Opinione scritta da ferrucciodemagistris
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Misteri e dubbi tra i rilievi svizzeri
Di Joel Dicker ho già letto il famoso : “La verità sul caso Harry Quebert” che ho molto apprezzato, ma quest’ultimo romanzo che ho appena finito di leggere lo considero una spanna più elevato.
Protagonista principale è il tenebroso, misterioso, super intelligente, carismatico Lev Levovitch che assume un ruolo di fondamentale importanza nella trama del romanzo, in modo tale che gli altri coprotagonista assumano un carattere secondario ancorché di spessore nel sentiero narrativo. Una magica amalgama di fatti, accadimenti e personaggi che si accalcano, spariscono, ricompaiono in maniera decisiva al fine di definire un puzzle complesso e zeppo di circostanze al limite del surreale, per la risoluzione di un thriller dai mille volti e dalle innumerevoli situazioni che si intrecciano in trama e ordito per comporre una tela di estrema bellezza e suggestione.
I continui flashback, che di solito al sottoscritto non piacciono molto, sono piacevoli da seguire e conducono passo dopo passo alla scoperta dei tanti “perché “ che il lettore si chiede durante la lettura. L’abilità dello scrittore coinvolge, trascina e immedesima chi sta leggendo, avvolgendolo in una spirale narrativa dalla quale è difficile venirne fuori. Nulla sembra come può apparire nell’immediato; L’enigma è proprio questo: dar per scontato certi fatti che poi risultano fuori luogo e non del tutto veritieri.
Un romanzo che considero eccezionale sia per lo stile narrativo, sia per la trama complessa e avvincente, inoltre fa riflettere sulla condizione umana e, saltuariamente, sul perché dell’esistenza.
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La fame che annebbia la mente
Chi sono i “cariolanti”?; secondo la definizione presente nel romanzo tale sostantivo è, in sintesi, indirizzato a persone scavate fino all'osso, con le braccia lunghe e secche, i capelli appiccicati alla faccia, che vagano strascicando le gambe in maniera distratta ma pronti a mangiare qualsiasi cosa che incontrano. Insomma persone o meglio personaggi tra l'horror e il fantastico facilmente mescolabili a realtà nascoste che si insinuano nelle menti lesionate dai fardelli della miseria e, principalmente, della fame.
E' proprio la “Fame”, con la F maiuscola, la cornice che contorna una trama cruda, con situazioni al limite della ragione ma anche al di là dell'umanità, dove i più rivoltanti pensieri della nostra anima vengono a galla in circostanze sconvolgenti, devastanti, dove l'istinto prevale in maniera feroce, massacrante senza freni inibitori.
Un protagonista, tra altri coprotagonisti minori, è Bastiano: nato in una famiglia a dir poco strana, bislacca, i cui genitori lo costringono a vivere, fin dalla prima guerra mondiale, in un ambiente malsano, lurido, una buca nascosta in un bosco dove la bestialità si eleva in una spirale attonita, sferzante che si prende gioco della razionalità.
La narrazione si esplica in tredici istantanee temporali dalla fine della prima guerra mondiale, quando Bastiano ha solo nove anni, fino alla sua età adulta di oltre i 50 anni, in accadimenti caratterizzati dalla crudeltà, l'irragionevolezza, la perdita dei valori umani e di civiltà; gli episodi narrativi si susseguono in modo galoppante e atroce, e non c'è scampo nell'insana evoluzione del percorso di vita del protagonista.
Un romanzo duro, non facilmente accettabile, che mette in luce tutto ciò che l'essere umano, quando privato dei bisogni primari, è capace e anche costretto, forse, a fare per non soccombere. Prevale l'istinto di sopravvivenza allo stesso livello dell'animale randagio o selvatico che agisce per la propria autoconservazione.
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Passaggio a Nord-ovest
Dan Simmons è conosciuto, e famoso, per i cicli narrativi di fantascienza in particolare per la saga dei “Canti di Hyperion”; infatti il mio approccio con l'autore è riferito alla lettura dei romanzi citati. Il presente è un genere che definirei come “armoniosa mescolanza di fantasy, thriller, horror e storico”
La narrazione ricostruisce sia eventi storici accaduti nella prima metà del XIX secolo (tra il 1845 e il 1848) a due navi della marina britannica, la Terror e la Erebus, che affrontarono un viaggio attraverso parte del continente artico al fine di esplorare e individuare un passaggio per il collegamento via mare tra oceano Atlantico e oceano Pacifico attraverso il Mar Glaciale Artico.
Le vicissitudini degli uomini facenti parte dei due equipaggi sono avvolte, oltre che dalle fatiche umane dovute ai rigori invernali, dall'approssimarsi mancanza di cibo, dalle malattie dovute allo scorbuto e al botulismo, da un'ambientazione statica dove il cielo è confuso con l'orizzonte in un plumbeo clima che innesca gran parte di quelle atrocità celate nel profondo dell'inconscio; gli uomini ritornano indietro nel processo evolutivo a causa di una creatura misteriosa che imperversa in maniera violenta e non da' scampo agli sventurati con cui viene a contatto.
La mente degli esploratori viene, quindi, pervasa da ancestrali paure e senso di inadeguatezza che li costringe a usare il proprio istinto primordiale al fine di poter sopravvivere e cercare disperatamente una soluzione al percorso di ritorno che diventa fuga dall'inconoscibile, fuga dall'orrore, fuga dalla follia che ormai alberga nei loro animi.
Dan Simmons trascina il lettore in queste atmosfere di avventura, smarrimento, ossessione martellante che annichilisce il discernimento. L'uomo al cospetto della natura conferma la sua debolezza, l'incapacità di dominarla in quanto fagocitato in un indescrivibile “Nulla”.
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A ritroso nell'incoscienza
Terzo volume della trilogia dell”Increato” o dell'eternità, successivo a “Gli esordi” e “Canti del caos”; da premettere che il romanzo (si può definire romanzo?) può essere letto in autonomia senza aver necessariamente letto i precedenti. Alcuni flash riportano a vicende e accadimenti narrativi inclusi nei primi due romanzi, ma non importanti per la comprensione e il plot narrativo della storia.
Ho scritto “comprensione” ma la parola in sè potrebbe dar luogo a forti rilievi, a elaborazioni soggettive, a messaggi indecifrabili che l'autore cerca di inviare al singolo lettore e non a una vasta platea. Voglio dire che la narrazione intrinseca può essere interpretata in maniera soggettiva e comunque non credo che l'autore voglia indirizzarsi a un pubblico vasto; insomma non è un romanzo (?) che segue i canoni della varia letteratura in tutte le sue accezioni anche le più estreme.
Il libro è diviso in tre parti: proemio dei morti, proemio dei vivi e proemio degli increati; Antonio Moresco ci conduce in dimensioni al di fuori dei giusti e corretti stereotipi cui è abituata la stragrande maggioranza; si affrontano situazioni di estrema elucubrazione mentale dove ciò che appare reale potrebbe essere immaginazione allo stato puro ai confini di ciò che la nostra mente è in grado di elaborare e trovare una logica umana.
Il passato e il futuro si intrecciano con un evanescente presente del quale non è chiaro qual è l'inizio, il percorso, la direzione e il camminamento a ritroso. Ci si domanda spesso dove la lettura ci stia portando: luoghi inverosimili, personaggi improbabili, accadimenti ai limiti della razionalità.
Leggere l'opera di Moresco può dar fastidio alla nostra sensibilità, al nostro raziocinio, al nostro modo di interpretare la vita e tutto ciò che c'era prima di essa; la dualità vita-morte è messa in difficoltà, si aprono altri scenari forse indesiderabili ma pur sempre utili, anche se per niente affascinanti o accattivanti, a tentare di cambiare i nostri punti di vista sul perchè dell'esistenza e addentrarsi, con deciso sforzo mentale, in ciò che potrebbe celarsi all'interno della increazione.
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Ai confini della comprensione
Un inquietante thriller? Un affascinante romanzo d'avventura? Un giallo psicologico? Un saggio storico? Non aspettatevi niente di tutto ciò, ci si addentra in un'altra dimensione letteraria e narrativa; uno stile innovativo, un flusso di coscienza allo specchio, un'esplosione narrativa che lascia attoniti ma, allo stesso tempo, incuriositi nella ricerca indirizzata a scoprire cosa l'autore vuole comunicare.
“Canti del caos” è un tomo di oltre mille pagine facente parte di una trilogia (o saga?) definita “dell'eternità” o “degli increati”di cui esso è il secondo in ordine cronologico; avendo già letto il primo della trilogia “Gli esordi”, posso affermare, a parer mio, che l'attuale romanzo può essere letto in maniera autonoma in quanto non è necessario conoscere il contenuto del primo romanzo.
Parliamo appunto del contenuto: una narrazione, come scritto prima, a dir poco esplosiva, fuori da ogni canone e stereotipo cui il sottoscritto è abituato anche avendo letto migliaia di libri affrontanti variegati generi e ambientazioni. Gli argomenti affrontati possono disturbare per certe situazioni ai confini dell'accettazione cerebrale o, meglio, delle regole che la nostra civiltà impone.
L'autore parla in prima persona, poi tramite i suoi innumerabili personaggi che appaiono grotteschi, esilaranti, fuorvianti, inverosimili, orrendi, folli al di là di granitiche concezioni intellettuali. Avvenimenti improbabili, fantasiosi, rivoltanti che fanno precipitare nei meandri vorticosi e oscuri delle nostre pulsioni rimosse, dei nostri pensieri inaccettabili, di tutto ciò che saremmo potuto essere ma così non è stato a causa di un “CAOS” primordiale cui tutti noi siamo una risultanza non voluta, non programmata, non architettata a dovere.
Ci si domanda: PERCHE'? La risposta non esiste neanche facendo le più acrobatiche elucubrazioni mentali; non siamo ancora preparati, possiamo solo immaginare ma senza soluzione adeguata.
Il romanzo può apparire pesante, spesso illeggibile, più volte si è tentati di abbandonarlo e nasconderlo; vi invito, se avrete pazienza e tenacia, di leggerlo, di farvi un'opinione in merito, di valutare le circostanze e le molteplici situazioni al limite della comprensibilità.
Una sfida al post moderno, una sfida contro noi stessi!
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Grottesco
Chi sono i Blackwood? Un'antica e ricca famiglia di tradizione aristocratica che ha sempre vissuto in una dimensione superiore rispetto agli abitanti della cittadina dove sorge la loro ambiziosa e ridondante dimora che ha tutte le caratteristiche di un piccolo castello con tanto di cantine, due piani, soffitta e giardino con orto, il tutto contornato da un'ampia distesa boschiva che ha come confini un cancello robusto e una protezione di una recinzione che traccia un confine sia reale che immaginario sul resto della popolazione.
All'epoca della narrazione vivono nella maestosa, ma allo stesso tempo grottesca, residenza le due sorelle Blackwood, Constance e Mary Katherin, e lo zio Julian, invalido in sedie a rotelle. L'ambiente descritto è sempre stato motivo d'invidia provocando sentimenti di odio verso i Blackwood, in particolar modo dopo un accadimento che ha avuto luogo sei anni prima nel castello e ha provocato la morte violenta di gran parte della famiglia di origine. Sta di fatto che la vita condotta dalle sorelle, in maniera precipua dalla più piccola Mary Katherine (Merrycat), è segnata da una routine di scadenze con ruoli precisi e attività al limite del parossismo; le vicissitudini che continuano nel tempo presente, con alcuni flash nel passato, sono angoscianti a causa del totale distacco dalle relazioni sociali con gli altri abitanti che inducono i residenti del castello a una vita di reclusione sempre più chiusa in un loro ipotetico mondo che trasforma la realtà in una spirale avvolgente le loro esistenze in una dimensione parallela fatta di allucinazioni, riti assurdi e scrupolosa puntualità delle attività giornaliere.
Nonostante l'apparente stranezza della loro esistenza, tutto procede normalmente secondo le abitudini delle sorelle che accudiscono lo zio invalido e le stesse si sentono felici; la routine viene intaccata e, di conseguenza, sconvolta dall'arrivo di una persona che cercherà, in maniera invadente, di capire cosa è accaduto qualche tempo prima e inoltre trama al fine di impossessarsi della probabile ricchezza nascosta chissà dove; si creano, quindi, delle condizioni di forte instabilità emotiva che rendono il romanzo pieno di colpi di scena fino a un finale inaspettato secondo la tradizione dei migliori gialli/horror.
Il finale, appunto, lascia al lettore un dilemma circa l'eventuale protrarsi narrativo; cosa potrà ancora succedere? Le cose e le vicissitudini cambieranno? Chissà! Ognuno trarrà le proprie conclusioni.
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Spirito anticonformista
Nonostante sia un cultore di questo illustre romanziere dell'800, avevo fino a poco tempo fa trascurato questo libro essendomi dedicato a opere più importanti che sono diventate pilastri nella letteratura russa. Faccio ammenda per questa mia lieve superficialità cercando di recensire quest'opera di relative poche pagine, se paragonata ad altre, ma di una profondità di riflessione notevole.
Il romanzo è diviso in due parti: “Il sottosuolo”, da indirizzarsi a un monologo in cui l'autore critica, di base, la società dell'epoca (ricordando che siamo nel 1864) e, inoltre, fa una specie di autoanalisi di se stesso in maniera cruda e senza sconti.; e “A proposito della neve bagnata”, inerente alcuni episodi e vicissitudini durante la sua giovinezza.
