Opinione scritta da Fabricius
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La fiamma della ribellione
Ci sono libri in grado di “accendere” una fiammella nelle nostre teste. “Fahrenheit 451”, uno dei romanzi più famosi di Ray Bradbury, è sicuramente uno di questi, dato che il fuoco e le fiamme sono alla base di questo libro.
Il fuoco che in questo romanzo arde è quello dei militi del fuoco, pompieri insoliti, perché, anziché domare gli incendi, li appiccano. Guy Montag, il protagonista delle vicende, è uno di questi. Armati di lanciafiamme, gli incendiari irrompono nelle case, rigorosamente refrattarie al fuoco, per lasciare che le fiamme svolgano il loro compito: “bruciare” i libri, un grande problema per la società (o forse dovrei dire per il Governo). Sembrerà assurdo ai nostri occhi, ma non a quelli della società in cui vive Montag. Questi vive in un mondo in cui i libri sono ritenuti “fucili carichi”, potenziali pericoli per la mente dell’uomo, “ami” con cui non si può “pescare” altro che l’infelicità. Quella di “Fahrenheit 451” è quindi una società in cui i libri e l’informazione (quella autonoma e non quella comandata dal Governo) sono banditi. Il motivo dichiarato (ma siamo sicuri che sia quello reale?) è quello di preservare la felicità degli individui. In questo romanzo, dunque, il fuoco ha un grande valore, perché distruggendo da felicità. È veramente così? Annientare la cultura, condizionare il pensiero può preservare la felicità? Apparentemente sì, ma tutto ciò non fa altro che alienare l’esistenza di ciascuno, che, pur credendosi felice, riflettendoci, non lo è. A Montag per capirlo serve l’incontro con una diciassettenne anticonformista, che con i suoi discorsi apre una breccia di luce nella sua mente. È a partire dalla domanda “siete felice?” che Montag inizia a dubitare della propria vita, del proprio lavoro, persino dell’amore verso sua moglie Milldred, che sembra affezionata molto più alla televisione che al marito. Montag inizia così a prendere coscienza di sé e del mondo che lo circonda e, grazie all’aiuto di Faber, un vecchio professore incontrato al parco parecchi anni prima, da inizio alla propria ribellione, che non è semplicemente rivolta contro il modello di società in cui vive, ma soprattutto contro il Governo. Guy comprende che il vero scopo dei militi del fuoco è evitare che il popolo, per mezzo dei libri, si crei una propria mentalità, rifletta autonomamente e non si lasci condizionare.
“Sapere è potere”, un potere più incisivo di quello di qualsiasi governante, perché controllare una massa di ignoranti è semplice, ma è difficile contrastare il potere del sapere. Questo è ciò che filtra da “Fahrenheit 451”, che nonostante risalga agli anni ‘50 e sia un romanzo di fantascienza, è sicuramente molto attuale. Non dobbiamo permettere a nessuno di condizionarci e dobbiamo evitare di diventare una massa facilmente controllabile, anche perché dittatori come Hitler, si sono affermati soprattutto condizionando il pensiero del popolo, annientando la cultura. Dobbiamo evitare questo, perché tutto ciò che è già accaduto non è solo passato, ma soprattutto presente, dato che può ripetersi, o forse si sta già ripetendo.
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Le due facce dell'animo umano
"Quello non somigliava a un uomo; era una creatura infernale".
La nebbia avvolge le vie di Londra in una scura mattina d’inverno. L’assoluto silenzio rende tutto più inquietante. È in questa atmosfera tetra che si svolge la prima apparizione di un uomo dall’aspetto alquanto strano e sgradevole, che provoca repulsione a prima vista. È un uomo che in breve tempo diventa protagonista di fatti orribili, un uomo che si macchia di un omicidio insensato. È un uomo che provoca in molti una strano brivido gelido, Edward Hyde.
Hyde è un uomo che, all’apparenza, sembra non avere nulla a che fare con un uomo di cultura, un uomo rispettabile e stimato per la sua intelligenza e per la sua gentilezza come il dottor Jekyll. Eppure Jekyll e Hyde sembrano avere molto in comune, sembrano avere un legame molto forte, che non tarda a far nascere sospetti all’avvocato Utterson, amico e legale del dottor Jekyll. Inizia perciò la sua indagine, che lo porterà a venire a conoscenza di una strana, quasi paradossale ai nostri occhi, verità: Jekyll e Hyde non sono altro che le due facce della stessa persona. Due aspetti della stessa persona nati da un’ambizione e un gesto, che probabilmente considereremmo ipocrita, ovvero quello di poter dare libero sfogo a tutte le nostre tentazioni e a tutti i pensieri malvagi, insiti nel nostro animo, senza veder macchiata la nostra immagine.
