Opinione scritta da Riccardo76

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    01 Febbraio, 2022
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Intimo ma per tutti

Walter Alasia è stato un brigatista, per molti un delinquente, un terrorista, ha ucciso e per questo non può essere né perdonato, né giustificato, questa è la premessa che voglio fare per evitare di creare equivoci. In questa storia suo cugino Giuseppe Culicchia ci racconta la sua personale e intima storia con Walter Alasia, un amore forte e una stima verso il cugino più grande che gioca con lo scrittore bambino durante le vacanze. La scrittura è semplice e diretta, una finestra sui sentimenti di Culicchia affascinato e innamorato di Walter, un ragazzo che per i suoi ideali prende una deriva drammatica. Un piccolo spaccato di una famiglia ignara fino quasi alla fine delle idee e azioni di un figlio, una madre che sa, perché difficilmente ad una madre si possono nascondere le cose per troppo tempo, una madre che per amore del figlio lo protegge come può, lo supporta.
È un libro commovente, che forse vuole incensare troppo la figura di Walter Alasia, ragazzo vissuto in un periodo difficile e drammatico della nostra storia, una dicotomia tra il bravo ragazzo simpatico e scherzoso e l’uomo che compie azioni che lo porteranno ad un triste epilogo.
La vita di Walter porta con sé un senso di libertà, una libertà che però vuole essere conquistata con la lotta armata, non riesco a considerarlo un semplice delinquente, ma non posso accettare e difendere le sue azioni, forse la ricerca della libertà poteva essere fatta senza violenza, senza tragedia, così non è stato.
Culicchia però, raccontando la sua versione della storia ci vuole far vedere il lato umano di Walter, senza renderlo un mostro nonostante tutto, ha utilizzato quel trucco che si usa nei film e nelle serie TV per far amare chi in realtà andrebbe odiato.
Forte la sensazione che trasmette il racconto quando rappresenta il rapporto madre – figlio, una madre straziata dal dolore, una madre che nonostante tutto non può non continuare ad amare un figlio.
Non nascondo le lacrime mentre leggevo alcuni passi, sarò sbagliato io forse, ma non riesco a considerarlo un mostro, anche se non approvo minimamente nessuna delle azioni di Walter, questo forse anche grazie alla passione e all’amore usate da Culicchia per raccontarci questa storia.
So che non incontrerò parere favorevole da tutti, e non so dire se un libro così possa piacere o meno ad altri, a me ha fatto commuovere e riflettere e tanto basta.
Alasia viveva nella mia stessa città, Sesto San Giovanni, un po' per curiosità e un po' perché mi son sentito di farlo, ho fatto visita alla sua tomba, semplicemente per chiedergli, perché?

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    17 Gennaio, 2022
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LA SEMPLICE COMPLESSITÀ DEI CAFONI

Fontamara di Silone rappresenta, in maniera eccellente, lo spaccato di una realtà che fa male ancora oggi. I cafoni, gente apparentemente semplice, Silone ce le regala in tutte le loro sfaccettature, persone ricche di personalità e considerate “inferiori” esclusivamente per la loro cultura diversa dalla massa, una cultura del lavoro, contadina che non ha nulla a che fare con la società a cui siamo abituati. Una cultura che vuole assecondare il ritmo della natura e non le leggi inutili, spesso violente e ingannevoli del potere.
Leggendo immaginavo la bellezza di quelle terre d’Abruzzo, paesaggi che conosco bene e che adoro, dipinti naturali che un tempo saranno stati sicuramente ancora più belli e suggestivi.
Tra questo scenario da favola si racconta una storia di soprusi e prevaricazioni, di violenze e umiliazioni, un racconto che fa trasparire tutta la crudezza di quel periodo senza utilizzare immagini raccapriccianti o effetti speciali. Si viene colpiti allo stomaco da un pugno e spesso sentiamo l’odore del sangue senza vederne una goccia. Un parallelismo mi viene spontaneo con Hitchcock, tenere alta la tensione, suscitare forti emozioni e grandi riflessioni senza descrivere minuziosamente ogni singola scena, questo credo sia la grandezza di un artista.
Silone usa una penna “leggera”, “semplice” e allo stesso tempo maestosa, sfruttando la voce dei cafoni che si alternano nella narrazione e descrivono un periodo drammatico della nostra storia, un periodo che andrebbe approfondito per capire meglio chi siamo, da dove arriviamo e forse dove andremo in futuro.
Una storia, tante vite, un unico filo conduttore, come un letto d’acqua che è vita per quelle terre, terre che sono la vita di quei cafoni, l’acqua usata dal potere come arma di “distruzione”, per sottomettere o eliminare chi si oppone.
La politica del più forte, del: “o sei con me o contro di me” che si fa largo tra la gente di ogni tipo, dal contadino al professionista e chi è contrario deve essere eliminato, non serve, nella migliore delle ipotesti messo ai margini estremi della società senza diritto di replica.
Fanno molto riflettere queste vicende, fa pensare al dolore che i nostri nonni hanno dovuto subire in uno dei periodi più bui della nostra storia.
Leggere Fontamara è stato un’esperienza forte, uno stimolo a riflettere su quello che è stato, mi ha fatto pensare al nostro presente, ma soprattutto a quello che potrebbe essere il nostro futuro, nella speranza che follie di massa così drammatiche non si verifichino mai più, perché a certe cose spesso, o si soccombe o ci si adegua.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    10 Gennaio, 2022
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Uno stile che non si discute

Faccio sempre un po' fatica a recensire un libro che non mi ha particolarmente convinto soprattutto nelle battute iniziali. Storie che si intrecciano in maniera surreale, onirica forse, ma che mi hanno lasciato un senso di spaesamento. Una chiave di lettura personale è quella delle passioni, idee e percorsi che valgono il senso di una vita, in questo senso riesco a dare un significato a questo romanzo, una storia che oscilla tra il reale e i frammenti di diversi sogni messi insieme.
Baricco non è uno scrittore banale, convenzionale, commerciale, per questo motivo tengo a sottolineare che si tratta di un parere puramente personale, dettato forse più da una mia mancanza che da una lacuna dell’autore.
Tornando alle passioni raccontate: la locomotiva, l’umanofono, la giacca da dover riempire per andare incontro al proprio destino, il palazzo di cristallo posso affermare che sono trovate a cavallo tra reale e immaginario che sicuramente restano in mente e caratterizzano tutti i personaggi di questo ordito letterario.
Lo stile dell’autore non si discute, è sicuramente uno che sa come si scrive, e io non sono nessuno per affermare il contrario. Un po' come un film di Fellini o di Sorrentino composto da scene che ti rimangono dentro, non sai forse neanche tu perché ma è così, può anche non piacere la storia e il modo di raccontarla, ma si fa fatica a non rimanere catturati da tanta stranezza.

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Storia e biografie
 
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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    27 Dicembre, 2021
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Per amor di giustizia

La storia di Giorgio Ambrosoli scritta da Stajano e un “docuromanzo”, un’inchiesta, un romanzo, una storia che tocca principi fondamentali che dovrebbero essere incisi in maniera indelebile nel DNA dell’umanità. La “guerra” tra Ambrosoli e Sindona è la lotta tra il bene e il male, tra quello che dovrebbe essere e quello che in realtà è. Uno spaccato della nostra storia, un periodo difficile e non meno cruento e violento dei periodi di guerra, un frammento, forse il peggiore della storia della nostra “amata” repubblica.
Il senso di giustizia è la forza che sostiene tutta la narrazione di quest’opera, il coraggio di Ambrosoli di andare fino in fondo nonostante tutto, nonostante il prezzo che chiaramente avrebbe dovuto pagare, la rettitudine dell’eroe, l’eroe borghese. L’avvocato conduce le indagini con onestà morale rara, un’etica della giustizia e un rispetto estremo della patria, tradito dalle istituzioni di quella patria che troppo spesso fa soccombere i suoi eroi e protegge i carnefici.
Poco è cambiato da allora, solo i metodi cambiano, si utilizzano armi diverse che uccidono in maniera meno cruenta forse, ma non per questo infliggono meno sofferenza.
Ambrosoli come Falcone, come Borsellino eroi borghesi che hanno dato la vita per la giustizia e si sono “arresi” solo di fronte alla morte, l’unica sentenza che accomuna buoni e cattivi.
Si spengono gli eroi, forse spariscono alcuni mali, ma i meccanismi e i sistemi che governano tutto e tutti rimangono sempre al loro posto. Sarà a causa di quel gene, il gene della giustizia che non riesce a diffondersi in ognuno di noi, troppo contrastato dalla sete di potere e di ricchezza.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    27 Dicembre, 2021
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Lieve come seta

Seta, leggera e impalpabile, delicata come le poetiche parole di questo racconto. Come un velo di chiffon questa storia, semplice ma non per questo vuota, essenziale ma estremamente ricca di senso e valore. Baricco tesse la sua trama di seta pregiata, avvolge l’amore in un tessuto prezioso e ci consegna una storia estremamente piacevole e intensa. Un amore che sta al suo posto, talmente alto e puro da essere in grado di mettersi da parte, senza sparire, amplificandosi ed espandendosi oltre la vita stessa.
Racconta di vite, di viaggi, alla ricerca di qualcosa che in realtà è già presente, evidente e talmente vicino da non essere preso in considerazione pienamente, come se un sottile velo di organza impedisse una visione limpida delle cose.
Questo racconto apre gli occhi sulle nostre vite, elimina anche quel leggero velo, vite spesso travagliate alla ricerca di esperienze impossibili, di amori difficili, di scintille di fuoco che sono solo assopite sotto la cenere di cui ricopriamo il nostro cuore.
Eccezionale l’immagine che emerge dell’amore, un sentimento che non deve conoscere egoismo, un’emozione che deve mirare alla felicità dell’altra persona ancor prima che della nostra, godere nel vedere la gioia nel cuore dell’altro.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    22 Dicembre, 2021
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Un giorno in più

Cosa si farebbe per avere un giorno in più di vita, sapendo che domani potrebbe essere l’ultimo?
Il diavoletto surreale mette il protagonista di questa storia di fronte ad una scelta, far scomparire qualcosa dal mondo in cambio di un giorno in più di vita, come non accettare di volta in volta questa proposta? Cose della quale si può fare a meno, o forse no perché anche quello che riteniamo inutile a dire il vero ha un suo scopo, così far sparire gli orologi significa far sparire il tempo, ma per un giorno di vita in più non si può rifiutare. I film cosa contano per un giorno di vita in più?
Oggetti spesso ritenuti superflui se paragonati alle cose importanti, ma che nel bene o nel male fanno parte di noi e raccontano la nostra vita, le nostre azioni, le nostre gioie, le nostre tragedie, liberarsene spesso significa abbandonare un pezzo di noi e della nostra vita.
E poi i nostri amici, lo sfondo di questa storia è caratterizzato da gatti che entrano e restano nella vita del protagonista, animali magici alla quale non si può rimanere indifferenti, si amano o si odiano, ma da sempre trasmettono quel senso di mistero e magia che rendono una vita piena di senso. Cavolo è la memoria, la storia del protagonista che ha poco da vivere ma si domanda se ha senso privarsi di tutto per “vivere” un giorno in più.
Il duello tra sopravvivere e vivere, o accettare la morte e lasciare che le cose care sopravvivano a noi stessi, perché forse è giusto così, forse è il senso della vita, il disegno, se esiste alla quale volente o nolente dobbiamo adeguarci.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    20 Febbraio, 2019
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UN THRILLER SUGGERITO

