basta l’aver provato pietà nei confronti di una ragazzina per scusarla e stabilire che in fondo i suoi principi sono nobili, perché non lo sono.
Talitha è una giovane intollerante, che vede nella morte degli altri l’unica via per vendicare le sue blande sofferenze. Persino il ricordo dei mesi passati al monastero, la morte della sorella e le sue ultime scoperte sui soli la portano ad un odio cieco nei confronti dell’intera casta sacerdotale e di conseguenza a ritenere giusto il loro massacro. Sorvolando sul fatto che il tempo passato al monastero sicuramente è stato vessante, ma non così orribile come la ragazza ricorda (la cosa peggiore che le poteva capitare era recitare noiose preghiere e leggere da un libro mentre le altre cenavano), può essere giusto che abbia in antipatia i sacerdoti per essere un ceto chiuso alle novità, che divide rigidamente la società in maniera iniqua e che forse, forse, ha causato la morte di sua sorella (e che invece potrebbe essere avvenuta naturalmente, dato che pare che la sua malattia fosse comune tra le oranti), ma tutto questo è sufficiente a classificare l’intera casta come “male”? Talitha è ben contenta di aggredire un luogo quasi totalmente indifeso e ci viene fatto credere che lei in fondo sia buona solo perché, alla fine, tenta di difendere i pochi prigionieri sopravvissuti dalla condanna a morte.
Un bel gesto, ma è uno in un mare di odio e morte, che, ricordo, domina la Talarita senza un briciolo di rimorso o di esitazione.
Altro problema è appunto la sua gestione dei sentimenti: si innamora e dimentica l’amore nel giro di tre mesi, il ricordo della sorella è completamente spento, nessun riscontro psicologico in seguito alle morti provocate.
Passando al secondo protagonista della storia, Saiph, ammetto che il suo personaggio mi è risultato più gradevole in questo secondo episodio. Almeno lui è bene in grado di distinguere il bianco dal nero e decide di proseguire la ricerca per salvare Talaria, non di invischiarsi in un mare di sangue. Sicuramente Saiph è più maturo, ragionevole e responsabile di Talitha, ma ancora non riesce a svicolarsi dalla personalità della padrona. Nonostante tutto quello che ha passato, rimane sempre il suo schiavo e pensa a lei con la devozione di un cane fedele, non con il rispetto e anche l’affetto di una persona coinvolta in una relazione alla pari. Dal canto suo, Talitha continua a trattarlo come un animale da compagnia e non riesco a leggere in lei nemmeno una briciola del decantato affetto che prova per lui.
Per quanto riguarda il resto della storia proseguono i pesanti parallelismi con le Cronache e le Guerre del Mondo Emerso. Ce ne sono davvero tanti e la storia, nonostante abbia degli spunti originali, ricalca sempre quegli schemi e sembra una scopiazzatura. Per fare alcuni esempi: abbiamo Talitha che è l’ombra di Nihal (come lei segue la strada della spada, porta i capelli corti, non vede l’amore che l’amico di una vita ha per lei e lo snobba, si innamora di un uomo più grande che la rifiuta, sfoga il suo odio nel sangue), Saiph è l’ombra di Sennar (pacato, più incline allo studio che alla guerra, innamorato devotamente dell’amica di sempre e da lei rifiutato, si avventura in un viaggio solitario in seguito ad un litigio con lei), Verba ricorda Sennar vecchio nelle Guerre del Mondo emerso (amareggiato, sconfitto, ha perso la fiducia nel genere umano e non ha alcun interesse a salvarlo), Grele somiglia molto all’assassina Rekla nelle Guerre (odia la protagonista, è stata umiliata da lei e vuole rifarsi sulla sua pelle, è una combattente, un’assassina ed è disprezzata dalla famiglia di origine), Megassa, il padre di Talitha, è la copia di Dohor, il padre di Learco (ambizioso, spietato, disinteressato al bene dei figli che usa come strumenti per consolidare il proprio potere, violento con la moglie e pronto ad uccidere per il comando).
Questi sono tutti i parallelismi che mi sono venuti in mente e sono già tanti così.
Altri problemucci sono alcuni punti poco realistici: un drago e un uomo che sopravvivono una settimana nel deserto razionando semplicemente l’acqua che l’uomo aveva portato con sé (non mi intendo di draghi, ma se un cavallo beve dai 15 ai 20 litri al giorno credo che il drago faccia almeno altrettanto, no?), Talitha che a inizio romanzo si accorge di avere una ricrescita rossa sotto la tinta verde e che nessuno alle miniere ha notato, le infinite volte che Saiph sfiora la morte, riprende i sensi e torna a vivere come se niente fosse.