Quella di Jekyll e Hyde è sicuramente una storia affascinante e coinvolgente, con cui Stevenson vuole analizzare l’animo umano, soffermandosi specialmente su un aspetto particolare. Stevenson vuole farci comprendere come in noi esseri umani coesistano, in maniera spesso incongrua, due entità distinte: il bene e il male. Questa dualità, così come vuole dirci l’autore, è talmente radicata nella natura di ciascun uomo che le due entità sono inscindibili. Jekyll, infatti, non rappresenta affatto solo la parte benevola, ma la normale coesistenza delle due entità in un uomo, a differenza di Hyde, che, invece, rappresenta il puro male. Quindi Stevenson ci comunica come sia impossibile discernere il bene dal male, cosa che capirà anche il dottor Jekyll, ma a sue spese. Quando comincia a riflettere sul fatto che si sia avviato verso una strada senza possibilità di ritorno, è troppo tardi e Hyde, il male puro, si libera dalla “prigione” che lo incatenava negli antri dell’animo umano e prende definitivamente il sopravvento, ponendo fine alla vita di Jekyll.
Stevenson mette in evidenza questa dualità attraverso la metamorfosi, tematica particolarmente diffusa nella letteratura di tutti i tempi. Quella di Jekyll in Hyde è principalmente una metamorfosi fisica, ma riguarda soprattutto l’aspetto psicologico del personaggio. La trasformazione fisica potrebbe infatti essere considerata benissimo un semplice riflesso della metamorfosi psicologica e morale del personaggio. È una metamorfosi causata da Jekyll stesso e resa da lui evidente attraverso una miscela di elementi, quasi “magica”, che ben presto però si trasforma in una “droga”. È una metamorfosi che spesso avviene anche in molte persone che, all’apparenza, sembrano rispettabili e stimabili come Jekyll, ma che nascondo al loro interno un Hyde desideroso di manifestarsi. È una metamorfosi, a mio parere, metafora della diffusissima ipocrisia umana.
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Quella generosità che potrebbe cambiare il mondo
Come si può racchiudere un tale messaggio in poche pagine, in un libro che si apre per la prima volta e, dopo veramente poco, lo si chiude, avendone ultimato la lettura? È questo quello che mi sono chiesto dopo aver riposto quello che, magari, potrebbe apparire semplicemente come un libro “banale”. Eppure la storia di questo “banale” uomo che piantava alberi dovrebbe insegnarci qualcosa, farci riflettere magari.
Quella di Elzéard Bouffier è una storia singolare, quella di un uomo che fa ciò che gli esseri umani finora hanno fatto raramente: prendersi cura della natura. Perché in fondo è questo quello che fa nella sua vita questo pacifico e solitario pastore, dimostrando quasi un certo affetto per la natura, che ci ospita e ci offre i mezzi per vivere. Un affetto e una generosità per la natura che riflette quello della natura stessa verso di noi. La storia di quest’uomo dovrebbe servirci da esempio, in quanto dimostra "come gli uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre la distruzione". La distruzione: ecco cosa ha fatto l’uomo fino ad oggi. Ha distrutto la natura per scopi, dobbiamo dirlo, egoistici. E, invece, l’azione di Elzéard Bouffier è priva di egoismi e senza scopo di lucro, ma di una generosità senza pari e ciò dimostra quanto "[…], malgrado tutto, la condizione umana sia ammirevole".
È un libro che sicuramente merita di essere letto, ma, per capirlo a fondo, bisogna andare oltre, perché questo non è un piccolo libro semplice e banale, ma una storia esemplare sul rapporto uomo-natura. Merita di ottenere un po’ del nostro tempo, ma soprattutto merita di essere letto dai giovani, dalle nuove generazioni. Sono loro che devono trarre ispirazione da questa storia per cambiare un mondo afflitto da gravi problemi, che tuttavia è in mano loro. Sono i giovani che, comprendendo di dover salvare la natura per salvaguardare la vita, devono cambiare il mondo.
