Opinione scritta da Zomboide
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Che spreco
A bordo di una flotta di Zeppelin, la testa di William “Buffalo Bill” Cody e la compagnia del Wild West Show, viaggiano verso un Giappone ucronico, nella speranza di convincere Sokaku Takeda, futuro Shogun, a cedere agli statunitensi la metà del nord america che controllano. Non ci riesce, e nemmeno ha importanza, perché la vera missione è recuperare il mostro di Frankenstein, tagliuzzato dal capo giapponese per ricavarne un potente afrodisiaco, ma indispensabile a Cody per riattaccare la testa al proprio corpo, fantasticamente tenuti in vita, seppur separati, dalle menti congiunte di Charles Darwin e Samuel Morse. Dal tentativo di salvarlo, o “rubarlo”, parte la vera avventura, che li trascinerà sull’isola dell’inquietante dottor Momo, e del suo esercito di uomini bestie.
Joe R. Lansdale mette in scena una storia assurda, in cui si incontrano personaggi immaginari e reali in situazioni fantastiche. Così troviamo l’uomo di Latta di L. Frank Baum, Dracula e il Mostro di Frankenstein, lupi e leoni umanizzati, assieme ai cecchini perfetti Anne Oakley e Wild Bill Hicock e al condottiero Toro Seduto. Il tutto condito da robot a vapore, esperimenti fantascientifici, e un insieme di elementi steampunk da capogiro.
Quest’accozzaglia, però, non riesce a sollevare una trama un po’ povera e sbrigativa, insomma, non è di certo il miglior Lansdale, e la sensazione che ho avuto alla fine del libro è stata di spreco, un accumulo incredibile di meraviglie per un nulla di fatto.
Il libro è scorrevole, scritto bene, qualche volgarità gratuita, se mai dovesse essere un problema, molto sarcasmo (il nome del sottomarino, Naughty Lass, che significa più o meno ragazza sporcacciona, si legge come Nautilus, il sottomarino di Nemo), e a volte c’è anche da ridere. Ma, come detto, sembra un libro scritto a caso, dove non si giunge da nessuna parte pur avendo bruciato tutte le proprie carte.
Peccato.
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se una cosa accade, probabilmente è brutta
Il Mondo Disco è proprio quello che il nome suggerisce, un mondo piatto, a forma di disco, sorretto da quattro mastodontici elefanti, poggiati sul carapace della Grande A’Tuin, la tartaruga stellare. Qui, nelle città gemelle di Ankh-Morpork, la più antica e grande metropoli del Mondo Disco, arriva Duefiori, un “turista”, come si autodefinisce, proveniente dal leggendario Impero Agateo. Vuole vedere il mondo e vivere delle avventure, dice, e sarà il mago dilettante Scuotivento ad aver la sventura di fargli da guida. Sì, perché dovranno affrontare ladri, assassini, intrighi di corte, la neocostituita corporazione incaricata del turismo e una taverna assicurata di recente contro gli incendi, e tutto questo solo finchè restano all’interno delle mura cittadine. Perché quando si lasceranno alle spalle la metropoli fumante, cose molto più grandi, molto più terrificanti e decisamente più assurde saranno pronte ad attenderli.
Il Colore della Magia, primo libro, dell’ormai scomparso Terry Pratchet, ad essere ambientato nel favoloso Mondo Disco, è una piccola perla irriverente e divertentissima. Protagonista è Scuotivento, mago da strapazzo, opportunista, disincantato e con una sfortuna terribile, che conosce un solo incantesimo, che non sa a cosa serva, ma così potente e terribile da non poter essere pronunciato, per quanto poi l’incantesimo stesso cerchi in ogni modo di uscire dalle labbra del suo detentore. A fargli da contraltare è Duefiori, un turista ingenuo, o meglio, ignorante, incapace di comprendere i pericoli in cui si butta e animato dal suo desiderio d’avventura, o almeno dall’idea completamente errata che s’è fatto di questa.