Non sono mai stato particolarmente attratto da gialli e thriller, ma nella via si devono provare alcune novità, in alcuni periodi arrivano suggestioni particolari. Il romanzo di Carrisi ha sicuramente la dote di tenerti legato alla lettura, rispetta l’abc del thriller, ma ho sentito un po' troppo pesante l’utilizzo delle bambine, in alcuni casi mi ha infastidito, e forse è uno degli intenti dello scrittore. Lo stile di Carrisi richiama sicuramente gli autori di oltre oceano, lo considero piacevole.
La storia mi sembra ben congeniata, ma come anticipato sono un neofita del genere e potrei peccare di inesperienza, non ho molti termini di paragone per poterlo classificare al meglio.
Tutto sommato non mi è dispiaciuto leggerlo, anche se chiaramente non siamo di fronte ad un capolavoro, un buon thriller che si legge volentieri, nonostante le bambine.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    23 Febbraio, 2018
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Dialoghi che creano una storia

Un romanzo fatto di dialoghi, parole fra amanti, parole tra persone o semplicemente frammenti di vite amorose. Forse non conta chi parla, a tratti ci si perde, ma le sole parole raccontano una storia, raccontano una vita, forse raccontano e basta, ma sicuramente, tutte queste parole hanno il pregio di farci essere lì con i protagonisti, quando si incontrano, quando fanno l’amore e subito dopo, quando ci dicono qualcosa di loro, di cosa pensano, di come vedono la vita, di come si amano e di come sia complesso vivere vite parallele. La brevità del libro ti porta a finirne la lettura e questo dà un senso a tutto, o forse confonde definitivamente quello che si era pensato fino a quel momento.
Non è il libro più bello che abbia letto, ma non mi spiace di averlo letto, perché Roth mette in piedi una storia con quasi nulla, parole, dialoghi che sono ben organizzati al punto che la storia ha un suo filo logico, i personaggi sono ben definiti nonostante tutto.
Il dubbio rimane, il Philip protagonista di questa storia, scrittore a sua volta, è un genio o una persona sincera, io non l’ho capito e questo dubbio mi ha colpito. Apprezzo le storie che lasciano una sensazione di incompletezza, perché il finale e il senso di tutto rimane esclusivamente una nostra scelta e non una decisione netta dell’autore.
Pochi ingredienti sono sufficienti a creare una storia, ma per fare questo bisogna essere grandi scrittori e credo che Roth lo sia, a prescindere da questo libro.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    14 Febbraio, 2018
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Un mondo alla fine del mondo

E se tutto questo fosse dentro la nostra testa? se questa lettera lunga fosse una sorta di emotiva voglia di raccontare un tormento interiore?
Il romanzo di Auster è un misto di distopia, introspezione e storia riscritta, alcune scene mi hanno portano alla mente gli anni nefasti della shoah, altre scene ricordano “La strada” di Cormac McCarthy. Una ricerca incessante, un resistere e soffrire che infastidiscono e colpiscono per la disumana area che si respira. Auster riesce a farci vivere in quel paese delle ultime cose, dove poco ha valore, dove la vita è solo uno dei tanti oggetti di scambio, solo l’amore riesce ad illuminare lievemente il buio che sembra ricoprire ogni singola giornata.
Non credo ci sia una sola chiave di lettura, ma questa lunga lettera mi ha fatto pensare ad un travaglio interiore, un voler romanzare una devastazione interna, come se il fratello da ritrovare e portare a casa fosse in realtà un desiderio di uscire da un incubo, da una sofferenza atroce, dove solo l’amore dà sollievo e permette di rimanere vivi.
La scrittura come medicina che allevia i dolori e la disperazione, Auster inventa un mondo alla fine del mondo, un antro buio da cui scappare sembra impossibile, o forse semplicemente non se ne ha la forza o la voglia.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    01 Febbraio, 2018
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Lasciamo volare la Lealtà

La voce di una donna racconta una storia. Giulia, la protagonista, passa tra passato e presente tra Londra e Milano come un semplice sfogliare di pagine, vive e rivive una storia d’amore e ne crea un parallelismo con quanto di più distante dall’amore ci possa essere, l’economia. Il lavoro in un’importante banca d’affari londinese concede agi e ricchezza, ma spoglia lentamente di ogni sfumatura e di ogni significato una vita, i ritmi sono esagerati, non c’è spazio e tempo per conversare neanche con sé stessi.
Giulia però ha bisogno di questo dialogo e la scrittrice riesce bene a condurlo, a farcelo percepire distintamente, forse proprio perché quella Giulia, in fondo non è altro che lei stessa. C’è da ricostruire un pezzo di vita, da capire a modo come incastrare ogni piccolo pezzo di lego che alla fine compone l’esistenza. La voglia di amare a prescindere da ogni difficoltà il desiderio di essere onesti, puliti, quel sogno di Lealtà che ai giorni nostri è merce sempre più rara, difficile da conseguire, complesso da esercitare. Le nostre pulsioni però, il nostro essere più intimo non svanisce nonostante le pressioni del mondo esterno, quello che noi siamo possiamo nasconderlo, mascherarlo al limite rischiare di ucciderlo. La nostra sostanza non morirà mai, prima o poi tornerà in superficie e a quel punto esploderà con tutta la sua veemenza, sarà l’ultimo aereo da prendere, l’ultima possibilità per non rimanere in un essere che è altro da noi.
Lealtà verso gli altri, ma soprattutto verso sé stessi, un invito a vivere in maniera onesta e sincera, un bel libro che offre un affascinante punto di vista tutto femminile, e per questo prezioso, sulla vita, sul passato, sull'amore.

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Romanzi autobiografici
 
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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    11 Gennaio, 2018
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Figli che son padri

Ognuno di noi racconta qualcosa, ognuno ha un modo differente di raccontare, Auster in questo libro molto introspettivo lo fa a partire dagli oggetti che passa in rassegna nella casa del padre da poco scomparso. Ogni indizio è un modo di svelarci, scena dopo scena, la vita di un padre e il rapporto con suo figlio. Auster dipinge un’immagine di suo padre alienato e solitario, un uomo distaccato, l’autore però scava in profondità alla ricerca di un brutto dramma famigliare, lo fa anche per darsi una spiegazione, per raccontarci e raccontarsi che ognuno di noi è condizionato dagli eventi della vita.
Il libro è diviso in due sezioni, nella prima Auster da figlio si interroga sulla sua esistenza in relazione ad un padre estraneo e disinteressato. Questa prima parte è quasi lineare, racconta una storia famigliare vista con la lucidità di un figlio che ha perso il padre, un padre come anticipato troppo distante per poter trasmettere amore, una distanza emotiva ancor prima che fisica.
Nella seconda parte, Auster figlio è anche e soprattutto padre, racconta in maniera meno lineare il suo rapporto con suo figlio, racconta il peso della solitudine che il lavoro di scrittore, spesso impone. La seconda parte del libro è, a mio avviso, volutamente frammentaria e un po' confusa, un insieme di immagini, istantanee, citazioni e pensieri che fanno capire il punto di vista del padre, Auster sembra quasi volerci trasmettere tutta la sua confusione e difficoltà ad essere padre, un suo distacco emotivo con suo figlio, del tutto simile a quello vissuto con suo padre.
Due punti di vista di una stessa persona che veste i panni di figlio prima e di padre poi, una profonda immersione nella psiche e nell’emotività umana, la sofferenza di essere figlio di un padre distaccato che si converte nella sofferenza di essere padre a sua volta, ancora una volta distaccato e lontano.

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Scienze umane
 
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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    04 Gennaio, 2018
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Il pensiero, la sua importanza

Gli chiesi perché pensasse che i bianchi fossero tutti pazzi. “Dicono di pensare con la testa”, rispose. “Ma certamente. Tu con che cosa pensi?” Gli chiedo sorpreso.
“Noi pensiamo qui”, disse, indicando il cuore.
Colloquio tra Carl Gusav Jung e il capo indiano Lago di montagna.

E forse questa semplice citazione è il senso di questo intenso e non semplice saggio di Vito Mancuso, filosofo e teologo che ci esorta a ritrovare una più profonda vena spirituale, non importa sia essa cristiana, buddista, zen o di qual si voglia natura. Non basta la testa per pensare, non sono sufficienti i libri e il sapere per essere saggi, è necessario coinvolgere cuore e corpo affinché il pensiero sia saggio e non saccente.
L’autore fornisce diverse spiegazioni etimologiche a rafforzare la tesi che vuole portare avanti ad esempio:
Intelligenza è un termine che deriva dal verbo latino intelligo, intelligere, composto dalla preposizione inter, che significa ‘tra’ e dal verbo lego, legere, che significa anche: cogliere, raccogliere, questo porta a dire che l’intelligenza è cogliere l’essenziale, notoriamente ‘Invisibile agli occhi’.
Mancuso argomenta ulteriormente il suo discorso citando filosofi e scienziati, citando alcune loro teorie o semplicemente piccoli passi delle loro immortali opere.
Pensare è fondamentale per la nostra esistenza, per la nostra vita e per i nostri rapporti, è fondamentale perché dona un senso ai nostri giorni. Il pensiero però non vuole essere semplicemente un atto mentale, ma soprattutto emotivo, un gesto profondo della nostra anima che può e deve passare anche dal silenzio. Mettere a tacere il turbinio della nostra mente per essere pronti e preparati alla contemplazione, atto capace di portarci alla estasi e alla mistica, forme di coscienza che vanno oltre il pensiero, per raggiungere un nuovo e diverso sentire, estasi, “stare fuori”, un’esperienza che arriva inaspettata dalla realtà e non dipendente dalla semplice azione mentale, questo almeno è quello che Mancuso, parafrasandolo, vuole insegnarci.