- Consigliato a chi vuole riflettere, andando fino in " fondo" e non fermandosi in "superficie".
- Se le vostra intenzione è di prendere questo libro solo perché è breve, ma non vi interessa per niente scavare per capire il messaggio del libro, allora no...non lo prendete!
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Al Gabbiano Jonathan che vive nel profondo di noi
Tengo molto a questo libro, probabilmente perché è il primo libro che ricordo a pieno di aver letto, quello che forse ha rappresentato la soglia d’inizio della mia passione per la lettura.
È un libro che ho letto (e riletto) tutto d’un fiato, assaporando l’aria pura, il vento che sferza, la libertà di volare, sensazioni che, vuoi o non vuoi, vengono trasmesse e ti coinvolgono. Jonathan Livingston non è un semplice gabbiano come gli altri dello Stormo, che vivono solo per uno scopo: nutrirsi per poter vivere più a lungo possibile. Jonathan è un gabbiano che scopre la bellezza di volare per il solo piacere di farlo e tende a raggiungere, con il volo, un’ideale di libertà e di perfezione. Diventa così l’esempio di chi è disposto a lottare per i propri sogni, per le proprie convinzioni e per i propri ideali. Di chi è disposto a tutto pur di perseguirli, anziché vivere una vita che non lo soddisfa o, meglio, che non lo rappresenta. Attraverso le parole di Jonathan, i suoi voli acrobatici, le planate e gli schianti, impariamo ciò che per lui diventa un modo di vivere: la ricerca della perfezione, il desiderio di migliorarsi e di apprendere sempre di più. Ed è questo che ci porta ad essere individui liberi, “senza limiti né limitazioni”, o, meglio, individui che tendono sempre a superarli, i limiti, in quanto possiamo sempre migliorarci, passando ad uno “stadio di vita” successivo, con altre prove, altri limiti. Siamo liberi di sognare, osare e...”volare”. Volare sempre più in alto perché, come dice il proverbio più volte ripetuto nel libro, “più alto vola il gabbiano, più vede lontano”.
Questo è Jonathan e, spesso, dobbiamo seguire i suoi consigli, i suoi insegnamenti, perché, in fondo, esiste sempre un gabbiano Jonathan dentro di noi, che vola e...sogna!
È un libro che consiglio assolutamente a tutti, a chi vuole “volare” e a chi di meno, a chi è un po’ scettico sul fatto di leggere la storia di un gabbiano e a chi invece è incuriosito dalla storia del gabbiano. Il mio consiglio è di assaporarlo e cercare di comprenderlo a fondo, non fermandosi all’evidenza, alla storia di un semplice gabbiano a cui piace volare.
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Mille soli di speranza
“Mille splendidi soli” non è solo un libro, è la storia di Mariam e di Laila, dell’Afghanistan e di tutte le donne afghane. È un libro che colpisce inevitabilmente e ti fa riflettere sulla condizione della donna e sui soprusi che, purtroppo, molto spesso esse devono subire, a causa dei sistemi politici e delle credenze religiose, che, ancora oggi, non le considerano quasi delle “persone”. Esse spesso sono solo considerate oggetti in subordinazione al genere maschile. Ciò si traduce nel non avere spesso alcun diritto, o comunque goderne in modo limitato, nel non potere aspirare ad alcun sogno, a divenire qualcuno, a fare ciò che si ama, perché il futuro di Mariam, di Laila e di tutte le donne è scritto: essere solo mogli, madri e sopportare. “È il nostro destino, Mariam. Di donne come noi. Non abbiamo altro.” È davvero il destino delle donne sopportare situazioni come quelle scritte nel libro? È la sopportazione l’unica abilità che donne come Mariam devono apprendere? E allora cosa rimane a tutte le Mariam e le Laila esistenti al mondo? Il sole. Mille soli (per restare in tema) di speranza, che splende e deve far comprendere a tutti, uomini e donne, che siamo uguali, che ci sono uomini come Tariq e che per le donne si prospetta una vita migliore di questa, fatta di soprusi.
In conclusione, vorrei citare una frase che mi ha fatto veramente riflettere e che, molte, troppe volte, rispecchia la realtà: “Come l'ago della bussola segna il nord, così il dito accusatore dell'uomo trova sempre una donna a cui dare la colpa”.
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