Il libro è umoristico, sarcastico e parodistico, pieno di situazioni assurde e scenari al limite del fantastico: montagne capovolte e draghi immaginati, troll marini che soffrono di “maree croniche”, un baule dotato di gambe tanto fedele quanto aggressivo, divinità che giocano a dadi, e barano, un attentato aereo sventato e templi in cui è vietato dire il numero ot… ehm, il risultato di quattro volte due.
Insomma, è un libro velocissimo e leggero, che vi aprirà un mondo enorme (i libri ambientati nel Mondo Disco sono più di 30) e che vi farà morire dal ridere, un fantasy atipico e originale, che paròdia il genere pur facendone del tutto parte.
La storia sembra tronca, uno dei piccoli nei di quest’opera, ed è essenziale leggere il seguito “La Luce Fantastica” se si vuole finire l’avventura di Scuotivento, Duefiori e il Baule
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l'Eterno ritorno
Nel 1850, Adam Ewig è in viaggio d’affari nel Sud Pacifico a bordo della Prophetes. Conosce il dottor Goose, che gli diagnostica la presenza di un parassita nel cervello e assiste alla flagellazione di Autua, schiavo Momori, che poi ritrova clandestino sulla sua nave a chiedergli aiuto. Il diario di Adam viene ritrovato nel 1931 da Robert Frobisher, compositore inglese espulso dal conservatorio, fuggito a Zedelghem, cittadina del Belgio, per offrirsi come amanuense a Ayrs Vyvyan, geniale compositore distrutto dalla sifilide, con la cui moglie ha poi una relazione. Le lettere che Robert scrive al suo amante, il matematico Sixsmith, vengono ritrovate da Luisa Rey, reporter della California del 1975, che indaga sulla centrale nucleare di Buenas Yerbas e sulla morte dello stesso Sixsmith. L’indagine di Luisa Rey è spedita, sotto forma di manoscritto, a Timothy Cavendish, 65enne editore della Londra odierna, costretto a fuggire dai creditori, e spedito dal fratello, per dispetto e per vendetta, in una casa di riposo/prigione nelle campagne scozzesi. Le sue disavventure, trasposte al cinema, sono viste da Sonmi-451, clone schiavo ribelle di Neo So Copros, città dispostica nella Corea del futuro. L’interrogatorio fatto a Sonmi è poi visto, senza essere compreso, da Zachary, un giovane abitante della Grande Isola, nelle Hawaii di un ancor più futuro post-apocalittico, in cui si vive in tribù e Sonmi è venerata come una dea.
L’Atlante delle Nuvole, l’elegantissima opera di David Mitchell, è un libro atipico, ma splendido, con una struttura più unica che rara. È una costruzione a matrioska, in cui ogni storia è contenuta in un’altra storia, a sua volta racchiusa in un’altra storia. I personaggi sono tutti differenti, gli stili sono tutti differenti, ma molti sono gli elementi che si rincorrono, i Valligeri ricordano i Momori, Luisa ritrova la Prophetes ancorata nel porto e recupera l’Atlante delle Nuvole, l’ultima composizione di Robert Frobisher, Sonmi e Adam sono entrambi raggirati da chi si dichiara loro amico, temi come la schiavitù, l’integrità del proprio lavoro sopra tutto e il tradimento sono più volte ripresi e così via, in un continuo e infinito ripetersi d’eventi. È la teoria dell’Eterno Ritorno di Nietzsche: in un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte, che Mitchell cita e traspone in letteratura, trasformandola nel suo capolavoro. Ogni esperienza che mai potremmo fare la rifaremo all’infinito, e già infinite volte l’abbiamo fatta. Sono i sei personaggi reincarnazioni della stessa anima? Chissà. Ha importanza? Non credo. La scrittura è brillante, e, anche se nessuna delle storie si fa notare per originalità, tutte hanno il loro carattere, e la bravura di Mitchell, e l’idea intelligente di usare uno stile diverso per ognuna, le rende indimenticabili.