La prima parte del romanzo è un monologo del Nostro, attraverso il quale fa un'auto-analisi di se stesso e la sua condizione nel coacervo sociale dallo stesso condannata quale epoca superficiale volta al raggiungimento di un benessere effimero e, di conseguenza, ottenere una pseudo-felicità quale palliativo alle condizioni di vita grama della stragrande maggioranza della popolazione. Inoltre il Nostro identifica con il “sottosuolo” la parte inconscia di noi stessi, il nostro “Es” dove sono latenti i pensieri inimmaginabili contro i quali lottiamo affinchè non vengano mai in superficie.
Nella seconda parte, “A proposito della neve bagnata”, vengono narrati accadimenti e vicissitudini che hanno avuto luogo molti anni prima del monologo cui sopra, e si riferiscono a un periodo di relativa giovinezza a cominciare, forse, dai 24 anni; fatti relativi a episodi di rivalsa, di screzio avuti con colleghi facenti parte della complessa macchina burocratica statale del tempo in cui Egli ha preso parte.
Una continua lotta senza quartiere tra il protagonista che non riesce, e non vuole conformarsi, alle regole societarie che tendono a “normalizzare” il suo spirito ribelle e anticonformista.
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Dualità realtà o fantasia?
Cos'è la malattia mentale? E' corretto chiamarla in questo modo o sarebbe meglio parlare e poi definire un certo “stato mentale”? Certo non è possibile, e quantomeno improvvido, parlare, discettare e provare a modellare quanto è stato costruito in più di un secolo da parte di psichiatri, psicoterapeuti e psicologi sull'argomento. Si rischia di scivolare, e farsi molto male, sul terreno scosceso e argilloso di una disciplina che ha come indirizzo ciò che racchiude la nostra mente e anche la nostra anima.
Il romanzo si addentra nella psiche di una persona, una giovane donna di quasi trenta anni, al fine di poter far riemergere tutto ciò che la rimozione da parte del soggetto fin da quando era nell'infanzia, per mezzo di un processo organico chiamato amnesia selettiva, ha occultato nel proprio subconscio per impedire estrema sofferenza del pensiero.
Questo delicatissimo intervento è sottoposto a un insigne psicologo infantile fiorentino che attraverso un metodo di ipnosi sperimentale, dovrebbe riuscire a far luce nei meandri oscuri dove si presume possa essere nascosto un barlume di verità propedeutico alla risoluzione, ancorchè parziale, dell'evento passato senza trauma per la paziente.
La narrazione scorre fluida con diversi e inaspettati colpi di scena tali da produrre un controtransfert tra psicologo e paziente con continui ribaltamenti, senza soluzione di continuità, tra ciò che si assume possa essere reale e ciò che invece appare fantasia/sogno.
Cosa realmente accade? Ma poi, è proprio la realtà quella che viviamo? Oppure un'idea in costante costruzione in relazione ai nostri desideri più nascosti? La famosa, o anche famigerata, dualità che avvolge il nostro mondo è anche questa volta messa in rilievo e sembra non dia scampo.
Il finale narrativo lascia il lettore in una specie di dilemma catatonico che non aiuta la bontà di tutto il romanzo, ma era forse questo l'intento di Carrisi? Non lo so, e rimando ai futuri lettori la propria convinzione in merito.
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Cinquanta sfumature di noia
Premetto che non sono un lettore del genere rosa -erotico, ma la pubblicità che ha avuto questo romanzo, e tutta la trilogia, mi ha incuriosito e pertanto ho voluto leggere l’ultimo della serie. Una trama scontata, senza verve alcuna, anche la pratica erotica appare trita e ritrita in un coacervo narrativo da”latte alle ginocchia”. Quindi una noia intensa e l’ansia di portarlo a termine insieme alla forza per non abbandonarlo dopo le prime 50 pagine. Le sfumature di colore non le ho notate...ma le poliedriche sfumature di noia e continui sbadigli mi hanno”perseguitato “. È il caso di leggerlo? In relazione alla mia opinione il “no” sarebbe scontato, ma, come già scritto, non essendo un cultore di tale genere, la mia valutazione potrebbe essere influenzata, appunto, dal mio disinteresse in quanto non nelle mie corde. Quindi lettura consigliate “si e no”, in modo da permettere a lettori più esperti in tal genere leggerlo e trarre le proprie valutazioni. Devo aggiungere che la martellante pubblicità avuta dalla trilogia potrebbe averne inficiato il giudizio complessivo dei numerosissimi lettori.
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- sì
- no
Espressionismo astratto
Avete presente un romanzo brillante o d’azione con una trama ben articolata, personaggi descritti in maniera dettagliata e ambientazioni allo stesso tempo misteriose e affascinanti? Oppure un bel thriller con scenari oscuri e pieno di intrighi il cui finale è al di là della nostra prima impressione? Ecco “Infinite jest” non appartiene minimamente a questi due generi.
Immaginate ora di trovarvi davanti a un labirinto; pareti alte di gomma grigio zermat, terreno scosceso, cielo visibile a tratti con colori cangianti dal rosso cupo al piombo, una sola entrata apparente che si dirama in altre innumerevoli sentieri angusti senza percezione di via d’uscita; ecco, questo può dare una certa idea nell’approccio e nella successiva lettura del mastodontico, massimalista e surreale “Infinite jest”.
Nell’affrontare la lettura la prima impressione è lo stile sui generis, l’impossibilità di avere una cronologia, il susseguirsi di storie e accadimenti che appaiono non correlati tra loro come in un coacervo in cui tutto è mescolato in maniera casuale con un lessico fuori dalle righe, una non narrazione che sfugge ai normali stereotipi, dove si deve avere un po’ di coraggio intellettuale e una forte fiducia nell’autore affinché si continui la lettura. Percorrendo i vari sentieri del labirinto, a volte si rimane senza fiato perché è come se si volesse trovare un altro ramo di sentiero che possa in qualche modo ricollegarsi a tutta la struttura; poi con determinazione si va avanti, niente panico, e si riesce a intravvedere un barlume che conduce a un significato meramente soggettivo di ciò che Wallace vuole che il lettore possa recepire.
Le argomentazioni, in un clima surreale e parossistico, sono molteplici: dai vari tipi di dipendenza dell’essere umano da tutto ciò che poi diventa routine, dall’abuso di sostanze psicoattive alla dipendenza dall’alcool, dall’abuso sessuale in varie accezioni alla competizione estrema. Un timballo ben amalgamato di situazioni che sconfinano in mondi paralleli dove il modo di pensare e le attività sono oltre l’orizzonte della nostra immaginazione.
Un romanzo che si insinua in maniera subdola nel nostro Es rendendo la piacevolezza inferiore alla curiosità innovativa e allo stile che sconvolge. D’altro canto la trama, qualora possibile chiamarla così e della quale non accenno minimamente poiché facilmente reperibile sul web, nel suo complesso ha una direzione ma non propone un finale certo, sicuro, senza fronzoli; lascia il lettore con forti dubbi su cosa possa aver provocato certe situazioni irreversibili.
Come già detto, sia i molteplici personaggi protagonisti sia le variegate situazioni temporali si possono considerare come una sfida alla nostra pazienza al fine di ottenere una soggettiva risultanza.
Ho voluto con questa mia opinione descrivere le sensazioni interiori che il romanzo ha prodotto in me e per le quali mi sento soddisfatto e contento di aver avuto pazienza e determinazione che mi hanno consentito di non abbandonarlo.
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Il difetto dei buoni propositi
Un inedito romanzo di Scerbanenco scritto, forse, durante il secondo conflitto mondiale e trovato per caso dai familiari e quindi pubblicato postumo.
La narrazione si colloca al di fuori del thriller-noir e presenta aspetti psicologici e raffinati dovuti ai principali protagonisti del romanzo, appunto “gli idealisti, e cioè ad Antonio Reffi medico settantenne, a suo figlio Celestino, anch’egli medico ma appassionato di matematica, alla figlia maggiore Carla, quarantenne, scrittrice. Vivono insieme a due cugini, a due donne di servizio e a un tuttofare, Giovanni e a un simpatico grosso cane, su un isolotto, uno scoglio, immerso in un lago imprecisato del nord Italia.
(A mio parere potrebbe trattarsi del lago d’Iseo in relazione alle vicissitudini e ai fatti raccontati). La vita calma, di routine, piatta e a tratti noiosa vissuta dalla famiglia Reffi e allo staff di servizio in qualche modo estraniati dalla realtà cittadina, viene all’improvviso increspata dall’arrivo di due altre persone. A causa della situazione creatasi e alla visione della vita da parte della famiglia Reffi, si intrecciano personalità e caratteri che sfociano in altrettante vicissitudini con risultanze inaspettate.
La vita in comune in spazi così ridotti quale la villa sull’isolotto, genera passioni, tendenze e scopre verità altrimenti destinate a rimanere nascoste. La domanda è: “E’ possibile far cambiare atteggiamento alle persone, con modi pacati e concilianti, ma costretti a una certa restrizione di movimento dettata da particolari circostanze di forza maggiore?”
La trama del romanzo è imperniata proprio su questa basilare domanda con sfumature e sfaccettature inerenti i vari personaggi. Un romanzo scorrevole avvolto nella penombra di un periodo storico propedeutico alla tragedia che fu la seconda guerra mondiale.
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Intrigo in Vaticano
Devo dire che Glenn Cooper è uno dei miei scrittori contemporanei preferiti; ho iniziato a leggere la sua tetralogia “La biblioteca dei morti” e poi la trilogia “Dannati” . Le sue trame sono avvincenti ed evocano misteri e tematiche che intrecciano il thriller alla documentazione storica, l’archeologia, la religione e complotti vari indirizzati a minare le basi della cristianità
.
L’attuale romanzo è parte di un’ulteriore quadrilogia in cui compare quale protagonista principale Calvin Donovan, che, oltre a essere professore ad Harvard di storia delle religioni, si rivela ottimo investigatore, ingaggiato dal Papa Celestino VI al fine di dipanare un nodo gordiano la cui origine emerge da gruppi di persone che hanno interesse a smontare il percorso progressista del nuovo pontefice.
La narrazione è basata su accadimenti in cui sono implicate tre ragazze tra i 15 e 17 anni, di origine povera e viventi in tre distinti e lontani villaggi in varie parti del mondo che risultano essere incinte nonostante ancora vergini; tali fatti hanno all’apparenza l’impossibilità di trovare soluzioni razionali, ma grazie alla ricerca, alla caparbietà e al coraggio del professore- detective si riesce a scoprire la trama della ben congegnata matassa labirintica.
Una lettura piacevole e scorrevole ma non all’altezza dei romanzi della “Biblioteca dei morti”, quindi da leggere senza aspettarsi il capolavoro.
Se posso fare un paragone, il protagonista Calvin Donovan ha molto in comune con Robert Langdon de “Il codice da Vinci” di Dan Brown…ma è una mera mia impressione.
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L'astrazione dal tempo
Altro romanzo capolavoro di Thomas Mann da relazionare con il suo primo “I Buddenbrook”; una lettura piacevole, densa di dettagli sia su i vari personaggi che su quanto circonda gli ambienti e la natura.
Il protagonista è un giovane tedesco laureando in ingegneria , Hans Castorp, che si imbatte, suo malgrado e inconsapevolmente, in un episodio all’apparenza banale ma che cambierà totalmente il suo percorso di vita e la sua visione mentale riguardo il trascorrere del tempo, la sua intrinseca relatività, la propria percezione di fatti e accadimenti quando si svolgono in situazioni aliene dalla quotidianità in cui si svolge la routine dei nostri giorni ancorati a concetti stereotipati dai quali è difficile staccarsi.
Infatti la sua visita di cortesia a un cugino ricoverato negli allora sanatori, in questo caso in Svizzera, per curare la famosa tubercolosi, diventa un’avventura tale da coinvolgerlo fino a farlo diventare da ospite a paziente.
In questo ambiente paragonabile a una bolla che si astrae dal tempo e da tutto ciò che accade all’esterno, due altri fondamentali personaggi, oltre al cugino degente, di pensiero opposto l’un l’altro vengono a far parte della narrazione: uno, Lodovico Settembrini, elogia il progressismo e la forza della ragione, l’altro, Leo Naphta, contrappone l’irrazionale e una specie di nichilismo.
Ecco, allora, il nostro Hans combattere con la propria forza al fine di rigettare entrambe le posizioni propugnate dai suoi casuali conoscenti e immergersi sempre più in una sorta di abulia che passivamente lo fa rimanere abbarbicato per lunghi anni in quel frangente che sarebbe dovuto terminare in qualche settimana.
La narrazione è profonda con molta erudizione e descrizione particolareggiata di quasi tutti i personaggi anche non protagonisti. Un romanzo, forse, da dover rileggere al fine di poter assaporare, in seconda lettura, certe sfumature intellettuali utili alla comprensione.
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Decadenza e pessimismo
Un poderoso e profondo romanzo scritto, a soli ventisei anni, da colui che è poi diventato pilastro portante per la letteratura del novecento tedesca e internazionale.
Ambientato a Lubecca, città anseatica tedesca, tra il 1835 e il 1877, descrive dell’ascesa e del declino di una agiata famiglia di commercianti di cereali appartenenti all’alta borghesia locale attraverso quattro generazioni.
L’impianto del romanzo è tipico dell’ottocento comprensivo del quadro storico correlato ma che influenza solo in maniera marginale l’ambiente familiare.
