Opinione scritta da Chiara Lilith

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Romanzi
 
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Chiara Lilith Opinione inserita da Chiara Lilith    10 Novembre, 2014
Top 1000 Opinionisti  -  

BELLISSIMO

È il primo libro della Kinsella che leggo e devo dire che ne sono rimasta deliziata!
La protagonista, Emma, è una ragazza come le altre, con i suoi pregi e i suoi difetti, le sue paure, le sue insicurezze. Lavora nel campo del marketing e un giorno, durante un viaggio in aereo, credendo durante una turbolenza di star per morire, confessa ad un vicino di posto tutti i suoi segreti, dai più buffi ai più intimi. L’aereo non cade e lei non dà peso all’accaduto, ma poi si trova a fare i conti proprio con quel giorno, in una serie di coincidenze davvero divertenti! Tuttavia vi sono anche elementi più seri, come l’accettarsi per quello che si è, il rispetto per se stessi e la proprie capacità, l’importanza della sincerità nelle relazioni amorose ma anche nei rapporti sociali in generale.
La trama non è complicata, ma leggera, frizzante, una vera boccata d’aria fresca e simpatia.
Lo stile è scorrevole, unisce umorismo e romanticismo con assoluta spensieratezza.
La protagonista è una persona in cui è facile riconoscersi, inoltre racconta i fatti in prima persona, per cui ci si immedesima ancora di più nel personaggio e quando sta per succedere un pasticcio l’ansia sale anche in chi legge. Una storia breve, che si legge in pochi giorni e tira su di morale. Una lettura molto piacevole, poco impegnativa ma comunque molto emozionante. L’ideale da leggere per staccare la spina, rilassarsi e sorridere un po’.

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Libri di Federica Bosco
"I love Tiffany" di Marjorie Hart
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Letteratura rosa
 
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Chiara Lilith Opinione inserita da Chiara Lilith    04 Novembre, 2014
Top 1000 Opinionisti  -  

PRENOTO UNA STANZA AL VENDOME!

Contiene spoiler.
La storia è tutta incentrata intorno all’albergo Vendome, a New York, all’inizio una misera struttura, che viene acquistata da Hugues Martin e trasformata in un vero gioiello. Hugues è completamente assorbito e preso dall’albergo, al secondo posto nella sua vita solo dopo sua figlia, la piccola Heloise. Hugues e Heloise vivono in questo mondo magico ed esclusivo, senza una figura femminile (a parte le dipendenti, molto affezionate alla bambina), perché abbandonati, quando Heloise aveva solo pochi anni, dalla narcisista madre Miriam, che li lascia per sposare una rockstar e farsi una nuova vita. Padre e figlia vivono nell’albergo e per l’albergo, il loro rapporto è profondo e unito, gli anni passano. Ci sono varie difficoltà, ma vengono sempre risolte. Heloise sceglie di seguire le orme del padre studiando all’estero in una scuola alberghiera, ma quando torna a casa trova il padre innamorato di un’altra donna. Quest’ultima, Natalie, è una splendida donna, sotto tutti gli aspetti, che fa riscoprire a Hugues l’amore, ma la coppia dovrà affrontare diversi ostacoli: l’iniziale ostilità di Heloise, gelosa del rapporto riservato che aveva con suo padre, problema che però si risolverà nella maturità della ragazza, e i rischi di una gravidanza trigemina. Ad ogni modo tutto si risolve con un lieto fine.
La storia non è particolarmente originale, infatti sembra di ritrovarsi in “Eloise al Plaza”, solo con una continuazione con la bambina che cresce. Tuttavia compensano lo stile scorrevole e la trama leggera. Si legge in un fiato e riesce a distrarre. Non è una storia impegnativa, ma ha comunque una certa profondità di sentimenti e un’attenzione ai rapporti familiari che lascia spunti per riflettere. Ho molto apprezzato le accurate descrizioni degli ambienti, delle suite, delle composizioni floreali, degli arredi … danno l’impressione di essere nell’albergo, circondati da fattorini e dipendenti indaffarati, occupati ad organizzare un grande ricevimento. Tutto è magico. Una storia incantevole e dolce.

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Consigliato a chi ha letto "I love Tiffany" di Marjorie Hart
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Romanzi storici
 
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Chiara Lilith Opinione inserita da Chiara Lilith    28 Ottobre, 2014
Top 1000 Opinionisti  -  