“Ma è stato già fatto centinaia di volte prima” piagnucola il fantasma di Sir Felix Finch “come se esistesse una cosa qualsiasi che non sia stata eseguita almeno centinaia di migliaia di volte tra Aristofane e Andrew Lloyd-Webber!” risponde Timothy. Come se l'arte fosse il Cosa e non il Come!
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Djinn, tappeti volanti e sogni ad occhi aperti
Sophie, il mago Howl e Calcifer, il demone del fuoco, sono tornati. Beh, più o meno. Nella città di Zanzib, nelle terre del profondo sud, Abdullah vive la sua mediocre esistenza di venditore di tappeti, sognando a occhi aperti avventure e principesse da sposare. E quando un misterioso straniero gli vende un tappeto magico, i suoi sogni cominciano ad avverarsi. Conosce Fior-della-Notte, la figlia del Sultano, e quando la ragazza viene rapita da un mostruoso Djinn decide di salvarla. Finisce prigioniero del perfido bandito Kabul Aqba, trova un’ampolla al cui interno è sigillato un genio, conosce un vecchio soldato di Strangia, e incontra un gatto magico col suo cucciolo. E quando finalmente riesce ad arrivare a Kingsbury, e a incontrare il mago Suliman, scopre anche dove è tenuta la sua amata: il Djinn Hazruel ha trasportato per magia il castello di Howl tra le nubi, e li ha rinchiuso tutte le principesse su cui è riuscito a mettere le mani. E per riuscire a liberarle tutte, Abdullah dovrà affrontare molte altre avventure.
Il Castello in Aria, seguito del Castello Errante, ci trasporta nel mondo magico delle Mille e una Notte, tra Djinn, tappeti volanti, angeli, geni in bottiglia, profezie, parenti assillanti, castelli tra le nubi, ladroni del deserto e promesse spose un po’ cicciotte. La macedonia di elementi presi dalle fiabe, già azzeccata nel primo capitolo, torna più colorata che mai, in una storia piena di avventure e magie. Anche se il personaggio principale è cambiato, e il giovane Abdullah è il classico protagonista semplice che si ritrova in più guai di quanti abbia mai immaginato, Sophie, Howl e Calcifer tornano a far da padroni, in una veste nuova e del tutto inaspettata, ma sempre uguali a se stessi, scontrosi, avventati e un po’ troppi autocompiacenti. Ancora una volta lo stile della Wynne Jones è scorrevole, semplice e ironico, in una bellissima fiaba che vi farà ridere e sognare.
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Tu sei bella Sophie
Sophie è la maggiore di tre sorelle e, mentre Martha e Lettie potranno avere amore, avventura e prestigio, a lei tocca il dovere. Le si prospetta una vita mediocre e triste, nel modesto negozio di cappelli di famiglia. Ma, forse, il destino che s’è autoinflitta non è il suo destino, e quando la vendicativa strega delle Lande si rifarà per un torto sconosciuto, trasformandola in una vecchina, dovrà partire all‘avventura. Entrerà nel castello errante del perfido mago Howl, conoscerà Calcifer, il suo demone del fuoco, e il suo apprendista Michael. Vedrà Porthaven, Kingsbury, luoghi lontanissimi e, addirittura, finirà in un altro mondo. E scoprirà che, anche se è la maggiore di tre sorelle, non c’è niente di mediocre né in lei né nel suo futuro, e che anche a lei spettano avventura, prestigio e amore.
Il Castello Errante di Howl, primo di una trilogia, è il libro da cui è tratto l’omonimo capolavoro di Miyazaki. Una bellissima fiaba moderna, tra maghi, streghe e poesie, stivali delle sette leghe, mantelli incantati, e chi più ne ha più ne metta. Dianne Wynne Jones è ironica e divertente, e con uno stile scorrevole dirige una storia semplice, ma emozionante e non arida di sorprese (se sapeste da dove viene Howl…). È un libro pieno di meraviglie, il cui punto forte sono i personaggi pieni di difetti: cocciuti, volubili, impiccioni, impulsivi, vanesi e impossibili da non amare. Calcifer, Howl e Sophie sono indimenticabili, e le avventure, le magie, e la storia d’Amore, vi terranno incollati dall’inizio alla fine.