Con uno stile appropriato e complesso, si narrano tutti gli accadimenti e le vicissitudini di tanti personaggi che fanno da cornice ai protagonisti principali che si identificano con Thomas (Tom) Buddenbrook, appartenente alla terza generazione insieme alla sorella Antonie (Tony).
La narrazione è particolareggiata e va a fondo delle variegate psicologie dei personaggi mettendo in luce le diverse visioni di pensiero e gli atteggiamenti individuali in relazione a scelte indirizzate a salvaguardare la ditta di famiglia. Il virtuosismo, il rancore, il senso di superiorità, il pessimismo, l’onorabilità sono sentimenti che si intrecciano e convivono insieme a forme di rilassatezza e desideri di cambiamenti sostanziali di vita.
Una nota che mi ha colpito è l’interessamento da parte di Tom verso il pensiero di Schopenhauer, al fine di dare risposta ai suoi dubbi sul’insicurezza e alla visione pessimistica del futuro.
Come già scritto, il romanzo è molto dettagliato, le descrizioni sono profonde e accuratamente articolate; le molteplici forme caratteriali forniscono una visione d’insieme dell’albero genealogico dalle attività del capostipite iniziate nel 1835 fino alla decadenza per l’ultima generazione nel 1877.
Un romanzo corposo ma utile e anche affascinante negli aspetti dei rapporti interpersonali.
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L'uomo nuovo
Con il presente libro, che definirei saggio storico romanzato e presuppongo foriero di altri volumi , Antonio Scurati intraprende una analisi accurata di quello che fu il ventennio fascista sin dalla sua nascita fino alla disfatta.
Basandosi su documentazione storica, su lettere dei protagonisti e su articoli dei giornali dell’epoca, i fatti e gli accadimenti storici sono abilmente “translitterati” in versione romanzesca ma pur sempre in una cornice fidelizzata.
Ci si addentra nelle cause dell’avvento del fascismo, sui suoi prodromi quale risultanza della crisi economica, delle centinaia di migliaia di reduci scontenti dalla politica di governo del primo dopoguerra, della “vittoria mutilata” dovuta alla mancanza di annessione di territori concessi durante la conferenza di pace a Versailles del 1919, sulla confusione che regnava da nord a sud per le ataviche misere condizioni di vita accentuate dalle spese militari per la Grande Guerra. Tutto ciò provocò un sommovimento di idee e di popolazioni che reclamavano i giusti meriti quale potenza vittoriosa; questa enorme ondata di malcontento fu cavalcata da un giornalista proveniente da ambienti socialisti, di spirito interventista che ambiva a cambiare l’Italia, ma soprattutto gli italiani, e nel contempo acquisire un potere sulle masse tramite ardite promesse di far ritornare l’Italia al ruolo di potenza bellica ed economica.
Il libro abbraccia, quindi, il periodo che va dalla costituzione dei primi fasci di combattimento a Milano nel marzo 1919 fino al discorso alla Camera dei deputati da parte del capo del fascismo il 3 gennaio 1925.
Un saggio-romanzo da leggere per addentrarsi meglio in quel periodo storico.
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La scoperta dei sentimenti
“Nella vera notte buia dell’anima sono sempre le tre del mattino” di Francis Scott Fitzgerald.
E’ questa una delle tante frasi, detti, aforismi, apoftegmi che fanno da cornice agli eventi narrativi nei quali sono protagonisti Antonio, un giovane studente, e suo padre un illustre matematico docente universitario; il fulcro che conduce a un accavallarsi di quei sentimenti sconosciuti, o per lo meno superficiali, e situazioni di profonda umanità tra un padre e il figlio, è l’improvviso manifestarsi di una malattia/disturbo chiamato epilessia idiomatica. Siamo agli inizi degli anni ’80 e al fine di poter trovare adeguate cure per la risoluzione di questo problema, bisogna consultarsi con un allora importante luminare che esercita la sua professione a Marsiglia.
E’ proprio in questa città, all’apparenza misteriosa e nel contempo pericolosa e ostile in alcuni suoi quartieri, che i due protagonisti hanno l’opportunità di conoscersi meglio andando a fondo nelle proprie storie personali in modo da poter scoprire la simbiosi che li accomuna. Infatti la cura risolutiva consigliata dal luminare neurologo marsigliese, consiste nel rimanere per due notti e due giorni senza dormire, con l’ausilio di farmaci, per poter controllare la reazione cerebrale in fase di stress.
Ecco, quindi, la necessità per entrambi di potersi confrontare per oltre 48 ore in una città straniera senza possibilità di avere momenti propri; si sviluppa quella conoscenza embrionale, dovuta alla prematura separazione dei genitori di Antonio che lo ha costretto nel tempo a instaurare rapporti convenevoli con il padre, fino a capire quei sentimenti nascosti e mai emersi e, in particolare, i propri limiti.
“Tante volte non ci rendiamo conto che le cose che facciamo per la prima volta sono punti di non ritorno. Nel bene e soprattutto nel male. Se sono sbagliate, nessuno ce le restituirà mai più.”
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Il tempo non sfugge
Devo ammettere di non conoscere, o meglio non conoscevo, affatto Gianni Farinetti, quindi, non appena avuta l’opportunità di leggere il presente romanzo, mi è immediatamente sovvenuta in mente la frase di manzoniana memoria :”Farinetti, chi era costui?”.
Aldilà della facile battuta la non conoscenza pregressa dell’autore è dovuta, principalmente, alla mia ignoranza in questione, nel senso che sono portato a leggere scrittori più noti in campo letterario/scientifico/divulgativo e questo si traduce a sorvolare scrittori più nascosti ma che possiedono profondità di pensiero e nel contempo semplicità espositiva dei concetti. Questa è la mia prima impressione su Farinetti, dunque per il sottoscritto una lacuna da comare.
La vicenda narrativa, con i suoi vari accadimenti nel tempo, ha come luogo un’antica tenuta di famiglia nelle alte langhe piemontesi; il tutto si svolge in due separati periodi temporali collegati in maniera fortemente coesa da un duplice omicidio i cui risvolti necessitano di approfondimento. L’apparenza è ingannevole in quanto prova a celare ansie, miserie, fragilità e fardelli purtroppo comuni nelle famiglie infelici. Due efferati omicidi commessi a qualche ora di distanza nella stessa area e coinvolgenti persone che hanno stretti legami con il nucleo familiare abitante nella tenuta; la soluzione iniziale tende a far comparire i fatti in modo che non si possa scavare ancor più nel torbido, ogni personaggio ha il proprio vigliacco interesse, il proprio egoistico tornaconto, affinché certe verità rimangano segrete fino all’oblìo; una sorta di patto non pianificato ma di cui gli interessati ne sono complici. Ma il tempo riserva sorprese, non si può affermare se buone o cattive; sicuramente esso renderà giustizia che avrà il suo trionfo dissotterrando malefatte mal nascoste.
Un romanzo scorrevole che penetra nelle atmosfere naturali di quella parte d’Italia nord-occidentale.
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Tempo circolare
Ci si chiede spesso, sin dalla notte dei tempi, il perché e il senso della vita.
Forse bisognerebbe chiedersi, anche, il senso della morte; cosa porta il protagonista del romanzo a rivivere per così tante volte la propria vita nascendo lo stesso anno e nello stesso luogo? Un eterno, o quasi, ritorno in situazioni già vissute e per le quali si cerca una variante soggettivamente migliorativa.
Ci si domanda: “E’ un dono poter rivivere la propria esistenza per un certo numero di volte al fine di rendere migliori (o peggiori) gli eventi e di conseguenza il corso della storia che conosciamo? In relazione ai nostri ragionamenti logici il paradosso temporale è un ostacolo insormontabile; per quante volte avessimo l’opportunità di tornare indietro nel tempo non riusciremmo a cambiarne gli eventi a rischio dello stesso nostro essere. Un qualsiasi e impercettibile nostro gesto, pensiero, atto, decisione, potrebbe comportare un profondo cambiamento nelle vicissitudini future fino a sconvolgerne fatti, accadimenti, fortune o sfortune.
Di conseguenza non è possibile,almeno secondo le eleggi fisiche che conosciamo, poter cambiare gli eventi bensì avere la possibilità di modificare la propria esistenza affrontando periodi vitali totalmente differenti per noi ma che non hanno alcuna capacità di influenza sulla storia del resto del mondo.
La narrazione porta infatti a riflettere su cosa il protagonista affronta avendo avuto l’irreale opportunità di rivivere la propria vita; inoltre, cosa succede dopo la morte biologica? Le ipotesi, le filosofie, le religioni traboccano di soluzioni sulle quali si può far fede, cercare sottili elucubrazioni mentali o, semplicemente, non porsi il problema e continuare nel nostro cammino secondo le nostre visioni attenendosi scrupolosamente alla concezione del giusto da parte della moltitudine.
Un romanzo di evasione che può essere utile per la fantasia intrinseca della nostra mente…e chissà che non possa venir tradotta in realtà.
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Il complotto inesistente
Quando si parla e si discetta sui templari, il dialogo, o il discorso con contraddittorio, assume iperboli e deviazioni non facilmente controllabili; ciò è dovuto al fatto che sui templari e compagnia sono stati scritti fiumi di volumi, una miriade di articoli e parecchie ambientazioni in film e documentari.
Le congetture su tale ordine monastico/guerriero si perdono nei meandri della storia intrecciata alla leggenda e al sistema del complotto mondiale che si tramanda, ormai, da secoli. Il romanzo di Eco ha come base d’avvio, come granitiche fondamenta, una trama che scava in profondità nell’occulto elaborando imperscrutabili rompicapo, grovigli magistrali, magie semantiche, tutte mescolate con estrema abilità di linguaggio a un’erudizione fuori dal comune.
Un libro costituito da innumerevoli altri libri, che spazia in altrettante molteplici discipline variegate e intense. Le leggi della fisica, la cabala, la cosmologia, l’occultismo, la teologia, la storia, il simbolismo, sono alcune delle scienze, o pseudo scienze, che il Nostro narra, divulga, intreccia, cammina a ritroso e inventa qualsivoglia altro stratagemma indirizzato a un famigerato “complotto” ordito da chissà quali forze, società segrete, sette, poteri deviati ecc., per il dominio (sic) e controllo di tutti i fatti e le vicissitudini umane.
Non è stato facile, almeno per il sottoscritto, seguirne l’intricata e super complessa trama; i tre protagonisti principali, tra cui L”io narrante”, e gli altri personaggi secondari ma al tempo stesso necessari per lo sviluppo narrativo, sì dilettano e contemporaneamente si disperano nel cercare qualcosa...un qualcosa di misterioso i cui confini rasentano ciò che non è direttamente percepibile dalle nostre visioni terrestri; l’orizzonte della nostra immaginazione viene spesso messo a dura prova.
In estrema sintesi, un romanzo affascinante ma nel contempo prolisso, pesante, ampolloso, barocco, con necessità di ricorrere spesso al dizionario al fine di poterne carpire in maniera superficiale l’astratta e a volte inattingibile erudizione che la trama emana, paragonandosi a una fragranza sconosciuta, inebriante ma della quale non ci è dato sapere né la sostanza basica né da quale fonte proviene.
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Un futuro al segno della distruzione
La narrazione si svolge in un lontano ma non identificato futuro su un pianeta, Muareb, desertico e cosparso da strati di cenere a suo tempo colonizzato dal genere umano. Protagonista è Karan, un vecchio viandante che essendo arrivato in una piazza dove si celebra un rito religioso a favore di un certo Lakon, interviene e racconta con sue parole e con la propria memoria e visione le varie vicissitudini che sono il fulcro del racconto.
A mio parere è un genere più fantasy che fantascientifico, il contenuto è molto erudito e vasto nella profondità di linguaggio e nei dettagli tecno-scientifici; i riferimenti alle storie cavalleresche medievali e all’antica cultura greco-romana sono da apprezzare in quanto inducono il lettore preparato a fare mente locale su tali argomentazioni, utili, volendo, a un veloce ripasso storico.
In sintesi, il romanzo merita l’attenzione da parte di lettori di “nicchia”, intendendo che non mi sembra possa essere indirizzato a un pubblico popolare. Come già scritto, il linguaggio altamente erudito, ma anche desueto e a volte barocco, ridondante (specialmente in dettagli tecnici troppo approfonditi), rende la lettura non facile e potrebbe scoraggiare coloro che per abitudine, e gusti personali, hanno una visione più semplice e schematizzata del romanzo di fantascienza.
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Astrofisica e filosofia
Ci sono dei romanzi che in seconda lettura acquisiscono, in maniera esponenziale, maggior piacevolezza e profonda riflessione oltre a una visione da altro punto di vista della narrazione intrinseca. E’ il caso, relativamente al sottoscritto, dei romanzi russi dell’ottocento e per l’appunto della presente opera.
