Opinione scritta da MrT
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Trova la tua strada
Murakami è un nome che mi ha sempre attirato, sapendo che fosse in grado di trasmettere e condividere quella visione della vita alla giapponese, un po' più riflessiva di quella a cui siamo abituati generalmente noi occidentali. L'aver letto questo come suo primo libro è stato puro caso, ma non potevo chiedere di meglio.
Nel tempo libero mi piace scrivere, e un giorno mi piacerebbe riuscire a pubblicare, e come se non bastasse per me fare attività fisica in modo costante, per periodi prolungati, è sempre stata una sfida impegnativa (e che finora ho sempre perso). Quindi questa lettura per me ha avuto doppio significato. Uno scrittore maratoneta: ciò che mi piace contro ciò che vorrei mi piacesse. E se ho iniziato questa recensione con un'apertura personale, è perché sarebbe impossibile fare altrimenti parlando di un libro altrettanto personale come questo.
Come Murakami sottolinea più volte, il suo non vuole essere un qualche tipo di manuale ispiratore, o un modo di insegnare qualcosa attraverso la scrittura, ma più una sorta di diario personale in cui ha riversato parte della sua anima e della sua vita, e che il lettore, a seconda delle proprie esperienze, sarà in grado di condividere o meno.
Una lettura piuttosto semplice e leggera, del tutto piacevole ma che allo stesso tempo lascia sempre qualcosa a cui pensare. Qualcosa di positivo, sia chiaro. Una sorta di piccola spinta che aiuta a riflettere sul proprio percorso di vita, sulla propria persona e sulle proprie scelte. Chi siamo, cosa abbiamo deciso di fare, cosa abbiamo deciso di portare avanti e cosa no, come viviamo l'attesa del domani, se con paura, con aspettativa, o con semplice accettazione.
Un libro che non vuole insegnare nulla, ma che in fondo lo fa lo stesso. Per fortuna.
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Ne rimanga soltanto uno
Navigando senza particolare destinazione su youtube ho notato un video su Hunger Games, che mi ha fatto tornare alla mente diversi ricordi riguardanti questa trilogia. Non scrivo recensioni di libri necessariamente nuovi, ma di quelli che in qualche modo, sotto un qualsiasi punto di vista, mi hanno segnato o mi hanno lasciato qualcosa.
Per qualche ragione ignota persino a me stesso ho forse apprezzato maggiormente la versione cinematografica di questa storia, cosa piuttosto rara, ma le risposte che mi sono dato sono piuttosto ragionevoli e assolutamente e completamente soggettive.
Non apprezzo particolarmente i racconti in prima persona, è una mia totale limitazione, ma a volte non riescono a trasmettermi tutto quello che vorrebbero (ed è paradossale, come la nascita della letteratura inglese moderna insegna, i primi capolavori erano scritti proprio in prima persona per potenziare l'effetto "vicende realmente vissute", vedi "Robinson Crusoe" e "Moll Flanders"), sarà perchè il sapere di trovarmi davanti ad un puro evento immaginario, per quanto realistico come quello qui descritto, per forza di cose mi allontana dall'effetto prima persona -anche se riconosco eccezioni, vedi sopra o Bukowski. Al di là dei gusti personali, Hunger Games non ha certo lo stile di qualcosa che aspira ad essere un capolavoro della letteratura mondiale, e nonostante non si raggiunga mai un linguaggio veramente aulico, non si scade neppure nella banalità, sebbene alcune pagine siano forse più piatte di quanto si sperasse.
Detto questo, ho vissuto comunque molto piacevolmente questa lettura, soprattutto per un motivo, ho potuto ritrovare pienamente uno di quegli aspetti che alcuni considererebbero scandalosi dell'animo umano, ma che a me solleticano un qualche oscuro lato perverso della mia mentalità: il concetto stesso di Hunger Games, il concetto stesso di sfida, e di "ne rimarrà soltanto uno". Non si tratta nè di approvare la legge della giungla (la sopravvivenza del più forte), nè di apprezzare il sistema dei reality show di eliminare passo passo i concorrenti, ma di trovare estremamente interessante il raggruppare insieme tante menti diverse, ognuna con lo stesso obiettivo ma differenti possibilità e mezzi con cui raggiungerlo.