In tutta questa negatività permangono dei buoni spunti, ma rimangono, appunto, spunti. Sarebbe stato interessante sapere di più sulla religione di Talaria, sempre accennata e mai spiegata nel dettaglio, dare una posizione più centrale alla catastrofe naturale e vedere Saiph nei panni del simbolo della ribellione. Per questi posso ancora sperare nel libro terzo, per tutto il resto comincio ad essere scettica.
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Deludente
Ennesima delusione della Meyer: buone premesse e promesse, finite nel fango. Il libro mi ha veramente attirata per i primi capitoli, aveva spunti interessanti da sviluppare, abbastanza da farne veramente un gran buon libro, ma ovviamente la Meyer ha preferito lasciarli cadere per entrare in una noiosa introspezione di un personaggio piatto, noioso, così insignificante da dare ai nervi. Come al solito la protagonisa è una buona a nulla, incapace di reagire alla situazione in cui si trova invischiata e capace solo di lagnarsi e subire. Insomma una smidollata senza un briciolo di carattere. Il tutto è vagamente incoerente dato che l'aliena protagonista sostiene di avere già vissuto molte vite, per un totale di secoli; racconta addirittura le sue avventure passate, quando ha dimostrato tutto il suo coraggio. perché ora è una tale pappamolla?
Come se non bastasse i personaggi maschili Ian e Jared sono copie sputate di Edward e Jacob di Twilight, solo più insopportabili, infantili e superficiali.
Verso la fine Wanda (l'aliena) compie anche una scelta decisamente patetica, ma che ovviamente i suoi amici si affrettano a sventare. Continuo a non comprendere quali messaggi voglia passare l'autrice in questo libro e nella saga di Twilight in generale. Forse che l'amore dovrebbe essere il centro dei nostri pensieri? Che dovremmo essere disposti ad annullare noi stessi, a calpestare il nostro orgoglio e la nostra dignità per una dolce metà che non ci merita?
Questa filosofia mi sembra acqua, se non addirittura un cattivo esempio.
Ho voluto dare una seconda occasione alla Meyer, purtroppo da me non ne avrà una terza.
Concludo la recensione con una citazione anonima che potrebbe essere incisiva:
"Before I am your daughter, your sister, your aunt, niece, or cousin, I am my own person, and I will not set fire to myself to keep you warm.”
"Prima di essere tua figlia, sorella, zia, nipote o cugina, io sono una persona. E non mi darò fuoco per tenerti al caldo"
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Lento e difficile, ma interessante
Non vedevo l'ora di recensire questo libro, per il semplice fatto che questa sarà probabilmente la recensione più controversa della storia.
L'Orda del Vento è uno dei libri più lenti, difficili, criptici e indefiniti che io abbia mai letto. Si entra direttamente nel vivo della storia e l'ambiente, i personaggi, il mondo stesso, ci sono presentati solo tramite le azioni. Ragion per cui le prime centocinquanta-duecento pagine sono di una difficoltà atroce. Ho iniziato e abbandonato il romanzo due volte -sempre sulla soglia delle suddette duecento pagine- prima di riuscire a terminarlo al terzo tentativo. La difficoltà è ulteriormente ingigantita dalla presenza di innumerevoli voci narranti (ventitré!) che si alternano (grazie magico segnalibro con legenda dei personaggi!), creando a primo impatto un caos di punti di vista e di caratteristiche tale, che per riuscire ad associarle ai protagonisti ho dovuto fare uno schema. I personaggi in sé sono anche bene caratterizzati, a parte tre o quattro che rimangono piatti come tavole da pagina un.. pardon da pagina 623 a pagina 0.
Dopo le duecento pagine il romanzo pare decollare, ma in realtà avrà un altro paio di ricadute prima della fine, e per ricadute intendo capitoli così prolissi che vi faranno venire il latte alle ginocchia.
Ulteriore difetto è l'imprecisione: non si capisce in quale periodo sia ambientato il tutto. E più che un'ambientazione fantasy, io la butterei sul fantascientifico, forse la nostra terra dopo una qualche catastrofe naturale, spazzata da venti forti e tiranni.
Poi cosa che ho odiato è il fatto che Damasio non spiega le cose: ti butta lì termini che per un lettore non significano nulla, che non vengono descritti o spiegati e che quindi rimangono misteri per metà buona del libro, fino a che non si intuisce qualcosa.