“Il fatto che l’uomo, non soltanto pensi, ma possa anche dire a sé stesso ‘Io penso’, fa di lui una persona.” Immanuel Kant.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    15 Dicembre, 2017
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Modiano artista del tempo

La memoria è la chiave di tutta l’opera di Modiano, la memoria vista come le pagine di un libro che si sfogliano lentamente, parola dopo parola veniamo a conoscenza di vite che erano e che ancora sono, dove lo spartiacque è una delle tante pagine del libro, una scelta improvvisa e imprevista che cambia tutto. Una scissione netta che mette insieme due periodi di tempo separati da quindici anni, anni della quale non sappiamo nulla di certo, ma che Modiano ci lascia immaginare.
Parigi, Londra due città fantastiche dipinte con poche pennellate, dove i nomi dei luoghi sono essi stessi parte della storia, sono personaggi comprimari, le atmosfere sono le solite di questo fantastico scrittore, evanescenti, un po' in ombra, appena accennate eppure così intense.
Una storia semplice, senza colpi di scena, ma che tiene comunque attenti i lettori, una narrazione lineare dove due ragazzi si innamorano, vivono il loro amore e tentano una fuga, per abbandonare tutto e lasciarsi alle spalle il loro passato.
Poi il “buio” che dura quindici anni, una specie di oblio che cancella o forse solo allontana un pezzo di vita. Due incontri casuali, il primo che porta con sé l’amore, il secondo lascia invece tante domande, alla quale i protagonisti non sanno rispondere, e alla quale forse neanche noi lettori possiamo dare seguito. Il tempo è una variabile imprevedibile: guarisce o uccide, logora o lenisce, ma inevitabilmente lascia un segno e questa è l’unica costante di questa variabile che condiziona tutte le nostre vite.
Modiano non delude mai, è un artista del tempo, è in grado di plasmarlo e renderlo essenza stessa della sua letteratura, gioca con la vita dei suoi personaggi manipolando il tempo, così come Miles Davis faceva cantare la sua tromba semplicemente con tre tasti e il suo magico respiro.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    23 Ottobre, 2017
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Father and son

È il normale corso della vita, si nasce, si cresce e si muore, si è figli, poi forse padri, poi forse nonni e poi si muore. In questo libro di Magrelli c’è tutto e anche di più, ci sono frammenti di memoria che sono lucidi al punto di definire e delineare una vita, due vite o forse anche di più. È intenso per contenuti questo libricino, è un insieme di episodi, forse neanche i più importanti di una vita, una riflessione su ciò che è stato ed ora non è più, ma che in noi rimarrà per sempre sotto altre forme. Geologia di un padre non è sempre facile alla lettura e non è neanche una lettura rilassante, la morte, come anticipato, permea quasi tutte le pagine. La dipartita del padre è spunto di riflessione per la propria dipartita, non siamo immortali e prima o poi toccherà a tutti, ma c’è tempo per rendersi conto che, seppur individui distinti, si prendono le fattezze, le abitudini e le movenze di chi ci ha generato, e tutto risulta importante e profondo anche se si tratta di piccolezze, di insignificanti episodi di una lunga vita. Il rapporto padre e figlio in tutti gli stadi della vita, anche quando ci si sente superiori a chi ci ha dato la vita, dopo che trascorre il periodo in cui papà ci sembra un eroe.

Si può anche non essere padre, ma non puoi non essere figlio.

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Romanzi
 
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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    07 Ottobre, 2017
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Chi lascia la strada vecchia per la nuova...

Un’ossessione, la storia che nasce da un adulterio ed evolve tra altri adulteri fino all’epilogo finale. Un’ossessiva commistione tra la vita reale, i film e i libri, un progressivo distacco dalla realtà fino quasi alla follia. Un professore si innamora di una giovane attrice di basso livello, con lei iniziano i “giorni di miele”, così come Barnes li definisce nel suo bello e a tratti ironico libro. La gelosia che diventa presto tormento, un atavico bisogno di indagare sul passato della sua giovane amante, che diventa sua seconda moglie. Un impulso irrefrenabile a conoscere i trascorsi amorosi della partner, “Prima di me” per l’appunto, un prima di me che diventa, giorno dopo giorno, “adesso e qui”. Il protagonista entra in una spirale da cui diventa impossibile uscire, vede il tradimento in ogni cosa, ogni uomo incarna un rivale in amore, presente e soprattutto passato. Un passato che non è passato nella testa del professore, un passato che fa più paura del presente e annulla completamente ogni vago pensiero sul futuro. Il conflitto interiore di un uomo che lotta tra l’amore e la gelosia, un sentimento che ci viene presentato, non come un complemento dell’amore, ma come un insormontabile ostacolo ad esso.
L’ultimo romanzo di Barnes non tradisce lo stile di questo scrittore, diretto, “semplice”, senza orpelli inutili, uno stile pulito e facilmente comprensibile, anche quando la realtà lascia il posto alla finzione, la vita vera si mescola perfettamente con la vita raccontata dai film.
Un romanzo che si legge agilmente e che fa riflettere sulla gelosia, sulle fissazioni della nostra mente e su molti fatti di cronaca che troppo spesso ultimamente riempiono i nostri notiziari.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    18 Settembre, 2017
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La parabola di una vita

Un testo teatrale, poche scene ben delineate, alcuni personaggi, tre atti per definire e farci capire una vita, la vita di Grazia Deledda. La potenza del dialogo per raccontare è una dote non facile da padroneggiare, ma a Fois riesce bene, anzi benissimo. Una Grazia giovane in procinto di partire dalla sua terra, uno scontro con la madre e indirettamente con il padre, defunto anni prima. Il peso di non essere capita e accettata dai genitori, fermi ad una concezione di inizio novecento che incasellava la donna in schemi ben precisi e non concedeva spazi e possibilità.
La stanza d’albergo e lo studio del medico sono l’apice e l’epilogo di una storia intensa, una parabola comunque triste nonostante il Nobel vinto.
Il rapporto con la famiglia è uno dei temi centrali di questa storia, la passione e l’amore sono gli antidoti che permettono l’incoronazione della Deledda tra i mosti sacri della scrittura mondiale. Non conosco l’opera della scrittrice sarda, ma la sua storia, narrata in forma di dialogo, mi è piaciuta tanto, Fois ha una bella scrittura, in questo testo è efficace e diretto, concreto e soprattutto penetrante. Con semplici dialoghi lo scrittore ci fa vivere il conflitto, il trionfo e il dramma, nell’atto del Nobel ritorna il conflitto con la madre, in un dialogo onirico che turba la scrittrice, la prostra e la conduce in quello studio medico. Uno stanzino che io immagino tutto bianco e asettico, dove l’ultima sentenza mette fine alla gloria e insieme alle sofferenze di una vita sempre a cavallo tra due versanti. La passione per la scrittura e la lettura, l’amore per il marito e i suoi figli da una parte, il versante che le ha dato una ragione di vita, e i travagli di una famiglia, quella di origine, che non l’ha mai fatta sentire pienamente sé stessa. Un conflitto interiore che la Deledda, forse, smorza poco prima di morire, o almeno questo è quello che ci vuol far pensare Fois con i suoi dialoghi belli e intensi. Una bella lettura.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    11 Settembre, 2017
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La montagna, compagna di solitudine

Sarà per un desiderio di montagna che ho o per il piacere di vivere momenti di solitudine a calmare il turbinio mentale che spesso mi appesantisce, probabilmente entrambe le cose hanno reso piacevole la lettura di questa storia, bello l’effetto di risonanza con il mio stato d’animo attuale.
Il racconto autobiografico di Cognetti è una fuga dalla città alla ricerca della solitudine come antidoto al frastuono e al caos quotidiano delle nostre vite, come cura alla dispersione emorragica di energie emotive. La quiete dell’isolamento e dell’eremitaggio per apprezzare al meglio ogni singolo incontro umano.
L’autore, in una baita a duemila metri di quota, va alla ricerca delle sue radici, persegue la felicità nel suo tornare alla condizione selvatica, uno stato fisico e mentale che lo riporta in dietro nel tempo, alle sue camminate e arrampicate con la guida che lo iniziò a questa passione.
“L’eremita” entra in connubio con la natura, fatica a interiorizzare i suoni della montagna in quota, dei suoi odori delle sue emozioni, incontra due vicini di casa con la quale riesce a stabilire un rapporto intenso, intimo, essenziale e primordiale.
Una bella scrittura quella di Cognetti, fresca, diretta e semplice, senza sofismi che appesantiscono la lettura e complicano inutilmente il piacere di vivere un libro e la sua storia. In un’intervista lo scrittore conferma il suo desiderio di rapporti umani profondi e importanti, spiega il senso che lui dà alla solitudine, un antidoto per rendere più intensi i rapporti e gli incontri che ogni giorno si fanno.
Un bel libro, una bella storia autobiografica che fa riflettere sulle nostre vite piene di gente e di eventi, ma spesso vuote di contenuti e valori.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    03 Settembre, 2017
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Si viaggiare

Un lungo viaggio alla ricerca del senso di una vita, una bella storia che vuole suggerirci una grande realtà. Una fiaba che veicola un messaggio d’amore e di ricerca di ciò che veramente conta nella vita, il tragitto che porta alla piena consapevolezza di noi stessi e alla completa simbiosi con la natura e la realtà che ci circonda. Il cammino è spesso difficile, pericoloso, la meta non è il termine del pellegrinaggio, ma il tragitto stesso, quello che conta è la vita che trascorre durante il lungo vagare. Un passo dopo un altro andiamo verso il nostro scopo in questa vita, verso il nostro sogno, le nostre attitudini, ognuno di noi dovrebbe seguire i propri sogni. Non avere sogni in questa vita è una delle cose di cui spesso ci rammarichiamo, averli e non provare a seguirli è una grande sconfitta, i sogni non dovrebbero essere nel cassetto, dovrebbero essere la mappa che ci guida.
Questa favola ci stimola a fare quel viaggio anche solo mentale, alla ricerca di quello che potrebbe renderci completi e felici, spesso cerchiamo cose futili e irraggiungibili e non ci rendiamo conto che il nostro vero scopo nella vita e li a portata di mano. Coelho ci chiede di aprire gli occhi e vedere con il cuore quello che non riusciamo a vedere con gli occhi. L’alchimista ci aiuta è la nostra guida, è colui che ci fa vedere quello che è già in noi e che non sappiamo o vogliamo capire.
Passo dopo passo Santiago si innamora, cambia, soffre, affronta difficoltà, le supera e cresce, in una parola vive e persegue lo scopo della sua esistenza.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    19 Agosto, 2017
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Amicizia in alta montagna

Incontri e separazioni in questo bel romanzo, amicizie, amori, rapporti complessi. La storia vincitrice del premio Strega merita di essere letta e non solo, merita di essere interiorizzata, è il racconto di una grande amicizia, di un rapporto complicato con i genitori, di amori e passioni. Pietro e Bruno danno vita ad una delle più belle amicizie raccontate in un libro che ho avuto il piacere di leggere, alcune sensazioni vissute leggendolo, mi hanno portato alla memoria “Le braci” di Sandor Marai, che ho amato all’eccesso.
La storia di questa amicizia nasce nei pressi del monte Rosa, cresce in questi luoghi incantanti, i due amici coltivano il loro “amore” quasi fraterno aiutati dalla poesia degli alpeggi di montagna, lo sfondo della famiglia caratterizza le vite dei due ragazzi.
La passione per la montagna, il rispetto della natura, tante belle fotografie di due vite che si intrecciano e proseguono una nell’altra.
Il rapporto con il padre è fondamentale sia per Bruno che per Pietro, nel bene e nel male tutto è condizionato da questi rapporti, dalle passioni che animano i personaggi, l’amore per la montagna e la solitudine.
La difficoltà dei figli a capire le ragioni dei padri è un tema presente nella narrazione, alcune volte un padre, se pur mosso da buone intenzioni, non è in grado di comunicare al meglio il suo disegno, altre volte i figli non recepiscono i grandi doni che un genitore vuole dare.
La parte finale del romanzo è particolarmente emozionante e ben pensata, tutto il racconto è ben scritto e piacevolissimo da leggere. Cognetti ha una bella prosa, chiara, pulita emozionante, pur non conoscendo gli altri titoli in gara ritengo che questo romanzo meriti il premio vinto ampiamente.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    19 Agosto, 2017
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Quel peso leggero che cambia le cose