Leggere Hunger Games diventa quasi uno studio scientifico sulle diverse psicologie e personalità , prima però di trasformarsi in un trattato storico: diversi distretti convivono sotto un unico centro, uno dei luoghi più ricchi di ipocrisia di cui abbia potuto mai leggere, alcuni più dignitosamente, altri al limite della povertà, costretti alla fame e alle sofferenze. Ma nessuno può fuggire al sistema degli Hunger Games, uno dei giochi più sadici creati dalla mente umana (sebbene l'idea non sia nuova nel panorama letterario come in quello televisivo/cinematografico, una sorta di Battle Royale neppure troppo rivisitata). Come il Colosseo romano, arena costruita per il piacere del pubblico in cui uomini e animali si scontravano all'ultimo sangue, gli Hunger Games propongono delle arene, 24 partecipanti, ed un solo vincitore. Stando alle regole, amicizie, amori e il semplice rispetto della vita non reggeranno di fronte allo spettacolo e alla sopravvivenza. A questo punto, psicologia e storia politica lasceranno il posto al puro gusto di narrare e intrattenere.
"Hunger Games" è più profondo di quanto appaia a prima vista, tratta di ribellioni, alleanze, amori (forse questi ultimi trattati un po' banalmente), amicizie, inganni.
Alcuni personaggi sono eccellentemente descritti, e l'autrice ne fornisce da subito un ritratto pulito ed ordinato, per quanto siano anche complessi e sia piuttosto difficile dar vita a personalità del genere, primi fra tutti Haymitch e Caesar, i più folli e contemporaneamente lucidi di tutti (binomio complesso e meraviglioso), altri invece spesso si perdono in un bicchier d'acqua, passando dall'essere personaggi memorabili a silhouette di personalità già abbondantemente descritte in centinaia di altri romanzi, e purtroppo, forse pecca principale della trilogia, il caso più eclatante di questo traballamento è proprio Katniss, la protagonista.
Il vedere assurde tecniche di sopravvivenza e scontri all'ultimo sangue (un po' stile manga giapponese) fa ben volentieri chiudere un occhio su questi problemi.
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La luce, infine
Ultimo capitolo della saga, la storia giunge ad una conclusione e il cerchio si chiude, nel modo più degno possibile. Con "I doni della morte" l'autrice riesce a trovare l'equilibrio perfetto, impresa che forse solo col "Prigioniero di Azkaban" era riuscita a compiere, ma questa volta era più importante. Per anni Harry Potter ha accompagnato milioni di persone, appassionando bambini e ragazzi alla lettura, e doveva essere concluso nel migliore dei modi, dando una coerente spiegazione a tutti gli eventi accaduti nei sei romanzi precedenti, e sciogliendo il più elegantemente possibile quel magnifico intreccio di storie, personaggi, luoghi. J.K. Rowling ci è riuscita.
Quella magia che nel primo capitolo si presentava come tenera e sorridente è definitavamente scomparsa, lasciando il posto ad un mondo tanto magico quanto reale: il buio ha preso il sopravvento, e ormai tutte quelle vicende di Hogwarts, i voti, i professori, gli amori "per scherzo" sono solo ricordi, e tutte le pagine trasudano oscurità. Tutto è incentrato sugli horcrux e sul viaggio dei tre amici, che, oltre alle loro forze, possono solo contare sui misteriosi aiuti lasciati da Silente.
Scorrendo le pagine, catturati dalla voglia di vivere e combattere la battaglia finale, è evidente un richiamo alla Seconda Guerra Mondiale, e ciò non fa che rendere più appassionante e "reale" il mondo con cui abbiamo a che fare: poveri perseguitati vengono uccisi ogni giorno, e molti sono costretti a fuggire, chissadove; si formano delle coalizioni nascoste, dei gruppi di sopravvissuti, che riescono a dimostrare che, nonostante tutto, una fievole luce potrà sempre resistere alla più profonda delle oscurità.