Finora suona poco incoraggiante, eh?
Allora passiamo ai pro:
1_l'autore ha un bello stile, davvero, molto poetico e crudo insieme ed è molto elastico nel gestirlo in base al personaggio narrante.
2_La storia è originalissima, che più originale non si può. Non ho mai letto o sentito parlare di una cosa del genere. Ci si può aggrappare al cliché della ricerca -che nel caso dell'Orda consiste nel raggiungimento dell'Estrema Vetta- ma secondo me il tutto presenta degli elementi mai visti, come il semplice fatto che il nemico non è qualcuno che si può sconfiggere: è il vento, la natura spietata, che si può solo affrontare nella speranza di sopravvivere.
3_Alcuni temi affrontati: come la corsa alla conoscenza e all'ignoto, istinto distruttivo e irrinunciabile dell'uomo, che qui la fa da padrone; il legame dell'Orda, il loro testardo procedere a piedi nonostante siano ormai una casta superata dalle nuove tecnologie; la sofferenza e la perdita.
4_La numerazione al contrario, è comoda!
5_Il finale: amaro e straziante. Mi ha tenuto sveglia una notte intera. Non ho intenzione di dire altro perché scivolerei nello spoiler, ma mi ha lasciato impressioni fortissime.
Per me l'Orda del Vento è stato un libro pieno di difetti, ma giunta alla fine mi ha lasciato qualcosa.
Non credo che lo rileggerò mai, ma in qualche modo mi ha arricchita.
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Affascinante, ammaliante, ma non perfetto
Un libro molto difficile da valutare e da recensire, ma nel complesso mi è piaciuto.
Ho letto diversi racconti e rivisitazioni delle leggende arturiane, ma in nessuna di esse vi era la presentazione della religione dei druidi, il racconto delle terre di Avalon e delle sue Signore.
Il narratore è in terza persona, ma si alterna nei vari punti di vista delle protagoniste, che vengono seguite nella loro crescita dalla nascita fino (per alcune) alla morte. L’intero romanzo finisce per riempire un arco temporale di un’ottantina d’anni.
Di questo libro ho sicuramente apprezzato lo scontro tra cristianesimo e paganesimo, presente dalla prima all’ultima pagina e trattato in modo tutt’altro che banale. Non assistiamo ai soliti cliché attribuiti al cristianesimo nessuna delle due religioni viene definitivamente denigrata e classificata come ‘male’. Ovvio che, in base alla voce narrante, abbiamo diversi punti di vista del credo opposto, ma per bocca di alcuni saggi (primo di tutti Merlino) vengono messi ben in evidenza il buono e gli aspetti positivi che entrambe le religioni possiedono, sottolineando che in fondo non sono così lontane come alcuni dei protagonisti sembrano credere.
È a suo modo toccante il lento e ineluttabile declino del paganesimo e della società matriarcale, soppiantata dalla concezione romana che vede gli uomini come capi famiglia. Contro questo declino si muovono con impegno Viviana e, in seguito, Morgana. Quest’ultima ci viene presentata sotto una luce completamente diversa rispetto a quella tradizionale, la donna infatti non è malvagia, cerca solo di salvare il suo credo e Avalon stessa.
Gli accenni alla religione e alle tradizioni pagane sono indubbiamente interessanti, ma avrei apprezzato una descrizione più approfondita del culto della Dea, che viene spesso accennato e che si capisce essere composto da Misteri, appresi per gradi dai propri iniziati, e che tuttavia non ci vengono bene esplicitati. In compenso è così resa benissimo la malia dell’isola di Avalon, la nebbia, la pace, il mistero, le terre fatate.
Lo stile stesso dell’autrice è piacevole e scorrevole e i diversi punti di vista si seguono con facilità, ma veniamo alle note dolenti:
Gli intrecci amorosi sono davvero pesanti. Il peggiore è probabilmente quello iniziale tra Igraine e Uther, ma anche Ginevra e Lancillotto non scherzano e in alcuni punti sono davvero da latte alle ginocchia. Poi ve ne sono altri che non sto a riportare per evitare spoiler ma che hanno contribuito a rendere l’intera lettura più ostica.