Quasi dimenticavo il piacere di immergersi in una lettura, molto tempo è passato dalla mia ultima recensione e dal mio ultimo libro letto. Un nuovo lavoro ha modificato alcune abitudini o forse questa lunga pausa era necessaria, ho deciso di ripartire da dove avevo cominciato scrivendo le mie recensioni, è il richiamo alla lettura mi ha portato ancora una volta a Erri De Luca e il suo: “Il peso della farfalla”. Questo breve ma denso racconto è come sempre per me una piacevole camminata fra prosa e poesia, lo stile di De Luca è sicuramente un suo distintivo. Questa storia da voce alla natura, ci immerge a pieno nella vita di una comunità di camosci, ci presenta il re dei camosci e con lievi pennellate ci dipinge la sua storia e la sua vita. Lo scrittore napoletano rende quasi umano questo camoscio, lo fa quasi dialogare con noi, ci fa vivere le sue emozioni e le sue paure, la sua voglia di rivalsa.
Una bella metafora della vita che ci mette in armonia con la natura e ci fa scontrare con la prepotenza umana, il cacciatore forse siamo un po' tutti noi, spesso sordi ai richiami della vita e della natura, non ci accorgiamo delle sue regole e delle sue gerarchie e per questo non le rispettiamo.
Il peso della farfalla è quella leggera energia fragile e allo stesso tempo così potente da poter cambiare le cose, da poter cambiare il corso di una vita.
De Luca a mio parere è uno scrittore musicale, porta nei suoi racconti quel ritmo che sicuramente ha dentro, sceglie le parole giuste, sa come giocare con le parole, conosce le note giuste. Con questo racconto De Luca ha donato il piacere di ammirare la natura e di rispettarla, ha dato spazio al valore che essa ha, e che troppo spesso dimentichiamo, ha posto l’uomo in questo contesto e ci ha fatto capire che in fin dei conti, nel nostro intimo, non siamo poi così lontani.
Un'altra bella storia, ma forse si sa sono di parte, De Luca riesce sempre a darmi qualcosa che spesso tanti altri non mi danno.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    11 Novembre, 2016
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Scrivere una maratona

Cosa ha a che fare la corsa con la scrittura? Questa è la domanda che mi sono posto prima di leggere questo libro di poche pagine, ma molto interessante. Il taglio profondamente autobiografico racconta due delle passioni più importanti di questo grande scrittore giapponese. Murakami ci fa sentire accanto a lui mentre corre in giro per il mondo, tra Hawaii, Boston, New York e Giappone, a tratti proviamo la fatica che si prova a correre una maratona e l’energia mentale che ci vuole per scrivere un romanzo. Molto bello il parallelismo tra scrittura e corsa, illuminanti le analogie: perseveranza, resistenza, concentrazione, costanza, disciplina. Ben messa in evidenza l’importanza dell’allenamento quotidiano, sia esso di tipo fisico, per la corsa, che di tipo mentale per la scrittura, l’esercizio quotidiano e regolare è fondamentale per entrambe le discipline. La dicotomia mente / fisico diventa un tutt’uno per entrambe le discipline, non è possibile affrontare una maratona senza esercizio fisico intenso, ma soprattutto senza una preparazione psicologica ed emotiva adeguata, lo stesso discorso vale assolutamente per la scrittura. Murakami ci fa provare quella fatica fisica che si può provare scrivendo un romanzo, ci fa, allo stesso tempo, vivere un po’ di quella fatica fisica e soprattutto mentale necessaria per correre e portare a termine una ultra maratona (corsa ai limiti umani di 100 Km). Lo scrittore maratoneta racconta delle sue motivazioni, le sue difficolta, gli ostacoli affrontati per correre una maratona, svolgere una gara di triathlon e scrivere un romanzo.
Così come l’uomo si forma e si trasforma nel corso degli anni per arrivare al proprio stile distintivo nella narrativa, allo stesso modo si forma e si trasforma nel corpo e nella mente, per poter creare la muscolatura utile alle discipline sportive che ha deciso di praticare.
Ecco il parallelismo tra scrittura e corsa, una continua crescita psicofisica indispensabile per portare a termine maratone, gare di triathlon e romanzi.
Per correre una maratona ci vuole il giusto fisico, ma fondamentale è avere una mente pronta ad affrontare uno sforzo così intenso, bè sembrerà strano, ma per Murakami anche scrivere un romanzo richiede gli stessi ingredienti.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    06 Novembre, 2016
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Scrivere è parlare di se stessi

Un libricino sull’arte di scrivere racconti messo insieme collezionando articoli, lezioni e scritti di una delle più grandi autrici di racconti. La O’Connor ci spiega qual è la sua visione sulla scrittura, i suoi pensieri in merito a questa arte che ha contraddistinto tutta la sua esistenza. La scrittura per Flannery è intima, personale in ogni suo componimento ci mette tutta se stessa, il suo essere cattolica, la sua americanità, la sua appartenenza agli stati del sud. Per lei scrivere significa mettere tutta se stessa nei suoi scritti, allo scopo di rappresentare la vita in maniera più reale e concreta possibile. Creare personaggi che siano credibili, una sorta di realismo che è fondamentale per ottenere risultati. Scrivere per scrivere, per la passione, per raccontare e per aprirsi agli altri, non per denaro. Non farcire la scrittura di sentimenti descritti, ma scrivere di avvenimenti che suscitano questi sentimenti, scrivere di personaggi che provano questi sentimenti, che parlano come se provassero determinate sensazioni.
Un bel libricino che in sostanza ci dice che quello che scriviamo deve pienamente appartenerci, non può esserci estraneo, un invito alla lettura dei suoi racconti, riconosciuti e utilizzati da tutti come ricca fonte di ispirazione.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    17 Ottobre, 2016
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Il tocco che rivela una storia

Lo stile di De Luca, rimane invariato e, a mio avviso, piacevole come sempre. L’idea di questa storia è interessante, la commistione fra l’arte e l’artista che si trasfigura e si “tortura” per provare su stesso il dolore provato da Cristo in croce, per poter raffigurare al meglio ogni singolo dettaglio. Lo stesso trattamento se lo infligge il restauratore, chiamato per eliminare il panneggio e ricostruire la “natura” del Cristo in croce. Un uomo di montagna che con fatica e profondo senso di onesta aiuta le persone a varcare il confine senza pretendere nulla in cambio, una comunità che lo allontana perché “diverso”, perché mette in “cattiva luce” gli altri.
La “fuga” dal suo ambiente, per rifarsi una vita in un luogo differente, per sfruttare la sua arte, il protagonista entra in simbiosi con l’opera da restaurare, ne percepisce al tatto ogni singola asperità, ogni impercettibile ruvidità, vive la croce e rivive la sua storia.
Il ritorno al suo mondo è inevitabile, un’altra traversata, forse l’ultima, la fine di un epoca, di un tempo che non potrà più tornare.
Il romanzo di De Luca è discretamente piacevole, ma non mi ha dato le emozioni di altri suoi lavori, non mi ha toccato particolarmente, ma ovviamente questa è una mia personalissima considerazione.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    03 Ottobre, 2016
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Scuola di vita

Il Rugby è uno sport nobile alla quale mi sono avvicinato da poco e per caso, accompagnando mio figlio di cinque anni ai suoi primi allenamenti, e poi al primo torno ufficiale. Con questo stimolo ho letto questo libro ben scritto e appassionante, con la voglia di capire cosa c’è dietro a questo sport che a prima vista è quanto di più “violento” e confusionario ci possa essere per un sport di squadra.
Leggendo questo libro si capisce invece di quanta organizzazione e precisione ci voglia per poter praticare al meglio e con la massima sicurezza possibile questo sport. Ogni regola ha un suo senso, la violazione anche di una sola regola rende il gioco poco fluido e piacevole.
La lettura conduce a tre livelli di interesse: quello per le regole base dello sport, la filosofia che lo contraddistingue e le emozioni che trasmette. Leggendo il libro si possono capire i fondamenti, ma soprattutto le analogie che lo accomunano più ad uno sport di lotta che a qualcosa di simile al calcio o al basket. Le emozioni che si provano, governate da adrenalina e estrema concentrazione, sono intense e funzionali all'amore che nonostante tutto nasce in chi lo pratica. Lo spirito di squadra, forse più forte nel Rugby che in altri sport, è fondamentale per la sopravvivenza prima ancora che per la vittoria, il rispetto per l’avversario anche se manifestatamene inferiore.
Il libro spiega la filosofia di questo sport che è un modo di vivere, un modo di essere, un’educazione che vale per tutta la vita. La sopportazione del dolore, la dissimulazione dell’inganno, leggasi simulazioni non ammesse, il rispetto per l’autorità nella figura dell’arbitro, l’inutilità della protesta, dannosa e penalizzante per il gruppo. L’individualismo diventa fondamentale, ma solo se a servizio della comunità, gli infortuni diventano una sfida a rialzarsi sempre, a continuare a combattere, solo chi è in piedi può giocare, chi è a terra non serve a nulla, diventa trasparente. Mauro e Mirco raccontano episodi della loro carriera, le botte prese, le delusioni e le immense gioie, i gravi infortuni, dolorosi, vengono raccontanti come una cronaca, non per piangersi addosso.
Un bel libro che racchiude lo spirito del Rugby, secondo i fratelli Bergamasco. Rampin, psicoterapeuta, ci fornisce in parallelo una chiave di lettura più vicina alla psicologia e alla filosofia che questo favoloso sport racchiude in se.
Continuo a vedere mio figlio giocare a Rugby ed è una delle cose più belle ed emozionanti per me, lo vedo lottare e crescere, seguendo, per il momento, questa strada non semplice forse, ma sicuramente bellissima.

“Dici rugby e pensi a un sacco di botte e zuffe gigantesche, poi guardi i bambini giocarlo e ti rendi conto di quanto sei ignorante”

(Trofeo Topolino 2002: la più importante manifestazione nazionale di mini rugby).

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    23 Settembre, 2016
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La storia triste in chiave tragicomica

L’Italia nella seconda guerra mondiale con tutto il suo carico di morte, devastazione e disperazione, questa la scenografia di un libricino tanto breve quanto intenso. Storie di uno scemo di guerra è un mescolarsi di realtà e pura fantasia, il vernacolo romanesco ci porta in una realtà piacevole e accogliente nonostante lo strazio della tragedia di quei disgraziati primi anni quaranta. Il vivere semplice apprezzando le piccole cose che la povertà e la miseria della guerra porta con se. Celestini è bravissimo ad orchestrare e districarsi tra diverse sensazioni, la romanità che distingue tutti i personaggi è eccezionale e ben rappresentata, soffrono con un nostalgico sorriso sulla bocca, vivono le tragedie senza essere tragici in questo è racchiusa la bellezza di questo libretto. Eccezionali alcuni passaggi dove anche le mosche, insetti ripugnanti passano per avere una loro dignità, una loro funzione sociale. La deportazione nei campi di lavoro e di concentramento, la morte, la sopravvivenza, la liberazione e le fantasie quasi oniriche in storie inventante o forse scambiate per vere a causa della confusione, della disinformazione, della semplicità di popoli umili e semplici.
La narrazione di Celestini affascina per l’importanza che viene data ai dettagli, alle piccole cose, minuscole parti che compongono grandi storie.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    07 Settembre, 2016
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La storia della fotografia italiana e non solo