Non c'è un momento di noia, non ci sono pagine superflue, non ci sono dialoghi inutili, tutto è utile ai fini della storia. Ogni capitolo è curato, raffinato, e la Rowling mostra l'esperienza acquisita negli anni con uno stile adatto a tutti, uno stile che è cresciuto lentamente nello stesso modo in cui sono cresciuti i lettori. Anche Harry non è più quel ragazzino di undici anni, ma è un ragazzo maturo e cosciente di se stesso e del mondo che lo circonda, e come una volta poteva vedere un mondo più roseo ora lo vede solo com'è realmente.
Spesso Harry viene criticato come personaggio, ritenuto un protagonista meno accattivante di altri personaggi della stessa saga, come Piton, Sirius, Silente, o gli stessi Ron ed Hermione, e le sue scelte e azioni vengono definite insensate o sciocche: i gusti personali e le idee sono sacre, guai a limitarli, ma Harry raggiunge la sua completezza proprio con quest'ultimo capitolo, diventando un personaggio incredibilmente realistico, e forse proprio per questo non universalmente amato. E' un ragazzo di diciassette anni fiondato in un'avventura che neanche lui voleva vivere, circondato da amici come sconosciuti che si sacrificano per farlo proseguire nella sua strada; prende decisioni giuste come sbagliate (e che noia sarebbe ad avere un eroe perfetto in ogni momento); soffre più di chiunque altro, ma, alla fine, è in grado di mantenere, proprio grazie a quella fievole luce accennata prima, il senno e la bontà.
Un po' come un romanzo del periodo umanistico, anche qui tutti quei nomi, quei luoghi, quegli oggetti, tornano proprio nel finale, a dimostrazione di un mondo effettivamente aperto e non limitato alla pura narrazione.
E tutto si chiude.
Certo quello di "Harry Potter" non è un universo paragonabile, ad esempio, con quello del "Signore degli Anelli" o de "Le cronache del ghiaccio e del fuoco", ben più vasti e vari (e reali sotto questo punto di vista), eppure non è a questi inferiore. Tutto viene ricongiunto coerentemente, tralasciando qualche piccolo errore di cronologie temporali o simili, eppure sono ancora milioni i lettori, e perchè no, gli spettatori, che sperano di avere altro materiale sul mondo del mago eroe, oltre all'attuale "Animali Fantastici", come nuovi romanzi sui Malandrini o la Prima Guerra, ulteriore dimostrazione che, forse, quel magico mondo, è ancora aperto a chiunque voglia entrarvi.
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Ricordi, amore, felicità...
Penultimo capitolo della saga, il più rilassato ma allo stesso tempo ricco di oscurità.
Dopo le opprimenti e dolorose esperienze affrontate ne "L'Ordine della Fenice" Harry è ora maturato, passando da adolescente a uomo. Ha saputo creare e organizzare un gruppo ribelle, ha visto morire per lui, è stato allontanato dagli amici più volte, eppure, ancora una volta, è il "ragazzo sopravvissuto".
L'approfondimento dal punto di vista drammatico del personaggio ha permesso al lettore di conoscerlo appieno, e dunque di intraprendere la lettura del "Principe Mezzosangue" con sguardo diverso, sapendo bene a cosa si sarebbe andati incontro, ed ecco che, nuovamente, la Rowling stupisce.
Il libro presenta subito una grossa innovazione: l'unione tra il mondo magico e quello "normale", e leggendo il primo capitolo si pensa effetivamente al fatto che si continui sulla linea dell'oscurità, e invece, leggendo quelli successivi si incontra una storia incentrata sulla scuola, sul nuovo talento di Harry nelle pozioni grazie al misterioso libro del Principe, nascosto protagonista di tutta la vicenda, sull'amicizia, sul rapporto tra Harry e Silente, più forte e interessante che mai, e soprattutto sull'amore. Non ci sarà pagina in cui non si senta quella dolce aria donata dall'amore, e non è assolutamente un difetto del romanzo, ma anzi la saga contiene finalmente tutti gli elementi per essere considerata vera e completa.
