Opinione scritta da Andry994
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Il dolore che rende più forti.
Gordon Reece ha individuato quelli che sono i punti salienti del tipico processo di formazione da "topi" a "bestie fameliche", pronte a tutto per difendersi.
Protagoniste della vicenda sono Shelley, adolescente alle prese con problemi di bullismo da parte di quelle che erano le sue migliori amiche (almeno fino alla pubertà) e la madre, una donna passiva nei confronti del marito e in gravi crisi economiche quando quest'ultimo decide di abbandonare entrambe per rifarsi una vita con la sua giovane amante ventiquattrenne. Ecco che di punto in bianco la vita delle due donne, che insieme sembrerebbero formare una vera e propria squadra, crolla in mille pezzi. La casa dove Shelley è cresciuta e in cui sperava di vivere felice con i suoi genitori amorevoli diventa "il domicilio coniugale" , arma con la quale il padre della ragazza cerca in tutti i modi di destabilizzare l'ormai ex moglie, trasformando persino la figlia in un oggetto da strapparle via.
Come se non bastasse, Shelley diventa preda di violenti attacchi di bullismo da parte di quelle che fino a poco tempo prima erano le sue migliori amiche, le "jets", un trio inseparabile sin dalle elementari, ma che durante i primi anni delle superiori si sfalda dando vita ad una rabbiosa e distruttiva crisi adolescenziale , colpendo in pieno la povera Shelley, l'unica rimasta "diversa", un po' più bambina, ancora troppo ingenua rispetto alle altre.
Le violenze aumentano spaventosamente fino a minare addirittura la vita stessa della ragazza che si troverà costretta a lasciare la scuola, rassegnata ed incapace di ribellarsi come avrebbe potuto e dovuto fare sin dal principio.
L'ereditarietà genetica, che pesa su di lei come un fardello, le impedisce di rivoltarsi contro il proprio aguzzino, proprio come aveva fatto la madre, obbedendo in tutto e per tutto al marito, facendosi penosamente sfilare da sotto il naso grandi possibilità di carriera in ambito giuridico.
Così Shelley accetta ogni calcio, ogni schiaffo, ogni umiliazione senza protestare, senza muovere un dito, cercando di farsi piccola senza essere veduta, onde evitare di accrescere l'ira delle sue carnefici, proprio come sua madre, sostituendo senza troppi sforzi l'impulso di ribellione, con la neutralità di una placida rassegnazione. Non si può fare a meno di notare come il male arrivi proprio da quelle persone che invece avrebbero dovuto amarle di più, che avrebbero dovuto proteggerle, stravolgendo l'immagine che avevano di loro attraverso i lineamenti di una spietata cattiveria e rendendoli irriconoscibili. In questo modo l'autore ci offre uno spunto riflessivo molto importante che spinge a domandarsi come sia possibile infliggere tanto dolore a qualcuno a cui abbiamo voluto così bene ( e che sembra averci amato così tanto).. La stessa Shelley se lo chiederà più volte, arrivando infine alla conclusione che non sempre il male necessita di una sua logica o di un pretesto per scatenarsi. Il Male puro e autentico è finalizzato al Male stesso, generando talvolta contraddizioni e smarrimento.
(Il male che travolge l'opera trova numerosi punti di appoggio e parallelismi con il mac Beth , l'opera shakespeariana che la ragazza studia in vista degli esami ed è regolato da una prosa fluida e lineare).
Shelley è così costretta ad allontanarsi da scuola e dal "domicilio coniugale", una casa non più casa, spersonalizzata dalle lunghe ed estenuanti pratiche burocratiche per il divorzio.
Madre e figlia, destabilizzate dalla crisi economica e dai traumi in cui sono incorse , sembrano ritrovare la speranza in seguito al trasloco in un piccolo e confortevole cottage situato nel bel mezzo di una desolata campagna, circondato da ettari ed ettari di terreno coltivato e da una sacrale aura di Silenzio che si estende per chilometri. Ecco che finalmente i topi sono tornati al sicuro, hanno trovato un rifugio in cui consolidare le proprie abitudini e nelle quali identificarsi per dare una parvenza di normalità alla loro esistenza disastrata. I primi mesi sembrano davvero idilliaci, tra lavori nell'orto, musica classica dopo cena e piacevoli letture serali davanti a una tazza di thè bollente.
Shelley frequenta insegnanti privati e la madre si reca tutte le mattine al lavoro per guadagnare il suo misero stipendio.
Ma proprio quando tutto sembra aver trovato il giusto verso , accade qualcosa di sconvolgente durante la notte del sedicesimo compleanno di Shelley che cambierà le loro vite per sempre.
"Topi" è un romanzo di formazione ben scritto ed è l' ardita testimonianza di come a volte la vita ci tocca, ci pungola, ci scuote violentemente per spingerci a diventare più forti, per farci morire come topi e rinascere come ciò che siamo davvero, poichè la soluzione non è subire senza lamentarsi, ma lottare strenuamente per la propria libertà; poichè chiunque ha bisogno di una rivincita , riscattandosi dal dolore costretto a subire in vista della più intima felicità.
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Il potere della reincarnazione
Uno dei più grandi capolavori del re del brivido.