Avere successo nel mondo della fotografia senza essere fotografa è a mio avviso la conferma che la fotografia, come le altre arti, non sta esclusivamente nel gesto tecnico, ma in qualcosa di più profondo, nella nostra anima. Grazia Neri racconta la sua storia e le vicende che la portarono a creare una delle più grandi agenzie fotografiche del mondo, sicuramente d’Italia.
Grazie a questa agenzia molti fotografi italiani e non hanno raggiunto il successo e ci hanno consegnato capolavori di reportage che rimarranno nella storia della fotografia. La signora Neri ci porta nella sua agenzia presentandoci: collaboratori, fotoreporter, e professionisti che hanno contribuito allo sviluppo di una agenzia, che nata come piccolissima realtà si è guadagnata una fama planetaria. Il libro affronta gli svariati aspetti della fotografia, le molte figure professionali ad essa collegate, ci spiega cosa fa un foto editor, con aneddoti e interviste ci immergere in un mondo favoloso, fornendo, ad appassionati e non, differenti stimoli e chiavi di lettura sul mondo della fotografia a trecentosessanta gradi.
Quello che chiaramente traspare è la Passione per questo mondo, la Passione per i libri, le belle letture e la bella letteratura, la passione per le notizie e la lettura dei quotidiani e periodici alla qualle ha dedicato tutta una vita. Fotografia e lettura, due mezzi espressivi differenti che in realtà convivono e vivono uno dell’altro e allo stesso tempo godono di una estrema autonomia. Interessante la considerazione sui fotografi studiosi di un tempo, quelli che studiavano per settimane o mesi i luoghi, e le persone che avrebbero fotografato. Bello il brevissimo capitolo su Steve McCurry, il fotografo della bambina afgana, un fotografo capace di studiare a tal punto luoghi e persone da riuscire a catturare perfettamente il momento giusto, quello decisivo, anticipare i movimenti e i comportamenti per essere pronto al momento opportuno.
Un libro sicuramente interessante per gli appassionati di fotografia, ma non solo, un racconto su come la passione possa condurre a creare realtà che diversamente non sarebbero possibili.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    10 Luglio, 2016
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Noi la nostra mente

Moltitudine di neuroni, cellule specializzate, come molte altre del nostro organismo, prese singolarmente servono a poco e pure sono fondamentali per la nostra esistenza. Il saggio, a cavallo fra neuroscienza e filosofia, ci conduce fra le miliardi di autostrade costruite fra miliardi di neuroni per far passare infiniti impulsi elettrici e neurotrasmettitori. Tutta la scienza e conoscenza su questo affascinante organo per spiegare come vediamo il mondo, come viviamo ogni singolo attimo della nostra vita, per dirci che in sostanza noi siamo quello che il nostro cervello ci fa percepire. Interessante l’approfondimento su mente conscia e inconscia, grazie all'inconscio siamo in grado di condurre molte delle nostre attività quotidiane come se inserissimo il pilota automatico. Ho personalmente sperimentato questo meccanismo pochi giorni fa durante un viaggio in automobile, fortunatamente sono qui a raccontarlo: mentre guidavo con il “pilota automatico” della mia mente il mio vicino di corsia mi taglia la strada, in una frazione di secondo il tempo si è dilatato e anche la mia percezione, il cuore pulsava a mille. Le braccia, come per miracolo, hanno sterzato verso destra, gli occhi hanno esteso il campo visivo e mi hanno permesso di vedere un camion che arrivava da destra, questo impulso mi ha fatto sterzare nuovamente verso sinistra riprendendo la normale traiettoria. Ho impiegato un minuto per scrivere le azioni che ricordo di aver fatto e molto meno di un secondo per fare tutto ciò qualche giorno fa. Il “programma installato” nella mia mente è salito in superficie e ha salvato la mia vita e quella dei miei cari.
Ogni esperienza, ogni percezione, ogni emozione contribuisce ad arricchire questi “programmi”, contribuisce a fare la nostra storia e renderci quello che siamo.
La parte finale del libro sfocia nella fantascienza, in possibili sviluppi di interazione cervello macchina, e forse la parte meno interessante e concreta del libro, ma è affascinante immaginare cosa sia possibile fare con il nostro cervello. Una lettura interessante e appassionante, per uno come me che a periodi non disdegna di tuffarsi in saggi, staccandosi dai sempre amati romanzi.
Una piccola provocazione, alla quale credo poco: e se in fin dei conti la nostra vita fosse solo la percezione dovuta a miliardi di impulsi elettrici pilotati da qualcuno?

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    27 Mag, 2016
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Le passioni per le cose semplici

Vitali scrive un’altra storia dal gusto di passato, atmosfere di paese di tempi ormai persi. Il gioco delle bocce un torneo tra circoli di paese, una finale da giocare, un funerale e una conclusione tragicomica.
Simpatici i nomi scelti per i personaggi, le dinamiche, i rapporti tra i protagonisti. Un romanzo sicuramente simpatico ma senza grosse pretese, una storia che fa dimenticare per poco più di duecento pagine la frenesia del presente in cui viviamo, il pregio di Vitali è sicuramente quello di farci immergere nel passato. La scrittura di Vitali è sempre ironica, piacevoli gli sprazzi in dialetto, messi in “bocca” ai personaggi più anziani, che spesso, ancora oggi, non parlano altro che dialetto.
Ancora una volta la sua Bellano, sul lago, un viaggio verso la Svizzera raccontato come fosse un volo transoceanico, Lucerna diventa un paese alieno, con persone che parlano in maniera incomprensibile. Un filo si assurdo percorre tutta la storia, e in assurdo si conclude.
Le passioni: quella per le bocce, quella di Rosalba per il cognato morente, le vicende che portano a far quadrare il tutto, grazie all’infinita precisione delle previsioni di medici svizzeri.
Non si tratta sicuramente di un'opera indimenticabile, ma la lettura è comunque piacevole e a tratti divertente, duecento pagine di spensieratezza, semplicità, ma anche di sapori retrò, e un po’ di desiderio di rallentare e godere di più delle cose semplici.

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Racconti
 
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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    05 Mag, 2016
Top 100 Opinionisti  -  

CELESTINI E IL SUO CONDOMINIO, ELETTRICO

Il manicomio elettrico è la visione di un internato, recluso per trentacinque anni in un manicomio che faceva uso dell’elettricità sulle tempie, per accendere una luce nel cervello, una luce che toglieva la paura e faceva guarire.
Celestini è abile nel portarci in questo luogo e farci entrare non solo in un manicomio, ma soprattutto nella testa di Nicola e nel suo modo di vedere e vivere la vita, ci racconta esperienze orripilanti con il sorriso sulle labbra, con l’ingenuità di un malato di mente, di un diverso, un reietto, dell’emarginato perché strano, scomodo per i normali che saremmo noi, che siamo fuori e ci sentiamo tranquilli.
L’abominio dei manicomi e dell’elettroshock, la disumanizzazione di persone, alcune volte deboli, altre semplicemente spaventate, spesso troppo sensibili per affrontare una vita cannibalizzante, una specie di lotta tra i “normali” e i “matti”. Un luogo di isolamento e non di recupero, il recupero e la guarigione non sono semplicemente contemplate.
La speranza di poter convivere con sensazioni forti e difficili da gestire, la possibilità di alleviare le paure e dare una speranza è annullata in questi posti, chi ne esce è distrutto per sempre o è morto, morto da anni e deve andare avanti comunque.
Celestini è bravo a rendere questo sfacelo quasi comico a tratti fa sorridere, insieme alla realtà di fatti crudi, ci mette anche visioni oniriche e folli di una mente sicuramente disturbata, ma bisognosa di cure più umane nel rispetto della dignità umana.
Toccante e intelligente.

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Romanzi autobiografici
 
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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    26 Aprile, 2016
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La musica classica

“Abuso. Che parola. Stupro è meglio. Abuso è quando mandi a cacare il vigile per strada.
Quando ……. un bambino di sei anni non è abuso. Non si avvicina neanche a un abuso. E’ stupro violento.”
Una frase forte con la quale Rhodes, pianista professionista inglese, ci introduce nel buio della sua infanzia, ho volutamente omesso una parte di quella frase, perché troppo volgare e poco utile a farvi capire il senso di questa biografia. Un fortissimo pugno in faccia appena svegli, prima ancora di percepire che sia giorno, prima ancora di rendersi conto di essere pronti a partire per una nuova giornata. Fa male leggere certe cose, fa male solo pensare che queste oscenità possano essere subite da un essere umano per mano di un altro essere umano, se la vittima poi è un bambino fa veramente voglia di uccidere qualcuno a mani nude.
Disagio psicologico, fisico, traumi che è impossibile cancellare, si attenuano leggerissimamente e a tratti, colpi tremendi che squassano l’animo e il corpo per sempre e che spesso portano ad una fine inevitabile.
Non ho divorato questo libro anche se mi è piaciuto e mi ha colpito molto, ho voluto far entrare dentro di me la vita di questo pianista poco per volta, ho voluto ascoltare la musica che capitolo dopo capitolo suggeriva, quella che tra pochi alti e moltissimi bassi lo hanno salvato, almeno per ora. Mi ha avvicinato all'ascolto della musica classica, per pianoforte in prevalenza, strumento che adoro ascoltare, ma non solo. Ho letto le pagine di questo libro con un costante sottofondo di musica classica, le note mi hanno coccolato durante le bastonate che l’autore mi dava, è stata una bella esperienza che consiglio.
Rhodes affronta il peggio che un uomo possa subire, violenze, droga, alcool, ospedali psichiatrici, solitudine, rifiuto della vita, a tratti lo manderesti a quel paese, e qualcuno ovviamente lo fa, a tratti vorresti abbracciarlo e aiutarlo e qualcuno per fortuna lo ha fatto veramente.
Un continuo sali e scendi dagli abissi al successo, una vita che si spezza e si ricostruisce ogni volta, un figlio che forse, più della musica, lo tiene in vita, lo salva poco prima dell’abisso, pochi minuti prima del non ritorno.
La famiglia e l’amore sono la sua salvezza per ora, l’amore per la sua nuova moglie, per suo figlio, per la musica classica. Questa storia è forte, mi ha fatto riflettere molto, su quanto sia fragile l’uomo e su quanto siano da tutelare i bambini, quanto sia importante circondargli d’amore. Questo libro mi ha lasciato una bella abitudine, la sera, prima di mettere a letto mio figlio, ci sediamo insieme sul divano e con le cuffie ascoltiamo insieme un po’ di musica classica.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    07 Aprile, 2016
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Un salto nel profondo dell'animo umano

La vita borghese con tutti gli agi, le comodità che essa porta, un buon lavoro, una bella famiglia, un nome rispettabile. Una situazione invidiabile o che forse molti di noi vivono, una situazione che all'apparenza può risultare ideale, eppure l’animo umano è talmente complesso e spesso subdolo da sfuggire a certe dinamiche. La storia di un uomo per bene, che per bene si ritiene anche dopo tutto, un uomo chiuso in uno schema che può risultare troppo stringente, limitante della libertà personale.
Simenon va ancora a scavare nei profondi angoli del nostro essere, ci fa scoprire che rimanere nella nostra area di confort può essere comodo, ma ci limita, ci ingabbia in una realtà che potrebbe non essere la nostra.
Questo romanzo è un giallo che non ha molto da svelare, perché tutto è già svelato, un crescendo di tensione e aspettative che si conclude in maniera particolare e forse spiazzante. Qual è la verità sul caso Popinga? Leggete il libro e lo scoprirete potrei rispondere, in realtà non c’è una realtà, una singola verità, ma una molteplicità di punti di vista. Riusciranno i buoni a catturare il cattivo? In questo romanzo tutto è messo in discussione, la figura dei buoni mista a quella dei cattivi, Simenon è bravo a non marcare una distinzione netta tra il bene e il male, Popinga è il male? Se così è non mi è parso, nonostante tutto. Popinga non è un eroe, è un uomo semplice e complesso allo stesso tempo, un uomo che ha vissuto per quarant'anni una vita comoda, ma fastidiosa al contempo, dipende dai punti di vista. Un romanzo che ci porta a spasso come una piccola telecamera nascosta nella giacca del protagonista, ci fa vedere la vita con i suoi occhi, Parigi e i suoi alberghi, i suoi locali. Siamo immersi nella personalità del protagonista a tal punto da approvare senza troppe condanne tutte le cattive azione del signor Popinga. Ho provato simpatia per lui, quasi compassione, Simenon è un grandissimo in questo, ci presta gli occhi del suo protagonista e ci induce a pensare che non sempre il male è solo male.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    06 Aprile, 2016
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Un punto di vista