Le storie d'amore non risulteranno mai essere d'intralcio alla storia e non saranno mai pesanti o sdolcinate, ma saranno molto spontanee e piacevoli, rendendo il testo ancora più scorrevole.
Ma all'amore e alla pace, che si potrebbe dire essere quella che si sente "prima della tempesta", si oppone l'oscurità degli Horcrux, fondamentale tassello del puzzle, che è finalmente pronto ad essere ricomposto nell'ultimo e decisivo capitolo.
"Il Principe Mezzosangue" è dunque il piacevolissimo passaggio tra la svolta, il quinto libro, e la conclusione, e regala una lettura scorrevole, mai noiosa, e particolarmente intrigante per i nuovi temi trattati.
Ultimo sospiro prima dell'apnea finale.
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Magia... sempre più oscura
Il quinto capitolo della saga raggiunge vette inaspettate in diversi ambiti. I primi due libri erano ancora piuttosto semplici da un punto di vista narrativo e stilistico, e anche se probabilmente la Rowling sapeva già dove la storia sarebbe andata a parare, non sapeva come scriverla, e ha sperimentato. Con il terzo libro e l'introduzione del vero elemento "oscuro" c'è stata forse la vera svolta: nuovi elementi di trama, ambientazioni riviste in chiave più cupa. Poi il quarto capitolo ha spezzato esattamente a metà la saga, Harry cresce e lo stesso mondo viene visto sotto nuovi aspetti. Ecco dunque che si giunge a "L'Ordine della Fenice", il capitolo più lungo e per certi versi più complesso della saga.
Senza dubbio le descrizioni di questo quinto libro sono le più complete e articolate dei sette, si rivivono vecchi luoghi che vengono però riscoperti e ampliati, e contemporaneamente se ne scoprono di nuovi e stupefacenti, e non si può fare a meno di rimanere ammaliati dalla fluidità descrittiva dell'autrice: la foresta, il ministero, la stessa Hogwarts sono ricchi di piacevoli particolari.
Anche i personaggi vecchi subiscono costanti cambiamenti (basti pensare a Silente), mentre i nuovi sono presentati in maniera eccelsa, come mai prima d'ora all'interno della saga, facendo subito sentire come familiari nuovi visi e nuove voci. Harry, poi, è in assoluto il personaggio meglio descritto del romanzo, e capitoli interi sono dedicati al suo complicato evolvere da adolescente sfortunato, a vero e proprio eroe da lui stesso non desiderato
Se "Il calice di fuoco" era per certi versi fine a se stesso, e in fondo tutto verteva al finale e alla sua fondamentale importanza, ne "L'Ordine della Fenice" diversi fattori verranno ripresi nei due libri successivi, e le oltre ottocento pagine sono più che giustificate per introdurre e approfondire tali elementi.
La maggiore critica che si potrebbe muovere a questo capitolo è forse proprio l'eccessiva lunghezza, eppure il termine eccessivo è soggettivo, perchè per quanto diversi momenti, specie all'inizio, potrebbero essere superflui, non vuol dire che siano motivo di tedio, anzi potrebbero essere, e di nuovo come mai prima d'ora nella saga, pagine e pagine di purissimo piacere di leggere e sfogliare le pagine.
In conclusione, come tutti i libri anche questo non è esente da difetti, eppure lo stile, la trama, i personaggi, le descrizioni, il piacere stesso di leggere raggiungono nuovi vertici che per la stessa Rowling saranno ardui da superare.
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Sangue, sudore, oscurità
Eccoci giunti all'esatta metà della saga. Da questo punto in poi le cose cambieranno nel mondo della magia, e non solo.
Già dal "Prigioniero di Azkaban" tutto ha cominciato ad assumere tonalità più dark, più tenebrose e più mature, ma con questo quarto capitolo si avrà un balzo in avanti sotto questo punto di vista.
Ormai Harry, e noi lettori e appassionati, conosciamo bene il mondo della magia ed abbiamo amato tutti i suoi lati migliori, conoscendo solo piccola parte di tutto il "lato oscuro".