PROMETTE BENE, MA NON MANTIENE

La recensione contiene spoiler.
Avevo letto altri libri di Valerio Massimo Manfredi e mi erano piaciuti molto, così mi sono lanciata nella lettura di quello che prometteva essere un libro avvincente.
Purtroppo è stato invece una delusione, su quasi tutti i fronti. Il libro inizia con un incipit più che interessante, che faceva sperare in un’avventura incredibile. Vediamo questa legione romana sterminata da mostri misteriosi e subito dopo c’è un salto nel tempo che avvia l’indagine. Ci sono diversi personaggi che per motivi diversi (e con diversi esiti) inseguono un messaggio misterioso, che verrebbe da Dio. Tutto è molto interessante. Si sente che si riuniranno tutti alla Torre della Solitudine e non si vede l’ora di quel momento.
I percorsi che però ogni personaggio affronta scorrono troppo velocemente, la trama viaggia veloce, i protagonisti si spostano rapidi e gli eventi si complicano e risolvono senza che il lettore se ne renda conto, Desmond e Philip rischiano innumerevoli volte di morire nelle maniere più strane e un secondo dopo la faccenda è sempre brillantemente risolta.. Troppo veloce, sembra un canovaccio per un film americano qualsiasi, più che un’opera del livello di Manfredi. Tutto ricorda un incrocio tra un romanzo di Dan Brown, un film con Indiana Jones e la Mummia (chi non ha immaginato Desmond Garrett come Sean Connery in “Indiana Jones e l’ultima crociata?” Ed El Kassem non ricorda forse quel guerriero Medjai di nome Ardeth Bay che aiuta il protagonista?). Come storia aveva tante potenzialità, ma nessuna di queste è stata sfruttata. Inoltre, si può capire la necessità di inserire un personaggio femminile, ma sarebbe bastato un flirt. Invece è diventato l’amore di una vita, l’unica spiegazione è il colpo di fulmine, ma la cosa resta comunque poco realistica. Un po’ troppo scontato, un po’ troppo banale, promette bene ma non mantiene. L’unico elemento valido l’ho trovato nei personaggi legati al clero. In particolare sono molto profonde le conversazioni tra padre Hogan e padre Boni, soprattutto è toccante lo struggimento di quest’ultimo, che mette a dura prova la sua fede.
Il linguaggio, lo stile, sono quelli tipici di Manfredi, quindi volti all’epico; questa volta però una preparazione classica molto approfondita si è rivelata una lama a doppio taglio: infatti nelle le descrizioni dei paesaggi ci si trova in momenti di pura poesia, mentre per quelle dei luoghi antichi o degli arredi tutto diventa complicato, perché l’autore utilizza termini molto specifici dell’architettura antica, che un lettore comune non comprende o comunque lo fa con difficoltà (cito “c’era un sarcofago nabateo in stile egittizzante”).
Il finale è la parte peggiore, i personaggi tornano ognuno alla loro vita, tranne Philip, che resta con la bella principessa, il cui grande amore (reciproco) è nato al primo sguardo, in modo irrealistico e banale. Ma soprattutto il grande messaggio non viene rivelato. Tutta la trama è incentrata su un mistero che non viene risolto. L’unica consolazione è la frase sul sarcofago “Nessuno uccida Caino”, col significato di “non uccidete l’assassino o diventerete come lui”. Anche questo abbastanza banale. Lascia l’amaro in bocca.
In sintesi, Valerio Massimo Manfredi è un grande autore, ma questa volta è stato scarso.

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Narrativa per ragazzi
 
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Chiara Lilith Opinione inserita da Chiara Lilith    28 Ottobre, 2014
Top 1000 Opinionisti  -  

PENSAVO SAREBBE STATO UN MACELLO. INVECE NO.

“Una bomba che quando è esplosa ha lasciato tutti quelli che la circondavano con una scheggia conficcata da qualche parte”.
Mi è piaciuto molto. Per me è stato molto strano leggere un libro del genere, perché sono un’adolescente con il cancro. All’inizio ero un po’ reticente, perché pensavo che sarebbe stata una storia scritta da qualcuno che del cancro non sa nulla, giusto per strappare lacrime a go-go e molte vendite. Invece no. Innanzitutto, sono rimasta molto colpita dallo scoprire che l’autore non ha avuto esperienza diretta con quel tipo di malattia, perché sembra conoscere anche gli elementi più piccoli della vita di un malato oncologico. Coglie in maniera precisa le ansie portate dall’incertezza di una situazione assolutamente precaria: Hazel non pensa che guarirà, sa che è solo una questione di tempo. Lo sa anche la sua famiglia e Green, l’autore, non trascura neanche questo punto. Soprattutto si rende conto che la preoccupazione principale di un malato terminale non è personale, ma rivolta alla famiglia. Con tutti questi elementi negativi (la morte imminente, la rassegnazione, l’esclusione da una vita normale … ) si ha l’idea di imbattersi in una storia fatta di lacrime e autocommiserazione. Invece no. Questo grazie non tanto alla trama, che di per sé non è molto ricca di grandi avvenimenti, ma soprattutto allo stile con cui Hazel, in prima persona, racconta la sua storia: un po’ cinico, ironico, il linguaggio tipico di adolescenti (ovviamente, dato che sono adolescenti i protagonisti, ma non gergale, anzi), riesce a rendere molto leggere anche le scene più toccanti, senza scadere nel lacrimevole. Hazel non si piange addosso.
Per quanto riguarda la storia d’amore, il loro rapporto è bello, molto romantico e ricco di dichiarazioni emozionanti, ma ritengo che sarebbe stato meglio limitarlo ad un’amicizia, magari con molta affinità. Augustus e Hazel si legano molto solidamente in poco tempo, quasi senza conoscersi. Inserire la storia d’amore mi è sembrato un po’ forzato, l’innamoramento mi è parso poco realistico.
A parte ciò la storia resta comunque bellissima, peccato per il finale, anche se in un certo senso c’era da aspettarselo e senza qualcosa del genere probabilmente la storia non avrebbe avuto lo stesso spessore. Fa pensare molto e soprattutto fa apprezzare le piccole cose. Lascia con un sacco di pensieri e la voglia di assaporare ogni attimo della vita.
Molto particolare e da non sottovalutare la figura di Van Hauten, che riesce ad esprimere tutta l’amarezza che la morte e la malattia lasciano. Simpatico anche Isaac, che alleggerisce un tema, quello del cancro, difficile da affrontare in un libro.
Una storia particolare, intensa, vale la pena leggerla.

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