Un libro intervista sui temi sociali e culturali cari a Celestini. I conflitti di un tempo, e quelli più recenti in Ruanda, l’emarginazione del diverso più per ignoranza e paura che per una vera consapevolezza. Cos'è la cultura per Celestini, è leggere una poesia svariate volte non per impararla a memoria, ma per cogliere tutte le sfumature e i particolari, conoscerla da un punto di vista più intimo, la cultura in fin dei conti è conoscenza.
Tante domande e tante risposte che spingono a tante riflessioni, a quel senso di sapienza che riteniamo di avere non basata su quello che realmente sappiamo perché esperito o interiorizzato, ma perché così ci è stato raccontato. La passione per il racconto, prevalentemente orale, un racconto che può essere basato su fatti reali o immaginari, ma che in se porta un significato forte e importante.
Il libro è ricco di riferimenti ad altri libri dello stesso autore e non, molti spunti di approfondimento, riferimenti che mi hanno spinto ad acquistarne altri di Celestini, che spero presto leggerò.
Una lettura interessante e che spinge ad alcune riflessioni, una visione interessante e appassionata della nostra società.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    21 Marzo, 2016
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Gesù uno di noi. Noi.

Un libro organizzato come un copione teatrale, un dialogo fra Giuseppe e Maria in prossimità della nascita del Redentore, durante la sua vita e dopo la sua morte. La voce del narratore spiega e contestualizza la storia, le vicende sono inserite geograficamente nei luoghi canonici, ma la mentalità e le usanze sono tipicamente quelle del nostro meridione.
A chi somiglia il bambinello santo? Il pettegolezzo per una paternità accettata di cuore da Giuseppe, ma con un evidente dubbio, nato dalla certezza di non essere il padre naturale di Gesù, un atto di fede e di fiducia nei confronti di Maria, che è sicuramente pura e indiscutibilmente onesta. Un amore quello fra Giuseppe e Maria che va oltre, è forte nonostante tutto, Gesù definito come il primo “latitante” della storia, Gesù visto come un bambino speciale, poi un ragazzo speciale e in fine un uomo speciale. In prossimità della Pasqua, che per i cristiani è la commemorazione della morte e risurrezione di Cristo, questa è una lettura interessante, anche se a onor del vero non mi ha particolarmente entusiasmato. Simpatico il tentativo di italianizzare la Sacra Famiglia con sfumature caratteriali tipicamente partenopee e meridionali, quasi a voler dire che la Sacra Famiglia siamo noi, è in noi, è lo specchio di ogni famiglia, un tentativo di renderla più intima, più vicina a noi. Cristo è un messaggio vivente per tutti i credenti di fede cristiana, ma lo è anche per i credenti di altre fedi, che lo riconoscono quanto meno come profeta. Cristo reso umano nella sua misticità, per poter essere più facilmente comprensibile anche ai cuori meno mistici.
Questo è il senso che ho voluto dare a questo libro, che non definire un romanzo, ma un messaggio e in questa chiave, complessivamente, non mi è dispiaciuto. Un po’ forzata però la strada presa da De Luca per “meridio-italianizzare” la vita e la morte di Cristo.
Anche lo stile di De Luca è diverso dal solito in questo libro, a mio avviso meno poetico del solito, anche se dimostra tutta la sua conoscenza su questo argomento.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    17 Marzo, 2016
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Tutto ha un prezzo? Forse no.

Opera in due atti che su suggerimento dell’autore andrebbe messa in scena e recitata praticamente senza interruzioni, a mio avviso andrebbe allo stesso modo letta senza interruzioni. Una lettura interessante ed emotivamente coinvolgente, il primo atto è un crescendo che porta al culmine della scena. Definire un prezzo per oggetti e mobili apparentemente inutili ed abbandonati, diventa un pretesto per far incontrare due fratelli divisi da anni di silenzi, incomprensioni, e realtà nascoste o volutamente ignorate. Uno diffidente e l’altro in parte cambiato e aperto al dialogo e al confronto, uno apparentemente realizzato e l’altro frustrato, un alternarsi di punti di vista, una moglie e un anziano perito che forse è l’ago della bilancia e allo stesso tempo la goccia che fa traboccare il vaso.
Bellissima la scrittura di questa opera teatrale, molto incisivo il dialogo a quattro, particolarmente toccanti e profondi alcuni scambi tra fratelli.
Mi sto avvicinando in questo periodo alla lettura di opere teatrali e mi meraviglio di quanto sia bello e affascinante conoscere una storia e vivere più intimamente i personaggi semplicemente leggendo dialoghi e solo alcuni sprazzi di scene, espressioni, movimenti e atteggiamenti. Molto preciso il dialogo, il parlato, lasciato alla singola fantasia di ognuno di noi il resto, l’ambientazione appena accennata e pur così incisiva da rimanere bene in mente, molto bella e curata in questa opera la caratterizzazione dei personaggi e soprattutto dei loro modi fare, reagire esprimersi.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    14 Marzo, 2016
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La scala verso l'abisso

Una scrittura piacevolissima, un incalzare di scene in un crescendo di eventi che compongono una storia con tutta la suspense di un giallo senza avere la connotazione classica di questo genere.
La storia di un amore, di più amori, Étienne e Louise marito e moglie in una casa attigua ad un negozio, una scala di ferro a fare da divisorio, fra due vite, fra due porzioni di ogni giornata: il lavoro, e la privacy di una dimora. Una scala, doppio gioco di un sali e scendi, come gli alti e i bassi della vita di ogni giorno, un separé indiscreto che copre e allo stesso scopre i segreti.
Simenon è un maestro di queste dualità, un artista della parola pensata, calibrata in ogni suo significato, un direttore d’orchestra di piccoli eventi che creano quella grandiosa sinfonia che è la vita. Sentiamo tutto il dolore dei malanni di Étienne, la sua paura, l’ansia e la disperazione di essere in parte co-artefice di tutto. Percepiamo un senso di inquietudine di una Louise passionale e volubile, attenta alle cure per il marito e scaltra a celare il mistero.
Una prima parte introduttiva vista in prevalenza dall’appartamento in cima alla scala, da dove è possibile percepire solo in parte la realtà, Simenon sale e scende quella scala svariate volte per avere una visione completa del quadro, nella seconda parte ci porta con lui ai piedi di questa scala e ci fa vedere un altro dipinto, ci lascia sempre un dubbio, fino alla fine. Étienne scende dalla scala insieme a noi e questa trama si dipana, un salto in basso verso l’abisso.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    09 Marzo, 2016
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Attesa dicotomica tra sense e nonsense

Due amici Vladimir e Estragon due persone comuni un po’ sempliciotte e a tratti ai limiti dell’idiozia, Estragon in particolare. Pozzo è l’uomo che sfrutta Lucky come fosse uno schiavo, quasi alla stregua di una bestia, bella trovata chiamare “Fortuna” un personaggio che di fortunato a ben poco, diamogli un bel calcio a questo punto.
Potremmo facilmente calare tutta questa opera teatrale in una realtà alla quale siamo abituati, proletari, padroni, poveracci, la fortuna, Dio, la felicità e i rapporti che intercorrono fra tutte questi attori. Godot è Dio? Oppure un qualsiasi signore, è la felicità, la ricchezza, o cos’altro? E perché tanta attesa, perché tanta aspettativa? non è necessario fare troppi pensieri su queste dinamiche.
Probabilmente la grandezza di questa opera sta proprio in questo nostro rimuginare sugli eventi e sulle aspettative dei personaggi e al contempo essere immersi in un nonsense ininterrotto, solo pochi sprazzi di lucidità apparente, anch'essa nonsense.
Beckett ci lascia con il fiato sospeso fino alla fine e chissà se questa sensazione ci lascia al termine della lettura, rende perfettamente la sensazione di attesa, quell'emozione di ansia e angoscia, mista a gioia e speranza che viviamo quando aspettiamo, qualcosa, qualcuno.
Non ho visto la rappresentazione teatrale dal vivo, ma la scenografia la vedo scarna, pochi elementi essenziali. I personaggi, nella loro “follia” dialettica sono forti e rimangono impressi in mente, tutti, soprattutto Godot nella sua evanescente ma forte assenza o presenza? O inesistenza?

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    06 Marzo, 2016
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La villa del sublime romanticismo

Una storia in incognito, una identità sbiadita come sbiaditi sono i ricordi che compongono la narrazione, un salto temporale avanti e indietro. Una fuga dalla guerra d’Algeria tuffandosi in una realtà che pare non essere così reale e in questa dimensione nasce un amore, forse vero a metà.
Una ambientazione fumosa e indistinta come vaghi sono i ricordi, striscianti le ore e le giornate passate come striscianti sono gli amanti in una villa, una villa triste nella quale abbandonarsi, soli distesi a terra al buio, cercandosi e perdendosi, una scena bellissima carica di un erotismo romantico che mi ha particolarmente colpito. La ricerca di una vita nuova oltre oceano, una fuga d’amore che forse triste rimane come triste è la villa che per paradosso racchiude i momenti più romantici e intensi di tutta la storia. Un altro romanzo che compone l’opera di questo grande autore, un componimento giovanile che a mio avviso non ha ancora la grandezza di altri capolavori di Modiano, ma che è assolutamente piacevole leggere. Lo stile è il solito di Modiano, l’autore era alle soglie dei trenta anni e già aveva tutte le caratteristiche per diventare il grande scrittore che è diventato, la memoria, il ricordo erano già allora il suo punto cardine.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    28 Febbraio, 2016
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La grandezza delle piccole cose

Toccante e intensa questa storia di una famiglia povera e difficoltosa, una madre e sei figli e una figura di padre che non esiste, diversi uomini si avvicendano in casa a condividere anche solo per una notte un giaciglio umile con una donna sola ma onesta. Fratelli di padri diversi, fratelli e sorelle che creano dinamiche complesse in una casa molto povera e piccola, in un quartiere povero di Parigi a cavallo tra fine ‘800 e inizio ‘900. In questo mondo difficile spicca la figura eccezionale di Louis, un bambino che cresce in questa miseria con la superiorità d’animo delle grandi persone. I fratelli sbandano seguendo uno scontato destino, Louise subisce, ma non si lascia andare, con umiltà vive il suo destino. Grandioso il senso di felicità e di realizzazione di questo personaggio, Simenon scrive in maniera sublime, la malinconica atmosfera decadente e umile contrasta con il senso di gioia, che nonostante tutto alberga in Louise. Un cammino difficile che lo porta all’età adulta con una filosofia di vita vincente, forse la luce che vive in lui e lo porta a realizzare i suoi sogni, una passione inseguita per tutta la vita, una vita costruita giorno per giorno con continui sacrifici e dolori che potrebbero farlo deragliare. L’amore per la madre è qualcosa di eccezionale, il senso della famiglia nonostante tutte le condizioni avverse. In questo bellissimo romanzo Simenon ci dimostra ancora una volta cosa significhi essere grandi scrittori, ci insegna che non è necessario usare parole complesse e trucchi da illusionisti per stupire e colpire il lettore.
Le sue storie rimangono dentro di noi per sempre, i suoi personaggi sono talmente vivi e forti da non rimanere chiusi nelle pagine di un libro, possono essere uno spunto per affrontare le nostre vite in maniera più profonda, Louis è uno di questi personaggi e forse anche mamma Gabrielle lo è, con le sue debolezze e le sue difficoltà.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    21 Febbraio, 2016
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Un incontro