Stanisllaw Lem ci conduce in situazioni e circostanze che definirei come una magica miscela di scienza, filosofia e romanzo drammatico. Il protagonista, Chris Kelvin, psicoanalista , viene inviato su Solaris al fine di cercare di scoprire cosa sia successo all’equipaggio della stazione spaziale orbitante sul pianeta.; un enigma, infatti, avvolge i comportamenti dei tre scienziati componenti l’intera struttura che studiano il comportamento dell’oceano gelatinoso e sconfinato ricoprente l’intero corpo celeste. Le vicissitudini che si susseguono nel corso dell’ispezione da parte di Kelvin hanno dell’inverosimile e non sono percepibili dall’essere umano in relazione alle leggi della fisica conosciuta. Sembra che il pianeta, orbitante in un sistema stellare binario con due soli rosso e azzurro, si comporti come un individuo senziente capace di modificare gli stati d’animo degli scienziati portandoli a una sorta di continue e inspiegabili allucinazioni inducenti alla follia identificata quale unica via di uscita per ciò che si rileva estremamente alieno. Il viaggio interstellare e l’impossibilità di capire una logica nel comportamento del pianeta, si paragona all’imperscrutabilità dell’animo umano, ai suoi meandri oscuri e, infine, all’eterno affannoso, e forse inutile, percorso nel dare un certo senso alla vita…come noi la intendiamo.
Un libro non proprio di facile lettura ma che apre la possibilità di altri modi di pensare all’universo, al tempo, all’esistenza.
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Riflessione sull'esistenza
Il romanzo ha qualche peculiarità; inizio dalla copertina dove il viso e, in particolare, lo sguardo dell’autore, il norvegese Karl Ove Knausgard, sembra scrutare il potenziale lettore con una specie di magnetismo che cattura l’altrui curiosità sul significato intrinseco di quella tal espressione. Inoltre è il primo di sei romanzi autobiografici il cui titolo originale è "Min Kamp” (la mia lotta) che può ricordare la famigerata opera giovanile Mein Kampf di Hitler nonostante non abbia nulla in comune nel contenuto; infine si può accostare alla monumentale opera di Marcel Proust “Alla ricerca del tempo perduto” per qualche similitudine nel numero di volumi e nel numero di pagine.
La narrazione è fatta in prima persona con un flusso di coscienza che ha inizio nell’adolescenza fino all’età matura; l’autore racconta la sua esistenza e quella della propria famiglia, scandagliando nel profondo dei sentimenti e con dovizia di particolari che abbracciano un percorso vitale spesso diviso in innumerevoli istanti senza soluzione di continuità. Racconta del rapporto conflittuale con il padre la cui figura centrale causa disagio e senso di smarrimento; le fasi della quotidianità con protagonisti la madre, il fratello e gli amici, specificando nei dettagli fin quasi all’esasperazione i molteplici accadimenti vissuti e subiti.
Presente e passato si alternano e si intrecciano in un continuo intercalare di ricordi, pensieri, fatti , divagazioni che scorrono come un fiume inconsapevole della sua meta finale; tutto questo coacervo di impressioni, fatiche, stati d’animo, interrogativi e angosce percorre un sentiero non ben tracciato fino ad arrivare alla morte del padre.
Un romanzo dai ritmi molto lenti ma non noioso…fa riflettere sulla vita di ognuno di noi e sul senso che vogliamo dare all’esistenza.
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Circostanze di regressione umana
La vicenda ha luogo all’interno di un grattacielo londinese, facente parte di una mega struttura di quattro altri immobili gemelli, ancora in fase di costruzione, in un tempo indefinito nel prossimo futuro. Quaranta piani con oltre mille appartamenti, di variegata ampiezza, e un totale di circa duemila abitanti che vivono in un ambiente dotato di tutte le comodità e servizi utili alla collettività tanto da essere quasi autonoma; infatti ci sono piani “dedicati” forniti di supermercato, piscina, scuola materna, palestra, ristorante e altro; l’edificio appare strutturato in maniera gerarchica in relazione al piano di appartenenza…appartamenti più piccoli ed economici nei piani bassi e via via che si sale su piani più elevati aumentano dimensioni e costi. Anche la cosiddetta “popolazione” è formata da personaggi più o meno benestanti e sicuramente abbienti.
Quindi un luogo ambito in cui ogni persona, coppia o famiglia anelerebbe ad acquisire una unità immobiliare in tale contesto moderno e super tecnologico. Ma gli accadimenti che si susseguono nel tempo smentiranno l’idea di oasi di pace e tranquillità indirizzata all’essere inquilino di questo super grattacielo. E’ sufficiente un piccolo guasto all’impianto elettrico tale da provocare una specie di ribellione che genera successivi disagi a catena a similitudine di un’epidemia inarrestabile fatta di soprusi, angherie e violenza.
La situazione degenera in maniera da far prevalere la prepotenza e la legge del più forte; i regolamenti condominiali e il vivere civile diventano una meteora; in quasi tutte le persone si instaura una regressione umana tale da creare clan e sottoclan con propri leaders che tendono ad avere il controllo totale di tutto l’ambiente circostante. L’essere umano diventa aggressivo pur di sopravvivere a situazioni impreviste.
La riflessione è molto semplice: in condizioni ottimali di esistenza ogni persona tende a seguire le regole, le leggi e le norme morali che fanno parte di una società che, pur con i suoi intrinseci difetti, garantisca un certo benessere psico-fisico e assicuri la quotidianità dettata dai nostri bisogni primari, economici, affettivi e soddisfazioni. Molto simile alla piramide del Maslow, psicologo statunitense, che espose, negli anni cinquanta, la teoria della gerarchia emozionale integrante le varie necessità umane in maniera tale da aver soddisfatto le necessità primarie prima di poter affrontare bisogni superiori fino al senso di stima da parte del prossimo e all’autorealizzazione.
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Le sottigliezze dell'omertà
Una località poco conosciuta nei pressi di Francoforte; una cittadina dove tutti si conoscono e tutti sanno cosa succede pur, all’apparenza, facendo finta di niente. I motivi di tali atteggiamenti sono dovuti a un radicato “status quo” che non permette l’emergere di nuovi modi di fare e comportamentali.
E’ in quest’ambiente sociale che nel 1997 scompaiono due ragazze, Laura e Stefanie, frequentanti il locale liceo e, pur in assenza dei corpi è incriminato per omicidio un ragazzo, Tobias, che sarà immediatamente condannato a dieci anni di carcere nonostante non abbia mai confessato il delitto. Inizia, quindi, la vicenda all’uscita di prigione di Tobias il quale, continuando a professarsi innocente, cerca di riannodare i fili della propria esistenza e rimettere in ordine la propria famiglia (i propri genitori) che hanno subito angherie e vessazioni sin dal giorno in cui il loro figlio ha varcato l’ingresso del carcere.
Non appena Tobias tenta di iniziare una nuova esistenza, ecco che la cittadina perde la tranquillità cui era abituata poiché la presenza del ragazzo, ormai trentenne, è motivo di sconvolgimento negli animi dei molti personaggi protagonisti della narrazione. Molti di loro hanno qualcosa da nascondere e sono stati in qualche modo coinvolti nella sparizione delle ragazze; la verità non è come poteva apparire un decennio addietro…nel frattempo un’altra ragazza, Amelie, scompare in circostanze misteriose. La polizia e gli inquirenti locali devono scavare molto in profondità per far luce, inoltre, sul ritrovamento del corpo di una delle ragazze scomparse dieci anni prima, Laura, in una zona tale da far rivedere tutta l’indagine a suo tempo condotta con superficialità cui si aggiunge l’indifferenza di testimonianza da parte della popolazione.
La scomparsa di Amelie è subito collegata al delitto passato; compaiono sulla scena personaggi al di sopra di ogni sospetto che hanno numerosi segreti da custodire a scapito della loro reputazione e del potere acquisito, in maniera non del tutto chiara, nel corso degli anni. La tensione aumenta via via che le indagini hanno luogo scoprendo un vaso di Pandora ormai impossibile da richiudere. Gli accadimenti di molti protagonisti si allacciano tra loro, nel presente e nel passato, in una matassa inizialmente difficile da districare che porterà comunque a una revisione totale di misfatti e delitti e alla soluzione, ancorché tardiva che ha rovinato tante vite sia fisicamente sia psicologicamente, della malsana vicenda.
Un romanzo che si legge bene nonostante una certa carenza di pathos.
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Il tarlo del sospetto
Ho letto diversi romanzi di Simenon e, a oggi, posso confermare da parte mia il notevole spessore narrativo di tali romanzi non finalizzati alla serie del famoso commissario Maigret.
La vicenda ha luogo nella Parigi degli anni cinquanta ambientata in un negozio di articoli di cancelleria in boulevard de Clichy i cui protagonisti fondamentali sono Etienne Lomel, quarantenne, e sua moglie Louise di sei anni più anziana di lui; una scala di ferro, quasi eretta come una barriera di confine, separa il negozio dall’appartamento dei coniugi Lomel, in particolare dalla stanza da letto dove si svolgono, per buona parte del romanzo, le varie vicissitudini della vita della coppia.
Etienne e Louise sono ormai sposati da quasi sedici anni, senza figli, e per Louise si tratta del secondo matrimonio dopo la morte del primo marito avvenuta per malattia ma in circostanze che inducono a riflettere; detto questo c’è da aggiungere che già da alcuni mesi Etienne è soggetto a malesseri ricorrenti per i quali, nonostante le visite presso diversi medici, egli sospetta un piano ben articolato e pianificato dalla moglie che lo faccia deperire lentamente fino a portarlo alla morte.
Tale sospetto è dovuto anche al ricordo di Etienne inerente l’incontro con Louise quando ancora era sposata al primo marito, Guillaume, anch’egli all’epoca malato di una misteriosa patologia che lo portò in breve tempo alla sua dipartita. Ai tempi attuali della vicenda, Etienne sembra avere occupato il posto del primo marito in quella stanza, separata dal negozio di cancelleria da questa scala di ferro a similitudine di un baluardo spazio-temporale tra la realtà vissuta e il mondo esterno, da dove è possibile origliare e malamente spiare ciò che avviene in altra dimensione.
In particolare i malesseri sempre più acuti di Etienne si presentano subito dopo aver mangiato…per questa ragione il sospetto è indirizzato a qualche forma di avvelenamento a dosi basse e protratte nel tempo. Il dubbio e l’incubo hanno ben presto il sopravvento sulla psiche di Etienne che immagina scenari tragici simili a quanto già accaduto in passato.
Escogita quindi diversi e sempre più artefatti modi di agire al fine di poter scoprire le vere intenzioni della consorte; è un susseguirsi di appostamenti, finte telefonate, pedinamenti compiuti in modo discreto e con arguzia fino ad arrivare a un epilogo che spiazza il lettore per l’amarezza e la tristezza intrinseche in una vita all’apparenza comune.
Un romanzo che si legge volentieri particolareggiato nelle descrizioni di persone e ambienti.
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"Al di là del bene e del male"
Sono un appassionato lettore dei romanzi di Roberto Costantini, quindi, dopo aver letto la famosa “Trilogia del male”, non poteva sfuggirmi quest’ultimo romanzo…e anche questa volta l’autore conferma le sue capacità narrative inerenti un thriller noir di notevole spessore e pathos.
Protagonista è sempre il commissario Michele Balistreri, uomo e poliziotto al di fuori dei regolamenti, con un passato tormentato, sempre pronto a rischiare in prima persona nell’investigare e portare a soluzione crimini ed efferati delitti per i quali è responsabile la sua sezione omicidi della squadra mobile romana. L’attuale vicenda ha come base il caso di una ragazza, Donatella, che è uccisa dopo una serata in discoteca; la tragica circostanza sembra subito risolversi in quanto a trovare l’assassino della ragazza è proprio il padre che si vendica e poi si toglie la vita. Tutto concluso anche se in maniera non proprio ortodossa? La risposta è: no.
Sul palcoscenico del delitto compaiono due coppie che non hanno niente in comune tra loro; la prima è composta da Nanni, psicologo, e Bianca, sostituto procuratore, e il loro figlio Luca di undici anni (famiglia perfetta); dell’altra fa parte un eminente matematico Victor e sua moglie Nicole provenienti dagli Stati Uniti e in sosta sabbatica annuale nella capitale…inoltre c’è anche la giovane Scarlett, sorella minore di Nicole, che sarà causa di perdita d’equilibrio nell’intero entourage appena descritto.
Le situazioni si complicano subito dopo l’incontro fortuito tra Nanni, psicoterapeuta, e Nicole che gli propone di fare delle sedute terapeutiche di coppia con il marito Victor al fine di poter salvare un matrimonio costellato di punti deboli e ipocrisie. Questo episodio provoca uno sconvolgimento nelle dinamiche future riguardanti entrambi le coppie che si intrecciano, loro malgrado, con la malavita organizzata, le bische clandestine e il malaffare che regna nei quartieri della città. L’assassinio di Victor, marito di Nicole, in circostanze non chiare che inducono a un gioco erotico (chissà con chi) finito male, complica ulteriormente il groviglio della matassa delittuosa che si ramifica in vicoli all’apparenza senza via d’uscita. Sia gli inquirenti sia i mezzi di comunicazione esigono un colpevole, un capro espiatorio che possa placare l’opinione pubblica; si arriva a una soluzione rattoppata che non convince affatto il commissario Balistreri.
Dopo dieci anni dai fatti (o meglio dai misfatti) Balistreri riesce, grazie al suo acume, testardaggine e al pentimento tardivo di un protagonista secondario, a far riaprire il caso il cui epilogo fornisce un colpo di scena al riguardo di persone al di sopra di ogni sospetto. Ma chi è la moglie perfetta? Roberto Costantini ha la sua opinione in merito che descrive con molta accuratezza nella narrazione.
Un romanzo che attira come una calamita, mai noioso con un continuo susseguirsi di vicende che tengono il lettore in una specie di “morsa letteraria” fino a quando arriva alla lettura delle ultime pagine.