Innanzitutto, è stato piacevole scoprire la commistione di più svariati temi, trattati con inspiegabile maestria, e con un tocco che non ho mai ritrovato in nessun altro autore. Sì, perché King , contrariamente a quanto molti credono , non è soltanto horror e soprattutto non è un horror scadente, di quelli facilmente riproducibili, come le moderne saghe di vampirismo.
Siamo negli anni ‘80 del ‘900 e Louis, protagonista del racconto, si trasferisce con la moglie Rachel, la piccola Ellie e l’ultimogenito Gage, a Ludlow , nel Maine, proprio vicino a un cimitero dove i bambini del posto hanno seppellito per anni i loro animali defunti. Cani, gatti, roditori, uccelli e perfino un toro. Qui Louis incontra Jud Crandall, ottantenne saggio e vispo, marito di Norma Crandall, una docile vecchietta colpita dall’artrosi. Tra le due famiglie si viene a creare un rapporto di profonda stima e fiducia e , in particolar modo, tra Jud e Louis, come tra un padre e il proprio figlio. Il primo grande evento drammatico colpisce il lettore sin dai primi capitoli, con la morte di Pascow, studente presso l’istituto dove Louis lavora come medico. Proprio mentre spira tra le sue braccia, il ragazzo pronuncerà delle frasi apparentemente incomprensibili, che colpiranno Louis come una profezia. L’evento darà inizio a una lunga serie di morti spiacevoli, da quella di Norma, a quella del gatto Church a quella del figlioletto Gage. Ma Jud svelerà a Louis il modo per farli ritornare...
Il succedersi delle tragedie all’interno dell’opera ha dato modo , all’autore, di toccare in maniera piacevolmente coinvolgente il tema della morte, intrecciato con quello dell’infanzia, tra la perdita dei propri affetti e dell' innocenza stessa, quella che caratterizza l’età adulta. L'orrore trasuda dalle pagine parallelamente al dolore per la perdita di una persona cara, e, se da un lato, King racconta l'impossibilità di revocarlo (nella figura della moglie Rachel, traumatizzata dalla perdita della sorella Zelda) , dall'altro descrive con minuzia quel desiderio , quasi morboso, che tutti, almeno una volta, abbiamo provato,nel voler, "riportare indietro" qualcuno. Louis viene posseduto da una forza oscura, dal wendigo, che gli impedisce di pensare razionalmente, spingendolo a compiere atti estremi, sfruttando la sua sofferenza. Ma, ad una lettura attenta, King non offre soltanto soluzioni spiacevoli: ad emergere, infatti, è anche l' accettazione della perdita, attraverso la consapevolezza che la morte è, ad ogni modo, la fine delle sofferenze terrene. I temi , già, personalmente, riscontrati in IT e nell’Acchiappasogni, sono espressi con una prosa vellutata e scorrevole, dando l’impressione di cullare dolcemente la propria immaginazione , verso i più orridi sentieri del proprio inconscio, proprio lì dove sono sepolte le nostre personali tragedie, i nostri personali incubi, che King riesce così meravigliosamente bene a tirar fuori.
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La delusione magica
Contiene spoiler.
Il soggetto non è male, attualissimo con tutti i casi di violenza, stalking e femminicidio. Se avesse lavorato un po' di più avremmo goduto di un intreccio ricco di suspence, ma purtroppo arriva un momento, nella vita di uno scrittore, in cui si avverte un pesante blocco proprio nel punto esatto in cui si originano le parole. Forse questo momento è giunto anche per la Modignani, dato che la sua storia, appare completamente povera. Non mi vergogno di definirla un'onta alla letteratura italiana. La trama è banale quanto lo sono le descrizioni dei personaggi, poverissime di spessore e per nulla verosimili, come non lo sono, d'altronde, neanche i tempi in cui si dipana la vicenda. Mariangela, soprannominata Magia, incontra un "bel tenebroso" nell'officina del padre, nell'umile paesino di montagna in cui vive e se ne invaghisce dal primo istante. Stanca della solita routine, della vita povera condotta fino a quel momento e di una relazione che non la soddisfa, accetta la proposta dell'uomo di sposarlo e trasferirsi a Milano, dove condurrà, contrariamente alle sue aspettative, una vita spenta, ingrigita dalle manie persecutive dell'uomo che ha sposato, rivelatosi pericolosamente violento e geloso.
Lo stile, prevalentemente paratattico e semplicistico reca un lessico povero e banale. Inoltre, nonostante l'autrice ostenti un parlato del secolo scorso che dovrebbe conferire un certo spessore al romanzo, stride con i tempi, attuali, in cui si volge la vicenda. La tecnica di affidare il racconto dettagliato della stessa a personaggi marginali, infittendola con numerosi flash back non è per niente riuscita, nonostante l'evidente intento della scrittrice, poichè l'attenzione è focalizzata più sui personaggi stessi che non su quello che realmente accade in famiglia Pignatti, di cui vorremmo sapere nel dettaglio e invece rimaniamo all'oscuro. L'effetto è quello di due chiacchiere tra vicine di casa che spettegolano sulla vita di coppia degli inquilini del piano di sopra. Non mi soffermo sul finale a dir poco vergognoso ( il marito di Magia muore in un incidente d'auto esaudendo così la preghiera della moglie espressa nella cappella del suo paesino la notte di Natale) con cui si è voluto concludere in quattro e quattr'otto il procedere lento e noioso della narrazione in attesa di un punto di svolta che non arriva mai.
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