In secondo luogo, ho trovato davvero difficile seguire le infinite evoluzioni di Morgana. Certo, è vero che nel libro viene raccontata tutta la sua vita, da quando è bambina a quando è vecchia, ma Morgana la Fata sembra cambiare idea sulla sua vita con l’alternarsi delle stagioni. Ella cerca di interpretare il volere della sua Dea, ma proprio seguendo quel volere finisce per contraddirsi in più occasioni, solo per poi sembrare improvvisamente illuminata da un’intuizione divina, che poi viene rivalutata come sbagliata. E questo si ripete molte volte in tutta la narrazione, al punto che non riuscivo davvero a ricordare o stabilire cosa fosse giusto che facesse e cosa no. Non so se l’effetto fosse voluto, ma a me ha creato solo confusione.
In conclusione: un libro affascinante che fa riscoprire con occhi nuovi ciò che sappiamo delle leggende arturiane, ma che non raggiunge l’eccellenza a causa di piccoli ostacoli e rallentamenti nella trama.
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Non ci siamo
Premetto una cosa: non è decisamente il primo libro della Troisi che leggo. Li ho letti quasi tutti: Le Cronache, Le Guerre, Le Leggende, La Ragazza Drago. E in generale mi sono piaciuti tutti, ma questo proprio no.
Primo di una nuova saga fantasy ambientata in una nuova terra, Nashira, Il Sogno di Talitha mi è sembrato un caotico ammasso di schemi narrativi delle tre trilogie Mondo Emerso, comprese anche Le Storie Perdute.
Partiamo dalla protagonista, Talitha, una giovane di diciassette anni che ne dimostra non più di dodici e che dalle prime pagine sembra somigliare enormemente a Nihal, protagonista delle Cronache. Proseguendo nella lettura ci si rende ben presto conto che siamo di fronte ad un personaggio sciocco, superficiale, infantile, capriccioso e immaturo. E il suo atteggiamento si riflette in ciascuna delle sue azioni, che sono spesso impulsive quanto folli.
Per fare un esempio a prova di spoiler: se voi sapeste che c’è un capanno in riva ad un fiume dove delle persone lavorano per l’esistenza stessa della vostra città, vi verrebbe mai in mente di abbatterlo a colpi d’ascia perché queste persone vogliono uccidere il vostro gatto? A me, sinceramente, no. Sono sicura che avrei trovato un’altra soluzione, non si può mettere nello stesso piatto la sopravvivenza di una città con la vita di un singolo individuo.
Secondo esempio antispoiler: se voi foste capaci di calarvi a terra fluttuando da un grattacielo, non vi verrebbe in mente di fare lo stesso sopra un dirupo, invece di attraversare un traballante ponte di corda?
Altro aspetto del personaggio che lo rende poco credibile è la sua superficialità e la sua quasi totale assenza di sentimenti, se non rabbia e testardaggine. Talitha reagisce troppa rapidità alla morte iniziale della sorella, al punto che l’affetto che dovrebbe provare per lei non si riesce a percepire. La giovane infatti da sfogo della sua rabbia e del suo dolore nella settimana che segue il lutto e nei mesi seguenti pare essersene totalmente dimenticata; forse la Troisi avrebbe dovuto studiare un po’ meglio le fasi del lutto.
Lo stesso si verifica dopo le prime uccisioni causate dalla ragazza: sconvolgimento nelle ore seguenti e poi oblio totale. O questa ragazza è totalmente priva di sensibilità o dovrebbe dare prova di qualche sintomo da stress post traumatico.
Altro atteggiamento molto ambiguo è quello che assume nei confronti Sapih, suo schiavo e pseudo-amico, che la ragazza continua a trattare come un oggetto nonostante si professi affezionata a lui. Certo, vi sono diverse azioni nel corso del romanzo che fanno intendere che gli voglia molto bene, ma in realtà non gli riserva alcun affetto e sembra davvero continuare a considerarlo uno schiavo in piena regola.
Per quanto riguarda Saiph stesso, al povero ragazzo non viene accordato neanche un briciolo di personalità. Sembra un’ombra, totalmente dipendente dalla sua padrona e dal suo volere, quasi una sua appendice. Riesce vagamente a svicolarsi e a diventare una persona negli ultimi capitoli, quindi ho speranze che prenda in mano la sua vita nel prossimo romanzo.
I quadretti tra Saiph e Talitha, inoltre, rispecchiano spesso e volentieri scene già viste tra Nihal e Sennar (protagonisti delle Cronache). Forse a qualcuno potrebbe fare piacere vedere un riflesso di personaggi che ha amato, ma io riesco a leggerlo solo come un riciclo e ad esserne conseguentemente infastidita.
Ci sono tuttavia alcuni, pochi aspetti che sono interessanti. La struttura stessa delle terre di Talaria, gli alberi che la tengono in vita, il pericolo nella catastrofe naturale e non solo in una guerra imminente..