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Delitto all'opera lirica
Il primo romanzo che leggo di Malvaldi e, posso dire, ne leggerò anche degli altri.
La vicenda, la cui narrazione intreccia Storia, cronaca, fantasia e poliziesco è ambientata nella città di Pisa agli albori del novecento per l’esattezza il 1901; siamo in un periodo particolare della Storia d’Italia a pochi mesi dall’assassinio del re Umberto I, avvenuto a Monza, a causa dell’anarchico Gaetano Bresci.
Di conseguenza c’è molto nervosismo da parte delle autorità preposte alla protezione e difesa del nuovo re Vittorio Emanuele III anche perché siamo in Toscana, considerata terra di anarchici che hanno quale “base” la vicinissima Carrara. Dove per l’appunto a Pisa, presso il Teatro Nuovo sta per andare in scena l’opera lirica “Tosca” di Giacomo Puccini, alla presenza di sua maestà e del suo seguito reale; sono in molti, infatti, coinvolti nell’opera, dal tenore ai tecnici di teatro, a essere indicati quali sovversivi, per questo motivo le misure di sicurezza adottate dalla Guardie Reali (forse gli attuali corazzieri) sono indirizzate a prevenire qualsiasi azione violenta nei confronti della famiglia reale.
Ma succede un episodio inaspettato che ha del tragicomico: durante la rappresentazione teatrale la violenza si sposta sul palcoscenico tanto che a morire veramente, e non come sceneggiata, è proprio il tenore che interpreta il pittore Caravadossi amante della protagonista Tosca; da parte del finto plotone dì esecuzione facente parte del dramma inscenato che deve fucilare il pittore, un proiettile non a salve colpisce a morte l’attore.
E’ compito dei militari preposti alla protezione del re indagare sull’accaduto e sulle motivazioni di tale tragica circostanza; ed ecco che l’autore s’inoltra negli usi e costumi dell’Italia d’inizio del XX secolo, con dettagli riguardanti il modo di parlare, oggigiorno considerato desueto, le leggi vigenti, i regolamenti militari e cavallereschi.
La soluzione del delitto all’opera lirica sarà portato a buon fine grazie al discreto e arguto aiuto di un personaggio all’apparenza inaffidabile ed eccentrico.
Un romanzo che si legge volentieri, molto ironico, che fa ricordare al lettore le ambientazioni di un’epoca ormai relegata nei libri di storia.
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L'illusione di un delitto
Tra i vari tipi di giallo classico, il presente fa parte del genere cosiddetto “mistero della camera chiusa” con protagonista il famoso investigatore Gideon Fell in cui il delitto e l’indagine si svolgono in condizioni all’apparenza impossibili o inverosimili in uno spazio (stanza) chiuso e blindato dall’interno.
La narrazione è ambientata a Londra negli anni ’30 con la partecipazione di molti personaggi aventi ognuno caratteristiche peculiari tra i quali spicca, oltre a Gideon Fell, la figura di un professore di origini francesi, Charles Grimaud, benestante e appassionato di miti e superstizioni tanto da riunire i suoi più fidati amici, alcune volte la settimana, in una taverna nei dintorni del British Museum al fine di raccontare le proprie esperienze di vita. Durante una di queste serate appare all’improvviso una persona non meglio identificata, ma che asserisce di chiamarsi Pierre Fley e di essere un illusionista, il quale alla presenza di tutti minaccia velatamente il professore adducendo frasi non facilmente capibili dagli altri astanti.
Dopo qualche giorno lo stesso enigmatico personaggio si presenta a casa del professore, entra nel suo studio e sparisce come un’evanescenza dopo aver ucciso Grimaud senza apparente motivo. La stanza dove è avvenuto il delitto è chiusa in maniera ermetica dall’interno e gli inquirenti non trovano traccia alcuna del presunto assassino. Sembra un delitto impossibile, dove la logica umana è sopraffatta dall’illusione e da circostanze impossibili possano verificarsi all’interno della razionalità umana, nonostante si proceda con le più svariate ipotesi.
Sarà l’acume del dottor Gideon Fell che riuscirà, passo dopo passo, a svelare arcani e misteri fino ad arrivare a una conclusione da grosso colpo di scena dove l’impossibile è tramutato in semplice ragionamento.
Un romanzo giallo che impegna il lettore non dandogli alcuna tregua di soluzione fino all’epilogo.
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Siamo la somma dei nostri ricordi
Le nostre giornate trascorrono con una certa regolarità secondo lo schema largamente implementato del lavoro, svago e sonno; quindi ogni sera andiamo a letto seguendo un automatismo per indurci al riposo senza pensare a ciò che potrebbe accadere l’indomani mattina.
E’ ciò che succede alla protagonista di questo psico-thriller di Watson; ogni mattina Christine si sveglia credendo di avere poco meno di trenta anni, ma in realtà ne ha quasi cinquanta essendo la sua memoria è rimasta ferma a più di vent’anni prima a causa di un incidente che ha compromesso importanti funzioni cerebrali inerenti una rara forma di amnesia che cancella dalla sua mente i ricordi delle ultime ventiquattro ore…e tale situazione si ripete per decenni. In pratica ogni giorno è un ricominciare tutto da capo dall’istante precedente l’incidente che ha provocato tale grave patologia.
La vita della protagonista, anche se limitata a una giornata, è diventata un incubo; appena desta non si rende conto del posto dove si trova e della persona che dorme accanto a lei; non esiste passato e non è pensabile un futuro, solamente un eterno presente composto di frequenti flashback e dalla brama di farsi raccontare i più importanti episodi della sua vita degli ultimi decenni dalla persona che appare essere suo marito.
Una continua ansia penetra nella sua giornata; appena sveglia, dopo essersi guardata allo specchio e ricevuto raccomandazioni dall’uomo che vive con lei, riceve una particolare telefonata che le rammenta di cercare un diario, ben nascosto, dove la protagonista annota le sue vicissitudini presenti e passate al fine di conoscere chi è e chi è stata e ricominciare sempre daccapo; una vita circolare, una spirale senza fine, un vortice che potrebbe portare alla follia fino a quando non arriva il sonno…ecco quindi addormentarsi per risvegliarsi dopo alcune ore senza ricordare alcunché di quanto accaduto nel periodo nebuloso del suo segmento esistenziale.
In tali condizioni l’essere umano si astrae dal mondo esterno, fluttua in una dimensione atemporale, pensa al nonsense della propria esistenza indirizzata alla mancanza di ricordi e all’ancor più tragica consapevolezza di non poter progettare niente per il futuro immediato e a lungo termine. Le uniche ancore di salvezza sembrano il marito, che ha la pazienza di ripeterle giorno per giorno tutto ciò che ha vissuto, e un diario dove sono annotati, sempre giorno per giorno, i vari accadimenti quotidiani.
Ma anche questi “appigli”, queste “ancore”, potrebbero rappresentare un castello di sabbia pronto a sgretolarsi alla minima intemperia.
Un romanzo che si legge a perdifiato, che non dà tregua, forse perché ci si immedesima in una situazione remota ma non impossibile da verificarsi.
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Cinica vendetta
Durante la lettura di questo romanzo ho più volte trasferito il mio pensiero sul mio medico di famiglia; professionista molto comune con il quale abbiamo un rapporto di fiducia e al quale comunichiamo, e confidiamo, i nostri malanni, le nostre paure, i nostri stati ipocondriaci. Sì, perché Marc Schlosser, protagonista del romanzo, è proprio quel medico di famiglia che abbiamo scelto quale prima importante tappa, spesso unica, nel nostro percorso di mantenimento della salute fisica nell’accezione più vasta e complessa.
Un personaggio, Marc Schlosser, che vive una quotidianità comune a molte altre persone e, in particolare, a molti altri medici di famiglia; i suoi pazienti sono principalmente corpi da osservare nei dettagli, che gli ricordano le lezioni di fisiopatologia e anatomia all’università, in modo tale da poter raggiungere l’obiettivo che alla fine della visita in studio siano tutti gratificati, al di là del beneficio effettivo della cura trascritta su ricetta e/o l’invio per ulteriori controlli al medico specialista.
Ma, come spesso accade, ci sono delle situazioni per le quali prima il dubbio, poi la quasi certezza, instaurano un’azione programmata e irreversibile mirata a ottenere giustizia “fai da te”, o ancora meglio vendetta, a scapito del prossimo suo inconsapevole malgrado. La villetta con piscina è solo un dettaglio architettonico nell’intera cornice narrativa; uno sfondo di irrisoria importanza nel quadro contenente il cinismo e il modus operandi ben celato ma non cancellabile. Emergono le ipocrisie umane, la crudeltà nel decidere come e se curare una certa patologia, la voluta trascuratezza e il rimorso per qualcosa che avrebbe potuto essere evitata.
E’ spietato il dottor Schlosser! Evidentemente il suo astio, non ben valutato a causa del troppo rancore covato nel tempo per un enorme danno perpetrato nei confronti della sua famiglia, gli ha fatto dimenticare totalmente il giuramento di Ippocrate inducendolo a varcare una zona d’ombra talmente confusa senza possibilità di poter rivedere la luce.
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Capire l'immanente
Accade spesso di condurre la propria esistenza senza minimamente pensare a tutto ciò che ci attornia, a tutto quello che è immanente; siamo così presi e distratti dagli affanni e dalle consuetudini della vita, che non ci rendiamo conto di quanto meraviglioso possa essere qualsiasi elemento che è parte integrante di noi stessi. Dalle sconfinate e innumerevoli galassie composte ognuna da centinaia di miliardi di stelle, ai componenti infinitamente piccoli di cui sono composti atomi e molecole presenti in tutto ciò che vediamo, la nostra temporanea presenza, su un insignificante pianeta che rivoluziona intorno a una media stella Sole relegata ai margini di un braccio della spirale della nostra Via Lattea, assume una meravigliosa armonia di cui conosciamo ancora poco.
Molti scienziati si sono avvicendati, specie negli ultimi secoli, per cercare di dare una risposta ai misteriosi interrogativi inerenti i misteri dell’universo conosciuto; da Newton a Einstein, da Planck a Boltzman, da Keplero a Bohr, lo studio delle leggi fisiche è stato intenso e costante; abbiamo quindi imparato il perché del moto dei pianeti, le leggi della termodinamica, la meccanica quantistica…ma siamo ancora in una fase primitiva poiché sia i nostri sensi, sia le strumentazioni altamente tecnologiche e innovative, non sono in grado di andare al di là di certi risultati e, di conseguenza, moltissime nostre domande rimangono ancora inevase.
In questo breve libro sono riassunte, in maniera meramente divulgativa e quindi molto superficiale, le principali scoperte che, appunto, coinvolgono ciò che è immanente, tutto quello che riusciamo a vedere e a percepire con l’ausilio dell’attuale tecnologia. L’essere umano non è altro che una parte dell’immenso mosaico in fase di allestimento in cui la scienza si fonde con il pensiero filosofico in un connubio elegante e soave.
Lo studio della fisica, e delle discipline a essa collegate, diventa affascinante a similitudine dell’ammirazione di un’opera d’arte e all’ascolto di una melodiosa sinfonia.
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Chi spia nella tua casa?
La vita del pendolare scorre a intervalli regolati da un tempo inflessibile che non conosce tregua; ogni giorno, almeno per cinque giorni la settimana, stessi orari di partenza e arrivo, stesso tragitto, stesso segmento temporale durante il quale l’interessato sceglie come amministrare questo periodo “morto” ma necessario.
Rachel è una ragazza trentenne che decide di far trascorrere il tempo impiegato dalla sua residenza alla sede di lavoro osservando il paesaggio dal finestrino del treno; può sembrare monotono ma lo scorrere di luoghi, campagne, abitazioni, fermate di altre stazioni, la induce a osservare con estrema attenzione tutto ciò che incontra in “contromano” durante il suo pendolarismo. Scruta, in particolare, un’abitazione che le è molto familiare e, nello stesso tempo, rievoca ricordi belli che via via si sono disgregati.
Rachel è una ragazza triste, insoddisfatta, con seri problemi personali non facilmente risolvibili; un giorno nel bel mezzo del suo abituale tragitto nota qualcosa che sconvolgerà ancor di più la sua esistenza in quanto, suo malgrado, sarà testimone di un accadimento che la renderà protagonista, insieme con altre due donne con altrettante storie personali problematiche, Anna e Megan, di una situazione complessa e intrecciata dalla quale non sarà facile dipanare la matassa. Ciò che appare a prima vista non è la realtà cristallina, bensì una condizione di miserie umane nascoste sotto un velo d’ipocrisia.
Un romanzo che si legge in maniera facile, molto scorrevole, senza avere particolare pathos e clamorosi colpi di scena; una vita con un futuro nebuloso che riserva eventi imprevedibili tali da far rivedere il proprio punto di vista e, forse, trarne beneficio al fine di ridurne l’opacità.
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"La storia la fanno i cattivi"
L’esposizione mediatica dei delitti più efferati commessi negli ultimi venti anni ha avuto, e continua ad avere, una crescita costante senza soluzione di continuità; la gente è molto interessata ai fatti di cronaca nera tanto da far sì che i più noti canali televisivi diano ampio spazio a programmi che, oltre a raccontare i fatti, evidenziano nel dettaglio le varie prove indiziarie, cercano di penetrare, per mezzo dell’opinione di esperti criminologi, giornalisti, psichiatri, investigatori, la psicologia del presunto colpevole e le cause e/o motivazioni che inducono a commettere certi crudeli crimini.
