Opinione scritta da Daffadillies
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Autocelebrazione tutta italiana
Avete un debole per il greco? Amate la cultura, la letteratura, la grammatica e tutto ciò che fa parte della Grecia?
Se la risposta è sì, bene, questo libro può fare per voi.
Non avete un debole per la Grecia? Oppure: non avete fatto il liceo classico e il massimo che vi è stato spiegato è qualche stralcio dell'Iliade e l'Odissea?
Bene, allora la mia recensione di seguito è per voi.
Innanzitutto questo libro è di Roberto Vecchioni, cantautore italiano che ha vinto numerosi premi (tra cui il premio Tenco), perciò è quasi scontato quel che ci si aspetta: un linguaggio poetico, una scrittura elegante, una storia presentata nella miglior forma possibile. Proprio Vecchioni, poi, è pure un professore e le aspettative sono altissime. Effettivamente questo aspetto viene soddisfatto se non fosse che, di fondo, si percepisce un enorme difficoltà ad instaurare un legame empatico con i personaggi del libro.
Il libro inizia con l'immagine di ragazzi ubriachi che bloccano il traffico in modo barbaro, vandalico, e ci viene spiegato che sono diretti in discoteca. Per il resto del libro si parla di persone così acculturate che neanche il vostro docente-idolo potrebbe minimamente aspirare ad essere come loro. Avete notato l'effetto chiaro-scuro? Ecco, il libro è tutto così: è un inno al narcisismo: io sono intelligente, sono speciale, tu penderai per forza dalle mie labbra.
Il protagonista, il narcisissimo STEFANO QUONDAM VALERIO (potevate aspettarvi un nome modesto?), è il professore che recita i versi dei lirici e dei tragici greci mentre il figlio, Marco, affetto da progeria, sta facendo le analisi all'ospedale.
Non vi è mai capitato di recitare versi dell'Odissea in fila alla posta?
La vita di questo personaggio è molto incerta, tutto è talmente centrato sull'autocelebrazione che non scopriamo mai chi è Stefano Quondam nel qui e ora. Chi è nel mondo, che contributo da' nella realtà. Per questo motivo il primo aspetto importante che emerge da questo libro è la difficoltà di un dialogo scrittore-lettore.
In secondo luogo, non potevano mancare gli stereotipi tutti italiani che smontano la credibilità del libro stesso come, per esempio, le ragazze che cadono ai piedi dei docenti di greco come se pendessero dalle labbra della cultura e, di questi tempi, se fosse realmente così, forse non sarebbe neanche male; la moglie oscurata da un uomo troppo impegnato a recitare l'Odissea per essere guardata; il figlio che, guarda caso, ha proprio una malattia per cui "sembra vecchio" ma ha solo 17 anni... ecco qua, la figura del giovane-saggio (che neanche Walter White Junior, se ci intendiamo). Degno di nota poi il momento in cui, a metà libro, Vecchioni si trasforma in Bukowski e da' il via libera a insulti gratuiti a chiunque, pure al povero Marco, cui da' del figlio di puttana in modo affettuoso perché noi giovani, in Italia, patria della passione, impulsività, spaghetti e pizza, facciamo così. Tutto ciò dimostra l'ennesimo tentativo estremo di "dare esempio" ai giovani con un pretesto molto poco credibile: noi giovani stiamo creandoci altri stereotipi ed è già faticoso, questi ormai sono stravecchi, basta con questi luoghi comuni.
Ultimo punto e non meno importante, il tema dell'ignoranza. Non c'è cosa più bella di uno scrittore che sa spiegarti i concetti più complessi esistenti al mondo, le opere dei grandi della letteratura e non solo, con voglia di CONDIVISIONE e non di insegnamento "autoritario".
Voi sapete chi è Alcmane? Avete letto le opere tragiche greche? Sapete tutto della mitologia greca?
Io no. E Vecchioni da' per scontato che tu lo sappia, mi stupisce, infatti, che un professore non conosca i processi di concettualizzazione e dia per scontato che gli altri apprendano senza avere la MINIMA idea di cosa si stia parlando.
Per questo motivo è difficile capire una storia che non ha nulla di emotivo ma viene "raccontata" grazie a stralci di opere greche di cui tu, che magari hai fatto un istituto professionale e non ti frega una cippa dell'antica Grecia, non sai assolutamente nulla.
Ecco perché chi ha conoscenze di base sicuramente può apprezzare più di me questo libro. E' innegabile che Vecchioni abbia uno stile bello ed elegante ma la letteratura non è citare i grandi scrittori con un qualche pretesto letterario, bensì CREARE qualcosa di nuovo. Essere flessibili, offrire le proprie perle agli altri con grande umiltà.
Concludo dicendo che questo libro mi è stato regalato, perciò ho creduto fosse per me leggibile ma proprio non è stato così. Forse un giorno farò un corso di "antica Grecia e tutto ciò che contiene al suo interno la parola "greco"" e allora potrò rileggerlo, cogliendo, magari, anche il lato emotivo che per ora è per me stato impossibile cogliere.
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Un amante del dramma e dei Beatles
Norwegian Wood è uno di quei libri che trovi in ogni libreria. Ti corteggia dallo scaffale ma tu sei combattuto tra la fiducia verso il mondo giapponese (se sei un amante delle sue arti già da prima) e lo scoraggio per la sua onnipresenza che potrebbe essere sintomo di scontatezza.
Il mio combattimento è terminato con un compromesso e, non conoscendo altre opere di Murakami Haruki, me lo sono fatta prestare.
Ho fatto bene.