Insomma, abbiamo esplorato quasi solo un faccia di questa meravigliosa medaglia, che sembra d'oro e poi, girata, rivela incrostazioni di fango e catrame.
Verremo a conoscenza del Torneo Tremaghi, che farà da sfondo all'intero romanzo.
Verremo a conoscenza di nuovi ed interessantissimi personaggi.
Harry questa volta dovrà affrontare non solo terribili prove ma anche l'odio di molti suoi amici, che perderanno fiducia in lui, lasciandolo solo nel momento probabilmente più difficile.
Solamente Hermione resterà con un Harry che all'età di quattordici anni, quindi in fin dei conti ancora quasi ragazzino, dovrà maturare per forza di cose.
Il mistero che accompagnerà la lettura questa volta sarà: "Chi ha inserito il nome di Harry nel Calice di Fuoco?"
Mistero che, continuando a leggere, comincerà pian piano a scomparire dalla nostra mente, intenta a godere di altri fantastici momenti, o assorbita dalle prove del torneo, per poi tornare ad assillarci proprio negli ultimi capitoli del romanzo, dandoci ancora una volta un'altra brillante quanto inaspettata soluzione.
Il Torneo Tremaghi poi, è quanto di più emozionante si sia mai trovato sulle pagine della Rowling fin'ora, e ci terrà incollati alle pagine per sapere non tanto se Harry riuscirà nell'impresa (perchè è ovvio che riuscirà), quanto il come si riuscirà. La Rowling tiene sempre un asso nascosto nella manica, sfoderando un colpo di scena dopo l'altro, in ogni prova, facendo tenere il fiato sospeso fino all'ultima riga.
Il libro è poi ricco di sottotrame, alcune brevi altre articolate ed interessanti, prima fra tutte la vicenda del C.R.E.P.A.
Lo stile di scrittura della Rowling è ormai maturato, raggiungendo l'eccellenza, e facendo immergere il lettore ancora di più nelle magnifiche descrizioni di luoghi, personaggi e situazioni.
Anche la lunghezza del romanzo supera di gran lunga i tre capitoli precedenti, e questo gli concederà di essere più completo, articolato, e sotto certi punti di vista, interessante.
Però, anche qui c'è un però, che impedisce probabilmente a questo quarto capitolo di raggiungere l'eccellenza. Forse proprio il fatto di leggere il "Calice di Fuoco" dopo una lettura quasi perfetta come quella del Prigioniero, che peccava leggermente solo nello stile, lo fa risultare in certi tratti quasi pesante, facendo nascere una piccola voglia di "saltare" qualche passo, e andare al succo della situazione. In questi casi basterà però prendere una piccola pausa, e quando si ritornerà alla lettura si sarà più vogliosi che mai di immergersi nuovamente nelle avventure di Harry.
A condire il tutto c'è il solito umorismo che accompagna molte delle situazioni e dei personaggi, presente già dal primo libro, soprattutto con i gemelli Weasley, che renderanno meno tragiche anche le situazioni più pesanti.
Insomma, "Harry Potter e il Calice di Fuoco" non è ancora il capitolo perfetto, ed è forse leggerissimamente inferiore al suo predecessore, ma risulta essere godibilissimo, e, soprattutto, ci introdurrà nella seconda metà della storia, più matura, intricata e probabilmente interessante della prima.
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Gatto, topo e cane
Eccoci arrivati al terzo capitolo di una delle saghe più famose ed amate del mondo.
Non saprei dire quale sia il mio libro preferito della saga, ma di sicuro "Harry Potter e il prigioniero di Azkaban" entra di prepotenza almeno nel podio.
Ho dato a questa recensione il titolo di un capitolo del romanzo perchè con tre parole, tre animali, ci fa capire a cosa gira attorno questa nuova avventura.
Sembrerà strano crederlo, ma risulta essere più interessante il mistero che si viene a creare mano mano in questo libro che non quello creato appositamente in "Harry Potter e la camera dei segreti".