L’opinione pubblica vuole e pretende giustizia ma, in primis, anela alla scoperta del colpevole mettendo in secondo piano e trascurando, a volte, chi è vittima del reato; in pratica, quindi, la storia è fatta dai cattivi.
Il cappello iniziale fa parte del nuovo romanzo thriller-noir di Carrisi che ancora una volta tiene i lettori in una situazione mozzafiato con situazioni ad alta tensione emotiva. L’ambientazione ha luogo in un piccolo paese abbarbicato sulle Alpi in cui la comunità locale vive la propria esistenza in maniera metodica dove la maggior parte degli abitanti si è arricchita grazie alla vendita di terreni sotto i quali una multinazionale ha scoperto un giacimento minerario di alto valore industriale. Tutto procede secondo una calcolata routine fino a quando, alla vigilia delle feste natalizie, una ragazzina adolescente scompare misteriosamente lungo il breve tragitto che avrebbe dovuto condurla dalla propria abitazione alla parrocchia.
E’ un evento che porta scompiglio nel tran tran quotidiano della popolazione; si mette quindi in moto un’organizzazione poliziesca con a capo delle indagini un famoso agente speciale alla ribalta dei riflettori per aver risolto in maniera brillante molti casi delittuosi e, inoltre, i mezzi d’informazione non tardano a intervenire non appena hanno il sentore di scoop giornalistici che producono “business” mediatico da trasmettere via etere e su carta stampata .
Ma non tutto ciò che appare è veritiero; gli accadimenti sono molteplici e rocamboleschi con un susseguirsi di colpi di scena tali da costringere sia gli inquirenti sia i media a rivedere le proprie idee in merito al colpevole che in tutti i modi, anche servendosi della truffa e dell’inganno, deve essere mostrato alla gente per tranquillizzarla e per colmare la lacuna di giustizia. Nella piccola comunità di montagna in molti hanno segreti da nascondere; nessuno è insospettabile malgrado si eviti di porsi il problema.
L’agente speciale a capo dell’indagine dovrà affrontare realtà sconosciute e subirà sia incensamenti sia tracolli fino alla soluzione dell’enigma del quale sarà anch’egli vittima scarificale.
Un thriller noir psicologico che non dà tregua al lettore poiché lo avvolge nella sua aurea vorticosa.
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Morire per le proprie idee
“ Leone Ginzburg…chi era costui?” sì, è stata proprio questa la mia prima domanda nel momento in cui mi accingevo a leggere questo romanzo, ricordando la simile e famosa frase di manzoniana memoria riguardante il ben noto personaggio di don Abbondio. Devo dire che sono un appassionato di storia ma questo non fa di me uno storico che approfondisce le innumerevoli vicissitudini del percorso umano.
Infatti, la figura di Leone Ginzburg era (scrivo così poiché adesso non lo è più) per il sottoscritto una mera meteora apparsa durante la lettura e lo studio del ventennio fascista; ben altri protagonisti e accadimenti hanno attirato la mia attenzione in quello che fu il prologo della successiva disfatta e tragedia riguardante la terribile e crudele seconda guerra mondiale.
Antonio Scurati, in questo suo libro-saggio storico, evidenzia la vita di uno dei principali “attori” della cultura italiana a cavallo degli anni trenta che insieme con altri intellettuali coevi quali Cesare Pavese e Giulio Einaudi, fondò nel 1933 una delle più famose e brillanti casa editrice tuttora ai primi posti nell’editoria italiana e internazionale; ebreo nato a Odessa, Leone Ginzburg fu, inoltre, uno dei pochi docenti universitari che nel 1934, all’età di 25 anni, rifiutò di prestare giuramento al regime fascista ben consapevole che tale decisione sarebbe stata causa di tante sofferenze e abusi fino al tragico epilogo della sua morte avvenuta nel carcere di Regina Coeli nel febbraio 1944.
L’autore Antonio Scurati ben delinea l’esperienza e le molteplici attività antifasciste del protagonista le cui vicende si intrecciano con le vite di altre famiglie, meno conosciute, ma che hanno un’intensa storia che sono tasselli facenti parte di quello sconfinato puzzle inerente al periodo compreso tra l’inizio degli anni venti e la fine degli anni quaranta.
Un libro la cui trama è paragonabile a un percorso storico che induce il lettore ad approfondire diversi fatti non sufficientemente descritti nei libri di storia.
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Belligeranti in un mondo fantasioso
“Dune” è il primo di una serie di sei romanzi che fanno parte di una sequenza denominata “Il ciclo di Dune”; la stessa è poi seguita da un’altra serie di romanzi scritti dal figlio Brian dell’autore Frank Herbert.
Lo considero uno dei classici più famosi del genere fantascientifico anche se , parer mio, vi è introdotta una componente fantasy in relazione ai numerosi personaggi che interpretano almeno il presente volume; infatti si richiama molto a uno stile medievale fantastico con casate nobiliari e dove non ci sono né alieni, né robot a causa della mancanza tecnologica portata da una precedente guerra. Tuttavia si può viaggiare attraverso lo spazio e raggiungere i diversi pianeti appartenenti a una galassia che accomuna una folta congregazione di vari mondi.
Importanza precipua per la sopravvivenza e il benessere è un pianeta di nome Harrakis, i cui abitanti indigeni chiamano Dune, dove è presente una particolare spezia che permette di viaggiare attraverso lo spazio senza avere bisogno di strumentazione elettronica e inoltre allunga la vita e permette di avere visioni su cosa può succedere in futuro. Ha luogo, quindi, un forte contrasto tra due altolocate famiglie che anelano al controllo del pianeta.
Il romanzo è affascinante e trascina il lettore in situazioni di profonda fantasia, in un ambiente meraviglioso nonostante la crudeltà insita nella narrazione che appare scorrevole ed edificante.
Una lettura molto piacevole che analizza in maniera dettagliata la complessità di un certo tipo di società molto lontana dagli schemi cui siamo abituati; di conseguenza la lettura diventa una continua scoperta di modus vivendi e modus operandi in quel lontano futuro su un pianeta ai confini dell’immaginazione.
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Intrighi e veleni nei sacri palazzi
Questo saggio-inchiesta può rappresentare il “sequel” del precedente “Vaticano s.p.a” in cui il giornalista Gianluigi Nuzzi, essendo venuto in possesso di documenti segreti della curia vaticana da parte di fonte anonima dipendente dalla sede apostolica, rivela, analizza e pubblica altre vicende, scandali, malversazioni, veleni e intrighi tra porporati, dirigenti laici e semplici impiegati assetati di potere che deviano notevolmente dal loro cammino apostolico e di evangelizzazione al fine di ottenere promozioni e incarichi in posti di alto rilievo e decisionali.
Il libro mette in luce situazioni di gelosie tra direttori di enti e istituzioni che inducono al malaffare e alla calunnia e che adombrano l’immagine di una chiesa universale la cui missione principale è la carità verso coloro che hanno bisogno, verso gli emarginati che sopravvivono in maniera non dignitosa…insomma una missione umanitaria e di diffusione del cattolicesimo nei paesi più lontani e sperduti sul globo.
Purtroppo le vicende umane da parte di coloro preposti a questa lodevole missione, hanno il sopravvento sui criteri dettati dal pontefice e, di conseguenza, molti degli uomini, appartenenti alle gerarchie ecclesiastiche e laiche, pensano principalmente al proprio tornaconto personale e mal gestisce l’immenso patrimonio della santa sede.
I più aberranti scandali sono, nel tempo, portati in superficie dai media di tutto il mondo; questo saggio-inchiesta divulga inoltre tutto il sottobosco non conosciuto ma strettamente collegato ai reati più clamorosi che vanno dal perverso e deprecabile abuso di minori da parte di alcuni prelati che hanno, in qualche modo, usufruito di una squallida copertura da parte di coloro che dovevano vigilare e intervenire immediatamente appena scoperto il misfatto, alla malsana cupidigia indirizzata alla gestione del denaro e ai non chiari avvicendamenti in quegli incarichi di alto valore morale e temporale.
La lettura di questo secondo saggio-inchiesta mi ha permesso di avere una mia idea sul perché delle dimissioni di papa Ratzinger agli inizi del 2013; un fatto che ha lasciato centinaia di milioni di credenti esterrefatti e increduli per una vicenda che non ha precedenti uguali nel corso della storia della chiesa (per l’esattezza ci furono altre dimissioni da parte di papa Celestino V il giorno stesso della sua elezione, ma le situazioni non sono minimamente paragonabili a quelle attuali).
Un libro di cui consiglio la lettura al fine di avere una visione più chiara e approfondita nelle ultime vicende della chiesa cattolica.
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La potenza degli elementi
Una vicenda che ha luogo in un lembo di terra della Versilia dove il mare, il bagnasciuga, il cielo e le miriadi di abitazioni di vario tipo fanno da sfondo alla vita di tanti personaggi che vivono, e sopravvivono, alle oscure e inaspettate sorprese dell’esistenza.
Protagonista è Luna, una bambina problematica a causa di una rara malattia genetica che la costringe a vivere in maniera singolare, al fine di proteggere il proprio corpo dalle insidie della luce; Luna ha un fratello Luca che può considerarsi agli antipodi sia per carattere sia per fisicità.
Quest’ultimo vive in maniera avventurosa con una passione per il surf che mette in primo piano al di là degli studi, dove peraltro eccelle nonostante il poco impegno, e che lo conduce in meravigliose località balneari in ogni parte del mondo.
Si contrappone a questa vita strabiliante e di avventure sportive estreme, un’esistenza variegata e di routine di tutti gli altri personaggi stanziali in Versilia; ecco il supplente professore a tempo perso, il vigile ausiliario, Serena la madre di Luca e Luna che si barcamena con la sua attività di parrucchiera e così altre persone.
Tali esistenze all’apparenza slegate tra loro, si accomunano quando subentra all’improvviso una tragedia che ha la forza di turbare profondamente il loro abituale modo di vivere e li trasforma interiormente.
Ci si chiede, appunto, chi manda le onde poiché sono proprio queste che hanno il potere da cui deriva il cambiamento esistenziale.
Un romanzo un po’ ripetitivo e senza particolari colpi di scena che si può leggere con l’accortezza di non pretendere chissà quale capolavoro.
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- no
Pater Noster e miliardi
Da secoli, ma specialmente negli ultimi decenni, alcune attività della Città del Vaticano, contornata dalla sua miriade di chiese, diocesi, parrocchie e istituzione religiose di ogni tipo, sono state ammantate da un’aura di mistero indirizzate soprattutto ai complessi canali finanziari controllati dalla banca vaticana meglio conosciuta come I.O.R. (Istituto per le Opere di Religione).
In questo libro inchiesta il giornalista Gianluigi Nuzzi raccoglie, cataloga, elabora e cristallizza tutto l’archivio cartaceo composto di oltre quattromila documenti (lettere, relazioni contabili, bilanci, verbali, bonifici, ecc.) reso pubblico, per volontà testamentaria post-mortem, da monsignor Renato Dardozzi per venti anni consigliere presso la Segreteria di Stato della Santa Sede.
Tali numerosi incartamenti mettono in luce tutte quelle attività finanziare senza trasparenza ordite da alte personalità ecclesiastiche con pochi scrupoli che agiscono a capo di uno I.O.R. parallelo che provvede in maniera occulta al riciclaggio di denaro e titoli di stato italiani, per una montagna di miliardi di lire dell’epoca, provenienti da vari scandali e attività criminose tra cui il crac del Banco Ambrosiano e la maxi tangente ENIMONT da cui lo scandalo (la famosa tangentopoli di “Mani pulite” iniziata nel 1992) del finanziamento illecito dei partiti della prima repubblica.
Tutto è documentato e commentato con dovizia di particolari che includono i vari nomi di politici, alti prelati, imprenditori quali presunti artefici di questa grandissima e complessa operazione finanziaria.
Il libro, nel suo complesso, è interessante poiché indica, e ricorda, molto dettagliatamente fatti, accadimenti, luoghi, istituzioni pubbliche e private e uomini coinvolti nel groviglio dell’illegalità finanziaria; d’altra parte l’ho trovato ripetitivo e con una moltitudine di richiami che rende difficoltosa la lettura.
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Oltre la percezione
E’ immenso il patrimonio letterario su ciò che fu la seconda guerra mondiale, con la sua crudeltà, disperazione, innumerevoli tragedie e disastri, profonda miseria, disumanizzazione e morte devastante. Il presente romanzo ha una sua peculiarità: racconta la vita parallela di due ragazzi, Marie-Laure e Werner, durante l’arco temporale decennale tra il 1934 e circa due mesi dopo il famoso D-day del 6 giugno 1944.
Le vicende dei due ragazzi hanno luogo in nazioni e contesti completamente diversi; Marie-Laure è una bambina non vedente che trascorre la fanciullezza a Parigi, senza la presenza materna, per poi trasferirsi insieme al padre, durante il periodo bellico, nella cittadella fortificata di Saint Malò in Bretagna; Werner è un orfano che vive, insieme alla sorella, in un istituto della Germania dove riesce a sviluppare le sue capacità per la nascente elettronica di quegli anni.
Le loro esistenze si svolgono su due rette parallele; ognuno ha le sue vicissitudini e accadimenti che li aiutano a crescere in ambienti difficili, spesso ostili, dove la creatività e la curiosità sono principali artefici che attenuano il dolore e le privazioni subite.