Questo libro non ha dei contenuti nuovi, inauditi, la trama, di per sé, non ha nulla di nuovo. Eppure c'è una potenza, una forza che agisce tacitamente, che fa sì che ogni volta che lo apri, non lo chiudi se non ne hai letto almeno cento pagine (o se non impellono bisogni fisiologici primari).
Subito si coglie lo stile unico dell'autore, badate bene: non migliore, ma personalissimo. E anche se troverete dei dialoghi infiniti e vi chiederete "perché sei così prolisso?", continuerete imperterriti nella lettura perché Murakami, prima di farvi avere i "fatti", vi farà sudare.
E, stupendomi enormemente di una pazienza che non sapevo di avere, sono stata al suo gioco dall'inizio alla fine, senza irritamento o noia. Forse perché c'è la consapevolezza intrinseca che ogni dialogo è essenziale per capire quel che accadrà dopo. Del resto, al personaggio principale, Toru, succede sempre qualcosa di incredibilmente "pesante" e complesso. Complessità in questo caso non intesa per forza come difficoltà ma più come insieme di più concetti sottostanti.
Del resto nella vita di Toru ci sono persone tutt'altro che ordinarie: gli amici di una vita che sguazzano nella depressione; l'amico dell'università che ama troppo sé stesso per amare qualcun'altro; la ragazza esuberante e senza filtri (che in un paese come il nostro sarebbe la "porca" di turno) e così via...
ma Murakami è un abile rappresentatore di realtà. Questi personaggi non risultano mai caricature, anzi, sono descritti quanto più possibile in tutte le loro caratteristiche e, talvolta, perfino negli aspetti contraddittori tipici dell'essere umano che poi portano a scelte e azioni più o meno condivisibili ma che mai percepiremo come inadeguate o banali.
La persistenza delle contraddizioni dell'uomo le troviamo nello stesso personaggio che porta dentro di sé le turbe profonde, la solitudine, l'insicurezza e, insieme, la capacità di comprendere, giustificare, non esasperare e ponderare sempre su quel che accade tanto che a volte ci può apparire passivo ma mai apatico.
Il tratto distintivo di questo libro è l'onestà: non ci sono filtri nei pensieri di Toru né nell'interazione con l'altro ma Murakami non scade mai in volgarità, nulla sembra "grezzo" o inopportuno. Se è vero che l'arte è un artefatto culturale, allora dobbiamo ringraziare la cultura giapponese per produrre arte che ci permette di pensare che una società nella quale avere legami emotivi più sinceri, con meno tabù e più libertà di essere sé stessi, può esistere o, almeno, ce lo fa credere anche se solo per un poco.
Deve essere poi fatta piccola menzione sull'onnipresenza dei Beatles: a te che hai letto questo libro o lo vuoi leggere e sei anche un amante dei Beatles, sappi che se non ti eri mai immaginato lo scenario descritto dalla canzone "norwegian wood" avente come protagonisti due giapponesi, dopo la lettura del libro non potrai non associare le due cose.
Personalmente ho trovato un messaggio di fondo molto forte che l'autore vuole mandare attraverso la conoscenza, pagina dopo pagina, di Toru: la vita non ha nulla di certo, oggi perdo una persona importante, domani ne incontro una speciale, e l'angoscia di fronte a questa continua incertezza non è immotivata, ma è importante non fossilizzarsi nella condizione di vittima e fare il passo importante di accettazione verso la vita: l'accettazione di sé e di esistere.
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Troppo vicini e troppo distanti
Questo libro mi ha permesso di ritrovare fiducia nella letteratura moderna; dopo anni di letteratura classica ho trovato la profondità che cercavo.
Paolo Giordano, incredibilmente giovane tanto quanto sensibile, è una grande promessa. La Solitudine dei Numeri Primi è indubbiamente costruito su più livelli. Se vogliamo limitarci a vederne la superficie, troviamo innanzitutto la storia di due bambini che condividono inconsapevoli una solitudine così profonda da sfociare in comportamenti autodistruttivi: l'autolesionismo per Mattia e l'anoressia per Alice.
Purtroppo questi argomenti creano una spaccatura tra lettori che non conoscono né possono cogliere la difficoltà di queste problematiche e quelli che ne capiscono bene le dinamiche grazie alla conoscenza, diretta o indiretta, delle due questioni. Sarebbe opportuno, piuttosto che un atteggiamento difensivo, adottare l'accoglienza di fronte a questo libro: Giordano descrive i fatti non schermandosi ma da dentro. Questo può non essere immediato, non tutti sono tanto empatici da passare al livello più profondo di questo libro ove è possibile, quasi richiesto, il lasciarsi andare alle emozioni dei personaggi, parola dopo parola, e sentirle con il cuore.
Ancora più in fondo troviamo le dinamiche profonde di due famiglie con enormi lacune emotive, il silenzio, l'ignoranza dei genitori verso l'identità dei figli, è quasi tangibile. Dinamiche che non potranno che ritrovarsi nella relazione tra i due, Mattia e Alice, ormai diventati grandi. Due anime profondamente legate ma mai abbastanza vicine da toccarsi davvero; nessuno ha insegnato loro a sopportare la paura di perdersi, la grandezza del loro legame non basta quando la paura di sentirsi soli, insieme, è molto più grande.
Un libro, l'unico libro, che ho letto più volte, che mi ha toccato come nessun altro.
Giordano sa toccare corde diverse, quelle dell'incertezza, della paura, della sofferenza che nella nostra società sono spesso viste come demoni da evitare.
Questo libro resta nel cuore, c'è tanta verità, lasciatevi cullare.
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