Il lettore rimane costantemente col fiato sospeso, perchè il pericoloso Sirius Black, pluriomicida, è scappato dalla prigione di massima sicurezza di Azkaban, e cerca Harry Potter. E cerca di entrare a Hogwarts.
Si viene così a conoscere i dissennatori, il Gramo, la giratempo, Lupin (uno dei personaggi più interessanti dell'intera saga), Hogsmeade, l'expecto patronum, Fierobecco...
Più si prosegue la lettura e più sarà difficile distogliere lo sguardo dalle pagine, perchè alla fine di ogni capitolo, alla fine di ogni piccolo passo di Harry e i suoi amici, si verrà a scoprire qualcosa di più, o si creeranno nuove domande, che aumenteranno ancora di più la nostra morbosa voglia di sapere.
Harry Potter e il prigioniero di Azkaban è il primo capitolo che fa veramente proseguire la storia (è vero, nei primi due capitoli ci sono comunque cose molto interessanti e utili per la saga, basti pensare alla spada di Godric Grifondoro o... ma basta, meglio che mi fermi qui prima di svelare qualcosa di troppo), ma solo in questo terzo capitolo i personaggi, le vicende, ci porteranno a conoscere qualcosa in più su tutto il mondo magico.
Gli appassionati della saga si saranno sicuramente accorti che nella lista di nomi che ho fatto prima ne mancano due particolarmente importanti: Sirius Black e Peter Minus.
Nulla in questo libro è come si crede, alla fine tutto sarà diverso da come se lo si aspettava, nuovi eroi, nuovi nemici, nuove minacce, nuove domande e nuove certezze.
Il lettore crederà di sapere....ed entra in gioco la giratempo, e tutto cambierà, tutte le carte saranno rimescolate. La spiegazione finale potrà sembrare quanto mai intricata e difficile da comprendere, ma infine tutto avrà senso.
Ma cosa c'è di veramente innovativo e apprezzabile in questo nuovo capitolo?
Manca Voldemort. L'aura dark già presente nel secondo capitolo sarà sempre più presente a Hogwarts. Ora il male si sente più vicino, l'oscurità sembra più vicina, ma manca proprio il Signore Oscuro.
Proprio per questa novità le vicende si concentreranno su Hogwarts stessa, sullo stesso mondo magico, senza poi avere l'ombra dello scontro finale. Si potrà assistere alle lezioni, interessanti e intriganti, al torneo di Quidditch, appassionante e avvincente, che ci lascerà per pagine intere col fiato sospeso, alle lezioni private con Lupin, alle lezioni con Hagrid e Fierobecco, i dissennatori saranno una novità non indifferente e presente dall'inizio alla fine e altro ancora.
Insomma, questo è senz'altro uno dei libri migliori dell'intera saga.
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Aura di mistero
Paradossalmente a quanto ho scritto nella recensione del primo capitolo, ovvero che andando avanti la saga si sarebbe solo migliorata, questo è il capitolo che mi ha forse convinto leggermente di meno. Questo non vuol dire che sia un brutto libro, anzi, è un ottimo fantasy e prosegue ottimamente la sag, però, c'è un però. Questo capitolo è leggermente più lungo del precedente, ma appassiona in fretta e si legge in poco tempo, lasciando però un leggerissimo retrogusto amaro.
Per tutto il libro si percepisce un'aura di mistero a Hogwarts, accadono strani eventi, corridoi allagati, ragni che scappano, persone pietrificate, scritte sui muri. Tutto collegato alla famosa camera dei segreti. Harry, Ron e Hermione si troveranno quasi involontariamente coinvolti nella faccenda, e dovranno indagare.
Insomma, "Harry Potter e la camera dei segreti" è l'unico capitolo della saga che prende una piega da "giallo". Anche in tutti gli altri capitoli ci sono misteri, che ovviamente rendono tutto più intrigante, suggestivo ed appassionante, ma in questo il mistero è protagonista.
I toni, rispetto al primo libro, si fanno più dark, più scuri, più accattivanti se vogliamo. Eppure, forse proprio per questa sua caratteristica da libro simil-giallo, non riesce ad essere pienamente convincente.