Due vicende separate la cui narrazione è alternata per quasi tutto il romanzo; l’unico punto d’incontro, di queste rette parallele che iniziano a convergere, si ha in un determinato momento della guerra più cruenta che causa una decisiva svolta nelle loro vite.
Capitoli molto brevi, profondità di pensiero, dettagli narrativi caratterizzanti personaggi e luoghi…sono questi gli elementi precipui di un romanzo triste, drammatico ma che esalta la determinazione e l’incisività per poter sopravvivere alle miserie psico-fisiche che la guerra impone a qualsiasi individuo, specialmente se si tratta di adolescenti.
Un riferimento alla fisica: qual è tutta la luce che non vediamo? Essa è rappresentata da tutto quello spettro di frequenze al di fuori di uno stretto settore, dove la luce è percepita dalla nostra retina nei suoi innumerevoli colori. Non ci è dato sapere, con i soli nostri mezzi umani, cosa c’è oltre l’ultravioletto e l’infrarosso, possiamo solo immaginare colori sconosciuti o chissà cos’altro…chissà come sarebbe divenuto il mondo se la guerra non avesse avuto luogo!
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Naufragio interplanetario
A similitudine di altri romanzi e sceneggiature cinematografiche, dal più classico “Robinson Crusoe” al relativamente, recente “Cast away” interpretato, quest’ultimo, da Tom Hanks, anche il presente narra un’avventura (o disavventura) di un naufragio stavolta avvenuto sul pianeta rosso Marte.
Durante una missione spaziale diretta all’esplorazione di Marte, i sei astronauti membri dell’equipaggio si imbattono in una tempesta di sabbia così violenta da indurre sia il comandante della spedizione sia la NASA ad annullare il viaggio interplanetario e ritornare rapidamente sulla navicella che hanno lasciato nell’orbita marziana e in seguito far rientro sulla Terra; nel bel mezzo di questa attività di emergenza, un membro dell’equipaggio, Mark Watney, rimane seriamente ferito e non è più ritrovato dai suoi compagni di missione.
Mark Watney, ingegnere e botanico, è creduto morto e disperso per cui le ricerche sono interrotte al fine di non pregiudicare tutte le altre vite degli altri cinque componenti che si avviano in maniera repentina a lasciare il suolo marziano per rientrare sulla navicella madre. Inizia in tal modo il singolare naufragio dell’astronauta in un ambiente alieno che nulla ha in comune con i luoghi rappresentati dalle spiagge e dalla vegetazione delle isole o atolli sperduti e deserti inerenti altri naufragi, reali o immaginari, avvenuti sulla Terra.
La situazione è alquanto tragica sia per la poca speranza di sopravvivenza, sia per il particolare ambiente marziano che si presenta come un’immensa e infinita landa di sabbia, crateri e sassi ricoperta da ossido di ferro. L’impresa per procurarsi cibo, energia e acqua diventa quasi impossibile, ma l’essere umano posto anche in situazioni ambientali e psicologiche estreme riesce a mettere in atto tutte quelle conoscenze e iniziative che normalmente rimangono sopite e latenti in circostanze naturali; ecco prevalere l’istinto di conservazione che consente allo sfortunato astronauta, dotato di uno spiccato senso dell’ironia e dell’umorismo, a individuare e costruire tutte le soluzioni necessarie al fine di poter sopravvivere per un lungo periodo di tempo in un ambiente molto ostile con la speranza di poter essere salvato da una futura spedizione marziana nell’arco di qualche anno.
Mark Watney riesce a organizzarsi con maestria e grazie al suo notevole intuito, che ha come base le sue specializzazioni di ingegnere e botanico, rende il suo stato psicofisico ai limiti della sopravvivenza; gli ostacoli sono moltissimi ma sempre affrontati con spirito positivo senza mai cadere nella facile disperazione foriera di dolore e morte.
La trama è molto articolata riguardo agli innumerevoli accadimenti che accostano e trattano le basilari formule ed enunciati di chimica, fisica e meccanica; viene quindi spiegato come ottenere l’acqua dall’anidride carbonica, l’energia dai pannelli solari della sonda rimasta sul suolo marziano, la coltivazione di tuberi escogitando una miscelazione che ha dell’incredibile.
Un romanzo che si legge volentieri nonostante le notevoli citazioni scientifiche, con una parte finale che induce a riflessione.
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"L'assenza è una presenza costante"
Qual è il dolore assoluto, il dolore perfetto? Esistono i confini del dolore associati agli estremi della malvagità, dall’astio profondo, dalla vendetta programmata nei minimi dettagli?
Quanto è accaduto il 30 gennaio 2011 in una piccola città di un cantone svizzero, è cronaca lacerante di un episodio che ha, nella sua immane efferatezza, una maligna irrealtà; la sparizione di due bambine, gemelle, a causa di un padre (ma dobbiamo ancora chiamarlo padre?) che nutre un odio così difficile da definire tanto è il dolore da infliggere alla sua compagna indirizzato a non lasciare traccia alcune delle due bambine e poi suicidarsi contro un treno in una cittadina della Puglia. Un viaggio assurdo e infernale che inizia dalla “ridente” cittadina svizzera, dove vive una famiglia all’apparenza senza problemi, e continua avanti e indietro lungo un percorso che sfugge a ogni logica umana per completarsi in maniera tragica e orrenda su un binario ferroviario; non sembrano esserci testimoni, a parte la strumentazione elettronica, durante questi cinque giorni di pura follia.
Tornare a casa e rendersi conto che il coniuge ha commesso una simile atrocità fa librare la mente in una dimensione sconosciuta nella quale non esistono sentieri, non esistono confini, ma solo baratri metaforici pronti ad accogliere ciò che rimane dell’essere umano spezzato in più parti nell’animo. Il dolore non è mai quantificabile in qualsivoglia circostanza; penso, comunque, che vivere o sopravvivere nella costante assenza dei propri figli dei quali non si hanno più notizie, ma che la statistica delle probabilità ci indica una infausta sorte, sia il cosiddetto dolore perfetto che trasforma la mente, ci astrae dalla realtà mondana, rende vuoto tutto ciò che ci sta intorno.
La vita non è più scandita dal tempo; un dolore così devastante porterebbe molte persone ad annullarsi fisicamente al fine di trovare una pseudo-pace interna in un’altra forma a noi sconosciuta. Sopraggiunge, a volte, una titanica forza d’animo che si abbarbica intorno all’esile barlume di speranza atto a far riemergere ciò che abbiamo amato e del quale siamo stati privati in maniera violenta.
Ho seguito molto questa tragedia umana sui mass-media; il romanzo è ancor più tagliente per certi particolari che rendono ancor più tragica questa maledetta e oscura vicenda.
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L'ineluttabile appuntamento
La figura di Lev Tolstoj spicca come pilastro fondamentale per la letteratura russa dell’ottocento; a similitudine dei suoi coevi Dostoevskij, Gogol, Turgenev, i suoi romanzi scavano nel profondo dell’animo umano mettendo in luce miserie, fardelli d’ingiustizia sociale, crisi interiori e vane crudeltà cui l’uomo vissuto in quel periodo è stato soggetto e oggetto dell’allora regime zarista. Le opere più note che ben conosciamo sono il monumentale “Guerra e pace” e il drammatico “Anna Karenina”.
Il presente romanzo appare riduttivo qualora paragonato alle opere già citate, ma dopo averlo letto con attenzione, mi rendo conto dell’enorme profondità di pensiero che raccoglie in meno di un centinaio di pagine. E’ l’appuntamento ineluttabile che tutti noi, alla fine, avremo con la morte; quest’ultima viene spesso rimossa dai nostri pensieri, in particolare quando si è giovani e si progetta un futuro di sfide e realizzazioni, ma basta un qualsivoglia episodio o accadimento per ricordarci che Ella è sempre presente, ci segue come un’ombra e aspetta il momento, a noi sconosciuto, per entrare in azione. Nulla nel nostro immanente ha una certezza assoluta quale questo infausto incontro.
Il protagonista del racconto è un giovane magistrato, Ivan Ilijc, che organizza la propria vita impegnandosi per la realizzazione della sua carriera e avere, di conseguenza, un elevato rango sociale che possa permettergli certi lussi e comodità non comuni alla stragrande maggioranza dei suoi simili viventi nello stesso periodo temporale e nel contesto politico-sociale-economico della Russia di fine ottocento. Tutto sembra procedere secondo una schedula ben programmata, ma una banale caduta da una scaletta cambia drasticamente gli ultimi anni di vita del Nostro.
Ecco, allora, immaginare e aspettare il momento, che arriverà sicuramente a breve, del famigerato appuntamento e non esiste nulla che possa evitarne il finale; la malattia improvvisa non dà scampo nonostante fior di luminari si appropinquino al capezzale dell’agonizzante che sta per precederli nell’oscuro viaggio.
Molto marcata la dualità vita-morte e con essa il senso di tutto ciò che ci appare da quando siamo in grado di ragionare fino all’ultimo barlume di lucidità mentale propedeutico al mistero che da sempre governa il segmento vitale di tutti gli esseri viventi. Come una serie di fotogrammi osserviamo momenti di tutta la nostra esistenza e ci accorgiamo di non capirne il significato e aneliamo di oltrepassare la metaforica porta con la brama di conoscere il perché dell’evoluzione umana e universale.
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Un futuro plausibile
E’ da qualche mese che sto dedicandomi alla lettura del genere fantascientifico e mi rendo conto, alla fine di ogni romanzo, di aver commesso l’errore per aver trascurato per tantissimi anni tale genere a causa di uno stupido pregiudizio (come in genere sono tutti i pregiudizi) dovuto a una superficiale convinzione indirizzata alla mancanza di spessore narrativo e di piacevolezza e riflessione intrinseca alla letteratura in questione. Questo quarto romanzo appena concluso è la conferma del mio errore di valutazione che mi ha “perseguitato” per decenni!
Il romanzo è ambientato nel ventottesimo secolo; il pianeta Terra non esiste più poiché distrutto da una gigantesca esplosione dovuta a errore umano e, di conseguenza, tutta l’umanità ha dovuto cercare la sopravvivenza colonizzando decine e decine di pianeti, in parte simili alla Terra, governati da un sistema interplanetario chiamato l’Egemonia. Hyperion fa parte di uno di questi pianeti ed è minacciato da entità esterne non meglio identificate che cercano di invaderlo e distruggere le presenti e complesse pseudo-civiltà che abitano il pianeta. Al fine di evitare tale minaccioso disastro, l’Egemonia decide di inviare sette “pellegrini” scelti in maniera molto selettiva che dovranno affrontare situazioni all’apparenza paradossali ed essere pronti a sacrificarsi affinché l’attacco alieno non sortisca gli effetti voluti.
Ognuno dei sette personaggi-pellegrini, di estrazione totalmente diversa per incarico e caratteristiche comportamentali, dovrà raccontare una propria storia che è propedeutica alla missione che devono svolgere; la narrazione è costantemente intrisa di sconosciute super-tecnologie, civiltà al limite della comprensione umana, ambienti e paesaggi caleidoscopici che, a volte, oltrepassano la pura fantasia.
Non voglio fare alcuno spoiler e mi soffermo a questo punto; c’è da dire che il futuro ha infinite possibilità di vita secondo canoni non in questo periodo pensabili dove il concetto profondo di sopravvivenza e di credenza in qualcosa di superiore assume poliedriche sfaccettature. Tutto ciò che crediamo necessario, tutti i progetti per una vita migliore, oppure una sopravvivenza, è messa in forte discussione…l’opposto, il contrario potrebbe avere maggior significato!
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L'ossessione della responsabilità
Che cos’è la linea d’ombra? È una linea immaginaria che delimita l’essere umano dalla sana incoscienza alla serena consapevolezza; questa linea si oltrepassa in maniera non determinata ma a causa di particolari circostanze che accadono in maniera improvvisa e ci immergono in una dimensione di responsabilità e coscienza di tutto ciò che da qual momento in poi potrà avvenire e si dovrà affrontare nel nostro percorso vitale. Non si può dire che esista un’età specifica in merito ma, in linea di massima, questo importante cambiamento mentale e spirituale ha luogo con ciò che si definisce fine della giovinezza e subentro nell’età matura; di conseguenza la variabilità di tale condizione è veramente elevata.
Parliamo del romanzo di Conrad, il primo che leggo di quest’autore. La vicenda si svolge nei primi anni del novecento nei paesi del sud-est asiatico; un giovane ufficiale di marina sbarca inspiegabilmente da una nave, dove aveva l’incarico di secondo ufficiale, a Singapore per ritornare in patria. Durante la breve permanenza in questo porto si presenta una mirabile occasione di avere il comando, il suo primo comando, su un mercantile di stanza a Bangkok; l’anelito cui il giovane mirava, quasi fosse un sogno, si realizza all’improvviso in un’atmosfera quasi surreale dalla quale emergono numerosi interrogativi. Appena a bordo della sua nave con il grado di comandante, si rende subito conto di un minaccioso mistero che aleggia sull’equipaggio travolto dalle febbri tropicali che fiaccano in malo modo tutte le attività necessarie alla navigazione.