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se vi piacciono le fiabe moderne
Va' ad afferrare una stella cadente
Tristan è innamorato di Victoria, la ragazza più bella del villaggio, ma non avrà mai una chance, perché è soltanto un garzone. Così, quando vedono una stella cadente, Tristan le promette di ritrovarla e di portargliela in dono, perché a tanto è disposto per dimostrarle il suo amore. Ma mille avventure lo attendono: non solo la stella è caduta al di là del muro che separa l’Inghilterra dai Regni Fatati, ma quando la trova non è il pezzo di roccia che s’era aspettato, ma una ragazza, per di più scorbutica, ignara del fatto che personaggi ben più potente e pericolosi di Tristan sono sulle sue tracce.
Stardus è una gran bella favola per adulti, con tutti i cliché del genere: si parla d’amore, di coraggio, c’è un’avventura attraverso regni incantati, streghe millenarie, principi assassini, creature magiche e una donzella da salvare. Seppure molto classica nella struttura, con un protagonista che parte per un viaggio che, inevitabilmente, lo farà crescere, riserva non poche sorprese. Lo stile, moderno, è fresco e immediato, con un ironia leggera e un modo di raccontare semplice, che cattura fin da subito il lettore, trasportandolo in un mondo di magie e continue meraviglie. I personaggi, soprattutto i “cattivi”, ammantati di quel fascino misterioso e un po’ macabro, come di consueto in Gaiman, sono indimenticabili, ben delineati, inseriti in una storia costruita alla perfezione, lineare, ma intrigante.
È un libro leggero e scorrevole, emozionante e divertente, in cui il bene e il male non sono poi così importanti, e in cui il viaggio conta talmente tanto più della meta, che quest’ultima finisce per perdersi. Se cercate qualcosa di davvero piacevole e ben scritto, con una storia che vi farà sognare, ridere e innamorare, è perfetto.
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o il Castello Errante di Howl
interessante fino a un certo punto
Wade ha diciotto anni, è orfano, ospite della perfida zia in una delle baraccopoli che costellano il mondo dispotico in cui vive, mondo in cui quelli come lui, i poveri, valgono meno di niente. L’unica fuga al suo squallore è OASIS, l’universo digitale a cui chiunque può collegarsi gratuitamente, e dove lui, come gli altri “gunter” è alla ricerca della soluzione al Primo Enigma. Halliday, il geniale inventore della realtà virtuale, alla sua morte aveva lasciato una sola disposizione per la sua eredità multimiliardaria: chiunque avesse scoperto, e risolto, i tre enigmi nascosti nell’universo di OASIS, ne sarebbe diventato il proprietario. In dieci anni nessuno è mai riuscito a decifrare nemmeno il primo, criptico indovinello, ma un giorno Wade, quasi per caso, ne capisce il senso, trova il luogo che indica, e guadagna la prima chiave. E la caccia ricomincia in tutta OASIS, più cattiva e pericolosa che mai, perché non ci sono solo i gunters alla ricerca dell’eredità, ma anche la perfida multinazionale IOI, che vuole privatizzare la realtà virtuale ed escludere chiunque non sia ricco abbastanza.
Player One, primo romanzo di Ernest Cline, è un tuffo a testa bassa nell’immaginario fantascientifico e videoludico degli anni ’80. Continui rimandi a film iconici, la musica, i robottoni giapponesi e videogiochi dell’epoca, avvolgono il lettore in un senso di nostalgia alla “i bei vecchi tempi andati”. Leopardon, Lady Hawk, Pat Benatar, Dungeons & Dragons, Pac Man, War Games, tutto questo e molto di più trova almeno un piccolo spazio nella caccia al tesoro che Cline costruisce. E se quell’epoca e quel mondo li avete anche solo intravisti, l’effetto malinconico è quasi assicurato.