Il lettore riflette principalmente su due domande, due questioni, chi o cosa pietrifica le persone, e soprattutto, chi ha aperto, di nuovo, la camera dei segreti? Domande che ci accompagnano dall'inizio alla fine del romanzo.
Si seguiranno le avventure del trio in attesa di sapere delle risposte, cercando però di proseguire piuttosto velocemente, non tanto perchè si è divorati dalla voglia di sapere come finirà, ma perchè un mistero così cupo, così oscuro, è seguito da maghi di dodici anni.
Harry, Ron e Hermione sono finiti nella faccenda per forza di cose, è vero, ma sono pur sempre bambini di dodici anni, e quando si leggerà il romanzo non si potrà fare a meno di pensare che questo non potrà prendere una piega ancora più dark, ancora più tenebrosa, proprio perchè tutto è visto da ragazzini che hanno pur sempre dodici anni, come già scritto nella recensione del primo capitolo, in qui ne avevano undici.
Insomma, il mistero di questo romanzo rischia di essere piuttosto "pesante", quando alla fine si risolverà con qualche coincidenza, un tocco di fortuna, e ovviamente, il colpo di genio dei protagonisti.
In conclusione, l'unico difetto, se così si può chiamare, di questo secondo capitolo, è proprio il fatto che il mistero che fa da protagonista è piuttosto elementare, e non solo per gli adulti o i ragazzi, ma anche per chi magari è un po' più piccolo.
Passiamo però ai lati positivi, che sono molti di più.
Innazitutto la magia: esattamente come per il primo capitolo, anche qui veniamo avvolti dalla magia, ritroviamo casa in Hogwarts e amicizie nei personaggi. Ci appassioniamo alle lezioni, ci affezioniamo ancora di più e consideriamo ormai "nostri" i luoghi e i personaggi.
I personaggi, che dire, sono meravigliosamente descritti e caratterizzati. Quelli che già conoscevamo li ameremo (o odieremo) ancora di più, ed i nuovi saranno altrettanto complessi ed affascinanti.
Il finale: un finale inaspettato, che cambia radicalmente stile, diventando improvvisamente più veloce, più avvincente, per dare il via ad uno degli scontri più memorabili di tutta la saga e della letteratura fantasy degli ultimi anni.
E tutto ciò che concerne la magia stessa. Perchè è la stessa magia che abbiamo conosciuto ed amato nel primo capitolo. In un certo senso,per diversi fattori, "Harry Potter e la camera dei segreti" potenzia tutto ciò che abbiamo visto nel suo predecessore.
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E così ebbe inizio
E così ebbe inizio...
Ho da non molto concluso una sorta di "maratona" di tutti i libri di Harry Potter, che mi hanno accompagnato dal Novembre 2015 fino addirittura a Luglio 2016, ovviamente tra un libro e un altro ho letto altri libri per smorzare un pochino.
Ovviamente tutti i libri li avevo già letti in passato, ma è stato un piacere riscoprire il mondo magico, i suoi luoghi, i suoi personaggi, le sue chicche.
E ho deciso di eseguire una seconda maratona, diversa questa volta: voglio recensire tutti e 7 i libri (non ho scritto 7 a numero per caso).
Ovviamente come è giusto che sia, si parte dal primo.
Harry Potter e la pietra filosofale è il primo capitolo di una saga immensa, che ha fatto appassionare e innamorare milioni di persone, me compreso. Inutile negarlo però, questo, rispetto a tutti i suoi seguiti è scritto in maniera ben più semplice, ed è più adatto ad un bambino o ad un ragazzino che non a qualcuno più in là con l'età. E questo non è assolutamente un difetto, ma questa sua caratteristica trae in inganno chi crede che tutta la saga sia così.
Credo inoltre che il fatto di questo stile più leggero, colorato e allegro, in un certo senso, sia da ricollegare principalmente a due fattori:
1) La Rowling era alla sua prima esperienza in questo ambito, e probabilmente non era ancora certa di come impostare i suoi romanzi;
2) Il protagonista, Harry, ha undici anni. E a undici anni come si può vedere il mondo, se non con più allegria, spensieratezza...