La solitudine che conduce le vite in un vicolo cieco e le spegne con lentezza, fino a quando una piccolissima e debole luce ridona speranza. L’incontro di due anime doloranti e solitarie, con un recente passato difficile, può essere quella luce che dona una lieve speranza di rinascita. La storia di un amore nato per caso, per caso poi coltivato quasi in maniera distaccata, come a voler semplicemente contrastare quell’angosciante senso di vuoto dato dall’abbandono.
Alcune notti passate in giro per New York, nei pub, in locali a bere e vivere la città romantica in maniera spensierata, quasi catturati da una corda che non lascia scampo, il sesso inizialmente vuoto, meccanico ma solo in apparenza, come uno scalpello che fatica a scalfire il marmo di cui Kay e Francois si sono vestiti per sopportare le loro vite complicate e tristi.
Così un colpo di martello dopo l’altro eliminano ogni frammento di marmo in accesso, materiale che ricopre la bellezza dell’opera d’arte che già vive al suo interno, chiede solo di essere scoperta e riportata alla luce. Lei una donna senza troppe qualità, lui un attore, forse anche bravo, ma troppo chiuso in sé stesso e depresso per poter dimostrare il suo potenziale ancora una volta.
Un romanzo molto bello sull’amore, sul destino delle persone che forse altro non è che la giusta conseguenza di ogni nostra scelta, di ogni nostra azione. Un romanzo sulla rinascita, una storia che ci insegna che nulla è mai completamente perso per sempre e a quasi tutto c’è un rimedio. Molto intensa e piacevole la caratterizzazione dei personaggi, non sono supereroi perfetti e infallibili, non si tratta di una storia d’amore da romanzi harmony. Kay e Francois sono persone normali in un periodo difficile, forse non si piacciono poi molto fisicamente e sicuramente non apprezzano tutte le sfumature dei loro caratteri. Proprio in questo sta la grandezza di questa storia, nel dirci che ad un certo punto della vita ci si accorge, se si è fortunati, che non è possibile resistere a quella forza che esplode dentro di noi, e manda in frantumi tutti i nostri preconcetti, le nostre convinzioni, le nostre idee. Simenon ci tiene su una corda fino alla fine senza descriverci particolati colpi di scena, ci racconta un amore talmente intenso da stravolgere tutto, un amore che da più importanza alla bellezza di osservare insieme dalla finestra un sarto alle prese con il suo lavoro quotidiano, piuttosto che ad una notte passata a fare l’amore. Aspettare una chiamata o una lettera come un bambino aspetta Gesù bambino la notte di Natale, un sentimento puro senza segreti senza più quel guscio di marmo che ci copre pesantemente e non ci lascia vivere.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    17 Febbraio, 2016
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Una piacevole nostalgia

Ecco un’altra piccola perla che compone la splendida parure di gioielli di Modiano, piccola non per importanza o bellezza, ma banalmente per estensione. Una storia breve, intensa e incalzante, continui salti dalla memoria al presente, e un senso del tempo che si diluisce e si palesa in maniera nebbiosa come le ambientazioni della solita e immancabile Parigi.
Un incidente che ne richiama un altro, un doppio salto nel ricordo alla ricerca di se stessi e delle proprie radici, la figura di un padre sfuggente, assente, impalpabile fisicamente, ma molto vivo nell'essere del protagonista e credo dello scrittore stesso. Modiano ha il dono della magia e lo esercita con le parole giuste, sempre precise puntuali, mai superflue. Nessuno come questo scrittore è in grado regalarci una narrazione lineare e piacevole inserendo continui salti temporali, tanto ben scritti da non farci rendere conto dello stacco, ci fa capire perfettamente dove siamo senza scossoni, ci abbraccia durante una “caduta” attutendo il colpo con le sue parole.
Le storie di Modiano sono piccoli mondi e anche questa lo è, hanno tutte una conclusione definita che però non è l’unica possibile, come se volesse dirci: “io l’ho pensata così, voi fantasticateci su e andate pure avanti a pensarci per giorni, portate la storia con voi”.
Questo romanzo non fa eccezione, rimane con noi dopo la lettura, ci lascia tante domande nonostante la sua conclusione chiara e coerente.
Parigi, cosa aggiungere di più, Modiano sa dipingerla sempre con i colori appropriati, quelli notturni, un’altra storia scritta con i toni che vanno dal bianco al nero includendo qualsiasi tonalità di grigio, nostalgico forse, ma di una nostalgia che fa bene ai nostri animi.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    14 Febbraio, 2016
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Un giallo azzurro

Ignoranza, quella che mi ha sempre portato ad associare Simenon a Maigret e basta, la stessa che mi ha tenuto lontano da questo grande scrittore. La camera azzurra, azzurra come un senso di libertà che si pensa di avere quando si “trasgredisce”, quando si pensa di farla franca e si banalizza un evento che in realtà banale non è.
Una trama bella e ben definita, superbamente scritta, descrizioni e ambientazioni affascinanti di paesi francesi, dipinti con la maestria di un fuoriclasse. Simenon affresca un collettivo di personaggi di paese, dove tutti confabulano, tramano e pettegolano alle spalle degli interessati, un tradimento all’origine di tutto, una storia tutta inserita in un interrogatorio, in una indagine.
La storia è un giallo particolare, atipico, le scene vengono fuori poco per volta, Simenon è bravissimo a darci un sorso d’acqua per volta fino a toglierci la sete completamente nell’atto conclusivo.
Tony ci entra dentro, nonostante i suoi errori, nonostante la sua leggerezza iniziale, ci colpisce per le sue fragilità, per il suo essere vittima e sentirsi colpevole al contempo. Ci innervosisce Andrée e la sua ostinata ossessione, che conduce tutta la storia fino all’epilogo e forse oltre. I personaggi e la loro caratterizzazione sono eccezionali, la suspense è tenuta sempre a livelli altissimi fino all’ultima parola del romanzo, e oltre.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    11 Febbraio, 2016
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Voglia di vita monastica?

Un noviziato lungo un anno in poche pagine, concentrato di avvenimenti ed esperienze di vita monastica, sicuramente romanzate, ma che partono da una esperienza realmente vissuta dall'autore.
Esperienze forti, intense, che a tratti farebbero venir voglia di passare del tempo in un convento, per placare il frastuono e la frenesia dei nostri giorni. Episodi altrettanto forti, descritti in maniera interessante, che fanno invece venir voglia di tenersene alla larga.
Fervore, quello con cui un uomo decide di intraprendere un cammino tutt'altro che semplice e naturale, una chiamata, che deve essere confermata da tanto spirito di sacrificio, rinuncia e forti contrasti che mettono alla prova l’uomo.
La sessualità è evidentemente un aspetto fondamentale di questo cammino, ipocrita sarebbe non considerarla, in questo Tonon è bravo a non farsi intimorire, ci racconta episodi abbastanza intimi della vita monastica. La sessualità è sicuramente un contrasto estremamente intenso per chi decide di intraprendere questo cammino, è una sorta di spartiacque, un limite con la quale confrontarsi ogni giorno, una realtà che non si può annullare, ma alla quale si deve trovare un compromesso.
Non si tratta ovviamente di un trattato sulla sessualità nella vita monastica, Tonon ci porta nel convento, ci fa vivere gli ambienti del convento, le cellette, il refettorio, i campi da coltivare per mangiare. Ci presenta i suoi compagni di noviziato, i frati residenti, le loro abitudini e le disavventure.
Una scrittura sicuramente ricercata, composta come fosse un diario, un memoriale, un flusso di coscienza, un racconto classico, un insieme che rende particolare la lettura di questo romanzo breve.
Tonon scrive bene, ma ha uno stile, a mio avviso, un po’ troppo carico di orpelli, alcuni pezzi sicuramente poetici, altri estremamente pieni di parole troppo ricercate, per i miei gusti ovviamente. Tutto sommato un libro abbastanza interessante, che non mi ha rapito completamente, ma che non mi ha neanche deluso.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    09 Febbraio, 2016
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Un assurdo ottimismo

Candido e le sue peripezie, le sue disavventure, tutti gli innumerevoli accadimenti che durano una vita, dall'amore perso e ricercato fino allo spasmo, alle torture, le sevizie, le fortune tanto grandi quanto fugaci ed evanescenti. Nella natura umana credo sia presente un meccanismo che dia più peso alle sventure e un po’ meno alle grandi cose che giorno dopo giorno ci accadono. Semplice a questo punto considerare quanto appena scritto come una visione pessimistica della vita, ma non ritengo sia questo il punto, il punto è come viviamo in rapporto alle cose belle e le cose brutte che ogni giorno capitano nelle nostre vite. Non credo, come forse riteneva lo stesso grande Voltaire, che sia una questione di decidere se essere ottimisti o pessimisti, ma di decidere come condurre le nostre vite. Candido mi ricorda molto un altro personaggio molto più moderno, Forrest Gump, un ragazzone un po’ insolito forse, ma meno vincolato a ciò che deve essere fatto per vivere al meglio e affrontare ogni giorno con passione, coraggio, senza farsi coinvolgere e condizionare da tutto il male che immancabilmente incontriamo nelle nostre vite.
Candido di Voltaire è un grande messaggio di speranza, un messaggio che ci spinge vivere la vita e non a condizionarla in base a cosa ci è successo o a che cosa ci accadrà. La maggior parte degli episodi di questo romanzo sono drammatici, sicuramente romanzati ad arte e racchiusi in poche pagine, potrebbero risultare eccessivi. Ritengo che questo romanzo sia una iperbole di tutte le vite, una summa di tutte le cose negative e di come non serva né essere pessimisti né essere ottimisti, ma obiettivi e concreti nell'affrontare tutto quello che la vita ci porta vivere. Candido nella sua estrema tragicità e comunque un inguaribile ottimista, un ottimista inconsapevole e proprio per questo vincente.
Una storia ai limiti dell’assurdo, semplice, ma che racchiude un bellissimo messaggio, positivo, nonostante tutto.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    28 Gennaio, 2016
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Profondo, nella sua disarmante semplicità.