Spero davvero di ritrovare questi aspetti più sviluppati nel secondo volume e di poterlo valutare più positivamente, perché questa è la prima vera delusione presa dalla Troisi e non ho intenzione di accantonarla.
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Piacevole lettura
Cassandra Clare approfondisce alcuni aspetti della vita dello Stregone più eccentrico e stravagante del mondo degli Shadowhunters in dieci brevi racconti. Principalmente si tratta di episodi isolati nel tempo e nello spazio anche se la maggior parte di essi si concentrano a New York.
Si tratta principalmente di una lettura semplice e piacevole, condita da interessanti riflessioni sulla vita (immortale e non) e sull’amore in tutte le sue forme, oltre che dalle follie di Magnus. Gli episodi –a volte esilaranti a volte profondamente seri- si susseguono con ben pochi collegamenti l’uno con l’altro e forse questa frammentazione è uno dei principali ostacoli alla lettura. Inoltre alcuni racconti offrono spunti e tuttavia lasciano il tutto in sospeso così che, nel tentativo di sapere qualcosa in più su Magnus, si finisce per avere più o meno gli stessi interrogativi di prima.
Senza dubbio un bel libro piacevole, grazie allo stile molto scorrevole della Clare e alla simpatia indubitabile del personaggio protagonista, ma mi aspettavo di vedere sciolti più arcani.
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Un mondo nascosto, bellissimo e pericoloso
Reckless racconta le disavventure di due fratelli, Jacob e Will nella loro corsa contro il tempo per liberare quest'ultimo dalla maledizione di una fata oscura. Jacob, scoperto da ragazzino il mondo oltre lo specchio, se ne è perdutamente innamorato al punto da abbandonare la realtà desolata che è la sua vita, che comprende una madre vedova che poi lascerà i due fratelli soli al mondo. Sempre più legato al mondo fantastico in cui si è casualmente imbattuto, Jacob trascorre lunghi periodi oltre lo specchio, diventando un abile cacciatore di tesori, al punto che la sua famiglia è ormai avvezza alla sua assenza. Il fragile equilibrio viene rotto quando Will segue casualmente il fratello nell'altro mondo e rimane ferito da un Goyl, umanoidi dalla pelle di pietra che con il morso dei loro artigli possono tramutare gli umani in esemplari della loro specie. Da qui ha inizio la lunga caccia alla cura, che comprende numerosi imprevisti e incontri più o meno piacevoli.
La Funke ha saputo creare un mondo incantato,seducente, ammaliante, ma allo stesso tempo letale e raccapricciante. È originale anche l'ambientazione, non medievale come la maggior parte dei romanzi di genere, ma sette-ottocentesca.
Un altro aspetto che ho adorato è l'insieme di elementi che comprendono il mondo nascosto, popolato da oggetti e creature che spesso richiamano alle fiabe dei fratelli Grimm (e non a caso Jacob e Wilhelm sono gli stessi nomi dei nostri protagonisti e degli autori tardo romantici tedeschi).
Ho letto molte recensioni in cui si criticava il ritmo troppo serrato di questa storia, che comincia in un brusco medias res e che riprende gli elementi mano a mano che si prosegue con la lettura, tramite brevi flashback. Personalmente la cosa non mi ha affatto infastidita, anzi, mi sono sentita avvolgere immediatamente nelle spire del romanzo, senza bisogno di lunghe e dettagliate introduzioni e le spiegazioni che vengono formite sono perfettamente esaudenti.
Per quanto riguarda i personaggi, sono complessi e stratificati e ovviamente non sono di immediata comprensione, anch'essi mostrano ogni lato del loro essere nel corso della storia.
Ultimo punto è lo stile dell'autrice: meraviglioso. Poetico ma leggero, intriso di significato, con frasi così ben costruite che viene voglia di leggerle ad alta voce (la stessa stupenda sensazione che provavo con cuore d'inchiostro).
Insomma si tratta di un libro che non va letto con troppa superficialità, ma con attenzione e sarà indubbiamente più apprezzato da chi ha bene presenti le fiabe dei Grimm, ma non per questo verrà penalizzato da chi invece non le ha mai sentite (aggiungo che questo è quasi impossibile).
Letto quattro anni fa mi sembrò un libro carino su cui tornare volentieri, riletto quest'anno con più maturità ho potuto coglierne ogni sfumatura e non posso fare a meno di adorarlo, consigliarlo e sperare di posare le mani sullo specchio giusto, un giorno.
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