Questo è un grande punto forte della saga in generale: si inizia con un libro sostanzialmente privo di vere, grandi e oscure minacce, perlomeno non pienamente comprese da Harry, e si finisce con un capitolo complesso, profondo, oscuro, tetro. Con la crescita del personaggio c'è un vero e proprio trasformarsi dell'intera saga. E insieme a lui cresciamo, o siamo cresciuti anche noi.
Quindi, i difetti di Harry Potter e la pietra filosofale in fin dei conti non sono dei difetti, però innegabilmente, nonostante ci introduca al mondo magico, potrebbe risultare nel complesso meno intrigante, meno completo.
Se è la prima volta che leggete il libro, e senza aver mai visto il film, immaginate Diagon Alley, immaginate Hogwarts, immaginate i quadri, le stanze, i tavoli imbanditi, e verrete trasportati in un altro mondo.
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Undici piccoli indiani
Il voto può sembrare un po' esagerato, ma se leggerete questo libro vi ritroverete immersi nella lettura e non ve ne vorrete più staccare, anche a costo di leggere due-tre ore consecutive.
Questo è stato il primo romanzo giallo che ho letto dato che questo genere non mi ha mai attirato troppo. E ora, dopo averlo finito, mi vien voglia di darmi una martellata sul ginocchio per non aver letto prima questo capolavoro (parola forse un po' troppo utilizzata).
Ma perchè reputo "Dieci piccoli indiani" così bello?
I motivi sono tanti, o meglio tutti, infatti questo è uno dei pochissimi casi in cui non ho niente, e sottolineo, NIENTE da ridire sul romanzo.
Vi faccio degli esempi: i dieci protagonisti sono tutti ugualmente carismatici, ognuno ha la propria personalità, che, in un modo o nell'altro, ti attira. Ci sarà sicuramente il personaggio che speri durerà fino alla fine, come ci sarà il personaggio di cui attendi speranzoso la morte; il libro, seppur breve, è in grado di regalare infinite emozioni; per quanto un personaggio ti stia simpatico non potrai fare a meno di sospettare anche di lui; per quanto ti possa sforzare, molto difficilmente riuscirai a capire chi sia l'assassino.
Insomma, reputo "Dieci piccoli indiani" il giallo perfetto.
Ah, e per quanto riguarda il titolo che ho dato alla mia recensione: l'ho chiamata così perchè tra gli "indiani" presenti sull'isola, ci sei anche tu che leggi.
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Giappone
Parto con la premessa che ho letto questo libro non per mia spontanea volontà ma per "dovere scolastico", e quindi, forse, non sono riuscito a godere appieno di quest'opera.
Detto questo, "Kitchen" mi ha intrigato sotto certi punti di vista, mi ha annoiato sotto altri. L'esempio più banale di qualcosa che mi ha annoiato è la trama: personalmente l'ho ritenuta la classica storiella di amore, triste, che cerca di farti riflettere sui sentimenti... insomma cose trite e ritrite; qualcosa che invece mi ha molto intrigato, ed ha aiutato a farmi apprezzare abbastanza questo romanzo è l'ambientazione: io sono un appassionato del Giappone, dei suoi luoghi, della sua cultura, della sua gente. Adoro vedere anime e leggere manga, mi piacciono molto i paesaggi giapponesi e mi piace scoprire come vivono le persone. Sarà per questo motivo che mi è piaciuto molto esplorare insieme a Mikage le varie cucine, le case, le strade...
Altra cosa che ho apprezzato del libro è lo stile di scrittura: molto semplice sì, ma ha quel non so cosa che ti fa immediatamente calare all'interno del contesto, e vivere perfettamente ciò che vive la protagonista, facendoti condividere momenti belli e brutti.
Insomma, in generale ritengo "Kitchen" un buon libro, adatto a tutti, e in grado di farti passare piacevolmente delle ore. Un libro che alla fine ti lascia qualcosa di suo.
Perfetto da leggere in spensieratezza.
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