Non è un capolavoro, e ancora una volta mi trovo sorpreso di come un libro, tutto sommato mediocre, sia riuscito a raggiungere un consenso così alto. La trama è molto intuibile, pochi, citofonati, colpi di scena, e un finale deludente. Personaggi poco approfonditi, cattivi che sono cattivi, giusto perché sono cattivi, e, in genere, una gestione molto lineare, che offre poche o nessuna sorpresa. Troppe spiegazioni fini a se stesse, che nulla aggiungono alla trama, e che, anzi, spesso la rallentano. Nonostante chi davvero apprezzerebbe riferimenti e citazioni abbia ormai 30 o 40 anni, il libro sembra scritto per un pubblico adolescenziale, con argomenti più profondi lasciati in disparte. Si legge bene, e velocemente, e la passione che Cline ha per l’argomento si sente, ma, a mio parere, non è abbastanza per distinguere Player One da qualsiasi altro young adult in circolazione.
Un gioiellino divertentissimo
Sylvia Fenton desidera da sempre abitare in campagna. Da quando, durante la guerra, fu costretta a sfollare nel Somerset per pochi mesi, il suo amore per gli spazi aperti, la vita semplice e gli animali, non si è mai più estinta.
Così, ormai donna di mezza età, decide di abbandonare Londra. Prende gatti e rospi e si trasferisce in un posto dimenticato da Dio. Ma ha fatto male i conti, e dovrà affrontare molti più problemi di quelli messi in conto.
La tragicomiche peripezie dall’autrice danno vita a un libro divertentissimo, in cui, a ogni pagina, si ride di gusto delle sue disavventure. Acquista una casa fatiscente, senz’acqua e senza elettricità, e per un anno è costretta a vivere in una roulotte, mentre i lavori di restauro languono. Il tempo è più mutevole di quanto s’aspettasse, e non tutti i vicini sono quelle persone semplice e cordiali di cui favoleggiava. Ma, soprattutto, sono gli animali a riempire le pagine, i veri protagonisti della storia. Cocciuti, furbi e capricciosi: un asino ribelle, una capra indomabile, due oche crudeli, un furetto, quattro gatti, ognuno col proprio carattere, tutti personaggi indimenticabili, impossibili da non amare.
È un libro piccolo e leggero, scritto con una grande dose di autoironia, semplice e godibile da chiunque, una pausa spassosa, irrinunciabile per chi ama gli animali, ma perfetto anche per chi ha voglia di un paio di grosse risate.
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Due maghi appariranno in Inghilterra
La società magica di York è in subbuglio, il giovane Segundus ha fatto l’unica domanda che non avrebbe dovuto fare: perché la magia inglese non funziona più? Grandi del passato hanno compiute prodezze, Martin Pale, Catherine di Winchester, Ralph Stokesey e soprattutto John Uskglass, il Re Corvo che per 300 anni regnò sopra metà dell’Inghilterra. Ma quei tempi d’oro sono finiti, o così sembra, finché Gilbert Norrell, scontroso signore del nord, non anima le statue della cattedrale. Allora la profezia è vera: due maghi riporteranno la magia in Inghilterra, uno sembra essere Norrell, e l’altro?
Norrell va a Londra, vuole ridar lustro alla magia inglese, e per farsi prender sul serio riporta in vita Lady Pole. Ma dovrà stringere un patto con il Gentiluomo dai capelli lanuginosi, e nulla è senza conseguenze. E nel frattempo, anche l’istrionico Jonathan Strange trova il suo destino, è lui il secondo mago, gli dice lo straccione Vinculus, e dovrà andare a Londra a incontrare il Signor Norrell.
Siamo nel XIX° secolo, e l’ombra di Napoleone incombe su tutta l’Europa, e ora, con due maghi al suo fianco, l’Inghilterra è certa di vincere. Così Strange, ora allievo di Norrell, parte, prima per il Portogallo, poi per Waterloo, a dar manforte all’esercito, ma mentre è via capisce che il suo maestro non gli ha detto tutto, e a lui non basta, vuole conoscere la verità: perché la loro magia non può fare le meraviglie dei maghi del passato? E cercando quel potere che sembra perso, segna il suo destino, la profezia dice che riporteranno la magia in Inghilterra, ma parla anche della loro rovina.