Ecco tracciarsi la famigerata linea d’ombra! La responsabilità improvvisa cui è sottoposto il giovane; la necessità di decidere e ordinare le misure più consone atte a ridurre l’impatto della condizione malsana; avere nelle proprie mani la destinazione del vascello e la vita dei propri uomini senza poter contare su nessun’altra persona che possa indirizzarlo sul percorso retto e senza ostacoli. E’ la figura del comandante, uomo solitario in mezzo all’oceano, a combattere gli elementi della natura e le superstizioni impregnate nell’animo di ogni componente dell’equipaggio.
Un romanzo introspettivo che mette in risalto le debolezze celate nell’essere umano.
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Gli specchi? meglio romperli!
Profondo sud degli Stati Uniti dove ancora non sono del tutto sopiti usi, idee e situazioni che risalgono alla guerra di secessione americana; in una cittadina dal nome simpatico accadono dei fatti inspiegabili che si intrecciano con al vita di routine di tutta la comunità degli abitanti.
All’apparenza ci troviamo di fronte a ville con sentieri alberati, negozi, strade e appartamenti tipici di una qualsiasi città di uno stato del Sud, ma in realtà sono tanti i lati oscuri che coinvolgono, in uno strano puzzle, molte persone più o meno stimate che intrecciano le loro vicissitudini facendone scaturire delitti a volte misteriosi e non immediatamente percepibili dalla mente umana. Molta gente nasconde, al riparo della sua vita privata, terribili ossessioni compulsive e scheletri nei propri armadi tali da indurli a perpetrare malvagità e sconcezze di ogni tipo; un mistero, inoltre, avvolge la “graziosa” cittadina: l’elevato numero di persone scomparse nel corso di quasi un secolo per la maggior parte della quale non emerge soluzione alcuna. Queste persone, che hanno in comune lontane parentele e fatti risalenti a epoche passate, scompaiono in maniera anomala come volatilizzate o come disintegrate all’improvviso.
Un romanzo con molti personaggi protagonisti che miscela thriller, poliziesco, spionaggio e fantasy – horror con risultati non proprio esaltanti…il puzzle potrebbe essere completato ma mancano delle tessere e alcune di loro appartengono ad altri schemi di gioco. L’eccesso di protagonisti e le storie che spesso sono impregnate di surreale, tende a confondere il lettore, almeno il sottoscritto, e rende la lettura un po’ pesante. Si può leggere ma bisogna avere molta pazienza e memoria interpretativa.
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Infinite realtà temporali
Sono un neofita della lettura del genere fantascientifico; finora ho letto solo tre romanzi che mi hanno entusiasmato e affascinato, in particolare quest’ultimo di Isaac Asimov lo considero un capolavoro per il suo stile e per la creatività che lascia attoniti e induce a riflessione sul futuro del genere umano.
La trama ha come protagonisti svariati personaggi assimilabili al mondo attuale ma con funzioni i e incarichi appartenenti alla superiore fantasia dello scrittore; si discetta sui viaggi nel tempo, sulla traslazione bilaterale dell’essere umano in qualsiasi secolo del futuro e del ritorno nel passato, con le strabilianti vicissitudini dei paradossi temporali che hanno il potenziale di scatenare una reazione non quantificabile ma di notevolissimo impatto sulla stessa esistenza.
Protagonista è un “tecnico” di nome Harlan la cui funzione, sotto controllo di un’elitè selezionata di scienziati “calcolatori”, è la manipolazione del tempo al fine di eliminare, per mezzo di piccoli mutamenti dell’ambientazione in qualsiasi secolo, tutte le imperfezioni tali che possano causare guerre, sofferenze e tragedie mortali. Con una particolare e attrezzata navicella, nominata “cronoscafo”, è possibile navigare nel tempo, ma non nello spazio, fino a migliaia e migliaia di secoli oltre il nostro tempo e creare infinite realtà alternative che portino beneficio all’esistenza del genere umano senza che ci si debba altrimenti affrontare drammatiche e tragiche circostanze. In questo modo la vita futura è assicurata dal benessere…ma non mancano gli effetti collaterali. In tali nuovi mondi l’uomo, o il suo simulacro, non riesce a evolversi e di conseguenza non porta avanti scoperte e invenzioni tecnologiche necessarie ai viaggi interstellari per conoscere nuovi sistemi, galassie e civiltà.
Un romanzo che, ancora una volta, ricorda la nostra piccolezza infinitesimale al cospetto dell’universo conosciuto ma soprattutto sull’immenso e incommensurabile spazio-tempo che possiamo a malapena immaginare e sul significato di eternità qualora si possa definirla tale.
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Il passato nasconde ma non cancella
E’ il secondo romanzo che leggo di quest’autore, avendo già recensito il primo “Nera di malasorte”; protagonista è nuovamente il commissario di polizia Simone Sbrana, un poliziotto un po’ fuori dal seminato, anticonformista (si autodefinisce allievo del più famoso commissario Bordelli di Firenze) che segue bonariamente le vicende scaturite dal movimento studentesco del 1968 e la volontà delle nuove generazioni sessantottine che provano a cambiare il corso degli eventi tramite continue manifestazioni che hanno (avrebbero avuto) il fine di indurre il governo e la classe politica pro tempore a una serie di riforme atte a rovesciare antichi privilegi e obsolete tradizioni.
In tale contesto temporale, siamo nel dicembre 1969 nel funesto giorno della strage di piazza Fontana in una sede della Banca nazionale dell’agricoltura a Milano, continua a esercitare il suo mandato di commissario sui generis Simone Sbrana della questura della Spezia. La sua attività investigativa è ostacolata dal clima ostile riversato su di lui dai propri colleghi e superiori, in primis il questore, appunto per le sue modalità di pensiero e di azione che, nonostante portino alla soluzione di vari delitti, sono malviste a causa del suo porsi al di fuori dalle righe.
Proprio durante i giorni immediatamente successivi alla strage di piazza Fontana, un efferato omicidio è commesso in un teatro di quarta categoria della città, la cui vittima è una spogliarellista non meglio identificata e, forse, proveniente dall’America latina. L’azione investigativa di Simone Sbrana, affiancato dall’appuntato Russo, unico amico che ha in questura, riporta in luce un caso di omicidio ormai archiviato e risalente a circa venticinque anni prima, nell’estate del 1945, la cui vittima è proprio un vicebrigadiere di polizia trovato morto per un colpo di pistola alla tempia nei giardini pubblici del centro storico cittadino.
I due omicidi sono legati tra loro a doppio nodo ed emergono fatti e misfatti del primo dopoguerra dove la miseria, le distruzioni della guerra e la tenace volontà di ricostruire si amalgamano in situazioni delittuose e senza scrupoli pur di ottenere o mantenere quel certo potere ormai dissolto con la caduta del vecchio regime fascista. I “nostalgici” vogliono ritornare al passato senza tener conto della tragedia subita dalla Nazione a causa di assurde velleità indirizzate a un clima di terrore necessario al potere.
L’arguzia e l’acume del buon commissario Sbrana riusciranno a risolvere, in maniera magistrale, i due omicidi separati da un quarto di secolo, e inoltre assicurare alla giustizia personaggi molto in vista nella società spezzina ma che nascondono un passato di nefandezze e abusi…le famose “vizi privati e pubbliche virtù”
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Ehi...qui si vende la vita eterna!
Da quando ho deciso di dedicarmi alla lettura del genere fantascientifico, poco tempo fa, questo è il secondo romanzo che leggo di Philip K. Dick dopo il mirabolante “Ubik”; la presente opera, a similitudine di “Ubik” la considero di livello straordinario.
In un mondo futuro non meglio definito la Terra ha colonizzato diversi pianeti e satelliti del sistema solare; in particolare Marte è preponderante come numero di coloni inviati, in maniera coatta, da un’istituzione mondiale riconosciuta globalmente che ha dei propri criteri finalizzati all’organizzazione, in varie sfaccettature, della vita e del destino della popolazione. Nel frattempo esistono due grosse società con a capo personaggi senza scrupoli il cui cinismo è magistrale, che, all’ombra di una certa facciata, producono delle particolari droghe psichedeliche tali da cambiare, anche se in maniera illusoria, la percezione della realtà per chi ne fa uso.
La trama è complessa giacché è sempre messa in dubbio su cosa sia veramente la realtà e cosa è illusione; gli effetti di un certo stupefacente, denominato Chew –Z, hanno la capacità di alterare completamente il mondo immanente procurando alla persona una illusoria (o forse no?) traslazione in altri infiniti universi e trasformazione in qualsivoglia elemento della natura animata o meno; è possibile inoltre viaggiare nel tempo e cambiare certe circostanze passate e/o modificare situazioni nel futuro. La mente ha una reazione quasi irreversibile tale che non può più distinguere il reale dall’illusorio; essa vaga in ampi e sperduti territori artificiali senza alcun punto di riferimento, dove si può incontrare se stesso e parlare con il proprio sosia o rappresentazione umana.
Dopo aver assunto tali sostanze, oltre alla forte dipendenza psichica, si subisce una devastante alterazione mentale per cui si ha la netta sensazione di non poter tornare indietro e vivere (qualora possibile chiamarla vita come da noi intesa) in maniera atemporale dove il trascorrere dei millenni è aleatorio, in spazi immensi e sconosciuti, immergendosi in situazioni di totale allucinazione e delirio.
Ma è veramente illusione? Che cosa distingue la realtà dalla pura immaginazione? La vita è limitata oppure è un continuo rinascere in un corpo da noi scelto sia esso una persona, un animale o un sasso in riva a un oceano?
Scienza, tecnologia, religione, filosofia e occulto convergono e si fondono in una sfera che gira su se stessa in modo vorticoso e dalla quale non si ha razionalità per valutarne le risultanze.
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Sconvolgimenti nel fisico e nell'anima
La violenza e l’abuso della donna è, purtroppo, ormai cronaca quasi quotidiana; delitti efferati, preceduti o meno da atti di violenza sessuale, sono diventati un allarme sociale da combattere con tutti i mezzi e con l’inasprimento della pena, si spera certa ed esemplare, per coloro che si macchiano di tali crimini dettati dall’insofferenza, dalle frustrazioni interiori e dall’istinto animalesco non controllato che esplodono in maniera devastante sull’essere più debole; ci sarebbero tanti modi per definire questi orrende e inaccettabili azioni ma, a parer mio, prevale in tali circostanze la vigliaccheria di certi soggetti non meritevoli di alcuna attenuante.
Dacia Maraini, con questo romanzo (assimilabile al giallo-intervista) scritto circa venti anni fa, è un’antesignana della notevole problematica scaturita da pochi anni, sempre esistita ma presa poco in considerazione, cui ora è indirizzato il neo-logismo di “femminicidio”. La trama è molto scorrevole e descrive una capitale quasi addormentata dove una giornalista di una radio privata, Michela Canova, si imbatte in un efferato femminicidio accaduto nel suo stesso condominio sullo stesso pianerottolo; in pratica una donna è assassinata nell’appartamento di fronte l’abitazione della giornalista. Quest’ultima è incaricata dal suo direttore preparare una trasmissione dedicata ai crimini irrisolti di tale genere.
Ed ecco che Michela Canova, con il suo registratore portatile, riesce a catturare testimonianze di vario genere che nascondono orrori vissuti e mai detti, tragedie interiori, volontà di cambiar vita anche a costo di drammi irreversibili; riascoltando le registrazioni analizza le varie voci di coloro che hanno accettato di parlare, di essere intervistati; il tono, il timbro, la modulazione di ogni voce è uno schema caratteriale che aiuta la giornalista ad andare a fondo alla questione.
L’epilogo è tra i più sconvolgenti…quante miserie e disgrazie si celano al di là dei nostri tranquilli appartamenti!
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Tutta la vita è un'allucinazione a occhi aperti
Un romanzo che provoca sconcerto e, nel frattempo, profonda riflessione; una delle domande cui spesso abbiamo sfiorato, ma poi relegato in quell’enigmatico luogo della rimozione, è la seguente: che cos’è la realtà? Una mera percezione mentale, un’irrealtà onirica che precede una situazione di reale consapevolezza atemporale e utopistica?
Philip Dick induce il lettore in un temporaneo stato di confusione tale da sovrapporre mondi alternativi in epoche altrettanto differenti. Il presente, il passato e il futuro si fondono tra di loro come in uno sfuocato gioco di specchi, dove qualsiasi riflesso può essere interpretato in maniera soggettiva senza avere alcun punto di riferimento.
“Io sono vivo voi siete morti” è uno dei motti più importanti nella narrazione; si ipotizza un particolare stato tra la vita e la morte nel quale il soggetto percepisce sensazioni e realtà “preconfezionate” tali da convincerlo dell’autenticità dell’immanente. Le tecnologie e le innovazioni del futuro possono creare individui dotati di particolari capacità mentali di precognizione, telepatia e spostamenti a ritroso nel tempo; il tutto dipenderà dalla potenza energetica e in che modo potrà essere manipolata.
Quando mi sveglio al mattino in automatico, compio delle azioni stereotipate che includono, fin dalla notte dei tempi, un’attività lavorativa, tempo libero e sonno. Ma è reale ogni atteggiamento e azione che compio nell’arco della giornata? Oppure è solo un sogno nell’attesa che al termine diventi cosciente e mi ritrovi in una dimensione completamente diversa e difficilmente immaginabile?
Ubik può essere un elettrodomestico, uno spray energizzante, un alimento, un involucro trasparente, un’entità non specificata…insomma tutto e il contrario di tutto che coesiste in realtà alternative poste su rette convergenti.
La vita e la morte come da noi intese, potrebbero essere tutta un’illusione oppure un’allucinazione a occhi aperti.
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