Questa è la storia di un uomo solo, la storia di un uomo al margine, un uomo alla ricerca di amici, di amori, di rapporti. Victor rimane in noi nonostante la sua povertà di spessore ancor prima della sua povertà economica, una miseria a trecentosessanta gradi, una esistenza al limite.
Per tutta la durata della storia ho avuto la sensazione che il protagonista si abbandonasse per diventare un clochard, in realtà si ostina a cercare amici, amori e lasciarsi alle spalle la solitudine, vero cruccio della sua esistenza. La narrazione è priva di una trama tradizionalmente conosciuta come tale, la storia si compone di una collezione di incontri, “I miei amici” per l’appunto.
Bove usa uno stile interessante, atipico e originale, tante vicende compongono la storia che è una parte della vita del protagonista, una parte che l’autore trasforma in tutto. Victor usa forse inconsapevolmente la sua pochezza e povertà per attirare su di se amici e amori, girovaga per Parigi alla ricerca della non solitudine, non cerca un lavoro, non cerca fortuna. Il suo essere attira su di se le attenzioni di diversi “Amici” che lo considerano più con un senso di compassione che per vero interesse di fratellanza e amicizia.
Continuo vagare alla ricerca di qualcosa che permetta di spezzare quel circolo vizioso di incontri e abbandoni, di speranze e disillusioni, ma che non cancellano mai quel orrendo senso di solitudine che dura una vita.
Profondo, nella sua disarmante semplicità.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    22 Gennaio, 2016
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Non mi toccare

Questo è il mio esordio con Camilleri, so già che è un romanzo differente dai suoi soliti gialli d’autore, ma inizio con il dire che mi è piaciuto tanto. Un romanzo composto quasi esclusivamente da dialoghi che, il grande maestro del giallo italiano, sapientemente organizza per raccontarci una vicenda. Una donna, palesemente volubile e facile all'amore, che solo poche persone capiscono fino in fondo. Camilleri dipinge un ritratto di una donna complessa e lo fa utilizzando lo strumento a lui più famigliare, il giallo, ma questo non affatto un romanzo giallo. Laura ci affascina e a tratti ci ripugna, sappiamo che è molto bella e anche lei lo sa, usa il suo corpo scindendolo da quello che la sua intima natura, usa il suo corpo per mettere a tacere la sua essenza. Una donna colta, profonda, estremamente intelligente, e allo stesso tempo apparentemente lasciva, pennellata dopo pennellata, dialogo dopo dialogo, Camilleri ci fa un’analisi completa di questa complessissima personalità.
Noli me tangere, non mi toccare, quasi una necessità disperata di annullare il corpo troppo scisso dall'essere dalla sostanza intima dell’esistenza.
Molto incisiva e decisiva la nota finale dell’autore, della quale dirò solo che è per me la perla che fa meritare la lode a questa storia. Solitamente non amo particolarmente i dialoghi nei romanzi, per mio gusto preferisco il racconto degli eventi, certo qualche dialogo ben organizzato può risultare piacevole. Per paradosso ho apprezzato moltissimo questa storia composta in prevalenza da dialoghi, discorsi, ritagli di giornali, lettere e notizie, tutto ciò mi ha fatto riflettere su quanto sia complesso strutturare dialoghi perfetti e piacevoli. Camilleri, con questo romanzo mi ha dimostrato che una storia può essere fatta esclusivamente da parole dette e non raccontate. Mi ha fatto sentire ogni singola parola, ogni suono di ogni singola frase, nelle mie orecchie risuona la voce del marito di Laura, del commissario Maurizi e di Laura. Questo grande scrittore mi ha portato nel centro delle indagini, a casa del signor Todini e nei suoi più intimi turbamenti, tutto questo grazie alla sua maestria nel congegnare dialoghi perfetti.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    09 Gennaio, 2016
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I due "occhi" gentili

Un nuovo salto nel passato, una ricerca della propria identità, negli incontri che ritornano e che fanno riflettere. Un fotografo amico del grande Robert Capa torna alla mente dal passato del protagonista, ricordato da alcune foto che lo steso fotografo, Jansen, aveva fatto trenta anni prima. Le solite affascinanti ambientazioni parigine, e gli altrettanto fascinosi caffè, la fotografia come medium del ricordo, o forse come chiave stessa per decifrare e reinterpretare avvenimenti sotto una nuova luce. Un uomo con una Rolleiflex, straordinaria macchina fotografica biottica del passato, inquadra e fotografa una coppia di innamorati, per un lavoro commissionatogli da una rivista americana. La Rolleiflex è una fotocamera che ritengo sia dotata di una personalità, possiede due “occhi” per osservare e fermare un istante che è destinato a rimanere vivo negli anni, è un modo di fotografare che ritengo gentile e meno invadente, per inquadrare e scattare si deve chinare il capo, come a voler chiedere scusa o per favore. Forse anche grazie a questo modo “gentile” di rubare un istante di vita, i due giovani amanti diventano amici di Jansen e frequentano il suo studio.
Per un appassionato di fotografia come me è stato piacevole leggere le poche pagine di questa storia, scritta ancora una volta con grande pulizia e classe da Modiano. Un intreccio di passato e presente un connubio che si aggroviglia al punto quasi di perdersi fra ciò che è vero e attuale , ciò che è vero e ricordato, e ciò che forse è semplicemente inventato. Una ricerca a ritroso su quello che è stato o su quello che ci è stato detto, un tornare ad uno snodo fondamentale della propria vita e dei propri rapporti. Jansen scompare all'improvviso e con lui il ricordo, ma solo temporaneamente, quello che lascia il segno, non si cancella mai definitivamente.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    04 Gennaio, 2016
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La storia, questa storia

Una storia, questa storia, una bella storia. Racconto intenso e ricco di significati, metaforico e allo stesso tempo molto concreto, reale per quanto riguarda buona parte del contesto storico.
Un padre con un’intuizione ed un figlio che lo segue e poi cerca la sua strada, la sua successione di curve, un susseguirsi di tratti di vita, drammatici, complicati, ma utili a raggiungere la meta, a realizzare il sogno. Una ossessione, una passione per le strade, per il loro tracciato che fa da metafora alla vita, una complicanza via l’altra e la continua voglia di proseguire.
Un romanzo bello e all’apparenza meno evanescente, meno onirico di altri di Baricco, eppure ho trovato anche in questa storia un alone di doppio significato, non si tratta di una storia fine a se stessa, ma di un sapiente insieme di emozioni, di punti di vista sull’esistenza, sull’amore. Molto bella e interessante la contestualizzazione storica dell’intera narrazione. Colpisce particolarmente la prima parte del romanzo, personalmente ho apprezzato le descrizioni dei rapporti fra padre e figlio, della passione di un padre che diventa fonte di una passione per il figlio.
Molto intensa anche la parte conclusiva che fa da resoconto e da completo senso al tutto.
Una bella scrittura quella di Baricco.
Una storia, questa storia, una bella storia.

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Romanzi autobiografici
 
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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    30 Novembre, 2015
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La voce scritta

Tanti episodi brevi ma intensi, il concentrato di una vita o la parte di essa che De Luca ha voluto farci conoscere. I ricordi della giovinezza napoletana, il duro lavoro in cantiere, la lotta operaia e tante istantanee di vita che racchiudono in breve un mondo, un’esistenza.
Alcuni capitoli sono a mio avviso straordinari, il racconto della parmigiana di melanzane, e il Natale lontano da casa, con persone di diversa cultura, ma non per questo ostili o distanti, il racconto di amicizie vere, l’unione nata dalle difficoltà, dove l’umanità e la fratellanza vanno oltre ogni religione, oltre ogni credo, oltre ogni colore, ogni cultura o tradizione.
Una storia composta da svariate piccole immagine, ben descritte al punto di sembrare catapultati dentro la storia.
Un bel libro, bello secondo i miei canoni ovviamente, bello per come è scritto, adoro il modo di scrivere di De Luca, sempre al confine tra prosa e poesia, e proprio con alcune poesie l’autore ci saluta.
Veniamo portati con lui in cantiere, sentiamo il freddo che ha patito e il calore con cui i suoi compagni di lavoro e di lotta lo hanno protetto. Entriamo nel suo studio di scrittore, leggiamo insieme a lui le sacre scritture, De Luca ci fa compagnia per poche pagine, ma almeno per quanto mi riguarda, rimane con me ancora adesso a lettura ultimata.
Certamente sono di parte, ormai si sa che adoro De Luca, adoro soprattutto il suo modo di scrivere, leggerlo per me è come ascoltare un racconto, la sua penna è “sonora”, il suo stile mi parla, nei suoi racconti sento la voce di Erri che mi parla. Solitamente si sa che il linguaggio scritto e quello parlato sono differenti e giungono a noi in maniera differente, questo scrittore mi rende meno distanti questi due modi meravigliosi di comunicare.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    24 Novembre, 2015
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I frammenti della memoria

Un viaggio nella memoria e come tutti i ricordi non si tratta di un resoconto continuo e lineare. Un uomo anziano rievoca tre periodi di una vita, tre personaggi un po’ nostalgici con un vissuto complesso, difficile combattuto. Forse gli ultimi ricordi prima della fine. Tre storie che ne compongono una un po’ frammentaria e poco articolata.
E’ ormai chiara la mia passione per De Luca e per il suo modo di scrivere, lo stile è il solito, a mio avviso piacevole, ma in questo caso non ho trovato una linearità nello scrivere, voglio pensare che questa frammentarietà sia dovuta ad un artificio narrativo per rendere al lettore quel senso di instabilità della memoria di un anziano giunto ormai al termine del suo cammino e circondato da quel poco ed essenziale che lo stato di eremitaggio concede, un lento distacco dalla vita.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    15 Novembre, 2015
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Un ironico intreccio a più voci

Ironico, simpatico e molto piacevole. Una storia semplice che già dall'inizio dà l’impressione di non voler prendere in giro il lettore, e infatti non lo fa. De Silva usa a pieno la sua napoletanità, quell'ironia intelligente e matura che ci conduce lungo tutta la durata del racconto. La storia di due amanti, maturi, alle prese con le rispettive famiglie, con i rispettivi coniugi, alla quale probabilmente non hanno più molto da dire, ma che, come sempre succede in questi casi, non riescono a dire addio.
Il rapporto clandestino, ricco di passione e di comuni litigi, non si tratta di una smielata fabula da romanzo rosa. Il romanzo è scritto a più voci, principalmente quella di lui e di lei che si alternano capitolo dopo capitolo, poi l’inusuale terza voce dello psicologo alla quale tentano di affidare la decisione che neanche i due amanti riescono a prendere. Le vicende sono narrate da entrambi i punti di vista, De Silva conosce bene le dinamiche relazionali tra uomo e donna, piacevole leggere il punto di vista maschile, nella quale spesso mi ritrovo, non come amante clandestino, ma come altra parte di una coppia. Non posso esprimermi per quanto riguarda il punto di vista femminile essendo io stesso di parte, non fosse altro che per genere naturale, mi piacerebbe sapere cosa ne pensa una donna. Il mio parere è che De Silva faccia un bel tentativo stilistico, identificandosi in una donna, mi rimane il dubbio che questo immergersi nell'universo femminile sia realmente riuscito, solo una donna potrebbe fugare questa mia incertezza.
Scrivendo d’amore e nello specifico di un amore fra amanti, si corre il rischio di cadere nella banalità di travagliate vicende amorose, sofferenze e drammatici episodi morbosi e angoscianti, De Silva con intelligente ironia riesce a raccontarci un altro aspetto dell’amore che troppo spesso le cronache ci riportano con strazianti e delittuosi eventi. Quello che in questo romanzo ho trovato con piacere è il giusto peso che si da agli avvenimenti della vita, questo atteggiamento ci permetterebbe di superare le difficoltà con un po’ di ironico fatalismo.
Non intendo banalizzare le tragedie che i telegiornali ci riportano ogni giorno, per quelle ho immenso rispetto, parlo di storie strazianti raccontate al solo scopo di fare audience.
Una lettura piacevole grazie alla pulizia della scrittura di De Silva.

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