Jonathan Strange e il Signor Norrell è il primo, fortunatissimo, romanzo di Susanna Clarke, un fantasy forse unico, in cui realtà storica e fantastica si mischiano in un’originale narrazione fuori dal tempo. Personaggi realmente esistiti, come il risoluto Generale Wellington, il folle Giorgio III o l’insopportabile Lord Byron, fanno da spalla ai protagonisti di questa storia sulla magia, tra regni fatati, schiavi senza nome e strade nascoste dietro gli specchi. L’autrice usa un linguaggio arcaico, non solo il modo con cui i personaggi si esprimono, ma la ricercatezza del linguaggio della stessa Clarke danno la bizzarra sensazione di star leggendo un testo d’epoca vittoriana, anziché un qualcosa non molto più vecchio di una decina d’anni. E questa scelta ben s’adatta alla coltre di malinconia che pesa su tutto il romanzo. Qualcosa d’inestimabile è andato perso, qualcosa il cui valore non possiamo nemmeno più comprendere. Ma non è una lettura triste, tutt’altro, l’ironia, “l’inglesità”, il mistero e la magia, tanta magia, rendono le oltre 800 pagine piacevoli, e le note con cui Susanna Clarke correda il testo, ampliano il mondo in cui Jonathan Strange e il Signor Norrell immergono il lettore, un mondo così credibile, che sembra così vicino, che potrebbe davvero trovarsi dietro il cielo, dall’altra parte della pioggia.
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Amori e Incantesimi
Sally e Gillian sono sorelle, nate a soli 13 mesi di distanza, vivono con le zie nella vecchia casa in Magnolia Street, e sono Owens. Tutti le additano, le maltrattano e le evitano, ma nelle notti buie, quando nessuno guarda, le donne disperate per amore bussano alla loro porta, perché le zie sono streghe. E mentre trafiggono cuori di colomba per le clienti, le due bambine le spiano, sognando un destino ben diverso.
Gli anni passano, e Sally e Gillian, diverse come il giorno e la notte, si allontanano sempre più. Gillian sboccia, tutti i ragazzi sono innamorati di lei, e anche lei li ama tutti, almeno un paio di giorni a testa. E quando si sente abbastanza gande, fugge, per cercare amore e avventura lontano da quel luogo tanto odiato. E Sally s’indurisce, trova l’amore, ma poi lo perde, e anche lei decide di andarsene, per dare alle figlie un’infanzia diversa da quella toccata a lei. Ma sono Owens, e il loro è un destino a cui non possono sfuggire.
Questo è il libro da cui è stato tratto Amori e Incantesimi, il film del 1998 con Sandra Bullock e Nicole Kidman, anche se la storia è molto diversa. È un fantasy atipico, anzi, dovrebbe essere presentato come un romanzo familiare con elementi fantastici di contorno, perché è la famiglia il tema dominante. Le due sorelle, Gillian e soprattutto Sally, la vera protagonista, spaventate dal mondo e ferite dalle tragedie che le hanno colpite, tentano entrambe di trovare una loro dimensione lontano dalle ombre del loro passato. Ma non è così che funziona, non per loro, ed è solo quando accettano il loro retaggio che riescono a mettere ordine nelle loro vite.
Alice Hoffman, con un stile scorrevole, riesce a delineare con molto bene un arco di tempo molto lungo, in cui i personaggi risaltano con le loro debolezze e le particolarità che le rendono forti e streghe. Certo, ci sono incantesimi, maledizioni, muri di lillà e uno spettro (e se avete visto il film non devo dirvi chi è), ma ciò che davvero risalta è la fragilità di queste donne, viste all’esterno come mitiche, ma segnate da anni di delusioni. E l’amore, che è ciò in cui le zie commerciano, è visto come un pericolo, un’avventura o una debolezza, qualcosa da maneggiare con cura, e che crea non pochi guai, ma che quando si trova vuol dire tutto.
Non è un libro per tutti, e, a volte la narrazione langue, ma a dargli pazienza da soddisfazione.
E ricordate buttatevi il sale rovesciato dietro la spalla sinistra, piantate del rosmarino vicino al cancello dell'orto, aggiungete pepe al purè, piantate rose e lavanda come portafortuna e innamoratevi tutte le volte che potete.
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Avventura, risate e un grande, grande amore
William è alla ricerca del libro che da piccolo lo fece innamorare della letteratura. Vorrebbe regalarlo al figlio indolente, nel tentativo di dargli una smossa, ma, quando finalmente lo ha tra le mani, scopre che non è la storia che ricordava. E così si accorge che il padre, leggendoglielo anni addietro, l’aveva modificato, trasformandolo nella favola magnifica che, per prima, gli aveva fatto conoscere la magia che si nasconde in un libro.
Si arma di pazienza e spirito critico, e anche lui reinventa il libro per il figlio. Riscrive la storia di Buttercup, la donna più bella del mondo, e di Westley, il garzone di cui è innamorata. Fa rivivere il principe Humperdinck, e il suo braccio destro, il malvagio conte Rugen. Da nuova linfa alle avventure del siciliano Vizzini, del gigante gentile Fezzick, e del genio della spada Inigo Montoya. E, finalmente, riesce a ricreare quella meraviglia che, da piccolo, l’aveva tanto affascinato.
La Principessa Sposa è un testo particolare: la Principessa Sposa, il finto libro cercato e poi riscritto da Godwin all’interno del libro stesso (scusate la confusione) è un racconto avventuroso e incredibile, di prìncipi poco nobili, duelli con la spada, astuzie e veleni, e vendette lunghe più di dieci anni. E il tutto è di contorno a una storia d’amore così grande da resuscitare, non una, ma ben due volte un morto. Personaggi unici si inseguono e si affrontano, in questa rocambolesca favola, tutti guidati da motivazioni incrollabili.
Ma la vera particolarità, sta, appunto, nell’artificio letterario del finto libro da riscrivere. Le note, con cui lo scrittore interrompe la narrazione, ci informano di tutte le pecche dell’originale, delle speranze legate a questa nuova versione, e dell’incantesimo che il padre, il primo a migliorare il libro, riuscì a compire su un figlio malato e per nulla interessato alla lettura.
È davvero un gran bel libro, leggero e divertente, che in molti modi diversi m’ha ricordato perché amo così tanto leggere.
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qualsiasi libro di Terry Pratchett
il Castello Errante di Howl di Dianne Wynne Jones
consigliato a chiunque cerca una storia leggera e indimenticabile
Che bello quando un'autore sa ciò che sta facendo
Un giovane e focoso guascone, Charles d’Artagnan, giunge a Parigi con una lettera di raccomandazione per il signor Tréville, il capo dei moschettieri, l’esercito personale di Luigi XIII. Ma non tutto, o meglio nulla, va come previsto. Perde la lettera, si trova coinvolto in troppi duelli, si mette contro le guardie del potente cardinale Richelieu, e stringe amicizia con Athos, Portos e Aramis, i tre moschettieri del titolo. E da ii, il tutto, si fa ancor più avventuroso.
I tre Moschettieri, primo di una trilogia che prosegue con Vent’anni Dopo e Il Visconte di Bragelonne, è uno dei libri più famosi di sempre, un vero classico, apprezzato da quasi due secoli da, beh, chiunque abbia avuto il buon senso di leggerlo. E a ragione.
La trama è avventurosa e rocambolesca, piena di duelli all’arma bianca e dichiarazioni di coraggio. Qualsiasi cosa cerchiate in un libro di cappa e spada, qui la troverete: combattimenti, intrighi di corte, missioni segrete, avvenenti spie assassine e una donna da amare. Non solo pura azione, ma romanticismo, tragedie e perfino una guerra. C’è coraggio, abnegazione, la grande amicizia dei protagonisti, e una Francia del 1600, divisa tra complotti intestini per il potere, e i rapporti turbolenti con l’Inghilterra.
I personaggi sono indimenticabili, dai principali a quelli di contorno, appaiono reali e ben inseriti in una trama per nulla banale, ognuno fa la sua parte, e la fa pure bene. E tutto è ben diretto dallo stile irriverente di Dumas padre, in una delle sue opere più luminose. La lettura è davvero scorrevole, il testo semplice e immediato, nessuna inutile digressione, e, nonostante la mole, il libro fila via che è una meraviglia. Si ride, si piange, ci si diverte un mondo, e si arriva alla fine senza nemmeno rendersene conto. È un testo tanto moderno, che è quasi incredibile sia un’opera del 1844.
Se cercate qualcosa d’originale, nonostante l’età, e d’innegabile valore, l’avete trovato.
Che bello quando un'autore sa ciò che sta facendo.
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Bello, ma evidentemente, non per tutti
Wellington, il cane della signora Shears, è stato ucciso da qualcuno, infilzato da un forcone. Christopher, il vicino quindicenne, affetto da una forma di autismo, tenterà di trovare il colpevole, finendo con lo svelare segreti e bugie legati alla sua famiglia.
Non è un giallo, quindi se è quello che state cercando, non lo troverete qui. La parte investigativa viene, infatti, messa in ombra dai problemi che Christopher, a causa della sua condizione, o meglio, del modo in cui reagiscono gli altri, si trova ad affrontare. È un romanzo di formazione, con un protagonista, voce narrante, isolato da un mondo che fatica a comprendere, e da cui, soprattutto, fatica a farsi comprendere. La sua condizione influenza ogni aspetto, ogni relazione, e svela un mondo molto spesso inadeguato nei confronti di chi è nato diverso.
Lo stile è scorrevole, ben scritto, chiaro e conciso, e la storia, seguendo i processi mentali di Christopher, è spesso inframmezzata da curiosità e dilemmi matematici, nel tentativo, riuscito, di avvicinare il lettore alla particolare visione del mondo del protagonista, molto razionale e, spesso, carente d’empatia.
È un bel libro, particolare, e con un punto di vista insolito, su un mondo spesso ignorato.
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Che gran fatica
Un giovane semplice, cresciuto in un quieto e pacifico villaggio del sud, parte per sconfiggere il risorto signore del male, creduto da tempo immemore sconfitto. Assieme a una compagnia di uomini, elfi e nani, incalzati da un vecchio mago misterioso, dovrà addentrarsi fin nel cuore del territorio nemico, sconfiggendo servi del male, allacciando improbabili alleanze e lottando con la sua stessa natura, guidato dalla speranza dell'unico amuleto che il nemico teme e agogna.
No, non è il Signore degli Anelli, ma la Spada di Shannara, il primo tomo della pantagruelica saga di Terry Brooks.
La trama, soprattutto nella prima parte, è un po' troppo simile all'opera tolkieniana, con molte somiglianze evidenti tra personaggi e situazioni, ma con un numero sufficiente di trovate originali da non far urlare al plagio. Ciò nonostante, il vero problema del libro non è l’aurea di brutta copia che lo permane, cosa che, personalmente, potrei anche perdonare, ma è lo stile di Brooks, un’esasperante sequela di ripetizioni e aggettivi, che rendono la lettura pesante e molto, molto lenta. Non ci sono paroloni ricercati, e nemmeno si affrontano argomenti di difficile comprensione, è tutto, infatti, molto chiaro e ben esposto. Ma la scelta di perdersi in lunghe (e inutili) descrizioni particolareggiate, l’insistenza con cui vengono rimarcati più e più volte concetti che il lettore ha già da tempo assorbito, smorzano il piacere di una storia, altrimenti, decente.
Non è il libro peggiore in cui ci possa imbattere, e con una buona dose di pazienza, si possono scoprire aspetti interessanti, ma non è di certo un capolavoro, e devo dire che sono molto sorpreso della grande fama di cui gode. Se amate il fantasy, almeno secondo me, c’è ben di meglio in giro.
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